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Articolo 277 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Pronuncia sul merito

Dispositivo dell'art. 277 Codice di procedura civile

Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio (1).

Tuttavia il collegio, anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa a norma dell'articolo 187 primo comma, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria una ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza (2).

Note

(1) Il principio sancito dal nostro ordinamento è quello della concentrazione della decisione: il giudice dovrebbe tendenzialmente definire con un'unica sentenza il giudizio, pronunciandosi su tutte le domande e le relative eccezioni.
(2) Il secondo comma dell'articolo in commento prevede una deroga al principio di concentrazione: il collegio può decidere solo su alcune domande, che non richiedano ulteriore istruzione, se la parte che le ha proposte ha interesse ad una sollecita definizione.
Ai sensi dell'art. 279 del c.p.c., la sentenza che pronuncia soltanto su alcune delle domande proposte è non definitiva, in particolare ai fini dell'ammissibilità della riserva di impugnazione di cui all'art. 340 del c.p.c..

Spiegazione dell'art. 277 Codice di procedura civile

Il primo comma di questa norma detta il principio generale di concentrazione delle decisioni ed è applicabile oltre che alla decisione del collegio, anche alla decisione del giudice unico.

Scopo di tale principio, introdotto dal legislatore del 1940, è quello di reagire al frazionamento della decisione in molteplici sentenze interlocutorie, così da poter avere, in ogni grado del processo civile, una sola sentenza collegiale, la quale, decidendo tutte le questioni della causa, definisca il giudizio stesso.
Tuttavia, in ottemperanza al principio di adattabilità del processo alle esigenze di causa, la suddetta regola generale ha subito una serie di eccezioni, tra cui la prima è quella prevista già dallo stesso art. 277, 2° co., a cui si aggiunge quella di cui al successivo art. 279 del c.p.c..

Occorre precisare che trattasi di principio non avente portata precettiva, in quanto nessuna norma prevede, in caso di sua violazione, una nullità della sentenza.

Una deroga al principio di concentrazione della decisione è introdotta dallo stesso capoverso della norma in esame, il quale attribuisce al giudice il potere di limitare la propria decisione a taluna soltanto delle domande proposte in giudizio; il frazionamento della decisione presuppone che si versi in una situazione di simultaneus processus, ossia di giudizio vertente su una pluralità di domande.

Si è a lungo discusso sia in dottrina che in giurisprudenza sulla natura della sentenza che decide solo su alcune delle domande originariamente proposte, senza che tale discussione abbia portato ad una soluzione univoca.

In particolare, ci si è chiesti se tale decisione debba qualificarsi come "definitiva" o viceversa "non definitiva" o più correttamente se siano ammissibili sentenze non definitive su domande.
Il problema non è soltanto teorico, in quanto finisce per incidere sul regime di impugnazione delle sentenze così come disciplinato dagli artt. 340 e 361 c.p.c., i quali prevedono la possibilità di riserva dell'appello e del ricorso per cassazione per le sole sentenze emesse ex art. 278 del c.p.c. e art. 279 del c.p.c. n. 4.

La giurisprudenza per distinguere le sentenze definitive dalle sentenze non definitive si è divisa in due diverse correnti, aderendo ora ad una teoria c.d. sostanzialista ora ad un orientamento c.d. formalista.

Secondo l'orientamento sostanzialista anche quando il giudice decide su alcune delle domande cumulate, senza procedere alla separazione delle cause, come richiesto dall'art. 279, n. 5, la sentenza sarebbe comunque definitiva, poiché in tal caso vi sarebbe un uso implicito della potestà di cui agli artt. 103 e 104 c.p.c.

In tal senso si afferma che è irrilevante la qualificazione data dal giudice al provvedimento o il rinvio alla prosecuzione del giudizio per la decisione sulle spese.
Secondo l'orientamento formalista, invece, il n. 5 dell’art. 279 c.p.c. non farebbe riferimento al capoverso dell'art. 277 cpv., dovendosi far rientrare le decisioni su alcune delle domande cumulate nelle fattispecie disciplinate dal n. 4 dell'art. 279 del c.p.c., con conseguente ammissibilità delle sentenze non definitive in tale materia.

Nel 1990 le Sezioni Unite, con la sentenza n. 1577/1990, hanno deciso di intervenire al riguardo, aderendo all'approccio formalista, in particolare ritenendo che sia necessario un provvedimento di separazione espressa per potersi parlare di sentenza definitiva, anche se sarà decisivo il fatto che il giudice abbia provveduto sulle spese in relazione alla domanda decisa (in tal caso si configurerà una pronuncia implicita di separazione).

