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Articolo 683 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Riabilitazione

Dispositivo dell'art. 683 Codice di procedura penale

1. Il tribunale di sorveglianza, su richiesta dell'interessato, decide sulla riabilitazione, anche se relativa a condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non dispone altrimenti, e sull'estinzione della pena accessoria nel caso di cui all'articolo 179, settimo comma, del codice penale. Decide altresì sulla revoca della riabilitazione, qualora essa non sia stata disposta con la sentenza di condanna [533-537] per altro reato(1).

2. Nella richiesta sono indicati gli elementi dai quali può desumersi la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 179 del codice penale. Il tribunale acquisisce la documentazione necessaria(2).

3. Se la richiesta è respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto(3).

Note

(1) Tale comma 1 è stato modificato dall'art. 1 comma 4 lett. g) della L. 9 gennaio 2019 n. 3.
(2) La decisione del tribunale deve necessariamente essere preceduta da un valutazione del comportamento del condannato, operata sulla base degli elementi addotti dal richiedente e acquisendo ogni documentazione necessaria.
(3) Il provvedimento che concede la riabilitazione, divenuto irrevocabile, è annotato nella sentenza di condanna a cura della cancelleria del giudice che lo ha emesso ai sensi dell'art. 193 delle disp. att. del presente codice.

Ratio Legis

Essendo alla magistratura di sorveglianza affidata la funzione di verificare la coerenza e l'efficacia del trattamento penitenziario rispetto allo specifico fine della rieducazione del reo, questa ha il compito di decidere anche sulla riabilitazione.

Spiegazione dell'art. 683 Codice di procedura penale

La riabilitazione, presupponendo l'espiazione totale della pena, non è una causa estintiva della pena, bensì una mera causa di estinzione delle pene accessorie e e degli altri effetti penali della condanna.

Essa è caratterizzata da una funzione premiale e promozionale, in quanto collegata all'avvenuta espiazione della pena principale ed alla buona condotta dimostrata per un certo lasso di tempo (v. art. 179).

L'efficacia generale e residuale rispetto alle altre cause di estinzione della pena vere e proprie determina il fatto che debba ritenersi sussistente l'interesse da parte del reo a richiedere il relativo provvedimento per il sol fatto che risulti intervenuta sentenza di condanna dalla quale non si sia ancora stati riabilitati.

La riabilitazione può pertanto essere concessa anche quando riferita ad una condanna per la quale sia già stata concessa la sospensione condizionale della pena ed il reato sia stato estinto per effetto del decorso dei termini di cui all'art. 163.

Fatte le dovute premesse, la norma in commento prevede che sulla domanda di riabilitazione sia competente a decidere il tribunale di sorveglianza, il quale valuta in merito alla buona condotta del condannato, nonché in ordine all'estinzione della pena accessoria, qualora siano trascorsi almeno sette anni dalla condanna.

A tale scopo, il tribunale acquisisce tutte e informazioni e la documentazione occorrente. In caso di rigetto, la domanda non può essere ripresentata prima di due anni dal momento in cui il provvedimento di rigetto diviene irrevocabile.

Massime relative all'art. 683 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 20906/2010

La competenza del Tribunale militare di Sorveglianza è circoscritta alla richiesta della riabilitazione militare, mentre quando è richiesta la riabilitazione di diritto comune la competenza a decidere spetta al Tribunale di Sorveglianza ordinario anche in ordine a sentenze emesse dai Tribunali militari. (Annulla senza rinvio, Trib.sorv. Bologna, 22/10/2009).

Cass. pen. n. 31940/2008

Appartiene al Tribunale di sorveglianza la competenza a provvedere sull'istanza di riabilitazione con riguardo a pena applicata a richiesta delle parti, essendo la relativa pronuncia equiparata a sentenza di condanna. (Rigetta, Trib.sorv. Ancona, 22 Novembre 2007).

Cass. pen. n. 43000/2007

In tema di riabilitazione, l'adempimento dell'obbligo risarcitorio non è condizionato dalla proposizione della richiesta della persona danneggiata e spetta all'interessato l'iniziativa della consultazione con quest'ultima per l'individuazione di un'adeguata offerta riparatoria. (La Corte ha precisato che il principio deve trovare applicazione pur quando danneggiata e persona offesa sia la P.A., nella specie un'amministrazione comunale, in riferimento ad un delitto di abuso di ufficio finalizzato alla realizzazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale).

Cass. pen. n. 39468/2007

L'impossibilità, per il condannato istante per la riabilitazione, di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato comprende tutte le situazioni a lui non ascrivibili, che gli impediscano l'esatta osservanza dell'obbligo cui è tenuto per conseguirla, non potendosi frapporre ingiustificato ostacolo al suo reinserimento sociale qualora abbia dato prova, con la condotta tenuta, di esserne meritevole.

