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Articolo 384 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito

Dispositivo dell'art. 384 Codice di procedura civile

La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto anorma dell'articolo 360, primo comma, n. 3), e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza.

La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.(1) (2)

Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione.

Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione.(3)

Note

(1) Rubrica e comma così sostituiti dall'art. 66, l. 26-11-1990, n. 353, in vigore dall'1-1-1993. Ai sensi dell'art. 90 l. cit. tale norma si applica anche ai giudizi pendenti alla data dell'1-1-1993. Si riporta di seguito il testo della rubrica e del 1° comma anteriormente vigenti: «384. Enunciazione del principio di diritto e sua efficacia. -- La Corte, quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, enuncia il principio al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi».
(2) La legge 26-11-1990, n. 353 ha introdotto una particolare ipotesi di cassazione c.d. sostitutiva caratterizzata dal fatto che la Corte è giudice anche del rescissorio nel senso che, una volta annullata la sentenza è chiamata a decidere la causa anche nel merito. Si tratta, perciò, di una deroga alla regola generale secondo cui la Cassazione è giudice di sola legittimità. La nuova disposizione potrebbe generare problemi di legittimità costituzionale in quanto non prevede alcun meccanismo volto a consentire alle parti di formulare difese nel merito della causa. Per tale motivo è stato suggerito di introdurre, a livello di prassi applicativa, un avvertimento preventivo circa la possibilità da parte della Cassazione di decidere la causa nel merito, sì da mettere i contendenti in condizioni di difendersi anche nel merito.
(3) La correzione della motivazione da parte della Corte risponde ad esigenze di economia processuale: sembra, infatti, inutile cassare la sentenza e rimettere la causa al giudice di merito quando l'errore non ha inciso sul dispositivo, che è perciò conforme al diritto.

Brocardi

Auctoritas rerum similiter iudicatarum

Spiegazione dell'art. 384 Codice di procedura civile

In caso di sentenze viziate da errores in judicando, in sede di cassazione la Corte è chiamata ad enunciare il principio di diritto.
E’ questa una conseguenza del ruolo unificatore e della funzione nomofilattica del Supremo Collegio, al quale spetta il compito di assicurare, in conformità al disposto di cui all'art. 65, 1° co., R.D. 30.1.1941, n. 12, l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale ed il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni.
Il dictum dettato in tale sede svolge un'efficacia vincolante immediata ed inoppugnabile per:
  1. le parti,
  2. il giudice di rinvio, senza che in ciò possa ravvisarsi alcuna violazione delle garanzie di indipendenza del potere giudiziario,
  3. qualsiasi altro organo giudicante, eventualmente investito della cognizione della causa dopo l'estinzione del giudizio di rinvio.

Occorre evidenziare che l'enunciazione del principio di diritto non vincola soltanto il giudice di rinvio, ma anche la stessa Corte, nel momento in cui viene successivamente adita con un nuovo ricorso avverso la sentenza emessa dal giudice ad quem, fatto salvo il caso in cui sia sottoposto alla Corte un thema decidendum non esaminato nel primo giudizio rescindente, ovvero nell’ipotesi di sopravvenienza di un fatto estintivo o modificativo del diritto azionato e relativo ad un profilo non affrontato nelle pregresse fasi di merito.

L'efficacia vincolante della regula juris si proietta, dunque, oltre il procedimento nel cui ambito sia stata formulata, ma si esplica solo con riguardo alla domanda relativamente alla quale la stessa sia stata pronunciata.

Pe effetto del D.Lgs. 2.2.2006, n. 40 è stato anche previsto che il principio di diritto debba essere enunciato in ogni altro caso in cui, chiamata a decidere su motivi di ricorso diversi da quelli di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360 del c.p.c., la Corte risolva una questione di diritto di particolare importanza.

Nessuna modifica, invece, è stata apportata all’art. 143 delle disp. att. c.p.c., secondo cui il dictum cassatorio deve essere specificamente enunciato nella sentenza di accoglimento, pronunciata a norma dell'art. 384, mentre nella prassi esso viene più frequentemente ricavato dal contesto del dispositivo e della motivazione della sentenza rescindente.
Deve a questo proposito porsi in evidenza che, prima della riforma, il principio di diritto consisteva nella regola di giudizio che la Corte di Cassazione doveva enunciare al fine di determinare la decisione del giudice di rinvio o di qualunque altro giudice chiamato ad occuparsi della stessa causa in seguito all'estinzione del giudizio di rinvio.
Per effetto della riforma, invece, la funzione del principio di diritto non è più soltanto quella di indirizzare la decisione del giudice di rinvio (eliminando la decisione errata del giudice di merito), ma diventa anche quella di rendere manifesta l'opinione della Corte sulla questione decisa, anche quando tale opinione rimanga priva di effetti sul caso concreto.

Al fine di individuare il principio di diritto, in particolare nel caso in cui lo stesso non sia stato espressamente enunciato ma si debba ricavare dall'intero corpo della decisione, non vanno applicati i criteri ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, ma quelli interpretativi previsti agli artt. 1362 ss. c.c.

Anche l'estensione del sindacato diretto della Corte all'interpretazione e all'applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune costituisce un effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2.2.2006, n. 40.
Il ricorso per cassazione è ammesso solo relativamente ai contratti e agli accordi collettivi aventi efficacia erga omnes (inclusi i contratti e gli accordi collettivi nazionali riguardanti i rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, ex art. 29, 5° co., D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, nonché, ai sensi dell'art. 63, 5° co., D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, i contratti e gli accordi collettivi nazionali concernenti i rapporti di pubblico impiego privatizzato).

Nell’ipotesi in cui la Corte accolga il ricorso fondato sui motivi di cui all'art. 360, 1° co., n. 3 e non ritenga di definire il giudizio nel merito, emana la sentenza rescindente, cassa con rinvio (c.d. rinvio "proprio" o prosecutorio) e rimette la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
A questo punto il processo prosegue, nella sua fase rescissoria, dinanzi il giudice ad quem, che sarà vincolato al principio di diritto espressamente o implicitamente enunciato dalla Corte, per concludersi con una nuova pronuncia di merito.

Il mancato rispetto del decisum cassatorio costituisce error in procedendo, per la cui verifica la Suprema Corte, in sede di ricorso avverso la sentenza del giudice di rinvio, ha tutti i poteri di giudice del fatto in rapporto alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente.
Il principio di diritto può essere disatteso quando la norma da applicare in relazione ad esso sia stata in seguito abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens.

Il secondo comma ultima parte della norma in esame dispone che, nel caso in cui la Corte accoglie il ricorso, e sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, decide nel merito con una pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda, la quale sostituisce quella cassata ed è fondata sui medesimi elementi fattuali dedotti ed accertati nella sentenza impugnata.
Deve precisarsi che, sebbene nulla disponga al riguardo il secondo comma ultima parte dell’art. 384, contrariamente a quanto previsto dal 3° co., anche nell'ipotesi di cassazione sostitutiva per motivi di merito va tutelato il diritto di difesa e garantita l'effettività del contraddittorio.
La decisione nel merito, tuttavia, non si ritiene ammissibile nell’ipotesi in cui implichi la soluzione di questioni sulle quali non si sia pronunciato, né espressamente né implicitamente, il giudice di secondo grado, avendole ritenute assorbite.

La previsione contenuta al terzo comma della norma in esame, introdotta dall'art. 12, D.Lgs. 2.2.2006, n. 40, risulta finalizzata a garantire l'effettività del contraddittorio tra le parti anche in sede di giudizio di cassazione, nonchè ad evitare decisioni c.d. “a sorpresa”.
La riserva di decisione qui prevista dovrebbe essere deliberata nella camera di consiglio successiva all'udienza e tener luogo della decisione di cui all'380cpc; va escluso che debba fissarsi una successiva udienza sulla questione, la quale verrà decisa sulla base delle osservazioni scritte delle parti e del procuratore generale.