Tuttavia, neppure l'intervento della Sezioni Unite della Suprema Corte è riuscito a porre fine alla querelle.
Anche la dottrina maggioritaria ha preferito aderire all'approccio formalista, seppur sulla base di ricostruzioni eterogenee, in particolare sostenendo che il termine "questioni" di cui all'art. 279, n. 4 debba essere interpretato in senso atecnico, come correlato implicitamente all'art. 277 cpv.
Deve, infine, segnalarsi la posizione di chi ritiene che il dato normativo consenta sentenze risolutive di alcune "domande" e/o "questioni" di merito pur se non idonee alla definizione del giudizio.

Massime relative all'art. 277 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 10242/2021

Ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte dalle parti stesse, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 21/03/2016).

Cass. civ. n. 28467/2013

Nel caso di cumulo di domande a seguito di riunione di cause, la sentenza che decida solo alcune di esse, disponendo l'ulteriore istruzione in ordine alle altre, ha natura di sentenza non definitiva ove manchi una pronuncia sulle spese o non sia stato adottato un formale provvedimento di separazione dei giudizi. (Rigetta, App. Messina, 07/02/2007).

Cass. civ. n. 9441/2011

In tema di impugnazioni, nella ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerare non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ai sensi dell'art. 279, secondo comma, n. 5), cod. proc. civ., e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. Tale criterio formale di identificazione è applicabile anche per le pronunce declinatorie della giurisdizione, poichè vale a fondare l'affidamento della parte nella possibilità che, ricorrendo tali condizioni, la sentenza sia suscettibile di riserva di impugnazione differita.

Cass. civ. n. 6993/2011

In tema d'impugnazioni, nell'ipotesi di cumulo oggettivo di cause per connessione propria (art. 34, 36 cod. proc. civ.) o per effetto di riunione dei processi ai sensi dell'artt. 40 e 274 cod. proc. civ., il giudice può scegliere tra una pronuncia non definitiva su una singola domanda e una sentenza definitiva parziale. Quest'ultima opzione deve essere resa manifesta da un esplicito provvedimento di separazione o dalla statuizione sulle spese in ordine alla controversia decisa. Invece, nell'ipotesi di cumulo litisconsortile (artt. 103, 105, 106 e 107 cod. proc. civ.), la sentenza che definisca integralmente la controversia in ordine ad uno dei litisconsorti od intervenienti o chiamati in causa deve sempre ritenersi definitiva e contenere una pronuncia sulle spese e un provvedimento di separazione dei restanti giudizi. Nell'ipotesi, infine, di cumulo solo oggettivo di cause tra le stesse parti, che non presentino alcun nesso di dipendenza, subordinazione o pregiudizialità e, conseguentemente, possano dar luogo ad una pronuncia parziale definitiva, è operante la disciplina della scelta tra l'impugnazione immediata e la riserva d'impugnazione differita. (Rigetta, Trib. Viterbo, 17/12/2004).

Cass. civ. n. 9614/2010

La sentenza non definitiva di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che il tribunale è tenuto a pronunciare d'ufficio quando la causa sia, sul punto, matura per la decisione, ed alla quale faccia seguito la prosecuzione del giudizio per le altre statuizioni, costituisce uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che non determina un'arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole, sia perchè è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 898 del 1970, peraltro modificabili e revocabili dal giudice istruttore al mutare delle circostanze, sia per l'effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell'assegno di divorzio. Pertanto, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 9, della legge n. 898 del 1970 (nel testo sostituito dell'art. 8, della legge n. 74 del 1987), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost. (Rigetta, App. Roma, 11/07/2007).

Cass. civ. n. 16135/2009

L'ordinamento processuale ammette sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, sempre che la circostanza tenuta presente sia tale per cui la sua configurazione non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione. Ne consegue che nello stesso giudizio nel quale il danneggiato propone domanda risarcitoria contro il danneggiante ed il suo assicuratore è ammessa la domanda di rivalsa proposta da quest'ultimo nei confronti del proprio assicurato per l'ipotesi in cui sia condannato al pagamento in favore del danneggiato.

Cass. civ. n. 6882/2009

Nel caso in cui vengano proposte domande che si pongono in rapporto di pregiudizialità logica tra loro (come, nella specie, la domanda di accertamento dell'illegittimità del recesso per giusta causa del preponente dal rapporto di agenzia e quelle di risarcimento dei danni conseguenti al ricorso illegittimo) e il giudice ritenga di decidere con sentenza non definitiva la domanda logicamente pregiudiziale, accogliendola, senza dire nulla in ordine alla domanda logicamente consequenziale, ma impartendo le prescrizioni per la determinazione del "quantum" dovuto all'attore, nel successivo giudizio per la quantificazione non è precluso l'accertamento della fondatezza o meno delle domande consequenziali.

