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Articolo 246 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Incapacità a testimoniare

Dispositivo dell'art. 246 Codice di procedura civile

Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse (1) che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio [100, 105 c.p.c.] (2) (3) (4).

Note

(1) Il breve articolo 246 condensa il principio di incompatibilità tra la posizione di parte (anche solo potenziale) e di testimone. L'interesse in causa di cui parla la norma è infatti ritenuto coincidente con quello di cui all'art. 100, che costituisce una delle condizioni determinanti la c.d. ipotetica accoglibilità della domanda.
L'interesse che impedisce la testimonianza deve essere personale, concreto ed attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante intervento principale, adesivo autonomo o adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105.
Si esclude, invece, l'applicabilità della norma nei confronti di coloro che nella causa abbiano un interesse di mero fatto, situazione che si verifica, ad esempio, quando la persona chiamata a testimoniare sia parte di una autonoma controversia in merito a questioni analoghe a quelle oggetto del processo in cui si vuole sia sentita. Per logica, la norma non si applica alle ipotesi in cui il teste sia a sua volta parte in una causa connessa e riunibile con quella nella quale deve deporre (artt. 40 e 274), ma la riunione non sia avvenuta.
(2) La valutazione in ordine alla sussistenza dell'interesse del terzo è lasciata al discrezionale apprezzamento del giudice e, se adeguatamente motivata, non può essere sindacata in sede di legittimità.
(3) La testimonianza resa dall'incapace è nulla: secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, si tratterebbe di nullità non rilevabile d'ufficio dal giudice, essendo necessaria l'eccezione proveniente dalla parte contro la quale la prova è diretta (in sede di assunzione) oppure nella prima istanza o difesa a questa successiva (se la parte non sia stata presente all'assunzione). In mancanza dell'eccezione di parte, la nullità è sanata definitivamente per acquiescenza.
In grado di appello, l'eccezione non può essere dedotta per la prima volta a causa del divieto del c.d. ius novorum; se venne tempestivamente sollevata in primo grado e non fu accolta, dovrà essere specificamente riproposta in appello.
In ogni caso, il giudice potrà a sua discrezione valutare come inattendibile la deposizione resa dal testimone incapace.
(4) In materia di fallimento, la giurisprudenza esclude che il fallito possa testimoniare nelle cause promosse nell'interesse del fallimento o contro di esso.
Sono altresì considerati incapaci di testimoniare il venditore di un bene nella causa che pende tra il compratore e un terzo che vanti diritti prevalenti sul bene oggetto di compravendita e il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro nel giudizio relativo alla responsabilità del proprietario del mezzo.

Ratio Legis

Nemo testis in causa propria: così i latini esprimevano il principio dell'incompatibilità tra la posizione processuale di parte (attuale o potenziale) e quella di testimone, principio sancito dall'articolo in commento. Il divieto di testimoniare si estende anche a colui che agisce in giudizio in sostituzione della parte priva di legittimazione processuale, come il tutore dell'interdetto (art. 75 del c.p.c.).

Brocardi

Nemo testis in causa propria
Nullus idoneus testis in re sua intelligitur
Qui testamento heres instituitur, in eodem testamento testis esse non potest

Spiegazione dell'art. 246 Codice di procedura civile

L'art. 246 vieta di assumere come testimoni le persone che hanno nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio; il mancato rispetto di tale divieto comporterà la nullità relativa delle testimonianze rese da costoro, e ciò ai sensi del secondo comma dell’art. 157 del c.p.c. (è discusso se tale norma individui una vera e propria forma di incapacità ovvero sancisca una carenza di legittimazione a deporre).

E’ questo l’unico limite soggettivo alla testimonianza, considerato che le altre norme derogatrici all'obbligo generale di rendere testimonianza (ovvero, l'art. 247 del c.p.c., relativo al divieto di testimoniare del coniuge e dei parenti, e l'art. 248 del c.p.c. relativo all'audizione dei minori di quattordici anni) sono stati dichiarati incostituzionali.

Viene, dunque, offerto al giudice ed alle parti un criterio sulla base del quale decidere subito se un teste è attendibile o meno (al di là della valutazione che può sempre essere fatta successivamente in ordine alla stessa attendibilità), criterio che si può racchiudere nel brocardo nullus idoneus testis in re sua intelligitur.
L'interesse che determina l’incapacità deve essere valutato in concreto, facendo riferimento allo specifico oggetto della pretesa dedotta in giudizio, quale risultante dal contenuto delle domande e delle eccezioni ed indipendentemente dal loro fondamento (ciò significa che l'incapacità deve essere stabilita sulla base del thema decidendum proposto dalle parti, e non del decisum ed indipendentemente dal contenuto della deposizione resa dal teste).

Inoltre, il giudizio sulla capacità del teste deve essere effettuato facendo riferimento al momento in cui la deposizione viene resa, non potendo assumere alcuna rilevanza il fatto che, successivamente, il teste sia divenuto parte (ad esempio per successione mortis causa alla parte originaria).

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l'interesse che determina l'incapacità a testimoniare ha carattere personale, concreto ed attuale, non potendo valere a privare il terzo della capacità di testimoniare un interesse di mero fatto.
In particolare si ritiene che tale interesse si identifichi con quello a proporre la domanda od a contraddirvi di cui all'art. 100 del c.p.c., sussistente in capo al soggetto titolare di un diritto che lo legittimerebbe a partecipare al giudizio in una qualsiasi veste.

Il divieto previsto dall'art. 246 non opera quando il testimone sia parte in una causa connessa, mentre diventa operativo nel momento in cui il giudice ne disponga la riunione.