Il rilievo officioso di una questione si traduce nella sua puntuale rimessione e prospettazione alle parti, ancora in fase di trattazione, al fine di provocarne il preventivo vaglio dialettico.
Questa parte della norma va letta in parallelo con quella contenuta al quarto comma ultima parte dell’art. 183 del c.p.c., ove si prevede che il giudice deve indicare alle parti le questioni rilevabili ex officio delle quali ritenga opportuna la trattazione, consentendo ai soggetti in lite di modificare domande ed eccezioni, allegare nuovi elementi fattuali e formulare richieste istruttorie.
Proprio con riferimento alla previsione dell'art. 183, è stato fato rilevare che, qualora il giudice si astenga dal segnalare alle parti una questione rilevata d'ufficio e che comporti nuovi sviluppi della lite non considerati dalle stesse (impedendo, così, ai contendenti, in relazione al mutato quadro della res judicanda, l'espletamento delle rispettive attività difensive, e dunque l'esercizio del contraddittorio), la sentenza sarà affetta da nullità per violazione del diritto di difesa sancito dal secondo comma dell’art. 24 Cost..

In caso di rigetto del ricorso, la Corte può rilevare, nella motivazione della sentenza impugnata, errori di diritto, tali da non inficiare la correttezza delle statuizioni contenute nel dispositivo e da non produrre quindi l'annullamento della sentenza.
Per tale ipotesi, il quarto comma della norma in esame prevede la correzione della motivazione ad opera della Corte stessa, alla quale restano peraltro preclusi accertamenti o valutazioni di fatto.

Pertanto, il vizio di motivazione comporta la cassazione della sentenza soltanto quando il dispositivo sia contrario a diritto, mentre, in caso contrario, può solo consentire l'esercizio dei poteri di correzione a cui si è fatto adesso riferimento.
Per l'esercizio dello jus corrigendi, riservato esclusivamente al giudice di legittimità, non occorre la formulazione di un ricorso incidentale, in quanto la Corte può provvedervi autonomamente.
E’ stato rilevato che il potere di correzione della motivazione può esercitarsi anche con riferimento ad errores in procedendo, i quali a loro volta si risolvano in violazione o falsa applicazione di norme processuali.

Massime relative all'art. 384 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 41008/2021

Nel giudizio di legittimità, la richiesta di cassazione della sentenza impugnata - che costituisce, ai sensi dell'art. 366, n. 4, c.p.c., requisito di ammissibilità del ricorso incidentale contenuto nel controricorso - può essere formulata anche in forma implicita ed è, pertanto, ravvisabile nella richiesta di confermare la sentenza impugnata sia pure con motivazione modificata; la correzione della motivazione, che si differenzia dal rigetto dell'impugnazione per l'assoluta coincidenza delle statuizioni pratiche che ne derivano, si concreta, infatti, in un accoglimento del ricorso, con contemporanea decisione della causa di merito, e dà luogo a una "cassazione sostitutiva" del tutto analoga a quella disciplinata dall'art. 384, comma 2, c.p.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 23/01/2014).

Cass. civ. n. 14199/2021

Qualora sia impugnata per cassazione la compensazione delle spese compiuta dal giudice di merito, e non siano necessari accertamenti di fatto, alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost., che impone di non trasferire una causa dall'uno all'altro giudice quando il giudice rinviante potrebbe da sé svolgere le attività richieste al giudice cui la causa è rinviata, è consentito alla Corte decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito, in quanto sarebbe del tutto illogico imporre il giudizio di rinvio, al solo fine di provvedere ad una liquidazione che, in quanto ancorata a parametri di legge, ben può essere direttamente compiuta dal giudice di legittimità. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO SALERNO).

Cass. civ. n. 29880/2019

Nel giudizio di legittimità, per palesi ragioni di economia e ragionevole durata del processo, la fondatezza di motivi preliminari (di rito o di merito) da cui deriverebbe la necessità di una pronuncia, precedentemente mancata, su profili consequenziali (sempre di merito), non può portare all'accoglimento del ricorso ogni qual volta il diritto ultimo rivendicato sia comunque giuridicamente insussistente; in tali evenienze il giudizio di legittimità va comunque definito, previa correzione ex art. 384 c.p.c. della motivazione assunta nella sentenza impugnata, con la reiezione del ricorso interessato da tale dinamica processuale. (Nella specie, a fronte di un ricorso proposto da un'Università avverso la pronuncia di condanna a corrispondere determinati emolumenti ai medici "specializzandi", i quali, a loro volta, avevano proposto ricorso incidentale per chiedere, in caso di accoglimento del ricorso principale, l'accertamento della legittimazione passiva, rispetto alla pronuncia di condanna alle differenze rivendicate, della Presidenza del Consiglio o dei Ministeri evocati in giudizio, la S.C., riconosciuto il difetto di legittimazione passiva dell'Università, ha rigettato comunque il ricorso incidentale per infondatezza nel merito delle pretese dei medici).

Cass. civ. n. 27343/2018

I limiti e l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità.

Cass. civ. n. 20719/2018

Nel caso in cui si discuta della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato soltanto alla plausibilità della giustificazione, sicché, come desumibile dall'art. 384, comma 4, c.p.c., il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto.

Cass. civ. n. 24866/2017

La Corte di cassazione può decidere la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali ma anche di norme processuali (nella specie, quella di cui all'art. 91 c.p.c.), purché non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto.

Cass. civ. n. 16171/2017

Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l'inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto.

Cass. civ. n. 13522/2017

La pronuncia delle Sezioni Unite che, componendo il contrasto sull'interpretazione di una norma processuale, opti per la conferma dell’orientamento prevalente, in applicazione del quale derivi, in danno di una parte, una decadenza o una preclusione che sarebbe invece esclusa alla stregua dell’orientamento minoritario, non configura un'ipotesi di “overruling” avente il carattere di imprevedibilità e, di conseguenza, non costituisce presupposto per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella preclusione o nella decadenza (Fattispecie relativa all'individuazione della decorrenza del termine per la riassunzione del processo a seguito di evento interruttivo che abbia colpito la parte costituita a mezzo di procuratore).

Cass. civ. n. 26193/2016

L'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla "regula iuris" enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c. viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "ius superveniens", ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio. Pertanto, ove l'espropriato contesti la quantificazione dell’indennità di espropriazione operata dalla corte di appello con il criterio del valore agricolo medio (VAM), previsto dagli artt. 16 della l. n. 865 del 1971 e 5 bis, comma 4, della l. n. 359 del 1992 e dichiarato incostituzionale da Corte cost. n. 181 del 2011, la stima dell'indennità deve essere effettuata utilizzandosi il criterio generale del valore venale pieno, tratto dall'art. 39 della l. n. 2359 del 1865, applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità ai rapporti non ancora definitivamente esauriti.

Cass. civ. n. 13458/2016

La sopravvenuta decisione della Commissione Europea è immediatamente applicabile trattandosi, ai sensi dell'art. 288 del T.F.U.E, di atto normativo vincolante e, dunque, di "ius superveniens", sicché il giudice di legittimità è tenuto a dare immediata attuazione, anche d'ufficio, alla nuova regolamentazione della materia oggetto della decisione comunitaria, decidendo nel merito ovvero, se sia necessario un accertamento dei presupposti di fatto, cassando la sentenza impugnata e rimettendo al giudice di rinvio il relativo compito. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata attesa la sopravvenuta decisione della Commissione Europea del 14 agosto 2015, che aveva qualificato come aiuti di Stato, incompatibili con il mercato interno, le agevolazioni riconosciute ai sensi della l. n. 350 del 2003 attesa l'assenza di una definizione di danno e la mancata identificazione del nesso tra l'aiuto e il danno effettivamente subito a seguito delle calamità naturali).