Cass. civ. n. 26687/2005

L'ordinamento processuale vigente conosce, oltre che le sentenze definitive di accoglimento o di rigetto, anche le sentenze di inammissibilità e di improcedibilità. Qualora il giudice del merito dichiari, nel dispositivo di una sentenza, improcedibile, piuttosto che inammissibile, la domanda, incorre in un errore meramente formale, risolvendosi la diversità terminologica adottata in una improprietà nell'uso dei termini, che non dà luogo ad una contraddizione logica della sentenza.

Cass. civ. n. 5068/2001

È inammissibile l'impugnazione avverso il capo di sentenza con il quale si sospende di decidere su alcuna delle domande sino all'esito dell'istruttoria decisa con separata ordinanza, giacché questa non è idonea a pregiudicare, rispetto alla questione riservata, l'esito della causa, potendo essere riesaminata dallo stesso giudice che la ha emessa e, dato il carattere ordinatorio di detto provvedimento, l'eventuale illegittimità di esso potrà essere dedotta come motivo d'impugnazione avverso la sentenza di accoglimento della domanda in ordine alla quale era stata disposta l'istruttoria.

Cass. civ. n. 4979/2001

Poiché il nostro ordinamento ammette la possibilità d'una condanna condizionata, è consentito al proprietario di un fondo rustico agire in giudizio, ex art. 46 legge 203 del 1982, per l'accertamento della data di cessazione dell'affitto, a nulla rilevando che l'affittuario non abbia fino a quel momento sollevato eccezioni in merito.

Cass. civ. n. 14393/1999

L'esatto contenuto della pronuncia giurisdizionale va individuato non alla stregua del solo dispositivo, ma integrando il dispositivo con la motivazione, nella parte in cui questa rivela una effettiva volontà del giudice.

Cass. civ. n. 4821/1999

Nel vigente sistema processuale il frazionamento della decisione comporta l'esaurimento dei poteri decisori per la parte della controversia definita con la sentenza interlocutoria, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio non può riguardare altro che le questioni non coperte dalla prima pronuncia. Ciò significa che il giudice che ha emesso una sentenza non definitiva - anche se non passata in giudicato - resta da questa vincolato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé in ordine sia alle questioni definite sia per quelle da queste dipendenti che debbano essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronunzia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata (la quale rappresenta l'unico strumento per sottoporre a riesame le statuizioni contenute in una sentenza non definitiva).

Cass. civ. n. 1642/1999

Nel nostro ordinamento sono ammesse, in omaggio al criterio della economia dei giudizi, le cosiddette sentenze condizionate, nelle quali l'efficacia della condanna è subordinata al sopraggiungere di un determinato evento futuro ed incerto, o di un termine prestabilito o di una controprestazione specifica, sempre che il verificarsi della circostanza tenuta presente non debba essere controllato da altri accertamenti di merito in un ulteriore giudizio di cognizione, ma possa essere semplicemente fatto valere in sede esecutiva mediante opposizione all'esecuzione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza che aveva condannato i convenuti al pagamento delle somme che gli attori sarebbero stati tenuti a versare all'amministrazione doganale a seguito di un diverso giudizio pendente).

Cass. civ. n. 6471/1997

Sebbene, di norma, la pronunzia giurisdizionale sul merito debba essere unica e tale da definire il giudizio con un unica sentenza, quando il giudice riconosca che la sollecitata definizione di una parte della domanda o di alcuni capi dell'unica domanda sia di apprezzabile interesse per le parti può derogare al principio generale di concentrazione della decisione in un unica sentenza, restando escluso che ove vi deroghi in mancanza della richiesta delle parti prevista dall'art. 277 c.p.c. la sentenza risulti affetta da nullità, attesa l'assenza di una previsione di legge in tal senso e non configurandosi violazione di principi di ordine pubblico o di finalità essenziali del processo.

Cass. civ. n. 6329/1996

Nell'ordinamento processuale vigente sono ammesse sentenze nelle quali l'efficacia della condanna è subordinata al verificarsi di determinati eventi futuri ed incerti o al sopravvenire di un termine o al preventivo adempimento di una controprestazione, in quanto con esse non si pronuncia una condanna da valere per il futuro, se ed in quanto sia giudizialmente accertato il verificarsi di un evento, ma si accerta l'esistenza attuale dell'obbligo di eseguire una determinata prestazione ed il condizionamento, parimenti attuale, di tale obbligo al verificarsi di una circostanza ulteriore, il cui avveramento si presenta differito ed incerto, ma sempre che ciò non richieda altra indagine, diversa da quella circa l'avvenuta verificazione o meno della circostanza anzidetta.

