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Articolo 626 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Effetti della sospensione

Dispositivo dell'art. 626 Codice di procedura civile

Quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto (1), salvo diversa disposizione (2) del giudice dell'esecuzione.

Note

(1) In analogia a quanto previsto dall'art. 298 del c.p.c., che disciplina la sospensione del processo ordinario di cognizione, durante il periodo di sospensione del processo esecutivo non possono essere compiuti atti esecutivi, salvo il caso in cui sia il giudice ad adottarli (si tratta di un divieto relativo). Tale divieto è rivolto in maniera chiara al creditore, al quale è proibito proseguire nell'attività esecutiva, vanificando del tutto la funzione dell'istituto in esame.
Si precisa che la sospensione ha comunque efficacia ex nunc, nel senso che non incide sulla validità e sull'efficacia degli atti esecutivi già compiuti.
(2) Fanno eccezione agli atti urgenti e a quelli che svolgono una funzione conservativa o amministrativa dei beni pignorati come può essere la sostituzione del custode o la vendita di beni deteriorabili, che possono essere disposti dal giudice anche in pendenza della sospensione.

Spiegazione dell'art. 626 Codice di procedura civile

Analogamente a quanto previsto dall’art. 298 del c.p.c. (relativo alla sospensione del processo ordinario di cognizione), durante il periodo di sospensione del processo di esecuzione non può essere compiuto alcun atto esecutivo, salvo quelli eventualmente adottati dal giudice.
Si tratta, ovviamente, di un divieto rivolto al creditore, al quale viene proibito di proseguire nell’azione esecutiva.
Occorre tuttavia precisare che la sospensione ha efficacia ex nunc, e come tale non è in grado di incidere sulla validità ed efficacia degli atti esecutivi già compiuti.

Non rientrano nel divieto previsto dalla norma in esame gli atti urgenti e quelli che svolgono una funzione conservativa o di amministrazione dei beni pignorati (ne sono un esempio la sostituzione del custode, la vendita dei beni deteriorabili o la conversione del pignoramento, i quali possono essere disposti dal giudice secondo quanto previsto dallo stesso art. 626).

La regola qui dettata opera non solo nell'ipotesi in cui la sospensione è disposta dal giudice dell'esecuzione, ma anche nel caso in cui è prevista dalla legge; essa, inoltre, non è incompatibile con una sospensione parziale del processo esecutivo, per altra parte destinato a proseguire (è questo il caso di opposizione all'esecuzione con la quale si fa valere l'impignorabilità di alcuni soltanto dei beni pignorati, o ancora all'opposizione di terzo all'esecuzione con la quale si rivendica il diritto di proprietà di una parte dei beni soggetti a pignoramento).

Per quanto concerne le modalità di reazione del debitore alla pretesa del creditore di dare impulso al processo esecutivo sospeso, parte della dottrina attribuisce allo stesso il potere di proporre opposizione all'esecuzione, mentre altra parte lo onera dell'opposizione agli atti esecutivi.
La conclusione che il debitore possa proporre opposizione all'esecuzione, ove il creditore mostri la sua intenzione di proseguire il processo esecutivo è confermata dall'idoneità del provvedimento di sospensione a determinare l'estinzione del pignoramento e, dunque, la chiusura del processo esecutivo in corso.

Occorre infine evidenziare che la sospensione del processo esecutivo riguarda solo l'iter procedurale in cui essa viene disposta dal giudice dell'esecuzione, con lka conseguenza che non può ritenersi impedito il compimento di ulteriori procedimenti esecutivi promossi sulla base del medesimo titolo.

Massime relative all'art. 626 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 7537/2009

Gli effetti del provvedimento di sospensione dell'esecuzione emesso dal giudice ai sensi dell'art. 624 cod. proc. civ. sono limitati al procedimento esecutivo nel quale esso è pronunciato, senza che possano influire su altri procedimenti esecutivi promossi tra le stesse parti. (Nella specie, rigettando il ricorso proposto, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato ritenuto che la sospensione dell'esecuzione del rilascio di un fondo agrario, iniziata in base alla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, non poteva estendere i suoi effetti alla successiva esecuzione intrapresa sulla scorta della sentenza esecutiva di appello).

Cass. civ. n. 29860/2008

Qualora l'esecutività di un titolo esecutivo giudiziale di primo grado venga parzialmente sospesa dal giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283 cod. proc. civ., quando sia ancora pendente il termine di efficacia del precetto, notificato unitamente al titolo esecutivo, l'esecuzione, relativamente alla parte di pretesa esecutiva per cui la sospensione non è stata disposta, può iniziare entro tale termine, senza che sia necessaria una nuova notifica del titolo e del precetto con l'ordinanza di sospensione parziale, mentre, riguardo alla parte per cui è stata disposta la sospensione, l'esecuzione può iniziare nel residuo termine di efficacia del precetto, rimasto sospeso, una volta che lo stesso riprenda a decorrere per effetto della cessazione dell'efficacia della sospensione, della quale il titolare abbia ricevuto la comunicazione. (Rigetta, Trib. Napoli, 16 lluglio 2004).