Cass. civ. n. 21968/2015

Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto.

Cass. civ. n. 21272/2015

La carenza degli elementi costitutivi del diritto azionato è deducibile o rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, fatta salva la preclusione eventualmente derivante dal giudicato, sicché la Suprema Corte, nel cassare la sentenza impugnata avente contenuto solo processuale, può, nell'esercizio del potere attribuitole dall'art. 384, comma 2, c.p.c., negare l'astratta configurabilità del diritto soggettivo affermato dall'attore con l'atto introduttivo del giudizio, e così rigettare la domanda, purché sulla corrispondente questione di diritto si sia svolto il contraddittorio nella stessa fase di legittimità.

Cass. civ. n. 20981/2015

In ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità.

Cass. civ. n. 4975/2015

La cassazione sostitutiva, con pronuncia nel merito, è ammessa solo quando la controversia debba esser decisa in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell'errato giudizio di diritto, e non pure quando, per effetto dell'intervento caducatorio della sentenza di legittimità, si renda necessario decidere questioni non esaminate nella pregressa fase di merito con una pronuncia che, non valendo a sostituirne altra precedente, si configura come ulteriore rispetto a quella cassata. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio ritenendo che la procura alle liti per la proposizione dell'appello dovesse ritenersi conferita disgiuntamente ai due difensori della parte, sicché il gravame era stato regolarmente presentato, da cui il necessario esame della domanda di merito da parte della corte territoriale).

Cass. civ. n. 25209/2014

La Corte di cassazione può rilevare d'ufficio una causa di inammissibilità dell'appello, che il giudice del merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado oggetto di gravame. (Nella specie, il giudice di secondo grado non aveva rilevato l'inappellabilità della sentenza emessa all'esito di una opposizione all'esecuzione - pubblicata tra il 1.3.2006 e il 4.7.2009 - per la quale è previsto solo il rimedio del ricorso straordinario in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.).

Cass. civ. n. 23989/2014

La Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall'ordinamento nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere di correggere la motivazione ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., anche in presenza di un "error in procedendo", che ricorre anche nel caso di motivazione solo apparente.

Cass. civ. n. 22373/2014

In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto, denunziabile ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il giudice di legittimità, ove decida nel merito della causa, ex art. 384 cod. proc. civ., è tenuta a verificare d'ufficio che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, posto che la cassazione sostitutiva non è consentita nei casi in cui l'intervento caducatorio della decisione di legittimità rende necessaria una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito. (Nella specie, la sentenza della S.C. aveva cassato la sentenza d'appello impugnata, e nel decidere nel merito, non si era avveduta che residuavano le questioni concernenti ulteriori sette contratti a termine, che avrebbero imposto, per gli accertamenti richiesti, il diverso esito della cassazione con rinvio ad altro giudice).

Cass. civ. n. 20474/2014

Nel giudizio di rinvio è precluso qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in ordine agli "errores in iudicando", relativi al diritto sostanziale, e per le violazioni di norme processuali tutte le volte in cui il principio sia stato enunciato rispetto a un fatto, con valenza processuale, accertato e qualificato giuridicamente agli effetti della cassazione della sentenza. Ne consegue che il giudice di rinvio, ove la Corte abbia imposto di svolgere unicamente accertamenti tecnici finalizzati a dare concretezza al principio di diritto affermato (nella specie, il superamento della soglia di esposizione ad amianto per il periodo minimo di legge), non può rilevare, in assenza di una pregressa eccezione, la decadenza dall'azione giudiziaria ai sensi dell'art. 47, secondo comma, d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, trattandosi di questione definitivamente preclusa perché incompatibile con le direttive in concreto impartite dalla Suprema Corte.

Cass. civ. n. 17790/2014

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua "potestas iudicandi", oltre ad estrinsecarsi nell'applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione "ex novo" dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità.

Cass. civ. n. 13358/2014

Il giudice del rinvio, al quale sia stata demandata una valutazione da compiere sulla base delle risultanze istruttorie acquisite nelle fasi di merito, non può trarre indicazioni - al riguardo - dalla stessa sentenza di annullamento, la cui interpretazione incontra i limiti istituzionali propri del sindacato di legittimità, che escludono per la S.C. ogni potere di valutazione delle prove. (Nella specie il giudice del rinvio, poiché era stata accertata con efficacia di giudicato - stante il rigetto, in sede di legittimità, del relativo motivo di ricorso - l'esistenza del nesso causale tra l'omessa esecuzione di un parto cesareo ed i danni subìti dal nascituro, aveva anche ritenuto di trarre indicazioni dalla sentenza rescindente per stabilire se la struttura sanitaria avesse adempiuto all'onere di provare l'assenza di colpa dalla propria prestazione).

Cass. civ. n. 11716/2014

In caso di cassazione per omessa pronuncia, il giudice di rinvio, nell'esercizio del potere-dovere che gli compete relativo alla ricostruzione del fatto processuale, è vincolato al rispetto non solo del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, ma anche dei presupposti di fatto - se, nella sentenza rescindente, possono essere stati considerati già accertati definitivamente in sede di merito - e logico-giuridici indispensabili del principio di diritto medesimo, quali risultanti dalla sentenza di cassazione con rinvio, mentre ben può riconsiderare quegli elementi che non costituiscono l'oggetto di autonome statuizioni della sentenza di merito annullata dalla Corte di cassazione, né la premessa logica indispensabile della sentenza di cassazione con rinvio. Pertanto, se l'omessa pronuncia si riferisce ad una eccezione di prescrizione del convenuto, il giudice di rinvio ben può rilevare l'esistenza di un giudicato interno formatosi sulla inammissibilità dell'eccezione stessa, la cui esistenza non sia emersa nell'ambito del giudizio rescindente.

Cass. civ. n. 8137/2014

Il principio sancito dall'art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, che esclude dalla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale le cause previste dall'art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, tra cui le opposizioni all'esecuzione, è applicabile anche al ricorso per cassazione, riferendosi la norma alla natura della controversia e ad ogni sua fase processuale, dovendosi, conseguentemente, rilevare d'ufficio la tardività del ricorso e la sua inammissibilità, senza che operi al riguardo la regola di cui all'art. 384, terzo comma, cod. proc. civ., che si riferisce alla sola ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito e non quando si tratti di questione di diritto di natura esclusivamente processuale.

Cass. civ. n. 7826/2014

Nelle cause soggette al rito del lavoro, nel caso in cui sia la motivazione che il dispositivo della sentenza contengano il riconoscimento di un diritto, in una misura tuttavia non quantificata in dispositivo, si profila un "error in procedendo" che, qualora non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, consente, in sede di legittimità, la decisione nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., dovendosi ritenere tale soluzione rispondente al principio di ragionevole durata del processo. (Nella specie, la sentenza impugnata aveva riconosciuto il diritto ad una maggiorazione pensionistica sulla base di una anzianità contributiva di 35 anni e nei limiti della decadenza triennale ex art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, omettendo tuttavia, in dispositivo, di quantificare le differenze spettanti sui ratei arretrati; in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello ed ha deciso la causa).

Cass. civ. n. 6086/2014

A norma dell'art. 384, primo comma, cod. proc. civ., l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "jus superveniens", comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Cass. civ. n. 24165/2013

Affinché la Corte di cassazione possa procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c., è necessario che la sostituzione della motivazione sia solo in diritto e non comporti indagini o valutazioni di fatto, e che essa non importi violazione del principio dispositivo, ossia non pronunci su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevabili d'ufficio.