Va ricordato che si deve distinguere tra incapacità a testimoniare del terzo e inattendibilità della testimonianza: la prima attiene alla sussistenza, in capo al terzo, di un interesse atto a renderlo "potenzialmente" parte; la seconda riguarda, invece, la veridicità della testimonianza che deve essere liberamente valutata dal giudice, mediante il ricorso a parametri soggettivi e oggettivi.

Per quanto concerne il campo di applicazione della norma, deve innanzitutto osservarsi che sono esclusi dalla prova testimoniale i soggetti dotati di legittimazione processuale, che stanno in giudizio in luogo della parte priva di capacità processuale, ovvero della parte capace che conferisce loro volontariamente tale potere (è il caso del rappresentante della persona fisica).
Allo stesso modo, non può essere chiamata a testimoniare la parte che non partecipa al giudizio personalmente, ma attraverso il suo rappresentante.

Con specifico riferimento alle persone giuridiche, la giurisprudenza prevalente considera incapace a testimoniare il rappresentante legale di una società, poiché collegato alla persona giuridica che rappresenta in virtù di un rapporto di immedesimazione organica e, dunque, qualificabile come parte.

Circa la capacità a testimoniare dei soci nel caso di liti che coinvolgono la società, si afferma in giurisprudenza che occorre distinguere tra società dotate di personalità giuridica e non.
Così, mentre i soci delle società dotate di personalità giuridica devono ritenersi ammessi a rendere testimonianza, in considerazione dell'autonomia patrimoniale che caratterizza la persona giuridica (atta ad escludere la responsabilità personale dei soci medesimi e, di conseguenza, la sussistenza in capo a loro di un interesse concreto all'esito della controversia), nel caso di socio di una società non dotata di personalità giuridica (ovvero di un'associazione non riconosciuta), questi deve ritenersi incapace a testimoniare perché, sostanzialmente, parte in causa.

Come prima accennato, la testimonianza resa dal teste incapace determina un'ipotesi di nullità relativa, come tale disciplinata dal secondo comma dell’art. 157 del c.p.c., sanabile se non viene fatta valere dal soggetto interessato nel momento immediatamente successivo all'assunzione della prova costituenda; si tratta di nullità relativa, in quanto stabilita dalla legge a tutela degli interessi delle parti e non per motivi di ordine pubblico.

Secondo la giurisprudenza la sanatoria della nullità, riconosciuta per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 246 e 157 comma 2 c.p.c., la quale si realizza nel momento in cui la parte decade dalla facoltà di eccepire l'incapacità del teste, risponde ad un principio di ordine pubblico, ossia quello di soddisfare le esigenze di celerità del processo, non potendo gli atti essere passibili di caducazione per un periodo di tempo illimitato.

Solo una tesi isolata preferisce qualificare come inefficaci le deposizioni assunte in spregio al divieto di cui all'art. 246, tali da non poter essere utilizzate dal giudice ai fini della decisione.

Massime relative all'art. 246 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 18121/2021

In tema di intermediazione mobiliare, non importa incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. per i dipendenti dell'intermediario la circostanza che quest'ultimo, evocato in giudizio da un risparmiatore, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell'operazione che ha dato origine alla controversia, poiché le due cause, anche se proposte nello stesso giudizio, si fondano su rapporti diversi ed i dipendenti hanno un interesse solo riflesso ad una determinata soluzione della causa principale, che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal risparmiatore, in quanto l'esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi pregiudizio. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 09/09/2015).

Cass. civ. n. 8528/2020

In tema di deposizione testimoniale, l'eccezione di incapacità a deporre, sollevata - nel rispetto della previsione di cui all'art. 157, comma 2, c.p.c. - all'esito dell'escussione del testimone, deve intendersi come idonea proposizione di un'eccezione di nullità della prova assunta. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 16/01/2018).

Cass. civ. n. 21239/2019

La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell'art. 246 c. p. c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità.

Cass. civ. n. 19121/2019

Nei giudizi sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale, il terzo trasportato è incapace a deporre, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., quando abbia riportato danni in conseguenza del sinistro.

Cass. civ. n. 19498/2018

Il principio di inconciliabilità della veste di testimone con quella di parte, enunciato con riferimento alle persone fisiche, ha un portata minore per quel che concerne le persone giuridiche; conseguentemente, ferma restando l'incapacità a testimoniare della persona fisica che per statuto abbia la rappresentanza legale della società, la relativa eccezione di nullità della testimonianza deve essere proposta al più tardi dopo la sua assunzione o all'udienza successiva, in caso di mancata presenza del procuratore della parte interessata. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza perché il giudice del merito aveva dedotto d'ufficio l'incapacità a testimoniare del rappresentante legale della società senza la necessaria e tempestiva eccezione della controparte).

Cass. civ. n. 13212/2016

Il promotore finanziario che abbia agito quale mandatario senza rappresentanza di un intermediario finanziario, e non abbia mai intrattenuto rapporti con lo stesso, non è incapace a deporre, ex art. 246 c.p.c., nel giudizio intrapreso dall'investitore nei confronti dell'intermediario medesimo, non avendo un interesse attuale e concreto all'esito di tale giudizio, stante la distinta responsabilità del promotore e del soggetto abilitato per le eventuali violazioni dei propri doveri di comportamento.

Cass. civ. n. 19215/2015

La valutazione sull'attendibilità di un testimone ha ad oggetto il contenuto della dichiarazione resa e non può essere aprioristica e per categorie di soggetti, al fine di escluderne "ex ante" la capacità a testimoniare. (Nella specie, la S.C. ha censurato la decisione della Corte di merito - confermativa di quella del giudice di prime cure - di non ammettere la dedotta prova testimoniale in ragione della ritenuta inattendibilità, "ab origine", degli indicati testimoni, perché residenti stabilmente nell'immobile oggetto del contratto di locazione "sub iudice").