Cass. pen. n. 39916/2007

La competenza a decidere sulla richiesta di riabilitazione da misura di prevenzione appartiene alla Corte d'appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che dispose l'applicazione della misura di prevenzione o dell'ultima misura di prevenzione. (Annulla senza rinvio, Trib.sorv. Messina, 6 Febbraio 2007).

Cass. pen. n. 22775/2007

In sede di pronuncia su una domanda di riabilitazione, la prova della buona condotta necessita della acquisizione di indici che abbiano un significato univoco di recupero del condannato ad un corretto, anche se non esemplare, modello di vita, non potendosi per contro riconnettere ad un singolo episodio di intemperanza — che non sia espressivo di una generale condotta di vita — valore sintomatico di non completamento dell'emenda. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la decisione con la quale il Tribunale di sorveglianza aveva respinto l'istanza di riabilitazione, basando la valutazione negativa su un unico episodio di ingiurie, senza valutare il contesto dello stesso e il generale modello di vita seguito dall'istante).

Cass. pen. n. 41314/2006

In tema di riabilitazione, la competenza a provvedere sulla relativa istanza appartiene al Tribunale di sorveglianza anche nel caso in cui sia stata pronunziata sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, essendo la pronuncia ex art. 444 cod. proc. pen. equiparata a una sentenza di condanna. (Dichiara competenza).

Cass. pen. n. 35714/2006

Ai fini della riabilitazione del condannato, non ha efficacia liberatoria in ordine all'adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato la mancata richiesta di risarcimento del danno da parte della persona offesa che non può essere considerata equivalente alla rinuncia. (Nella specie, relativa ad istanza di riabilitazione da condanna per abuso di ufficio, il condannato aveva trasmesso al Comune, persona offesa del delitto, un assegno, non rifiutato, di 5.000 euro, erroneamente ritenuto dal giudice di merito satisfattivo, in assenza di indicazioni in senso contrario, delle pretese risarcitorie della P.O.).

Cass. pen. n. 16026/2006

In tema di riabilitazione, pure in presenza di una sentenza di patteggiamento - equiparata ad una sentenza di condanna e, quindi, dotata di efficacia extra-procedimentale - il tribunale di sorveglianza é tenuto ad accertare, anche in relazione alla tipologia del reato per il quale é intervenuta condanna, se il condannato che chiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare, per quanto possibile, tutte le conseguenze di ordine civile che sono derivate dalla sua condotta criminosa, indipendentemente dalla circostanza che nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile. L'adempimento delle obbligazioni civili ha, infatti, valore dimostrativo dell'emenda del condannato. (Annulla con rinvio, Trib.sorv. Campobasso, 12 ottobre 2005).

Cass. pen. n. 14332/2006

In tema di reati contro l'ordine pubblico, la concessione della riabilitazione successiva ad una sentenza di condanna per associazione per delinquere di tipo mafioso non estingue l'obbligo di comunicazione al nucleo della polizia tributaria delle variazioni patrimoniali, di cui all'art. 30 L. 646 del 1982, che non costituisce effetto penale di tale sentenza, ancorchè essa ne sia presupposto di applicabilità.

Cass. pen. n. 18030/2006

Tra le obbligazioni civili derivanti da reato che il condannato deve soddisfare per ottenere la riabilitazione va compresa anche quella del pagamento delle spese processuali che deve essere soddisfatta nel rispetto della regola della solidarietà. Pertanto tra i condannati per lo stesso reato o per reati connessi l'obbligazione non si estingue con il pagamento pro quota ma con il pagamento per l'intero importo.

Cass. pen. n. 44934/2005

In tema di riabilitazione, in caso di condanna a pena condizionalmente sospesa, per determinare la decorrenza del termine allo spirare del quale, a norma dell'art. 179 c.p., può essere presa in esame la richiesta, occorre fare riferimento al momento in cui risulti passata in giudicato la sentenza di condanna, e non al termine stabilito per l'estinzione del reato.

Cass. pen. n. 43433/2005

In tema di riabilitazione è meramente apparente la motivazione del provvedimento concessivo, consistente nell'impiego in un modulo prestampato, recante la mera pedissequa riproduzione della formulazione della norma di cui all'art. 179 c.p., nella parte in cui essa determina le condizioni per una pronuncia favorevole o contraria, senza alcuna personalizzazione dello stampato da parte del giudice. (Nel caso di specie il modulo faceva generico riferimento alle condizioni di legge per denegare la riabilitazione e conteneva una mera indicazione, inserita a penna, di una nota «in atti»).