Cass. civ. n. 20128/2013

L'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla "regula juris" enunciata dalla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., non viene meno quando la norma posta a fondamento di tale principio, pur essendo stata abrogata, modificata o sostituita, successivamente alla sentenza di legittimità, continui ad essere applicabile al caso in esame. (Nella specie, la S.C., pertanto, in relazione a principio di diritto enunciato con riguardo a giudizio arbitrale svoltosi prima dell'entrata in vigore del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, ha escluso che la norma sopravvenuta comportasse il superamento dello stesso ai fini del giudizio di validità espresso nella precedente decisione, alla stregua della disciplina di cui all'art. 45 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063, quanto alla validità della clausola compromissoria e alla composizione del collegio arbitrale).

Cass. civ. n. 15375/2013

La Corte di cassazione, nel cassare la sentenza di appello avente contenuto soltanto processuale, può esercitare il potere, attribuitole dall'art. 384, secondo comma, seconda parte, c.p.c., di negare l'astratta configurabilità del diritto soggettivo affermato dall'attore con l'atto introduttivo del processo e così di rigettare la domanda, senza necessità di attivare il contraddittorio ai sensi dell'art. 384, terzo comma, c.p.c. ove la soluzione risponda al consolidato orientamento della stessa Corte, avallato dal legislatore con una norma di interpretazione autentica. (Nella specie, relativa alla pretesa del lavoratore di includere la "quota di TFR" nella retribuzione contrattuale utile per il calcolo dell'indennità di disoccupazione, la corte territoriale aveva disatteso la domanda ritenendo intervenuta la decadenza dall'azione giudiziaria ex art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639; la S.C., esclusa la decadenza, trattandosi di azione diretta alla sola riliquidazione del trattamento di disoccupazione e attesa l'inapplicabilità dello "ius superveniens" intervenuto nel 2011, privo di efficacia retroattiva, ha rilevato che l'orientamento consolidato della Corte escludeva la sussistenza del diritto dedotto in giudizio - affermato in base all'art. 4 del d.l.vo 16 aprile 1997, n. 146 - e che tale posizione era stata ulteriormente ratificata dal legislatore con l'art. 18, comma 18, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, di interpretazione autentica della citata norma).

Cass. civ. n. 13374/2012

Nel giudizio di legittimità è inibito alla Corte applicare un principio di diritto di matrice giurisprudenziale favorevole al ricorrente, quando il ricorso non solo non lo abbia invocato, ma anzi si fondi implicitamente sull'assunto della sua inesistenza. (Nella specie, messo in esecuzione il titolo esecutivo da parte del creditore di un condominio nei confronti di alcuni condòmini, questi avevano proposto opposizione all'esecuzione, allegando la pronuncia del titolo giudiziale nei confronti di un "falsus procurator" del condominio: la Corte, al cospetto di tale allegazione, ha reputato "irrilevanti", e comunque non applicabili d'ufficio, i diversi princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9148 del 2008, secondo cui il condòmino può rispondere solo "pro quota" per le obbligazioni condominiali).

Cass. civ. n. 8622/2012

È consentito alla Corte di cassazione decidere nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma secondo, c.p.c., una questione di diritto che non richieda nuovi accertamenti di fatto, anche quando essa - ritualmente prospettata sia in primo che in secondo grado - sia stata totalmente ignorata dai giudici di merito. In tale eventualità, infatti, non solo non vi è stata alcuna limitazione al contraddittorio ed al diritto di difesa, ma la perdita per le parti di un grado di merito è compensata dalla realizzazione del principio costituzionale di speditezza, di cui all'art. 111 cost..

Cass. civ. n. 5729/2012

Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 384 cod. proc. civ., una volta verificata l'omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilità dell'appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata ed esaminare il merito del ricorso, allorquando la suddetta eccezione sia infondata, essendo in tal caso inutile il ritorno della causa in fase di merito.

Cass. civ. n. 28967/2011

Affinché un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinché si possa parlare di "prospective overruling", devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto "overruling" comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. La prima e la terza condizione non ricorrono nel caso di mutamento della giurisprudenza in ordine alle garanzie procedimentali di cui all'art. 7, secondo e terzo comma, della legge n. 300 del 1970, non equiparabili a regole processuali perché finalizzate non già all'esercizio di un diritto di azione o di difesa del datore di lavoro, ma alla possibilità di far valere all'interno del rapporto sostanziale una giusta causa o un giustificato motivo di recesso. (Principio espresso in relazione al mutamento di giurisprudenza conseguente a Cass., S.U., 30 marzo 2007 n. 7880).

Cass. civ. n. 24914/2011

Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell'art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità - con conseguente cassazione - della sentenza impugnata (nella specie, per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo), la Corte di cassazione, qualora sia posta, con altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto e su di essa si sia svolto il contraddittorio e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatoria di carattere sostitutivo.

Cass. civ. n. 24413/2011

In tema di effetti del mutamento di una consolidata interpretazione del giudice della nomofiliachia di una norma processuale (cd. "overruling"), posto che - alla luce della nuova esegesi dell'art. 202 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, di cui alla sentenza n. 7607 del 2010 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione - il termine breve di quarantacinque giorni per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado decorre dalla notifica della copia integrale del dispositivo, senza dover attendere la registrazione della sentenza stessa (come richiesto, invece, dal pregresso "diritto vivente" formatosi sulla predetta norma), è da reputarsi comunque ammissibile il ricorso proposto - entro il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. e secondo le indicazioni della precedente lettura giurisprudenziale dell'art. 202 citato - allorquando la predetta notifica sia intervenuta prima del mutamento di giurisprudenza e la scadenza dell'indicato termine sia avvenuta appena tre giorni dopo la pubblicazione della citata sentenza n. 7607 del 2010, non potendo reputarsi tale pronuncia oggettivamente conoscibile in tempo utile per l'impugnativa nel termine breve.

Cass. civ. n. 23328/2011

Il potere della Corte di cassazione di correggere la motivazione della sentenza impugnata mantenendo fermo il dispositivo, ai sensi del secondo comma dell'art. 384 c.p.c., può essere esercitato allorquando, essendo conforme al diritto la decisione contenuta nel dispositivo, non lo sia la motivazione; pertanto, tale potere non sussiste nel diverso caso in cui sia denunziata l'omessa motivazione della sentenza impugnata, sia perché esso non consente un apprezzamento dei fatti e delle prove diverso da quello compiuto dal giudice del merito, sia perché la mancanza della motivazione non permette di accertare se la pronuncia sul punto sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto.

Cass. civ. n. 16365/2011

Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile, anche in assenza di un'istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d'inammissibilità od improcedibilità dell'impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell'orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso, che abbia reso impossibile una decisione sul merito della pretesa fatta valere in giudizio; l'istituto della rimessione in termini, tuttavia, non si applica con riguardo ad una pronuncia sulla competenza, consentendo questa, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente e non determinando, pertanto, alcuna inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, né rendendo impossibile una decisione sul merito della domanda proposta. (Fattispecie decisa con riguardo al criterio di individuazione della corte d'appello territorialmente competente, ai sensi dell'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, ritenuto applicabile anche ai giudizi presupposti diversi da quelli svolti avanti al giudice ordinario, sulla base di un mutato indirizzo della S.C.).

Cass. civ. n. 15964/2011

Il rilievo d'ufficio di cause di inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, tardività del ricorso stesso e, altresì, inosservanza del disposto di cui al n. 6 dell'art. 366 c.p.c.) è sottratto alla regola espressa dall'art. 384, terzo comma, c.p.c. - la quale impone al giudice di provocare il contradditorio sulla questione rilevata d'ufficio -, che è da riferirsi soltanto all'ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito.

