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Articolo 431 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Esecutorietà della sentenza

Dispositivo dell'art. 431 Codice di procedura civile

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'articolo 409 sono provvisoriamente esecutive (1).

All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza (2) (3).

Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte gravissimo danno (4).

La sospensione disposta a norma del comma precedente può essere anche parziale e, in ogni caso, l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di duecentocinquantotto euro e ventitré centesimi.

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli articoli 282 e 283.

Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa in tutto o in parte quando ricorrono gravi motivi.

Se l’istanza per la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio (5).

Note

(1) L'opinione prevalente in dottrina ritiene che possano essere provvisoriamente esecutive le sole sentenze di condanna in favore del lavoratore. Tuttavia, non mancano altre opinioni che, basandosi sul nuovo testo dell'art. 282 del c.p.c., attribuiscono la provvisoria esecutività a tutte le sentenze, siano esse di condanna, di accertamento o costitutive.
(2) La norma dispone che il lavoratore possa procedere ad esecuzione forzata solamente con il dispositivo in attesa del deposito della sentenza. Pertanto, viene riconosciuta al dispositivo stesso efficacia di titolo esecutivo realizzando così i principi di celerità ed immediatezza del rito del lavoro.
(3) Si precisa che la sentenza di accertamento del diritto del lavoratore alla qualifica superiore e relativa condanna del datore di lavoro all'attribuzione di detta qualifica non è suscettibile di esecuzione forzata, dato che l'attribuzione della qualifica non può avvenire senza la necessaria cooperazione del debitore. Pertanto, nel caso di condanna del datore di lavoro ad un fare infungibile, è il lavoratore a dovere offrire la propria prestazione lavorativa esclusivamente con le modalità che la controparte è condannata ad accettare, compresa anche la conservazione del diritto alla retribuzione corrispondente alla qualifica superiore nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alla condanna stessa.
(4) La sospensione dell'esecuzione può essere disposta dal giudice se da essa possa derivare un gravissimo danno, indipendentemente dalla fondatezza del gravame. Tuttavia, si esclude che possano integrare gli estremi del gravissimo danno il fatto che il pagamento della somma esecutata pregiudichi la capacità produttiva e la capacità dell'azienda di far fronte alle proprie obbligazioni con i mezzi ordinari, oppure il pericolo di irreperibilità delle somme, visto che la provvisoria esecuzione è stata prevista dal legislatore in favore del soggetto più debole. Pertanto, è necessario sostenere la richiesta di sospensiva con validi elementi oggettivi.
(5) Quest'ultimo comma è stato aggiunto dalla recente L. 12 novembre 2011, n. 183.

Spiegazione dell'art. 431 Codice di procedura civile

La norma in esame si apre prevedendo la provvisoria esecutività di tutte le sentenze in forza delle quali viene disposta una condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all’art. 409 del c.p.c..
Prima della riforma dell’art. 282 del c.p.c. ad opera della novella del 1990, questa disposizione costituiva una eccezione alla regola vigente nel rito ordinario, secondo cui la sentenza poteva essere dichiarata provvisoriamente esecutiva solo in presenza di determinate condizioni.

Secondo la tesi prevalente, la provvisoria esecutività può riguardare solo le sentenze di condanna emesse in favore del lavoratore, anche se non manca chi, argomentando dal nuovo testo dell’art. 282 del c.p.c., ritiene che la provvisoria esecutività debba riguardare tutte le sentenze, siano esse di condanna, di accertamento o costitutive, riguardando tutte le situazioni di vantaggio, che abbiano come punto di riferimento passivo un obbligo di compimento di una prestazione.

Per procedere all’esecuzione è sufficiente la sola copia del dispositivo, il che comporta che l’azione esecutiva possa essere intrapresa ancor prima del deposito della sentenza (facoltà questa concessa solo al lavoratore).
Da ciò se ne fa conseguire che al dispositivo stesso debba essere riconosciuta efficacia di titolo esecutivo, rendendo ciò il rito del lavoro ancora più celere ed immediato (chiaramente, il dispositivo deve contenere il riconoscimento di un credito certo, liquido ed esigibile, o comunque determinabile alla stregua di elementi contenuti nello stesso titolo).

Si ritiene che l'esecuzione in base al solo dispositivo possa essere iniziata e proseguita anche oltre il decorso del termine previsto per il deposito della sentenza ed indipendentemente dall'avvenuto deposito della stessa.
E’ stato anche affermato che l’inizio dell’esecuzione sulla sola base del dispositivo, nonostante la sentenza sia già stata depositata, determinerebbe una nullità formale che potrebbe dar luogo ad una opposizione agli atti esecutivi, qualora venga dimostrato un concreto interesse.