Cass. civ. n. 17199/2015

I singoli condòmini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio (nella specie, per il risarcimento dei danni derivanti da una caduta sul pianerottolo condominiale) poiché l'eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.

Cass. civ. n. 8462/2014

Non importa incapacità a testimoniare (art. 246 cod. proc. civ.) per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell'operazione che ha dato origine alla controversia. Infatti, le due cause, anche se proposte nello stesso giudizio, si fondano su rapporti diversi ed i dipendenti hanno un interesse solo riflesso ad una determinata soluzione della causa principale, che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l'esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi pregiudizio.

Cass. civ. n. 21670/2013

La nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, secondo comma, c.p.c.; qualora detta eccezione venga respinta, l'interessato ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Cass. civ. n. 9188/2013

Il socio di società di capitali non è incapace a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., nel giudizio promosso dalla medesima società nei confronti del proprio amministratore e di un terzo per l'annullamento di un contratto che si assume stipulato dall'amministratore in conflitto di interessi con la società da lui rappresentata, vantando lo stesso socio un interesse di mero fatto in relazione all'attività negoziale imputabile alla società, tale da escluderne la legittimazione a partecipare a detto giudizio, ed essendo diversa l'intrapresa azione di annullamento dall'azione risarcitoria individuale, a norma dell'art. 2395 c.c., spettante al singolo socio direttamente danneggiato dalla condotta dell'amministratore.

Cass. civ. n. 4619/2013

L'aver reso testimonianza in un precedente grado del giudizio non impedisce al testimone di assumere la rappresentanza di una parte nel grado successivo, in quanto, salva la valutazione circa l'attendibilità del testimone medesimo, la procura non conferisce a quest'ultimo la qualità di parte sostanziale del processo, ma solo quella di rappresentante processuale.

Cass. civ. n. 2075/2013

L'incapacità a testimoniare deve essere eccepita dalla parte interessata nell'immediatezza dell'assunzione della prova, non trattandosi di nullità rilevabile d'ufficio, sicché essa non può essere denunciata, per la prima volta, in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 16541/2012

La vittima di un sinistro stradale è incapace ex art. 246 c.p.c. a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando né che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto.

Cass. civ. n. 14987/2012

In tema di prova per testimoni, l'amministratore di una società è incapace a testimoniare soltanto nel processo in cui rappresenti la società medesima, non potendo assumere contemporaneamente la posizione di parte e di teste, ovvero se nella causa abbia un interesse attuale e concreto, che potrebbe legittimarne la partecipazione al giudizio, e non già meramente ipotetico, quale quello relativo ad una sua eventuale responsabilità verso la società.

Cass. civ. n. 9353/2012

L'incapacità a deporre prevista dall'art 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., sì da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del giudizio stesso - salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell'attendibilità del teste -, né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio. Ne consegue che il procacciatore di affari non è incapace a testimoniare nella controversia relativa al pagamento del corrispettivo della fornitura di merci, non coinvolgendo la stessa il diritto del teste a percepire la provvigione per aver prestato la sua opera ai fini della conclusione del contratto dedotto in lite, atteso che il rapporto che lo lega ad una o ad entrambe le parti integra unicamente un elemento per la valutazione della sua attendibilità.

Cass. civ. n. 16499/2011

Colui che, a norma dell'art. 246 c.p.c., è incapace a testimoniare in un determinato giudizio perché titolare di un interesse che potrebbe legittimarlo a partecipare al giudizio medesimo, non riacquista la suddetta capacità per l'intervento di un fatto estintivo del diritto che egli potrebbe far valere, giacché l'incapacità a testimoniare deve essere valutata prescindendo da vicende che costituiscono un "posterius" rispetto alla configurabilità dell'interesse a partecipare al giudizio che la determina. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che, in controversia per la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, aveva ritenuto capace a deporre il testimone rivendicante la proprietà del denaro versato in un conto estero ed asseritamente utilizzato dal convenuto per il pagamento del prezzo della compravendita, valorizzando, erroneamente, la circostanza che l'anzidetto testimone era stato soddisfatto nelle sue pretese creditorie).

Cass. civ. n. 3051/2011

Nel giudizio tra l'ente previdenziale ed il datore di lavoro, avente ad oggetto il pagamento di contributi previdenziali che si assumono evasi, non è incapace a testimoniare il lavoratore i cui contributi non siano stati versati (fattispecie in cui il lavoratore aveva già transatto la propria lite col datore di lavoro).

Cass. civ. n. 16151/2010

Se, in linea di principio, sussiste incompatibilità tra l'esercizio contestuale, in capo allo stesso soggetto, delle funzioni di difensore e di quelle di testimone nell'ambito del medesimo giudizio, tale incompatibilità (salva la rilevanza della condotta sul piano delle regole deontologiche) non si configura nell'ipotesi in cui un difensore, che abbia reso testimonianza in un processo, in una fase in cui non svolgeva il suo ruolo di difensore costituito, abbia assunto la veste di difensore successivamente all'assunzione della sua testimonianza (come, nel caso di specie, in cui detta qualità era stata assunta in grado di appello), così come non si prospetta nel caso opposto, ovvero quando un difensore, cessata la sua funzione, assuma la qualità di testimone nello stesso processo.

Cass. civ. n. 15712/2010

In tema di prova testimoniale, non sono invalide le dichiarazioni rese da un teste capace ed aventi ad oggetto fatti riferiti al medesimo da altro teste precedentemente dichiarato incapace, non potendo configurarsi una sorta di sopravvenuta incapacità riflessa del teste capace, ma dovendo il giudice apprezzare con particolare severità la verità intrinseca di tali fatti, soprattutto se favorevoli all'incapace.

