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Articolo 228 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Confessione giudiziale

Dispositivo dell'art. 228 Codice di procedura civile

La confessione giudiziale (1) è spontanea o provocata mediante interrogatorio formale (2).

Note

(1) La confessione può essere resa sia in sede giudiziale che stragiudiziale. La seconda ha la stessa efficacia probatoria della prima purché, fatta in forma orale o scritta, venga indirizzata alla parte o a chi la rappresenta. La confessione stragiudiziale resa da un terzo o contenuta in un testamento è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2735 del c.c.).
(2) L'interrogatorio formale è il mezzo istruttorio previsto per provocare la confessione della parte cui è rivolto. Esso va pertanto distinto da quello non formale o libero: questo ha solo lo scopo di chiarire meglio alcuni aspetti dei fatti di causa e può essere esperito dal giudice d'ufficio nella prima udienza di trattazione, con facoltà di rinnovarlo - ordinando la comparizione personale delle parti - in qualunque stato e grado del processo (art. 117 del c.p.c.). Altra differenza con l'interrogatorio formale sta nel fatto che le domande vengano formulate dal giudice e non dalle parti.

Ratio Legis

La confessione è una dichiarazione di scienza che acquista valore di prova legale laddove previsto dalla legge (art. 2730 del c.c. c.c. ss.). Il legislatore ha ritenuto, infatti, che colui che dichiari come veri fatti a sé sfavorevoli (e favorevoli alla controparte) sia da ritenere particolarmente attendibile e credibile, in quanto di regola avviene esattamente il contrario.

Brocardi

Confessio dividi non debet
Confessio soli confitenti nocet
Confessus pro indicato habetur, qui quodammodo sua sententia damnatur
Habemus confitentem reum

Spiegazione dell'art. 228 Codice di procedura civile

Confessione, giuramento e testimonianza sono tutte prove costituende e consistono in una dichiarazione orale sui fatti di causa.
In particolare, la confessione riguarda dichiarazioni che la parte fa su fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra parte; per la sua nozione e funzione occorre fare riferimento rispettivamente all’art. 2730 del c.c. ed all’art. 2733 del c.c..

Oggetto della confessione possono essere solo fatti di causa, siano essi costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi, anche se non è indispensabile che chi confessa ne abbia avuto percezione diretta, potendo averli appresi dalla narrazione di altri.

Inoltre, la confessione si differenzia dai c.d. comportamenti contra se (siano essi positivi o negativi), i quali possono assumere una particolare rilevanza nel processo (ne costituisce un esempio il riconoscimento tacito della scrittura privata).

La confessione, istituto tipicamente di natura processuale, può essere:
  1. giudiziale, se viene resa in giudizio: la prova viene acquisita nel momento in cui si rende la dichiarazione;
  2. stragiudiziale, se viene resa fuori dal giudizio: si tratta di una dichiarazione di scienza, e non di volontà (come dimostra l’art. 2735 del c.c., in cui il legislatore adopera l'espressione “fa piena prova”). In questo caso è il giudice a formare il suo convincimento sul fatto che la dichiarazione confessoria resa fuori del giudizio (e quindi non verificatasi in sua presenza) sia realmente accaduta.
La prova dell'avvenuta confessione stragiudiziale può avvenire con ogni mezzo.

Quanto agli effetti, la confessione ha efficacia di prova legale in quanto vincola il giudice nel suo apprezzamento ed è volta a semplificare il giudizio di fatto e renderlo controllabile; in tal senso può argomentarsi dal secondo comma dell’art. 2733 c.c., ove è appunto detto che la confessione“forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili”.

Destinatario della confessione giudiziale, infatti, è il giudice, dovendosi negare valore di prova legale alle dichiarazioni sfavorevoli raccolte, ad esempio, dal consulente tecnico d'ufficio (lo si riconosce, invece, all'ufficiale giudiziario nel compimento delle attività connesse all'esecuzione forzata).