Cass. pen. n. 47715/2004

Nell'ipotesi di applicazione di pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, ai fini del calcolo del termine quinquennale previsto per la riabilitazione occorre avere riguardo non solo alla data di espiazione della pena detentiva, ma anche a quella di pagamento della pena pecuniaria, giacché anche quest'ultima contribuisce, allo stesso titolo, a costituire la pena principale del reato.

Cass. pen. n. 47711/2004

In tema di riabilitazione, in presenza di un'istanza avanzata da soggetto residente all'estero, spetta al giudice acquisire, attraverso i canali istituzionali, ogni informazione utile sulla condotta tenuta dal medesimo dopo la condanna, durante il periodo di permanenza in Italia, gravando invece sull'istante, per il periodo di permanenza all'estero, l'onere di fornire, nel termine fissato dal giudice, documentazione idonea a consentire la decisione sul merito. (In motivazione la Corte ha precisato che l'attribuzione di un onere probatorio all'interessato è compatibile con la natura di volontaria giurisdizione della procedura, nella quale non sono previsti strumenti istituzionali per accedere alle relative notizie).

Cass. pen. n. 23941/2004

La competenza a disporre la riabilitazione da misura di prevenzione appartiene alla Corte d'appello ai sensi dell'art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, disposizione tuttora in vigore, atteso che l'art. 683 c.p.p. attribuisce, innovativamente, al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere sulle sole richieste di riabilitazione da condanna penale e fa, comunque, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti.

Cass. pen. n. 786/2003

La competenza a decidere sull'istanza di riabilitazione speciale per i minorenni prevista dall'art. 24 R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404, convertito nella legge 27 maggio 1935 n. 835, appartiene al Tribunale di sorveglianza e non al Tribunale per i minorenni, allorché il richiedente abbia superato, all'atto della domanda, il venticinquesimo anno di età, in quanto l'art. 3 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che prevede la cessazione della competenza del tribunale minorile in materia di sorveglianza al compimento di tale età da parte dell'interessato, è una norma generale di chiusura, non suscettibile di deroghe per il solo fatto che l'istituto in questione presenta alcune peculiarità differenziali rispetto alla riabilitazione ordinaria.

Cass. pen. n. 35633/2002

La riabilitazione da misura di prevenzione, prevista dall'art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, è tuttora di competenza della corte d'appello, secondo quanto espressamente previsto (in conformità a quella che era, all'epoca, l'ordinaria disciplina in materia di riabilitazione) dalla suindicata disposizione normativa, da ritenersi ancor oggi in vigore in tutte le sue parti, atteso che l'art. 683 del nuovo codice di procedura penale attribuisce, innovativamente, al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere sulle sole richieste di riabilitazione da condanna penale e fa comunque esplicitamente salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti.

Cass. pen. n. 833/2000

La competenza ad emettere provvedimento di riabilitazione in relazione alle misure di prevenzione appartiene al Tribunale di sorveglianza avente giurisdizione nel distretto di corte d'appello in cui ha sede l'autorità giudiziaria che ha disposto l'applicazione della misura.

Cass. pen. n. 7178/2000

La competenza ad emettere provvedimento di riabilitazione in relazione alle misure di prevenzione appartiene funzionalmente alla corte d'appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che ha disposto l'applicazione della misura.

Cass. pen. n. 1846/1996

La competenza a decidere in tema di riabilitazione conseguente all'applicazione di una misura di prevenzione spetta al tribunale di sorveglianza. La indicazione quale giudice competente della corte di appello contenuta nel comma 1 dell'art. 15, L. 3 agosto 1988, n. 327 deve essere infatti coordinata con l'ultimo comma della stessa norma, per il quale «si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione». Il rinvio sta a significare la volontà del legislatore di uniformare la disciplina processuale della riabilitazione da misura di prevenzione a quella prevista in materia di riabilitazione in generale dal codice di procedura penale, quello vigente all'epoca di emanazione della norma, e quello vigente oggi, che all'art. 683 c.p.p. indica il tribunale di sorveglianza quale organo competente a decidere in tale materia. L'inciso «in quanto compatibili» non costituisce ostacolo a tale interpretazione, non essendo ravvisabile incompatibilità alcuna tra la disciplina della riabilitazione da misura di prevenzione e quella dettata dal codice di procedura penale del 1988.

Cass. pen. n. 3396/1995

È carente di motivazione il provvedimento del tribunale di sorveglianza che abbia rigettato l'istanza di riabilitazione ritenendo insussistente il ravvedimento dell'istante sulla base della mancata ottemperanza all'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna e del mancato conseguimento della sanatoria dell'opera abusiva, considerati alla luce della pendenza di un procedimento penale, ove il tribunale stesso non abbia valutato in concreto quegli elementi (irrilevanti, di per sé, e anche nella loro combinazione) al fine della qualificazione del comportamento del richiedente e dell'accertamento della prova di buona condotta: il semplice riferimento agli elementi stessi è apodittico e non costituisce validità di motivazione del provvedimento di diniego del beneficio.