Cass. civ. n. 11314/2010

L'incapacità a testimoniare di cui all'art. 246 c.p.c. è correlabile soltanto ad un diretto coinvolgimento della persona chiamata a deporre nel rapporto controverso, tale da legittimare una sua assunzione della qualità di parte in senso sostanziale o processuale nel giudizio, e non già alla ravvisata sussistenza di un qualche interesse di detta persona in relazione a situazioni ed a rapporti diversi da quello oggetto della vertenza, anche in qualche modo connessi. Ne consegue che, in un giudizio relativo alla titolarità di una quota di società di persone, gli altri soci della medesima non sono incapaci a deporre, perché l'esito della causa non è destinato in alcun modo a riflettersi sul loro patrimonio o sulla loro sfera giuridica individuale; né il loro eventuale interesse al modo in cui la compagine sociale è formata, allorché la libera trasferibilità delle quote non sia in discussione, ne giustificherebbe la personale partecipazione al giudizio.

Cass. civ. n. 988/2010

Nel caso di regime di comunione di beni fra i coniugi, qualora sia promossa una controversia da parte di uno di essi per l'attribuzione di un bene destinato ad incrementare il patrimonio comune, l'altro coniuge, pur non avendo la qualità di litisconsorte necessario, si trova in una condizione di incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., stante la sua facoltà di intervenire nel processo. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata resa all'esito di un giudizio, in cui era stato illegittimamente ammesso a testimoniare il coniuge dell'originario attore, avente ad oggetto la domanda di restituzione di somma data in mutuo, versata al mutuatario con provvista tratta dal conto corrente bancario cointestato ai coniugi ed il cui titolo del versamento era stato contestato dalla controparte).

Cass. civ. n. 23054/2009

La nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, secondo comma, c.p.c.; qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Cass. civ. n. 22030/2008

Il giudizio sulla capacità del teste deve essere effettuato con riferimento al momento in cui la deposizione viene resa, restando irrilevante che, successivamente, il teste medesimo sia divenuto parte per successione "mortis causa" alla parte originaria.

Cass. civ. n. 20731/2007

Il collega di lavoro del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare per fatto addebitato ad entrambi in concorso non è titolare di interesse, neppure ad adiuvandum che possa legittimare la sua partecipazione al giudizio nel quale il dipendente impugni la sanzione disciplinare irrogatagli, avendo tale giudizio oggetto necessariamente limitato a tale sanzione; ne consegue che la deposizione testimoniale dello stesso è ammissibile e non può essere esclusa a priori restando peraltro attribuita al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se correttamente motivata, di verificare in concreto l'attendibilità della deposizione testimoniale del collega di lavoro.

Cass. civ. n. 10545/2007

Il lavoratore subordinato è incapace a testimoniare nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, nei casi in cui l'addebito che ha dato luogo alla sanzione attenga ad elementi del rapporto di lavoro di chi depone come teste, non potendo escludersi a priori l'esistenza di un interesse che legittimi la partecipazione al giudizio (principio affermato in controversia in cui il lavoratore aveva sottoscritto, in data antecedente alla deposizione testimoniale, verbale di conciliazione della causa proposta contro il datore di lavoro, per cui ogni possibilità di riconoscimento della maggior durata del rapporto di lavoro gli era ormai preclusa dall'intervenuta conciliazione giudiziale, con la conseguenza della mancanza di interesse a deporre in tal senso nel giudizio di opposizione).

Cass. civ. n. 11377/2006

L'incapacità a testimoniare, prevista dall'articolo 246 c.p.c., che si identifica con l'interesse a proporre la domanda o a contraddirvi di cui all'articolo 100 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'articolo 157, secondo comma, c.p.c. Qualora, per difetto di eccezione o per rigetto della medesima, la testimonianza resti validamente acquisita al processo, non resta tuttavia escluso il potere del giudice di procedere alla valutazione della deposizione, sotto il profilo dell'attendibilità del testimone, tenendo conto anche della situazione potenzialmente produttiva di incapacità.

Cass. civ. n. 11034/2006

L'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con l'interesse di mero fatto, che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest'ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa. Nè l'eventuale riunione delle cause connesse (per identità di questioni) può far insorgere l'incapacità delle rispettive parti a rendersi reciproca testimonianza, potendo tale situazione soltanto incidere sull'attendibilità delle relative deposizioni.

Cass. civ. n. 1101/2006

L'interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello - giuridico, personale e concreto - che comporterebbe, in ipotesi, la legittimazione del teste alla proposizione dell'azione ovvero all'intervento o alla chiamata in causa. Il relativo giudizio sulla sussistenza o meno di detta incapacità a testimoniare è rimesso - così come quello inerente all'attendibilità dei testi e alla rilevanza delle deposizioni - al giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 14587/2004

La nullità della deposizione testimoniale resa da persona incapace deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, anche quando l'incapacità sia stata eccepita prima dell'assunzione, atteso che le disposizioni limitative della capacità dei testi a deporre, non costituendo norme di ordine pubblico, sono dettate nell'esclusivo interesse delle parti che possono pertanto del tutto legittimamente rinunciare anche tacitamente alla relativa eccezione, facendo acquiescenza al provvedimento di rigetto dell'eccezione come nel caso in cui la stessa non sia riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.

Cass. civ. n. 13068/2004

La parte civile può legittimamente rendere testimonianza nel processo penale, non esistendo all'interno del processo penale una norma come l'art. 246 c.p.c., e tale testimonianza può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice, che può fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa; tale testimonianza conserva il suo valore anche quando, con l'accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, il solo processo civile prosegua dinanzi al giudice di rinvio, ex art. 622 c.p.p., giacché in tal caso continuano ad applicarsi, in parte qua, le regole proprie del processo penale e la deposizione giurata della parte civile, ormai definitivamente acquisita, deve essere esaminata dal giudice di rinvio esattamente come avrebbe dovuto esaminarla il giudice penale se le due azioni non si fossero occasionalmente separate.