In tema di esecuzione forzata, occorre precisare che la sentenza in forza della quale viene accertato il diritto del lavoratore alla qualifica superiore con corrispondente condanna del datore di lavoro all’attribuzione di detta qualifica, non può essere eseguita coattivamente, in quanto l’attribuzione di tale qualifica non può realizzarsi senza la necessaria cooperazione del datore di lavoro debitore.
Pertanto, in caso di condanna del datore di lavoro ad un facere infungibile, il lavoratore dovrà offrire la propria prestazione lavorativa secondo le precise modalità che la controparte è condannata ad accettare, compresa la conservazione del diritto alla retribuzione corrispondente alla qualifica superiore per il caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alla condanna.

In caso di condanna in favore del lavoratore, il giudice d’appello può disporre la sospensione dell’esecuzione se da essa ne possa derivare un gravissimo danno, indipendentemente dalla fondatezza dei motivi di impugnazione.
Si esclude, in linea generale, che possano integrare gli estremi del gravissimo danno il fatto che il pagamento della somma arrechi pregiudizio alla capacità produttiva dell’azienda di far fronte alle proprie obbligazioni con i mezzi ordinari o anche il pericolo che le somme corrisposte non possano essere successivamente restituite dal lavoratore.

Il quarto comma precisa che la sospensione può anche essere parziale e che in ogni caso l’esecuzione resta autorizzata fino alla somma di euro 258,23.

Il comma successivo sancisce la provvisoria esecutività anche delle sentenze di condanna disposte in favore del datore di lavoro, per le quali si applica la disciplina di cui agli artt. 282 e 283 c.p.c.
Risulta comunque confermata la concessione al solo lavoratore della facoltà di intraprendere l’esecuzione forzata sulla sola base del dispositivo, così come anche la disciplina dell’inibitoria della sentenza differisce a seconda che l’istante sia il lavoratore o il datore di lavoro.
Infatti, se nel primo caso, in applicazione del terzo comma della norma, è prevista la necessaria ricorrenza di un gravissimo danno, nel secondo caso il comma 6 si limita a prevedere che la sospensione possa essere concessa in presenza del più tenue requisito dei gravi motivi.

La sospensione dell’esecuzione presuppone un’apposita istanza di parte che dovrà essere proposta con l’atto di impugnazione principale o con l’impugnazione incidentale.

L’ultimo comma si riferisce all’istanza di sospensione proposta sia per condanne in favore del lavoratore che del datore di lavoro, disponendo che se detta istanza viene considerata manifestamente infondata o inammissibile, lo stesso giudice d’appello può, con ordinanza non impugnabile, condannare la parte che l’ha proposta al pagamento di una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250,00 e non superiore ad euro 10.000,00.
Tale disposizione si inserisce in un contesto normativo caratterizzato dall’introduzione di veri e propri ostacoli alle fasi dell’impugnazione, con evidente finalità deflattiva.
Sebbene tale ordinanza venga qualificata come non impugnabile, la stessa può essere revocata con la sentenza che definisce il giudizio.

Massime relative all'art. 431 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 7576/2018

Le sentenze che accertano il diritto del lavoratore a una qualifica superiore e condannano il datore di lavoro all'attribuzione di detta qualifica non sono suscettibili di esecuzione forzata, non potendo l'attribuzione della qualifica e il conferimento delle relative mansioni avvenire senza la cooperazione del debitore; ne consegue che, pur essendo ammissibile un'azione di condanna del datore di lavoro alla prestazione di un "facere" infungibile, attesa l'idoneità della relativa decisione a produrre i suoi normali effetti mediante l'eventuale esecuzione volontaria dell'obbligato e a costituire inoltre il presupposto per ulteriori conseguenze giuridiche derivanti dall'inosservanza dell'ordine in essa contenuto, resta esclusa in capo al lavoratore la titolarità dell'azione esecutiva. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 12/01/2012).

Cass. civ. n. 10164/2010

La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 431 c.p.c. nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, la quale riconosce al lavoratore la facoltà di procedere ad esecuzione "con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza", conferisce al dispositivo piena efficacia di titolo esecutivo destinata a permanere, in relazione allo specifico fine perseguito dal legislatore di consentire al lavoratore una pronta e celere realizzazione dei suoi diritti, anche dopo il deposito della sentenza. Ove, peraltro, l'azione esecutiva non venga avviata, è legittimo il rilascio di copia esecutiva della sentenza di primo grado, su autorizzazione del capo dell'ufficio, con relativa attestazione nella copia del dispositivo già rilasciato in precedenza in forma esecutiva, dovendosi ritenere il titolo provvisorio annullato in forza del rilascio del titolo definitivo.