Cass. civ. n. 20925/2008

Nel caso di coesistenza del processo esecutivo promosso sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, del giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo e del giudizio d'opposizione all'esecuzione, qualora il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo disponga la sospensione della sua esecutorietà, si realizza l'ipotesi, prevista dall'art. 623, seconda ipotesi, cod. proc. civ., di sospensione dell'esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo, con conseguente impedimento della prosecuzione del processo di esecuzione, il quale non può essere riattivato fino a quando, all'esito del giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell'opposizione la sua efficacia esecutiva a norma dell'art. 653 cod. proc. civ.. (Dichiara inammissibile, Giud. pace Rivarolo Canavese, 24 settembre 2007).

Cass. civ. n. 21860/2007

A differenza del provvedimento di sospensione del processo di cognizione, per il quale l'art. 42 c.p.c. espressamente prevede l'impugnazione col regolamento di competenza, il provvedimento di sospensione del processo esecutivo ha natura cautelare e produce l'effetto indicato dall'art. 626 c.p.c., con la conseguenza che avverso il medesimo sono esperibili - a seconda del regime applicabile ratione temporis - l'opposizione agli atti esecutivi o il reclamo al collegio di cui all'art. 669 terdecies c.p.c., rimanendo invece inammissibile il regolamento di competenza.

Cass. civ. n. 24045/2004

Gli effetti della sospensione dell'esecuzione, sia essa disposta dal legislatore, sia essa conseguenza del provvedimento emesso dal giudice ai sensi dell'art. 624 c.p.c., sono comunque circoscritti entro l'ambito del processo esecutivo in corso (nel quale detto provvedimento è destinato ad incidere), e non influiscono, viceversa, sull'azione esecutiva resa astrattamente possibile dal medesimo titolo, nè sugli altri procedimenti esecutivi eventualmente promossi sulla base di questo, tale essendo il principio di diritto enucleabile dal disposto dell'art. 626 del codice di rito (a mente del quale «quando il processo esecutivo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto»), la cui portata è, appunto, quella di limitare la vicenda sospensiva al solo, concreto esercizio dell'azione così come sviluppatasi in seno ad uno specifico procedimento.

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Consulenze legali
relative all'articolo 626 Codice di procedura civile

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W. F. &. P. chiede
venerdì 18/05/2018 - Lombardia
“O.C.C. TRIBUNALE DI ...... - PIANO DEL CONSUMATORE CON LIQUIDAZIIONE PARZIALE DEL PATRIMONIO:
QUESITI

se è compatibile il piano del consumatore con la liquidazione di una parte del patrimonio immobiliare. Quali sono i PRECISI riferimenti di legge

Il patrimonio deve essere liquidato tutto o solo quel che serve a raggiungere una percentuale conveniente per i creditori. L'intento è quello di salvare l'abitazione e il laboratorio ove si svolge l'attività che procura l'unico sostentamento della famiglia dell'esecutato.
Quali sono legge e articoli precisi. (L'allegato che inviamo a parte non è chiaro)

nel frattempo l'asta è stata celebrata con assegnazione provvisoria. Quale è il momento preciso fino al quale è possibile sospendere la procedura in attesa del responso dell'O.C.C. con eventuale omologa del piano.”
Consulenza legale i 23/05/2018
Ogni riferimento normativo relativo all’argomento che si sottopone all’esame non può che rinvenirsi nella Legge n. 3/2012 sul sovraindebitanento.
La prima domanda che si pone è se il piano del consumatore sia compatibile con la liquidazione di una parte del patrimonio immobiliare.
Ebbene, tale domanda trova la sua risposta nell’art. 14 ter della suddetta Legge, ove è detto che, in alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore ….può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni, sempre che non ricorrano le condizioni di inammissibilità previste dall’art. 7, comma 2 lettere a) e b) di tale legge per portare avanti un accordo di ristrutturazione.
Dispone poi il terzo comma di tale norma che alla domanda vanno allegati:
  1. l’inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili;
  2. una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi, avente il contenuto analiticamente previsto dalla suddetta norma.

Dalla prima parte di questo articolo, dunque, sembrerebbe che tutti i beni del debitore debbano formare oggetto di inventario e, conseguentemente, liquidati nella misura in cui si renda necessario per soddisfare tutti i creditori.
Con ciò vuol dirsi che, se il patrimonio del debitore scaturente dall’inventario viene stimato dal liquidatore come avente un valore pari a 100 ed i debiti ammontano a 50, nulla impedisce che possa chiedersi al giudice di preferire nella liquidazione un bene piuttosto che un altro, purchè si riescano a soddisfare le ragioni creditorie.