Cass. civ. n. 11083/2004

Non sussiste incapacità del fallito a testimoniare nel giudizio di revocatoria fallimentare, non essendo egli titolare di un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale che lo abiliti a partecipare al giudizio stesso (art. 246 c.p.c.), né rientrando, in difetto di espressa previsione normativa, la incapacità a testimoniare tra quelle personali ex artt. 50 e 142 legge fall., né, infine, trovando la testimonianza del fallito alcun impedimento negli artt. 43 e 118 legge cit.

Cass. civ. n. 9061/2004

L'eccezione di incapacità a testimoniare deve essere sollevata in sede di assunzione della prova, o nella prima difesa successiva, o al più tardi dal momento della acquisita conoscenza della nullità stessa ove successiva, restando, in difetto, tale nullità sanata dalla acquiescenza della parte che aveva interesse a farla valere; ai fini della tempestività dell'eccezione non è sufficiente affermare la tardività della conoscenza della nullità, ma è necessario specificare le circostanze della avvenuta tardiva conoscenza. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tale principio, laddove aveva ritenuto tardiva l'eccezione di incapacità a testimoniare di alcuni condomini in una causa relativa all'esistenza o meno di un rapporto di portierato, essendo stato genericamente affermato che la conoscenza della qualità di condomini dei testi era intervenuta solo tempo dopo la loro escussione).

Cass. civ. n. 3956/2003

Ove la capacità a deporre del teste non possa essere messa in discussione per non essere state la relativa questione tempestivamente sollevata, il giudice del merito non è esonerato dal potere-dovere di esaminare l'intrinseca attendibilità di detto testimone, specialmente in caso di contrasto tra le risultanze di prove diverse, e legittimamente può tener conto dell'interesse del teste all'esito del giudizio, anche là dove tale interesse non sia formalmente tale da legittimare la sua partecipazione al giudizio.

Cass. civ. n. 1840/2003

Qualora il giudice abbia respinto con ordinanza l'eccezione di incapacità a testimoniare tempestivamente sollevata, essa deve essere nuovamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca del provvedimento emesso; in caso contrario, l'eccezione deve intendersi rinunciata e la sentenza di merito non può essere impugnata per carenza di motivazione sul punto.

Cass. civ. n. 9553/2002

In tema di incapacità a testimoniare, la sanatoria, prevista dall'art. 157, comma secondo, c.p.c., della nullità della deposizione resa da teste incapace, per decadenza della parte interessata dalla facoltà di eccepire il vizio, risponde a un principio di ordine pubblico, rappresentato dall'esigenza di speditezza del procedimento, i cui atti non possono restare esposti ad eccezioni di nullità per un periodo di tempo indefinito. Ne consegue che la decadenza della parte dalla eccezione di nullità e la corrispondente sanatoria della nullità dell'atto sono rilevabili di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (salva la preclusione da giudicato) e possono, quindi, essere prospettate per la prima volta anche nel giudizio di legittimità.

Cass. civ. n. 12634/1999

Le disposizioni che comminano la nullità delle deposizioni testimoniali assunte in violazione del divieto di cui agli artt. 246 e 247 c.p.c. sono dettate nell'esclusivo interesse delle parti, sicché le nullità ivi previste si considerano sanate sia se le parti stesse vi hanno dato causa, sia se non sono state tempestivamente dedotte subito dopo l'espletamento della prova, anche nell'ipotesi di preventiva eccezione di incapacità a testimoniare rispetto a testi comunque ammessi ed escussi, salvo il caso che il procuratore della parte non sia stato presente alla assunzione dei testi, potendo in tal caso lo stesso dedurre validamente la nullità “in limine” alla successiva udienza di trattazione.

Cass. civ. n. 8066/1999

Ai sensi dell'art. 246 c.p.c., l'incapacità a testimoniare conseguente alla incompatibile esistenza, in un soggetto, della qualità di parte, anche virtuale, e di testimone, può essere eccepita dalla parte interessata al momento dell'espletamento del mezzo di prova o nella prima difesa successiva, senza di che la nullità dell'assunzione deve ritenersi definitivamente sanata per acquiescenza.

Cass. civ. n. 9832/1998

L'interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare a norma dell'art. 246 c.p.c. è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione, ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio proposto da altri cointeressati. Ne consegue che la circostanza che penda una diversa (anche se, eventualmente, analoga) controversia tra un teste e taluna delle parti in causa, non vale a determinare la sussistenza di un interesse dello stesso teste - rilevante ai sensi del citato art. 246 c.p.c. - nella causa in cui viene escusso e non comporta quindi di per sé la sua incapacità a testimoniare o l'inutilizzabilità della testimonianza assunta.

Cass. civ. n. 7028/1998

Il giudice di merito, nel provvedere in ordine all'eccezione di incapacità di un testimone, che si deduca essere portatore di un interesse idoneo a legittimare la sua partecipazione al giudizio (nella specie, sulla base dell'allegazione di specifiche circostanze), non può limitarsi ad una motivazione apparente, consistente in una mera parafrasi del disposto dell'art. 246 c.p.c.

Cass. civ. n. 3432/1998

L'interesse a partecipare al giudizio previsto come causa d'incapacità a testimoniare dall'art. 246 c.p.c. si identifica con l'interesse a proporre la domanda e a contraddirvi previsto dall'art. 100 dello stesso codice, sicché deve ritenersi colpito da detta incapacità chiunque si presenti legittimato all'intervento in giudizio, senza che possa distinguersi tra legittimazione attiva e legittimazione passiva, tra legittimazione primaria e secondaria (intervento adesivo dipendente), tra intervento volontario e intervento su istanza di parte. In particolare, è incapace di testimoniare chi potrebbe, o sarebbe potuto, essere chiamato dall'attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, nonché il soggetto da cui il convenuto originario potrebbe, o avrebbe potuto, pretendere di essere garantito.