Cass. pen. n. 1687/1995

In tema di estinzione della pena, il provvedimento che dispone la riabilitazione è costituito da un'ordinanza e non da una sentenza, come stabilito dall'art. 180 c.p., in sintonia con l'art. 598 c.p.p. 1930. Ciò perché il vigente codice di procedura demanda la relativa decisione (art. 683) al tribunale di sorveglianza, che provvede a norma dell'art. 666, ossia secondo quanto previsto per il procedimento di esecuzione, che si conclude sempre con ordinanza, salvi i casi di inammissibilità pronunciata con decreto.

Cass. pen. n. 2015/1995

L'inapplicabilità dei benefici combattentistici prevista dall'art. 11 D.L.vo 4 marzo 1948 n. 137 non costituisce effetto penale (e quindi effetto penale militare) della condanna per diserzione sia perché la limitazione non deriva necessariamente ed esclusivamente da una condanna (la legge prevede che i benefici non siano applicabili anche quando il reato sia stato dichiarato estinto per amnistia) sia perché, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 211 del 3 maggio 1993, l'attribuzione dei benefici combattentistici ha la funzione di gratificare un merito il cui mancato riconoscimento non può assumere una valenza anche in senso lato sanzionatorio. Una volta ottenuta la riabilitazione penale non sussiste perciò alcun interesse da parte del soggetto ad ottenere la riabilitazione militare e la relativa istanza presentata al tribunale di sorveglianza deve essere dichiarata inammissibile.

Cass. pen. n. 1831/1994

Costituisce motivazione meramente apparente del provvedimento con il quale viene concessa la riabilitazione, l'impiego, in un modulo a stampa, della locuzione «risulta . . . che il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta», senza alcuna esplicitazione in ordine alla natura ed al contenuto di tali asserite condotte e senza alcuna integrazione e personalizzazione, sul punto, dello stampato, recante la predisposizione di espressione riproducente pedissequamente la formulazione della norma (art. 179, primo comma, ult. parte, c.p.), nella parte in cui essa determina le condizioni per una pronuncia favorevole

Cass. pen. n. 4701/1993

Il provvedimento di riabilitazione, in base al chiaro dettato dell'art. 683 c.p.p., può essere adottato solo su espressa richiesta dell'interessato, alla cui esistenza è subordinata anche l'adozione delle iniziative ex officio (acquisizione della documentazione necessaria), previste dal secondo comma del citato art. 683.

Cass. pen. n. 720/1993

La competenza a decidere sulla richiesta di riabilitazione, attribuita dall'art. 683 c.p.p. al tribunale di sorveglianza, pure nel caso di «condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non dispone altrimenti», sussiste anche quando si tratti della riabilitazione da misura di prevenzione prevista dall'art. 15 della L. 3 agosto 1988 n. 327 giacché l'indicazione, contenuta in detta ultima disposizione, della corte d'appello come organo competente a provvedere va intesa come manifestazione della volontà del legislatore non di «disporre altrimenti» ma, al contrario, di conformare la disciplina dell'istituto a quella prevista in materia di riabilitazione in generale dal codice di procedura penale allora vigente (secondo cui la competenza era appunto della corte d'appello), di tal che, mutata la disciplina codicistica, deve ritenersi che quest'ultima debba comunque trovare applicazione anche nel caso della riabilitazione di cui al citato art. 15 della legge n. 327/88, sostituendosi, quindi, la competenza del tribunale di sorveglianza a quella della corte d'appello.

Cass. pen. n. 1967/1993

Competente a decidere sulla richiesta di riabilitazione da misura di prevenzione prevista dall'art. 15, L. 3 agosto 1988, n. 327 è il Tribunale di sorveglianza e non la Corte di appello.

Cass. pen. n. 3540/1992

Competente a concedere la riabilitazione in relazione a misure di prevenzione non è il tribunale di sorveglianza, ma la corte di appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che dispone la misura, in quanto l'art. 683 c.p.p. non ha abrogato l'art. 15 della L. n. 327 del 1988. La procedura da adottare è quella indicata dall'art. 678 comma primo c.p.p. che rinvia al precedente art. 666 il quale prevede, a pena di nullità, l'avviso alle parti della data di udienza e la necessaria partecipazione del difensore e del P.M. oltre l'audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta. Ne consegue che il provvedimento adottato de plano è viziato di nullità assoluta.

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