Cass. civ. n. 5139/2011

Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. 111, comma secondo, Cost., qualora i giudici di merito non si siano pronunciati su una questione di mero diritto, ossia non richiedente nuovi accertamenti di fatto, perché rimasta assorbita e la stessa venga riproposta con ricorso incidentale per cassazione, la Corte, una volta accolto il ricorso principale e cassata la sentenza impugnata, può decidere la questione purchè su di essa si sia svolto il contraddittorio, dovendosi ritenere che l'art. 384, comma secondo, c.p.c., come modificato dall'art. 12 della legge n. 40 del 2006, attribuisca alla Corte di cassazione una funzione non più soltanto rescindente ma anche rescissoria e che la perdita del grado di merito resti compensata con la realizzazione del principio di speditezza.

Cass. civ. n. 19301/2010

La norma di cui all'art. 384 c.p.c. preclude alla Corte di cassazione di pervenire alla decisione nel merito allorché vi siano ulteriori fatti da accertare, ma non ne inibisce la valutazione quando i fatti siano stati già tutti accertati o non siano contestati e non ve ne siano altri, ancora da accertare, suscettibili di poter essere apprezzati o perché mancano o perché la facoltà di domandarne l'accertamento è impedita alle parti dalle preclusioni in cui siano incorse. Ne consegue che, ove in relazione all'"an debeatur" non sussistano ulteriori fatti da accertare e sia univoca la valenza di quelli accertati, il giudice di legittimità può emettere una pronuncia di condanna generica (nella specie, di risarcimento del danno in favore dell'utilizzatore del bene concesso in leasing), rimettendo al giudice del rinvio la sola determinazione del "quantum debeatur" e ciò proprio al fine di agevolare il più possibile la definizione della controversia, in armonia con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo.

Cass. civ. n. 17353/2010

In ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio di intangibilità. (Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che, ai fini della verifica del requisito dimensionale rilevante per l'applicazione della tutela reale avverso il licenziamento, il giudice di rinvio era vincolato dal giudicato interno, formatosi in ragione della mancata pregressa contestazione datoriale della sussistenza del requisito numerico affermata dal lavoratore).

Cass. civ. n. 55/2009

L'art. 111, comma 2, Cost., con lo statuire che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo, detta una regola per una interpretazione delle singole norme di rito funzionalizzata alla celerità del giudizio; pertanto, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., la Corte di Cassazione, in luogo di cassare la sentenza impugnata con il rinvio della causa ad un nuovo giudice di appello, può decidere nel merito la controversia, con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, allorquando debba individuare la portata e l'oggetto di una intervenuta conciliazione, la cui interpretazione per la chiarezza del testo non lasci adito a dubbi, in base alla regola "in claris non fit interpretatio", e rispetto alla quale non siano prospettabili né siano state prospettate letture alternative a quella sostenuta dalla parte ricorrente in cassazione, che abbia chiesto la suddetta dichiarazione in ragione del venir meno dell'interesse della controparte alla prosecuzione del giudizio.

Cass. civ. n. 14385/2007

L'eccezione di inammissibilità del ricorso, che sia sollevata dal P.G. all'udienza di discussione, la sottrae alla sfera di operatività dell'art. 384 c.p.c., comma 3, come sostituito dal D.L.vo 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12, escludendo ogni necessità di riservare la decisione con assegnazione di un termine alle parti per osservazioni, applicandosi lo stesso principio in tema di eccezione su questione rilevabile d'ufficio, sollevata da una parte con memoria: va a tal fine considerato che i difensori delle parti possono presentare alla Corte osservazioni in merito alle conclusioni del P.G., a norma dell'art. 379 c.p.c., ultimo comma.

Cass. civ. n. 13719/2006

In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest'ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.

Cass. civ. n. 3881/2006

La sentenza della Corte di cassazione che dispone il rinvio vincola il giudice di rinvio non solo ai principi di diritto affermati, ma anche con riferimento ai relativi presupposti di fatto, da ritenersi implicitamente accertati in via definitiva nelle pregresse fasi di merito. Conseguentemente, dall'applicazione del principio generale dell'«intangibilità» del decisum statuito in sede di legittimità deriva che il sindacato della Corte di cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti.

Cass. civ. n. 2605/2006

Allorquando la S.C. annulli la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia, non viene emesso alcun principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio, il quale è tenuto unicamente a riesaminare i fatti oggetto di discussione ai fini di un nuovo apprezzamento complessivo adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di cassazione, sicché le prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimità hanno valore meramente orientativo e non valgono a circoscrivere in un ambito invalicabile i poteri del giudice di rinvio, il quale resta libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi. I limiti all'ammissione delle prove nel giudizio di rinvio riguardano infatti l'attività delle parti, e non si estendono ai poteri del giudice, il quale, pertanto, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, può ben avvertire la necessità di disporre, secondo le circostanze, una consulenza tecnica d'ufficio, salva la sola ipotesi in cui la consulenza si ponga, piuttosto che come elemento di valutazione, come mezzo di acquisizione delle prove.

Cass. civ. n. 21006/2005

Il giudice di rinvio è vincolato dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso anche nell'ipotesi in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce conseguenziali – quali, nel primo caso, l'enunciazione del principio di diritto – ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori. (Nel caso di specie, la sentenza di rinvio non si limitava ad accertare l'esistenza di una violazione di norme di diritto nella sentenza di appello, ed in particolare dei canoni legali di ermeneutica contrattuale in riferimento all'accordo aziendale relativo ad un'agenzia di viaggio, ma forniva al giudice di rinvio l'interpretazione corretta dell'accordo stesso ed indicava quali conseguenze avrebbero dovuto verificarsi nel caso di illegittimità del dedotto trasferimento della dipendente da un'agenzia all'altra su piazza; attesa la molteplicità dei dicta contenuti nella sentenza rimettente, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza del giudice di rinvio che ha dichiarato l'illegittimità del trasferimento ed anche le conseguenze da essa derivanti indicate come tali già dalla cassazione, ovvero l'impossibilità di includere il rapporto di lavoro con la dipendente illegittimamente trasferita tra quelli riconducibili alla cessione di ramo di azienda effettuata in relazione alla sola agenzia in relazione alla quale era stato dichiarato illegittimo il trasferimento).

Cass. civ. n. 15810/2005

Sulla base del principio di economia processuale, ormai espressamente accolto anche nel giudizio di legittimità dalla seconda parte dell'art. 384, primo comma, c.p.c., nonché di un'interpretazione complessiva dell'art. 384 che induce ad escludere che l'ambito di applicazione del primo comma – tradizionalmente identificato con l'ipotesi della violazione o falsa applicazione di una norma di diritto sostanziale (di cui al n. 3 dell'art. 360 c.p.c.) – coincida con quello del secondo comma – dove si fa riferimento alle “sentenze erroneamente motivate in diritto” e, quindi, essendo la sentenza risultante tanto dall'applicazione di norme sostanziali quanto di norme processuali, all'incidenza causale dell'errore sulle une e sulle altre – deve ritenersi configurabile il potere della Corte di cassazione di correzione della motivazione della sentenza impugnata anche in relazione ad un error in procedendo, fermi restando anche in tal caso i limiti della non necessità di indagini di fatto (ulteriori rispetto a quelle che la Corte di Cassazione può compiere sul fascicolo, come di norma, nell'esame di detto error) e del rispetto del principio dispositivo (dovendosi trattare di fatti ed eccezioni rilevati dalle parti o rilevabili d'ufficio).