Cass. civ. n. 19/1996

Il capo di una sentenza con il quale il giudice, sul presupposto della sussistenza di plurime domande (o di questioni di merito) talune delle quali, a suo giudizio, non immediatamente definibili, disponga, con riferimento a queste ultime, la prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione, come consentito dagli artt. 277 e 194 c.p.c., si risolve in una situazione che ha, per ratio decidendum, la mera affermazione dell'esigenza dell'ulteriore istruzione e, per contenuto, da un canto, il rinvio della decisione sulla domanda all'esito di detta istruttoria e, dall'altro, l'ordine di prosecuzione del processo ai fini dell'espletamento dell'istruttoria e della pronuncia definitiva. Ne discende che, avendo quel capo e la relativa pronuncia natura meramente ordinatoria ed istruttoria, le affermazioni sulle quali detto provvedimento si forma non possono impegnare la decisione della causa o costituire preclusioni in sede di sentenza, né sono suscettibili di impugnazione in una con la sentenza che abbia deciso sulle altre domande o sulle altre questioni.

Cass. civ. n. 9207/1991

L'uso della facoltà — conferita al giudice del merito dall'art. 277 c.p.c. — di pronunziare, quando ritenga necessaria ulteriore istruzione, una sentenza limitata a quella parte del thema decidendum che di tale istruzione non abbia bisogno, ha carattere discrezionale e, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 546/1985

Il giudice che abbia deliberato una sentenza non definitiva, anche se non passata in giudicato, resta da questa vincolato, agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé, in ordine alle questioni definite e a quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronuncia (salvo il caso in cui questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato emanata a seguito di impugnazione immediata); ne consegue che pronunciata sentenza non definitiva, il giudice non può con successiva sentenza non definitiva dichiarare la nullità della prima (nella specie, per difetto d'integrità del contraddittorio), né può, per essere venuta meno la causa della nullità (nella specie: con l'intervento volontario della parte pretermessa), con la medesima o con la sentenza definitiva validamente decidere le questioni già risolte con quella sentenza.

Cass. civ. n. 3946/1982

La sentenza non definitiva mentre fa stato sul decisum, in quanto preclude al giudice che l'ha emessa il riesame delle medesime questioni che hanno formato oggetto della pronuncia, non può comportare un giudicato, né una preclusione in ordine al criterio o al metodo di indagine della controversia con essa enunciato restando il giudice libero d'esaminarla secondo i principi di diritto.

Cass. civ. n. 1756/1967

Le pronunce di accertamento giudiziali si distinguono in sentenze dichiarative e sentenze costitutive. Le prime dichiarano la volontà della legge rispetto alla fattispecie concreta con funzione di mero accertamento e, per la loro stessa natura, retroagiscono, nei loro effetti, al momento rispetto al quale è richiesto dalle parti l'accertamento della concreta volontà di legge (data della domanda giudiziale o momento anteriore) ed hanno, quindi, efficacia ex tunc. Le seconde, pur avendo un'identica funzione dichiarativa, mirano allo scopo ulteriore di creare uno status giuridico dapprima inesistente e, pertanto, avendo effetti costitutivi, operano ex nunc, in quanto servono esse stesse come titolo o causa per il sorgere di nuove situazioni giuridiche, che da loro prendono vita, e solo eccezionalmente, per il particolare carattere delle azioni che le determinano (annullamento, risoluzione contrattuale) hanno efficacia ex tunc, come le sentenze dichiarative. La sentenza che pronuncia la cessazione della proroga legale (nella specie, per morte del professionista, conduttore d'immobile adibito a studio legale) ha natura di sentenza dichiarativa, in quanto accerta il sussistere delle condizioni dalle quali la legge fa dipendere il venir meno del diritto alla continuazione del rapporto, senza determinare alcuna nuova situazione, a cui consegua l'effetto suddetto. Peraltro, la cessazione della proroga legale, sebbene determinata dal verificarsi di condizioni stabilite dalla legge, non opera automaticamente, giacché occorre che il locatore se ne avvalga proponendo nei confronti del conduttore la relativa istanza, cosicché la sentenza retroagisce al momento della domanda giudiziale.

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