Cass. civ. n. 9126/1993

La capacità di testimoniare differisce dalla valutazione della attendibilità del teste operando su piani diversi, perché l'una, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite).

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Consulenze legali
relative all'articolo 246 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Sandro B. chiede
giovedì 30/08/2018 - Lazio
“salve,

chiedo una risposta a questa domanda (non riesco a trovare nulla in merito):

un testimone può partecipare, con delega dell'avvocato, alle operazioni peritali?

Specifico meglio:

in un processo civile per danni, causati dalle radici di un pino, il difensore degli attori ha nominato un testimone (parente degli attori e anch'egli avvocato) e successivamente detto testimone ha partecipato alle operazioni peritali del CTU, sui luoghi di causa, mediante delega dell'avvocato difensore.

tutto ciò è ammissibile? lo possiamo contestare?

grazie.

B. S.

Consulenza legale i 06/09/2018
Secondo quanto riferito nel quesito, nell’ambito di un procedimento civile uno stesso soggetto, esercente la professione di avvocato, avrebbe dapprima ricoperto l’ufficio di testimone (intimato da una parte processuale) e, successivamente, avrebbe preso parte alle operazioni peritali in qualità di sostituto del difensore della medesima parte.
Nonostante tale situazione possa sicuramente apparire anomala e suscitare dubbi circa la compatibilità tra i due ruoli, svolti dalla stessa persona in uno stesso processo - sia pure in momenti diversi -, non si rinvengono nel nostro ordinamento riferimenti normativi tali da escludere tale compatibilità.

Su una questione analoga si è, infatti, pronunciata anche in termini recenti la Corte di Cassazione; in particolare, con ordinanza n. 29301/2017, la VI Sezione della S.C. ha avuto modo di precisare che non sussiste incompatibilità tra l'ufficio di testimone e quello del difensore. Nel caso affrontato dalla Corte, il legale aveva rinunciato al mandato prima di deporre. Tuttavia, nell’ordinanza in esame si fa riferimento a principi che appaiono applicabili anche alla fattispecie oggetto del quesito. Infatti la S.C. richiama il condiviso orientamento giurisprudenziale in base al quale non sussiste l'incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di difensore e quelle di teste nell'ambito del medesimo giudizio se non nei termini della contestualità, per cui contemporaneamente il difensore non può anche essere testimone, mentre non vi è base normativa per sostenere che un difensore, che abbia reso testimonianza in un processo, in una fase in cui non svolgeva il suo ruolo di difensore costituito, non possa assumere la veste di difensore successivamente alla testimonianza resa (ovvero l'esatto contrario, e cioè che un difensore, cessata tale qualità, non possa assumere la qualità di testimone nello stesso processo).

E ancora: secondo Cass. civ. Sez. III, sent. 16151/2010, “il problema dei rapporti tra il ruolo del difensore e l'ufficio del testimone non si presta ad essere disciplinato in termini assoluti ed astratti all'interno del codice, così come è stato fatto per le figure del giudice e del pubblico ministero, ma attiene alla sfera della deontologia professionale. Dipende infatti dalle regole deontologiche se dovrà essere data la prevalenza all'ufficio di testimone o al ruolo di difensore, ovvero se la scelta dovrà essere lasciata al difensore. Rimane comunque fermo che, a differenza del carattere assoluto dell'incapacità del giudice o del pubblico ministero ad assumere la funzione di testimone, le funzioni di testimone e di difensore si pongono in un rapporto di incompatibilità alternativa [...]. Va, anzitutto affermato, in linea di principio che non sussiste un'incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di difensore e quelle di teste nell'ambito del medesimo giudizio, se non nei termini della contestualità, per cui contemporaneamente il difensore non può anche essere testimone. Invece non vi è una base normativa per sostenere che un difensore, che abbia reso testimonianza in un processo, in una fase in cui non svolgeva il suo ruolo di difensore costituito, non possa assumere la veste di difensore successivamente alla testimonianza resa, ovvero l'esatto contrario, e cioè che un difensore, cessata tale qualità, non possa assumere la qualità di testimone nello stesso processo”.

Nel nostro caso, peraltro, il soggetto che ha prestato la testimonianza non ha neppure ricevuto, successivamente alla deposizione, la procura quale difensore, ma si è limitato a fungere da sostituto processuale del titolare della difesa in una singola occasione.
In entrambe le pronunce, la S.C. ribadisce che il problema dei rapporti tra il ruolo del difensore e l'ufficio del testimone trova la sua naturale collocazione tra le regole deontologiche (profilo che in questa sede, non è possibile valutare).

Andrea D. V. chiede
venerdì 12/06/2015 - Veneto
“RE:VIOLAZIONE ALLA NORMATIVA VALUTARIA 195/2008.
sono titolare di una ditta individuale che compra e vende i veicoli. nel 2012 ho comprato qualche veicolo nei paesi comunitari e per le esigenze pratiche sono stati pagati in contanti. a seguito di un recente controllo da parte delle agenzie delle entrate e agenzie delle dogane quest'ultima mi ha contestato la mancata dichiarazione di esportazione del contante per importi superiore a euro 9.999 in relazione al acquisto di un veicolo pagato euro 15.000 in contanti in germania. la suddetta normativa recita: "chiunque esce dal territorio nazionale e trasporta il denaro in contanti di importo pari o superiore 10.000 deve dichiarare tale somma al agenzia delle dogane".
in data odierna a seguito loro verbale ho obiettato al agenzia che in tale episodio mi trovavo in compagna di mia moglie anche essa lavorante per la mia ditta individuale e per tanto l'importo di contante individualmente trasportato era solamente di euro 7.500. i funzionari mi hanno a loro volta obiettato che essendo l'acquisto e stato fatto per conto della mia ditta individuale l'effettiva divisione del contante fra le parti e irrilevante, e per tanto hanno proceduto alla sanzione. vi chiedo cortesemente di giudicare se le mie ragioni sono corrette e in questo caso chiedo anche a chi e dovuto l'onere della prova della presenza o meno della mia moglie.

grazie”
Consulenza legale i 15/06/2015
Nel caso proposto, poiché la sanzione è stata ormai irrogata, non resta che il tentativo di opposizione ai sensi dell'articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (v. art. 8 del d.lgs. 195/2008).