Passando alla seconda domanda, va detto che, partendo dal presupposto secondo cui tutti i beni del debitore debbano essere compresi nell’inventario, il medesimo legislatore, tuttavia, al successivo comma 6 lettera d) dello stesso art. 14 ter, dispone che non sono compresi nella liquidazione, tra l’altro, “le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge”, oltre agli altri beni e diritti analiticamente indicati alle lettere a), b) e c) dello stesso comma 6 (alla cui lettura si rimanda per evitarne qui una semplice trascrizione).
In tal senso, un appiglio normativo per escludere dall’inventario dei beni la prima casa, potrebbe rinvenirsi nel D.l. 69/2013 (c.d. decreto del fare) che ha modificato gli artt. 76 e ss del DPR 602/1973, ma per conseguire tale effetto occorre che vengano rispettati i presupposti previsti da tale decreto, ossia che il debitore sia gravato da debiti di natura fiscale e che l’abitazione sia l’unico immobile di cui risulti proprietario; anche nell’ipotesi di immobile ad uso promiscuo, ossia destinato in parte ad abitazione ed in parte a laboratorio o studio del debitore, si presume che possa essere pignorabile la parte di immobile non destinata ad abitazione.
Ciò vale, si sottolinea, solo se trattasi di debiti di natura fiscale, mentre nessuna esclusione può pretendersi per debiti che potremmo definire di natura privata, come a titolo esemplificativo quelli con banche o finanziarie.

E’ questo il concetto espresso nell’allegato inviato a parte e di cui non risultava chiaro il contenuto, almeno per quanto concerne la procedura di liquidazione avviata su domanda del solo debitore, anche se occorre precisare che tale domanda, per espressa disposizione dell’art. 14 ter comma 3, deve essere accompagnata da una relazione particolareggiata dell’O.C.C.
Per trovare un riferimento normativo alla liquidazione d’ufficio, invece, occorre leggere il successivo art. 14 quater, intitolato appunto “Conversione della procedura di composizione in liquidazione”.
La seconda parte di tale norma, infatti dispone che la conversione è disposta, si intende d’ufficio dal Giudice, nei seguenti casi:
  1. se l’accordo di ristrutturazione dei debiti concluso con i creditori e già omologato cessa di produrre effetti perché il debitore non esegue integralmente, entro 90 gg. dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti, secondo il piano, alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie (art. 11 comma 5);
  2. se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 11 comma 5)
  3. se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore (art. 14 bis comma 2 lett. b).
Ex art. 14 quinquies la procedura di liquidazione viene dichiarata aperta con decreto dal Giudice addetto al Tribunale competente ex art. 9 comma 1 (ossia il Tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore); con il medesimo decreto viene anche nominato un liquidatore.

Di particolare interesse, in relazione alla possibilità di consentire al debitore di svolgere l’attività da cui trae sostentamento per sé e la sua famiglia (oltre che per poter pagare i debiti da cui è gravato), è il comma 2 lettera e) dell’art. 14 quinquies, per effetto del quale il debitore può chiedere al Giudice della liquidazione, “in presenza di grave e specifiche ragioni” di continuare ad utilizzare alcuni dei beni facenti parte dell’inventario e della liquidazione.
E’ chiaro che tale autorizzazione potrebbe chiedersi sia per l’abitazione che per il laboratorio, beni per i quali non dovrebbe risultare difficile individuare quelle gravi e specifiche ragioni che il legislatore richiede.

Per quanto concerne infine l’ultima domanda, ossia fin quando è possibile sospendere la procedura esecutiva in attesa che il piano del consumatore venga omologato, il riferimento normativo lo si rinviene nell’art. 12 bis comma 2 della Legge 3/2012.
Prevede tale norma che il giudice, con lo stesso decreto con cui convoca i creditori e nelle more della convocazione dei medesimi, “può” disporre la sospensione delle azioni esecutive pregiudizievoli intraprese dai creditori, e ciò fino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo.
Dalla lettura di tale norma è facile rilevare una differenza con la procedura di accordo con i creditori, derivante dal fatto che nel piano del consumatore la sospensione non opera in modo automatico, ma è soggetta al potere discrezionale del giudice, il quale a tal fine dovrà effettuare una valutazione nell’interesse sia del debitore che dei creditori (per la sospensione nella procedura di accordo con i creditori, invece, il riferimento va fatto all’art. 10 comma 2 lett. c).

Nessun preciso momento temporale viene individuato per sospendere le procedure esecutive in corso, il che comporta che, nel silenzio della legge, anche se vi è stata l’assegnazione provvisoria, fin quando il procedimento esecutivo non venga definitivamente concluso, si potrà chiedere ed ottenere la sospensione dello stesso, sospensione che ovviamente potrà diventare definitiva solo con l’omologa del piano.

Particolarmente interessante si ritiene che possa essere quanto disposto dall’art. 14 novies, nella parte in cui è detto che, se alla data di apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure esecutive, il liquidatore può subentrarvi; si tratta di una opportunità per bloccare temporaneamente quella procedura esecutiva e consentire al liquidatore di portare avanti il suo programma di liquidazione, il quale potrebbe anche prevedere l’opportunità di dare priorità alla liquidazione di beni diversi da quello per il quale vi è già stata l’assegnazione provvisoria.
E’ inutile dire che trattasi di scelte discrezionali del liquidatore e dello stesso giudice, per le quali non sussiste alcun preciso parametro di riferimento, se non quello dettato dal buon senso.