Per aversi confessione giudiziale è essenziale che essa si manifesti in giudizio, cioè all’interno di un procedimento giurisdizionale contenzioso, in cui il meccanismo bilaterale degli effetti di prova piena contro il dichiarante e in favore della controparte presuppone la necessaria instaurazione del contraddittorio e del rapporto processuale nei confronti della parte favorita (non può, così, aversi confessione in un procedimento di volontaria giurisdizione, a prescindere dal fatto che i diritti fatti valere in quella sede siano normalmente indisponibili).

La confessione giudiziale, a sua volta, può essere:

- provocata: mediante interrogatorio formale, su richiesta di parte e previa valutazione di ammissibilità e rilevanza del giudice.
Scopo dell’interrogatorio formale è, infatti, quello di portare la parte verso la confessione giudiziale; esso viene assunto dal giudice su istanza di parte avversa a quella che lo deve prestare ed avviene in corso di processo.
Poichè ha natura di prova costituenda, ad esso si applicano tutte le regole sulla richiesta, ammissione e assunzione dei mezzi di prova.
L’interrogatorio formale, inoltre, va tenuto distinto da quello libero delle parti, che il giudice esperisce nel corso della prima udienza di trattazione e che può riproporre in ogni stato e grado del processo; quest'ultimo, infatti, è diretto al raggiungimento di due diversi scopi, e precisamente:
  1. consentire la conoscenza della questione da parte del giudice;
  2. favorire il tentativo di conciliazione delle parti.
Oltre che per lo scopo, le due forme di interrogatorio si differenziano anche per il fatto che nel primo le domande vengono poste dalle parti e presentate preventivamente per iscritto nei capitoli, mentre nel secondo vengono formulate dal giudice;

- spontanea: è tale quella contenuta in qualsiasi atto processuale, che la parte abbia firmato personalmente.

Massime relative all'art. 228 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 38626/2021

L'interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo diverso dall'interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, fornite dall'interrogato. Invero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette.

Cass. civ. n. 24468/2020

Alle dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte al CTU non può che attribuirsi la stessa valenza probatoria che è riconosciuta dall'art. 2735, comma 1, seconda parte, c.c. alle dichiarazioni confessorie stragiudiziali fatte al terzo, le quali non hanno efficacia di "piena prova", ma possono concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 01/06/2015).

Cass. civ. n. 11898/2020

La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 15/02/2016).

Cass. civ. n. 20255/2019

Le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo.

Cass. civ. n. 5725/2019

La confessione deve avere ad oggetto fatti obiettivi - la cui qualificazione giuridica spetta al giudice del merito - e risponde alla regola per la quale ove la parte riferisca fatti a sé sfavorevoli le sue dichiarazioni hanno valore confessorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva riconosciuto valenza confessoria alle dichiarazioni, rese dall'attrice in sede di interrogatorio formale, secondo cui la caduta, in assenza di ostacoli alla visione dei luoghi, era avvenuta in pieno giorno e mentre guardava la strada, piena di buche).

Cass. civ. n. 4509/2019

Ai sensi dell'art. 2731 c. c., l'efficacia probatoria della confessione postula che essa sia resa da persona capace di disporre del diritto cui i fatti confessati si riferiscono, ossia da persona che abbia la capacità e la legittimazione ad agire negozialmente riguardo al diritto. Ne consegue che non hanno valore confessorio le dichiarazioni rese dal mandatario del titolare del diritto medesimo.

Cass. civ. n. 2482/2019

La confessione resa da uno dei litisconsorti necessari può essere liberamente apprezzata dal giudice per trarne elementi di convincimento anche nei confronti degli altri, con una valutazione discrezionale che non soggiace al sindacato di legittimità qualora sia motivata.