Cass. civ. n. 17564/2004

La denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione concreta denuncia di error in procedendo (art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c.) per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto. Peraltro, tenuto conto che all'interpretazione del giudicato deve farsi luogo alla stregua dell'interpretazione delle norme piuttosto che alla stregua dell'interpretazione dei negozi e degli atti giuridici, nessuna deroga soffre il suddetto principio nel caso in cui il principio di diritto non risulti espressamente enunciato nella sentenza di cassazione, ma debba essere enucleato dall'intero corpo della decisione, trattandosi di circostanza incidente esclusivamente sul tasso di difficoltà dell'accertamento, non diversamente da quanto accade in presenza di una norma giuridica di incerto significato, del tutto priva di rilievo per la definizione dei poteri della Corte di cassazione, atteso che il giudice di legittimità accerta l'esistenza e la portata del giudicato interno rappresentato dalla sentenza rescindente con cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, a cominciare dalla sentenza rescindente, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

Cass. civ. n. 15764/2004

In tema di procedimento in cassazione, l'art. 384 c.p.c. prevede che qualora il vizio denunziato riguardi non un punto di fatto ma una astratta questione di diritto, il giudice di legittimità ha il potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, senza cassarla, nel caso in cui la decisione adottata dal giudice di merito sia conforme a diritto, sostituendo la motivazione erronea con altra corretta, che conduca all'identico dispositivo della sentenza censurata, purchè la sostituzione della motivazione sia soltanto in diritto e non comporti indagini e valutazioni di fatto nè violazione del principio dispositivo.

Cass. civ. n. 6208/2004

La sentenza di cassazione vincola, in caso di annullamento della decisione impugnata per violazione di norme di diritto, il giudice di rinvio al principio di diritto affermato, mentre, in ipotesi di annullamento per vizi di motivazione, non esclude i poteri dello stesso giudice di indagine e di valutazione della prova, non essendo stato enunciato dalla sentenza alcun principio di diritto cui egli abbia il dovere di conformarsi.

Cass. civ. n. 47/2004

L'interpretazione dei principi di diritto fissati nella sentenza di Cassazione con rinvio, specie ove non siano stati espressamente enunciati, ma debbano essere enucleati dall'intero corpo della decisione, non può avvenire mediante estensione dei criteri ermeneutici fissati dall'art. 12 delle preleggi, atteso che i presupposti per l'applicazione di detti criteri vanno individuati nella astrattezza e generalità del comando normativo e nel riferimento a tutte le fonti del diritto di cui all'art. 1 prel., ma deve aver luogo attraverso i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. come è richiesto dalla stretta circolarità tra fatto e principio di diritto destinato a regolarlo, dalla limitazione dell'efficacia del suddetto principio alla singola controversia e dalla ridotta rilevanza del canone letterale di interpretazione nei frequenti casi in cui sia necessario procedere ad una interpretazione logico-sistematica della decisione, riferita all'intera motivazione. Ne consegue che il ricorrente il quale lamenti in sede di legittimità una errata interpretazione della sentenza di Cassazione da parte del giudice di rinvio ha l'onere di specificare i canoni ermeneutici violati in riferimento alle parti della motivazione censurate, nonché di indicare le forme in cui si è manifestata la violazione denunziata, altrimenti risolvendosi la censura nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella fatta propria dal giudice di rinvio.

Cass. civ. n. 12089/2003

La decisione della causa nel merito da parte della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 384, comma primo c.p.c., è inammissibile qualora siano necessari accertamenti di fatto, per i quali non sia possibile fare riferimento alla sentenza di primo grado, in quanto questa risulti irrimediabilmente vanificata dall'effetto sostitutivo proprio della riforma disposta dalla sentenza di. secondo grado, non potendo essa ritenersi ripristinata dalla cassazione della sentenza di appello. (Nella specie, la parte, cittadina jugoslava, aveva chiesto il pagamento degli accessori del credito previdenziale derivanti dal ritardo nel pagamento della prestazione dalla data della presentazione della domanda all'ente previdenziale straniero e la domanda era stata accolta in primo grado con sentenza riformata in appello; la S.C. ha escluso che, disposta la cassazione della sentenza di secondo grado, fosse possibile decidere la causa nel merito, occorrendo accertare la data di presentazione della domanda e quantificare la somma spettante, circostanze per le quali non poteva farsi riferimento alla sentenza di primo grado).

Cass. civ. n. 14022/2002

Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio di una sentenza di merito può essere disatteso nei soli casi in cui la norma da applicare in relazione al principio stesso risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens (comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale), ma non può, per converso, formare oggetto di riesame neppure sotto il profilo della legittimità costituzionale, a causa della definitività del principio stesso in relazione a tutte le questioni costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia di annullamento, sia prospettate dalle parti che rilevabili d'ufficio, quand'anche la stessa Corte costituzionale, con un successivo intervento interpretativo, abbia, della norma controversa, postulato un'interpretazione non coincidente con il principio di diritto già affermato dalla Cassazione (nella specie, avendo la sentenza della Suprema Corte affermato il principio della rilevanza esclusiva, in tema di pensione di reversibilità da dividersi tra ex coniuge divorziato e coniuge superstite, della rigorosa proporzione della durata legale dei rispettivi matrimoni, il giudice di rinvio, con sentenza confermata dalla Cassazione, aveva ripartito la detta pensione in base al principio così affermato, a prescindere dalla circostanza che, in epoca successiva, fosse intervenuta la pronuncia interpretativa della Corte costituzionale n. 419/1999, cui era conseguito un mutamento di giurisprudenza della stessa Suprema Corte).

Cass. civ. n. 13096/2001

La cassazione della sentenza di merito per vizio di motivazione non implica l'enunciazione di alcun principio di diritto, a differenza della cassazione per violazione o falsa applicazione di legge, e quindi non rende configurabile la violazione dell'art. 384 c.p.c. da parte del giudice di rinvio.

Cass. civ. n. 10037/2001

Ai sensi dell'art. 384, primo comma c.p.c., l'enunciazione del principio di diritto vincola sia il giudice di rinvio sia la stessa Corte di cassazione, nel senso che, qualora sia nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di rinvio, deve giudicare muovendo dal medesimo principio di diritto precedentemente enunciato e applicato da detto giudice, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della Corte; tale regola, peraltro, presuppone l'omogeneità delle situazioni devolute reiteratamente al giudizio di legittimità e non opera quando è sottoposto alla Corte un thema decidendum non affrontato in occasione del primo giudizio rescindente o quando sopravvenga un fatto estintivo o modificativo del diritto fatto valere afferente a un profilo non affrontato in precedenza dai giudici di merito ed esulante dal decisum del giudizio rescindente (nella specie, nell'ambito di una controversia avente ad oggetto la costituzione di una rendita INAIL, la prima sentenza di rinvio aveva demandato al giudice di merito l'accertamento del dies a quo di decorrenza della prescrizione mentre impregiudicato era rimasto il tema del concreto verificarsi della prescrizione e della valenza di vari atti interruttivi; avendo il giudice di rinvio ritenuto preclusa l'indagine sull'assoggettamento della prescrizione alle ordinarie cause interruttive, la S.C. ha nuovamente cassato con rinvio per un riesame dell'intero tema della prescrizione, esclusa la sua decorrenza, alla luce dei più recenti principi affermati in materia).

Cass. civ. n. 5962/2001

Il potere di correzione della motivazione a norma dell'art. 384 secondo comma c.p.c. è esercitabile anche in presenza di errores in procedendo, i quali, ove si risolvono in violazione o falsa applicazione di norme processuali, presentano, dal punto di vista logico, la stessa struttura del vizio di violazione e falsa applicazione di legge al quale in generale fa riferimento il primo comma dell'art. 384 c.p.c.

Cass. civ. n. 4176/2001

Qualora il giudice di rinvio accerti la sopravvenienza di una norma, incidente sul giudizio in corso ed entrata in vigore prima della pubblicazione della sentenza rescindente, ma dopo la sua deliberazione, deve dare puntuale applicazione al principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, nulla rilevando che il collegio abbia omesso di valutarla o la abbia implicitamente disapplicata, non sussistendo, in concreto, l'ipotesi eccezionale di derogabilità all'effetto cogente del suddetto principio della sopravvenienza normativa al momento in cui quel principio venne pubblicamente statuito.