Cass. civ. n. 9693/2009

La sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione costituisce valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l'omessa indicazione del preciso ammontare complessivo della somma oggetto dell'obbligazione, la somma stessa sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico, sempreché, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all'esigenza di certezza e liquidità del diritto di credito che ne costituisce l'oggetto, i dati per acquisire tale necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni, non desumibili da esso, ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna, in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo. (Nella specie, relativa all'esecuzione di una sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento al lavoratore delle retribuzioni dovute dall'agosto 2001 all'aprile 2002 in esito alla declaratoria di illegittimità del licenziamento, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che l'interpretazione del titolo giudiziale potesse estendersi all'esame delle buste paga esibite in giudizio, neppure menzionate dalla sentenza).

Cass. civ. n. 17134/2005

Il credito azionato «in executivis» dal difensore del lavoratore munito di procura nella sua veste di distrattario delle spese di lite, ancorché consacrato in un provvedimento del giudice del lavoro, non condivide la natura dell'eventuale credito fatto valere in giudizio, cui semplicemente accede, ma ha natura ordinaria, corrispondendo ad un diritto autonomo del difensore, che sorge direttamente in suo favore e nei confronti della parte dichiarata soccombente. Conseguentemente, tale diritto non può essere azionato sulla base del solo dispositivo della sentenza emessa dal giudice del lavoro e, se esercitato sulla scorta di questo solo provvedimento, si fonda, in effetti, su un titolo esecutivo inesistente, con la conseguente rilevabilità d'ufficio di tale circostanza, senza che si configuri violazione del principio stabilito dall'art. 112 c.p.c.

Cass. civ. n. 15021/2000

Il terzo e il quarto comma dell'art. 431 c.p.c. contemplano un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione provvisoria del dispositivo della sentenza favorevole al lavoratore, cosicché l'ordinanza di sospensione adottata sulla base delle richiamate disposizioni condiziona l'efficacia del titolo fatto valere al successo dell'impugnazione proposta contro la sentenza di primo grado e non pone nel nulla il pignoramento. Pertanto, l'esecuzione, una volta iniziata, non può essere dichiarata estinta per la contingente ragione che è stata sospesa una parte dell'esecutività del titolo, conseguendo tale evento solo a fatti inerenti il processo esecutivo e non già a vicende proprie del titolo fatto valere per l'esecuzione.

Cass. civ. n. 11517/1995

La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 431 c.p.c. nel testo modificato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, la quale riconosce al lavoratore la facoltà di procedere ad esecuzione «con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza» conferisce al dispositivo piena efficacia di titolo esecutivo destinata a permanere, in relazione allo specifico fine perseguito dal legislatore di consentire al lavoratore una pronta e celere realizzazione dei suoi diritti, anche dopo il decorso del termine di quindici giorni fissato dall'art. 430 c.p.c. e nonostante il già avvenuto deposito della sentenza. Pertanto la circostanza che la sentenza, nella sua sintesi di dispositivo e motivazione sia stata depositata, non essendo idonea a privare il dispositivo del suo valore di titolo esecutivo, non impedisce di iniziare l'esecuzione sulla sola base di esso, attesa anche per un verso l'irrilevanza della motivazione nella procedura esecutiva, dove non è consentito un controllo intrinseco del titolo esecutivo, e per altro verso la contraddittorietà tra il permettere l'esecuzione in presenza del solo dispositivo, e quindi di un atto incompleto, e l'impedirle quando, con il deposito della sentenza e la sua immediata comunicazione ex art. 430 c.p.c., l'atto è ormai integro in ogni suo elemento, e dovendo inoltre escludersi, in difetto di espressa previsione in tal senso, la nullità della notificazione del dispositivo dopo il deposito della sentenza, nullità che, ove ipotizzabile, sarebbe comunque esclusa dal raggiungimento dello scopo in virtù dell'avvenuta comunicazione della sentenza stessa.

Cass. civ. n. 541/1989

La possibilità del lavoratore di procedere all'esecuzione sulla base della sola copia del dispositivo, ai sensi dell'art. 431, secondo comma, c.p.c., in pendenza del termine per il deposito della sentenza presuppone il riconoscimento, ad opera del dispositivo predetto, di un credito che, oltre ad essere certo ed esigibile, sia anche liquido, cioè di ammontare determinato, o determinabile mediante un mero calcolo matematico alla stregua di elementi contenuti nello stesso titolo, e, pertanto, va esclusa nel caso di dispositivo di condanna al pagamento di differenze retributive correlate al riconoscimento di una qualifica superiore, la determinazione delle quali esige l'acquisizione aliunde dei necessari elementi di calcolo e l'esperimento di una consulenza tecnica ai fini della determinazione del quantum.