Si ritiene, però, che l'opposizione difficilmente potrà essere accolta, visto che la ditta individuale ha dichiarato di aver pagato 15.000 euro in contanti su territorio tedesco (questo, presumibilmente quando ha importato il veicolo, fatto che ha consentito all'Agenzia Dogane di riscontrare la violazione).

Come sottolineato anche dai funzionari dell'Agenzia, il fatto che fosse presente la moglie, la quale deteneva una metà della somma, appare irrilevante. Difatti, è la ditta individuale che ha effettuato l'acquisto del veicolo e che ha formalmente trasportato il denaro ed effettuato il pagamento.

Si precisa per completezza che nel corso del giudizio di opposizione, il giudice può disporre, anche d'ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli.

L'onere di chiedere la testimonianza della moglie si trova in capo alla persona sanzionata. Tuttavia, è ben possibile che la testimonianza, in primis, non sia ritenuta attendibile, vista la relazione tra il testimone e l'opponente, e che in secondo luogo venga comunque rigettata la tesi proposta dall'opponente della sostanziale suddivisione in due metà della cifra tra la moglie e il marito, per i motivi sopra precisati.

Anonimo chiede
martedì 10/01/2023 - Liguria
“Buongiorno. Premetto di essere un sovrintendente di polizia locale e che svolgiamo servizio esterno in pattuglia. Nella giornata del 22 dicembre 2022 durante servizio di pattuglia in macchina il mio collega accorgendosi che il veicolo che ci precedeva avevo un copri cerchio semi distaccato abbiamo cercato di attirare la sua attenzione per comunicarglielo e risolvere il problema. Una volta che veicolo si è fermato il collega è sceso dal veicolo contestando la pericolosità del fatto. Essendo rimasto in macchina non ho sentito i toni utilizzati dal collega e sembrando tutto normale non sono sceso dal veicolo in quanto eravamo in mezzo ad una via. Successivamente è arrivata una lamentela della signora fermata che ha inviato direttamente al sindaco lamentandosi del comportamento del mio collega e del fatto che io non sia intervenuto per calmare gli animi. Oggi mi vedo aperto un procedimento disciplinare anche a mio conto per non essere intervenuto. Mi sembra ingiusto visto che io non ho commesso alcunché. Come posso risolvere tale situazione?”
Consulenza legale i 22/01/2023
I fatti oggetto della contestazione disciplinare, se provati, integrano effettivamente una violazione delle norme in essa richiamate anche da parte del collega che non ha posto in essere concretamente la condotta, ma che, pur assistendovi, non sia intervenuto.

Infatti, non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

In particolare, per stabilire se il soggetto omittente sia o meno responsabile è necessario stabilire se egli avesse o meno un obbligo di garanzia. E quindi capire se egli avesse o meno, il dovere di impedire il verificarsi di quel determinato tipo di condotta.

Nel caso di specie, trattandosi comunque di un pubblico ufficiale in servizio e non di un comune cittadino, lo stesso, alla vista del comportamento illegittimo del collega, sicuramente sarebbe dovuto intervenire.

Peraltro, nel caso di specie, la condotta descritta dalla signora – sempre se provata – potrebbe anche assumere i connotati di un abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p.
In particolare, sembrerebbe ricorrere l’ipotesi di un abuso produttivo di un danno ingiusto, ravvisandosi gli estremi della prevaricazione.

In tal caso, la posizione del collega che ha assistito all’abuso senza intervenire si configurerebbe come concorso di persona nel reato mediante omissione disciplinato dal combinato disposto degli articoli 110 e seguenti e l’articolo 40 codice penale.

Infatti, si può essere imputati per concorso di persona nel reato, anche laddove si ponga un comportamento di tipo omissivo. Anche in questo caso, perché ciò accada è necessario che in capo al soggetto omittente sussista un obbligo di garanzia volto a impedire la consumazione del reato, sempre per il principio secondo il quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Fortunatamente, l’abuso di ufficio per ora non è stato citato nella contestazione disciplinare, ma non è del tutto escluso che in futuro possano intervenire contestazioni anche dal punto di vista penale, che aggraverebbero ulteriormente la situazione.

Come già correttamente tentato nelle osservazioni in risposta alla contestazione disciplinare trasmesse, la prima soluzione per contrastare le accuse rivolte sarebbe quella di dimostrare di non essere in grado di sentire o vedere quanto accaduto.

Infatti, se è vero che spetta al datore di lavoro l'onere di fornire prova piena e concreta di tutte le circostanze poste a sostegno della sanzione disciplinare irrogata, è altresì vero che grava sul lavoratore l'onere di provare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi posti a sostegno delle eccezioni sollevate, secondo il principio distributivo dell'onere della prova ex art. 2697 c.c.

In particolare, si dovrebbe provare che all’interno dell’abitacolo non era possibile udire le presunte urla e i toni usati dal collega.

Tuttavia, considerando che nella segnalazione della presunta persona offesa si fa menzione anche di calci al copri cerchio che avrebbero causato ulteriori danni allo stesso, sarebbe altresì utile poter provare che dalla particolare posizione non era possibile vedere i presunti calci al copricerchio.