Cass. civ. n. 207/2001

Il punto deciso dalla Corte di cassazione con sentenza di annullamento con rinvio fondato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, con enunciazione del principio di diritto, non è suscettibile, stante la definitività della relativa pronuncia di nuova impugnazione o comunque di riesame, neppure sotto il profilo della legittimità costituzionale della norma considerata dalla Corte, a meno che non si possa far valere, anche se in forza di una sentenza della Corte costituzionale, uno ius superveniens. (Nella specie era stata riproposta in cassazione la questione di costituzionalità già prospettata al giudice di rinvio e da questo disattesa sulla base del rilievo che la norma era suscettibile di interpretazione diversa da quella contestata, come dimostrato dal sopravvenuto mutamento di giurisprudenza della S.C.).

Cass. civ. n. 8125/2000

Nell'ipotesi di cassazione della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il giudice di rinvio è vincolato ad uniformarsi al principio di diritto esplicitamente o implicitamente enunciato in sede di legittimità, attenendosi agli accertamenti di fatto già compiuti nell'ambito della sua enunciazione, mentre, nel caso di annullamento per vizi di motivazione, egli può bensì procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti, e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive impartite dalla S.C. rispetto ai punti ritenuti decisivi e non congruamente motivati, ma non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, e, con esso, l'ormai accertato (con carattere di definitività) presupposto logico.

Cass. civ. n. 5820/1999

La Corte di cassazione può decidere la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., non soltanto nel caso di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali, ma anche nel caso in cui il suddetto vizio attenga a norme processuali, e sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (nella specie la Corte, rilevata la nullità della procura rilasciata al difensore per il giudizio di appello, ha dichiarato l'inammissibilità di quest'ultimo).

Cass. civ. n. 5450/1999

Il giudice del rinvio non viola il giudicato se accoglie motivi proposti in via subordinata con ricorso per cassazione e rigettati dalla Suprema Corte perché ritenuti superflui in conseguenza dell'accoglimento di quelli proposti in via principale.

Cass. civ. n. 10035/1998

Nell'ambito dello ius superveniens che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento e che deve essere applicato nel giudizio di rinvio rientrano anche i mutamenti normativi prodotti dalle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee che hanno efficacia immediata nell'ordinamento nazionale. Ne consegue che il giudice di rinvio, nel ridefinire il trattamento retributivo spettante, in applicazione dell'art. 36 Cost., ai lettori di lingua straniera assunti a tempo determinato, non può non tenere conto degli effetti prodotti sul quadro normativo di riferimento della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 2 agosto 1993 intervenuta in epoca successiva alla sentenza della Corte di cassazione che ha enunciato il principio di diritto da applicare. (In base al suddetto principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di rinvio che, senza dare della sentenza di annullamento una lettura «aggiornata» sulla base dell'indicata decisione della Corte di giustizia comunitaria, non aveva riconosciuto agli interessati il diritto agli scatti di anzianità e alla tredicesima mensilità).

Cass. civ. n. 12465/1997

Con riferimento alla sentenza di cassazione con rinvio, nell'ipotesi di jus superveniens dopo la deliberazione della Corte — ancorché prima della pubblicazione della relativa sentenza, non viola l'art. 384 c.p.c. il giudice di rinvio che si attenga, per la nuova decisione, allo jus superveniens e non già — al principio di diritto enunciato dalla Corte, a nulla rilevando che quest'ultima non abbia provveduto ad adeguare il deliberato alla norma sopravvenuta prima della pubblicazione della sentenza rescindente, posto che è al momento della deliberazione e non a quello della pubblicazione che bisogna guardare per stabilire il quadro normativo nel quale il giudice si è mosso per decidere la controversia.

Cass. civ. n. 2629/1996

Ai sensi dell'art. 384 c.p.c., nel testo novellato dall'art. 66 della legge 26 novembre 1990, n. 353, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, è consentita nei soli casi in cui, dopo l'enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione; essa non è pertanto consentita nei casi in cui l'intervento caducatorio della decisione di legittimità apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell'escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessità di accertamenti «ulteriori», limita la possibilità di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui tutti gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice a quo non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate. Né rileva in proposito il fatto che sulla questione si sia pronunciato, o meno, il giudice di primo grado, la cui sentenza sia stata riformata con quella poi cassata, atteso l'effetto sostitutivo della sentenza di secondo grado, la cui pronuncia toglie rilievo, nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum, alla decisione di primo grado, come reso palese dall'art. 393 c.p.c. il quale, per il caso di estinzione del processo verificatasi dopo la cassazione, dispone che si estingue l'intero giudizio, laddove l'estinzione del giudizio di appello – verificatasi, cioè, prima della realizzazione del suddetto effetto sostitutivo – può determinare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (art. 310 c.p.c.).

Cass. civ. n. 2238/1996

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 384 comma 1 c.p.c., nel testo novellato dall'art. 66 della legge 26 novembre 1990, n. 353, alla stregua del quale la Corte di cassazione (quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto) decide la causa nel merito, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, non è sufficiente che gli elementi fattuali occorrenti per ricostruire la vicenda in questione siano stati acquisiti al processo nei gradi precedenti, dovendo l'indagine diretta a stabilire la (eventuale) non necessità di ulteriori accertamenti di fatto essere compiuta unicamente sul provvedimento impugnato, nel senso che da questo deve emergere la sufficienza degli accertamenti effettuati per poter decidere la causa nel merito, atteso che né i lavori preparatori della legge citata né il tenore testuale del primo comma dell'art. 384 giustificano un'interpretazione tanto estensiva da trasformare il giudizio di cassazione da giudizio di legittimità sul provvedimento impugnato e sul procedimento a terzo grado di merito (sia pure senza il potere di disporre di ulteriori mezzi istruttori e con valutazione limitata all'adeguatezza degli accertamenti espletati ai fini della decisione).

Cass. civ. n. 4299/1995

Il principio secondo cui la sentenza di cassazione vincola il giudice di rinvio non solo in ordine ai principi di diritto affermati, ma anche ai necessari presupposti di fatto, vale solo con riferimento a quei fatti che il principio di diritto affermato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito. In caso diverso, infatti, quando la cassazione avvenga per vizi di violazione di legge e per vizi relativi alla motivazione, essa non incide sul potere del giudice di rinvio, non solo di riesaminare i fatti oggetto di discussione nelle precedenti fasi, ma anche, nei limiti in cui non si siano già verificate preclusioni processuali o decadenze, di accertarne di nuovi da apprezzare in concorso con quelli già oggetto di prova.

Cass. civ. n. 4228/1995

Ove la sentenza dei giudici di merito sia stata cassata per i concorrenti motivi di cui ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato, ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati dalla sentenza cassata, se non può rimettere in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla Corte di cassazione, la cui portata vincolante è limitata all'enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell'ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale.

Cass. civ. n. 3073/1995

Nei casi di cassazione per error in judicando in jus (art. 360 n. 3 c.p.c.), il giudice del rinvio deve uniformarsi al principio di diritto indicato (art. 384 c.p.c.) e, nell'applicarlo, deve attenersi agli accertamenti di fatto già compiuti nell'ambito della sua enunciazione, fatta eccezione dei fatti meramente ipotetici, ma comprese le questioni che avrebbero potuto essere prospettate o rilevate d'ufficio dalla Cassazione, mentre può sottrarsi al vincolo del principio di diritto solo nei casi di jus superveniens (che consente nuove attività assertive e probatorie e, in definitiva, nuove conclusioni) e di dichiarazione sopravvenuta di illegittimità costituzionale della norma sulla quale il principio si fonda. Nei casi di cassazione per i motivi di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., il giudice del rinvio — pure vincolato al principio di diritto implicitamente enunciato circa i punti già ritenuti decisivi o non correttamente motivati ed il giudizio di ammissibilità delle prove — è sostanzialmente soggetto al solo limite di non incorrere nello stesso errore logico della sentenza cassata; pertanto, egli può riesaminare i fatti già considerati, ai fini di una diversa rivalutazione, nel rispetto dei limiti del giudicato.