Cass. civ. n. 3738/1985

La provvisoria esecutività riconosciuta dal primo comma dell'art. 431 c.p.c. riguarda solo le sentenze contenenti una condanna al pagamento (in favore del lavoratore e per crediti derivanti dal rapporto di lavoro) di somme di denaro, come indirettamente chiarito dalla disposizione del quarto comma dello stesso articolo (che fa in ogni caso salva l'esecuzione provvisoria delle sentenze fino alla somma di lire 500.000), e non anche le sentenze che accertano il diritto del lavoratore ad una qualifica superiore e condannano il datore di lavoro all'attribuzione di detta qualifica, che ancorché in parte di accertamento e in parte di condanna, non sono comunque suscettibili di esecuzione forzata, non potendo l'attribuzione della qualifica ed il conferimento delle relative mansioni avvenire senza la necessaria cooperazione del debitore. Pertanto, l'ottemperanza da parte del datore di lavoro ad una di tali decisioni costituisce una sua libera determinazione, suscettibile di essere limitata negli effetti e subordinata risolutivamente al verificarsi di certi eventi (come la riforma in appello della decisione stessa), con l'ulteriore conseguenza dell'inapplicabilità, in una simile ipotesi, del secondo comma dell'art. 336 c.p.c., che conserva fino al passaggio in giudicato della sentenza di riforma gli effetti degli atti di esecuzione spontanea di una sentenza esecutiva.

Cass. civ. n. 5603/1984

Avverso l'ordinanza, con la quale il giudice d'appello, nel rito del lavoro, sospende in tutto od in parte la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado (art. 431, terzo e quarto comma c.p.c.), non è esperibile il ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento cautelare, destinato ad operare per la durata del giudizio di secondo grado ed a restare assorbito dalla sentenza che lo conclude, come tale privo di contenuto decisorio.

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Enrico F. chiede
giovedì 07/01/2016 - Sicilia
“Buonasera, la mia azienda è stata condannata a pagare le somme dovute a titolo TFR ad un ex dipendente (€ 7000,00).
Nel mese di Dicembre abbiamo provveduto a versare un primo acconto alla controparte (€ 1000,00).
In data 07/01/16 c'è stato notificato il relativo atto di precetto.
Abbiamo prospettato, tramite il nostro legale, un piano di rientro rateale mensile che non è stato accolto dalla controparte la quale vuole la transazione delle somme in unica soluzione.
Abbiamo già pagato, in rate mensili, TFR molto più elevati ad altri ex dipendenti
Ora, vi chiediamo, è lecito obbligare il debitore al pagamento in unica soluzione delle somme dovute?
Quali consigli potete darci?
Abbiamo prospettato alla controparte le non ottimali soluzioni del pignoramento presso terzi del c/c data la persistente crisi di liquidità oppure del pignoramento di materiale che rimane sempre invenduto.
E' una buona soluzione opporsi al precetto con motivazione il mancato accordo della controparte alla soluzione rateale?
In attesa porgiamo
Distinti Saluti
E. F.”
Consulenza legale i 14/01/2016
Il lavoratore può chiedere che il pagamento del trattamento di fine rapporto (TFR) avvenga in un'unica soluzione proprio perché l'art. [431 c.p.c.] stabilisce che le sentenze che hanno ad oggetto il pagamento di crediti di lavoro in favore dei lavoratori, per rapporti di cui all'art. [409 c.p.c.], sono immediatamente esecutive.
Addirittura, nell'ottica di garantire un celere recupero della somma dovuta dal datore al lavoratore, il legislatore stabilisce al comma 2 dell'art. 431 già richiamato, che il titolo valido al recupero delle somme sia già il solo dispositivo, in attesa del deposito della sentenza con tutte le motivazioni.
Con riferimento all'opportunità della proposizione di un'eventuale opposizione all'esecuzione forzata (nel caso di specie, opposizione al precetto), che si fondi sul mancato accordo del lavoratore circa il pagamento rateale del TFR, si ritiene che quest'ultimo non sia idoneo a contestare il diritto del lavoratore a procedere ad esecuzione forzata, proprio perché tale motivazione non sarebbe idonea a superare l'esistenza del titolo esecutivo, quindi la sua idoneità soggettiva ed oggettiva a fondare l'esecuzione.
In sintesi, nel caso di specie, a fronte di una sentenza di condanna per crediti a titolo di TFR in favore del lavoratore, purtroppo non sembrano esservi soluzioni processuali alternative al fine di impedire un esecuzione fruttuosa.
Si potrebbe solo ipotizzare che, a fronte del versamento tempestivo di una seconda tranche dell'importo dovuto in favore del lavoratore, quest'ultimo potrebbe desistere spontaneamente dall'intraprendere il pignoramento (per il quale dovrebbe sostenere delle spese legali).