Una seconda opzione per rispondere alla contestazione disciplinare sarebbe quella di sollevare una questione di carenza di prove dei fatti posti alla base della stessa.

Infatti, la contestazione si basa esclusivamente sulla testimonianza rilasciata dalla presunta persona offesa.

Tuttavia, in un eventuale processo sarebbe difficile tentare di escluderne l’attendibilità, salvo che non si riescano a trovare ulteriori prove che contrastino con quanto dalla stessa dichiarato.
Infatti, nel processo civile è pur vero che esiste l’art. 246 c.p.c. – secondo il quale “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio” – tuttavia, l’interesse in causa di cui parla la norma è ritenuto coincidente con quello di cui all'art. 100, che costituisce una delle condizioni determinanti la c.d. ipotetica accoglibilità della domanda.

L'interesse che impedisce la testimonianza deve essere personale, concreto ed attuale, tanto da legittimare una partecipazione al giudizio mediante intervento principale, adesivo autonomo o adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105.

Si esclude, invece, l'applicabilità della norma nei confronti di coloro che nella causa abbiano un interesse di mero fatto, situazione che si verifica, ad esempio, quando la persona chiamata a testimoniare sia parte di una autonoma controversia in merito a questioni analoghe a quelle oggetto del processo in cui si vuole sia sentita. Per logica, la norma non si applica alle ipotesi in cui il teste sia a sua volta parte in una causa connessa e riunibile con quella nella quale deve deporre (artt. 40 e 274), ma la riunione non sia avvenuta.

Pertanto, tale norma seppure applicabile nell’eventuale giudizio per l’eventuale richiesta danni da parte della proprietaria dell’automobile, non sarebbe applicabile nel giudizio per l’impugnazione della sanzione disciplinare, in cui la proprietaria dell’automobile non potrebbe in nessun caso intervenire e potrebbe, quindi, testimoniare senza alcuna limitazione.

Il testimone è soggetto estraneo al processo o comunque diverso dai suoi attori principali. Se ne presume, quindi, la sua attendibilità e, pertanto, il giudice di merito, nella valutazione della prova testimoniale, deve comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisca correttamente fatti obiettivamente veri o da lui ragionevolmente ritenuti tali; sicché la testimonianza potrà essere disattesa solo qualora esistano elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile il mendacio ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste; essa, in linea di principio, deve considerarsi attendibile fino a prova contraria, pur non richiedendosi, perché possa dimostrarsi l’opposto, la prova positiva del mendacio o dell’errore di percezione da parte del teste: il giudice dovrà limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come certamente vero, e quello che emerge da altre eventuali fonti probatorie di pari valenza (Cass. pen., 11.6.1998, n. 3438; Cass. pen., 13.5.1997, n. 6477; Cass. pen., 2.6.1993, n. 7568). Secondo una giurisprudenza oramai consolidata le dichiarazioni testimoniali non necessitano di riscontri esterni, cui può ricorrersi soltanto qualora debba valutarsi la credibilità del teste (Cass. pen., 26.8.1999, n. 11829; Cass. pen., 17.12.1998, n. 6502; Cass. pen., 24.2.1997, n. 4946; Cass. pen., 1.2.1994, n. 653).

Peraltro, anche nell’eventuale giudizio penale per abuso di ufficio, a differenza di quanto previsto nel processo civile, anche la persona offesa dal reato può essere sentita come testimone in dibattimento e come possibile testimone durante le indagini preliminari.
Tuttavia, delicato risulta il discorso relativo alla valutazione probatoria della deposizione della persona offesa dal reato. Infatti, sebbene l’ordinamento la consenta, essa non può essere parificata, in punto di concreta valutazione, a quella del terzo disinteressato, dovendosi tener conto del particolare interesse da cui essa è spinta. Ne discende che, in omaggio al principio del libero convincimento del giudice, la deposizione testimoniale della persona offesa ben può, da sola, fondare l’affermazione della responsabilità dell’imputato (Cass. pen., 28.9.2004, n. 41278; Cass. pen., 16.9.2004, n. 38294; Cass. pen., 16.4.2004, n. 17886; Cass. pen., 4.12.2002, n. 54303; Cass. pen., 11.7.1997, n. 8606; Cass. pen. n. 4946/1997); ma necessita, a differenza della deposizione testimoniale tout court, di essere sottoposta ad indagine positiva in punto di attendibilità, pur dovendosi escludere, in questo caso, l’applicazione delle regole ex art. 192, co. 3 e 4, c.p.p.

Dal quadro delineato, emerge che per contrastare la contestazione disciplinare le strade da percorrere è essenzialmente legata alla prova dei fatti contestati.

Pertanto, da un lato si potrebbe dimostrare l’inattendibilità della dichiarazione della signora, portando ulteriori prove (a titolo esemplificativo: testimonianze di passanti estranei alla vicenda, testimonianza del proprietario dell’officina che ad esempio potrebbe dichiarare di non aver sentito le sirene accese all’arrivo dell’auto o che non ravvisava danni al copricerchio che potessero essere derivati da calci).

Dall’altro lato, ed in subordine, si potrebbero raccogliere prove circa l’impossibilità di udire o vedere dall’abitacolo dell’autovettura quanto stava accadendo tra la signora e il collega.

Ciò, purtroppo, non escluderebbe responsabilità circa l’uso improprio di sirene e lampeggianti.

Quanto alle controdeduzioni alla contestazione disciplinare, si consiglia di modificare l’ultimo capoverso in cui si paventano delle mancanze da parte dell’Amministrazione circa un’audizione preliminare delle parti coinvolte, a cui la stessa, peraltro, non era tenuta a procedere. Tale affermazione potrebbe inasprire i rapporti tra le parti.