Cass. civ. n. 2799/1995

Per la mera correzione della motivazione di una sentenza il cui dispositivo si ritenga conforme al diritto, non è richiesta la formulazione di un ricorso incidentale, potendo la Corte di cassazione procedervi anche autonomamente, in applicazione del disposto di cui all'art. 384, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 2496/1995

Allorquando una sentenza della Corte di cassazione abbia fissato, ai sensi dell'art. 384, primo comma, c.p.c., i criteri che devono informare la risoluzione della controversia, tutte le questioni in proposito precedentemente dedotte devono intendersi implicitamente decise quale presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia espressa in diritto, con la conseguenza che la sentenza che dispone il rinvio vincola il giudice al quale la causa è rinviata non solo in ordine ai principi di diritto affermati, ma anche in relazione ai necessari presupposti di fatto, da ritenersi accertati in via definitiva, nella precorsa fase di merito, quali premesse logico-giuridiche della pronunzia di annullamento.

Cass. civ. n. 5418/1994

La cassazione di una sentenza con riguardo all'interpretazione di norme contrattuali, pronunciata per violazione delle regole legali di ermeneutica e per vizi di motivazione — la quale attribuisce al giudice di rinvio la stessa pienezza di poteri propria del giudice che ha emesso la sentenza cassata travolgendo anche gli accertamenti e le valutazioni precedenti — vincola il suddetto giudice al rispetto dei criteri interpretativi fissati dalla sentenza di annullamento, ma non anche al rispetto della soluzione interpretativa eventualmente suggerita nella stessa sentenza, essendo ad esso riservata, in via esclusiva, l'indagine circa il contenuto della volontà contrattuale. Pertanto la sentenza emessa in sede di giudizio di rinvio può essere censurata, per violazione degli artt. 1362 ss. c.c. e per vizi della motivazione, anche per quelle affermazioni che risultino conformi alle osservazioni e valutazioni incidentalmente contenute nella sentenza di cassazione e che, in quanto tali, non sono vincolanti.

Cass. civ. n. 3110/1994

Viola il disposto dell'art. 384 c.p.c., sulla vincolatività del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, il giudice di rinvio che si attenga, per la nuova decisione, non già a tale principio, ma allo jus superveniens costituito da sentenza della Corte costituzionale di norme da applicarsi per la risoluzione della controversia, allorché la pubblicazione di tale sentenza sulla Gazzetta Ufficiale sia non posteriore a quella della sentenza rescindente, ma anteriore.

Cass. civ. n. 7097/1993

Il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione vincola il giudice di rinvio, il quale è tenuto ad uniformarvisi indipendentemente dall'intervenuto mutamento di giurisprudenza della stessa Corte di cassazione, non essendo tale ipotesi assimilabile a quella in cui la norma da applicare (dettata dalla S.C.) sia stata, nelle more, espunta dall'ordinamento con declaratoria di incostituzionalità oppure modificata o sostituita da ius superveniens. (Principio affermato con riguardo a fattispecie in cui la sentenza di annullamento aveva escluso l'efficacia della sentenza della Corte cost. n. 370 del 1985 in ordine a rapporto previdenziale esaurito per decorso del termine previsto dall'art. 22 del D.L. n. 7 del 1970 conv. in L. n. 83 del 1970).

Cass. civ. n. 2756/1990

Qualora con un motivo di ricorso per cassazione si prospetti un difetto di motivazione che non riguardi un punto di fatto bensì un'astratta questione di diritto – come quando si discuta se la proposizione dedotta da una della parti abbia natura di domanda o di eccezione – il giudice di legittimità, investito a norma dell'art. 348 c.p.c. del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che anche l'eventuale mancanza di questa deve ritenersi irrilevante, quando il giudice del merito sia comunque pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.

Cass. civ. n. 120/1990

L'efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio, presupponendo il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato enunciato il principio di diritto da applicarsi dal giudice di rinvio, viene meno in tale sede allorché quella disciplina sia superata per la sopravvenienza di una norma interpretativa (nella specie, L. 9 maggio 1984, n. 118) che le assegni un significato diverso da quello posto a base del principio di diritto fissato per il giudizio di rinvio.

Cass. civ. n. 3093/1989

L'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris, enunciata dalla Corte di cassazione a norma dell'art. 384 c.p.c., viene meno quando la norma da applicare, in aderenza a tale principio, sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima, dovendosi in questo caso fare applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, di detto ius superveniens, o delle disposizioni di legge rinvenibili nell'ordinamento per coprire il vuoto lasciato dalla norma caducata.

Cass. civ. n. 2660/1989

La pronuncia di cassazione per errore in iudicando, con enunciazione del principio di diritto cui il giudice di rinvio deve uniformarsi, non vincola il giudice medesimo in ordine alle circostanze che siano meramente ipotizzate, in via narrativa, da detta enunciazione, atteso che una preclusione al riesame si verifica solo con riguardo ai fatti che quel principio presupponga come pacifici o già accertati in sede di merito.

Cass. civ. n. 355/1989

L'inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., e, correlativamente, dell'obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile, anche d'ufficio, in sede di legittimità, con la conseguenza che la Corte di cassazione, rilevata la inammissibilità dell'appello sul quale ha pronunciato la sentenza impugnata in violazione dell'indicato divieto, deve correggere la motivazione, in caso di rigetto nel merito della domanda stessa.

Cass. civ. n. 6686/1988

L'esercizio, da parte della Corte di cassazione, del potere di correggere la motivazione previsto dal secondo comma dell'art. 384 c.p.c. è ammissibile in mancanza del ricorso incidentale della parte vittoriosa, anche nel caso in cui la emendatio implichi la sostituzione del principio di diritto affermato nella sentenza impugnata con altro principio non espressamente esaminato o disatteso nella medesima pronuncia. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di merito che, con riguardo ai miglioramenti apportati dall'affittuario, aveva applicato l'art. 17 della L. n. 203 del 1982 invece dell'art. 15, secondo comma della L. n. 11 del 1971, rilevando che le due disposizioni prevedono un criterio sostanzialmente uguale e, cioè, l'aumento di valore del fondo esistente alla cessazione dell'affitto).

Cass. civ. n. 157/1985

Il «principio di diritto», al quale il giudice di rinvio deve attenersi a norma del primo comma dell'art. 384 c.p.c., è costituito dalla nozione di ordine giuridico che la Corte Suprema incorpora nella sua sentenza come presupposto della sua pronuncia, anche se non ve lo inserisca formalmente con una espressa enunciazione che serva da guida del giudice di rinvio. Questo, pertanto, è vincolato anche in ordine alle premesse logico-giuridiche della pronuncia del giudizio di cassazione ed è tenuto a ricercare, attraverso l'esame della relativa motivazione, i principi giuridici che, sebbene non formalmente enunciati, portarono all'accoglimento del ricorso, non potendosi desumere dalla semplice mancanza dell'enunciazione formale predetta che il ricorso sia stato accolto solo per vizi di motivazione.

Cass. civ. n. 3896/1984

L'esercizio, da parte della Corte di cassazione, del potere di correggere la motivazione (art. 384, secondo comma, c.p.c.) può essere invocato dalla parte vittoriosa senza necessità di proposizione del ricorso incidentale, ma non è ammissibile, in mancanza di tale impugnazione, nel caso in cui la correzione implicherebbe la sostituzione del principio di diritto che sorregge la motivazione della sentenza impugnata con altro principio già disatteso dalla medesima.

Cass. civ. n. 3250/1980

Spetta al giudice di rinvio stabilire i limiti dei propri poteri, interpretando la sentenza di cassazione, al fine di determinare la corrispondenza del principio di diritto da questa enunciato all'ipotesi di fatto in contestazione, ancora da verificare.

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