Cass. civ. n. 19327/2017

In tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la confessione giudiziale proveniente da un soggetto litisconsorte facoltativo, qual è il conducente danneggiante non proprietario del veicolo, rispetto all'assicuratore ed al proprietario dello stesso, è liberamente apprezzabile dal giudice nei riguardi di costoro, in applicazione dell'art. 2733, comma 3, c.c., mentre ha valore di piena prova nei confronti del medesimo confidente, come previsto dall'art. 2733, comma 2 c.c.

Cass. civ. n. 6262/2017

In tema di prova della simulazione di una compravendita immobiliare, contratto che esige la forma scritta "ad substantiam", la mancanza della controdichiarazione osta all'ammissibilità dell'interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione soggettiva relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non può supplire al difetto dell'atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto; viceversa, ove sia diretto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, l'interrogatorio formale è ammissibile, anche tra i contraenti, perché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza della compravendita.

Cass. civ. n. 24539/2016

Pur essendo vero che le ammissioni contenute nella comparsa di risposta - così come in uno degli atti processuali di parte indicati dall'art. 125 c.p.c. - siccome facenti parte del processo, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., è tuttavia necessario che la comparsa, affinché possa produrre tale efficacia probatoria, sia stata sottoscritta dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute nell'atto. Conseguentemente, è inidonea a tale scopo la mera sottoscrizione della procura scritta a margine o in calce che, anche quando riportata nel medesimo foglio in cui è inserita la dichiarazione ammissiva, costituisce atto giuridicamente distinto, benché collegato. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che ha ritenuto l'esistenza di un mandato di gestione di un patrimonio mobiliare da parte di un promotore finanziario in ragione del tenore della comparsa di risposta di quest'ultimo, sebbene tale comparsa non fosse da lui sottoscritta).

Cass. civ. n. 8403/2014

Il valore di prova legale della confessione, quale vincolo per il giudice alla verità dei fatti che ne formano oggetto, non implica anche il dovere di considerarli sicuramente rilevanti e decisivi al fine di determinarne il convincimento, che può formarsi in base a tutti gli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio.

Cass. civ. n. 24754/2013

Nell'ipotesi di dichiarazioni aggiunte alla confessione, opera, ai sensi dell'art. 2734 c.c., il principio di inscindibilità, nel senso che la mancata contestazione di controparte comporta l'esonero del dichiarante dall'onere di provare i fatti aggiunti, assumendo, in tal caso, la dichiarazione valore di prova legale nel suo complesso, mentre solo quando la controparte contesta le dichiarazioni il confitente ha l'onere di provare i fatti aggiunti, restando affidato al giudice, in difetto di tale prova, l'apprezzamento dell'efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse.

Cass. civ. n. 23971/2013

La quietanza, come dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall'opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell'interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata; invero, l'art. 2726 c.c. limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per confessione.

Cass. civ. n. 15464/2013

Le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo.

Cass. civ. n. 21509/2011

La confessione deve avere ad oggetto fatti obiettivi - la cui qualificazione giuridica spetta al giudice del merito - e non già opinioni o giudizi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso potesse integrare una confessione giudiziale la dichiarazione, resa in interrogatorio formale, secondo cui lo scalino situato all'interno di una chiesa "si vede male perché dà la sensazione di essere in piano, mentre invece c'è un gradino in discesa", la quale, dunque, non verteva non su un fatto, ma esprimeva una valutazione soggettiva di una realtà fisica).

Cass. civ. n. 7523/2001

Le enunciazioni contenute in un ricorso per decreto ingiuntivo (nella specie, non firmato dalla parte) non possono legittimamente considerarsi come dichiarazioni sfavorevoli alla parte stessa, atteso che, ai fini della configurabilità di una confessione giudiziale spontanea (art. 229 c.p.c.), “atti processuali” sono soltanto quelli compiuti in seno al processo nel contraddittorio delle parti e, comunque, sottoscritti dalle parti medesime.

Cass. civ. n. 7097/1992

La prova (piena) dei fatti contrari alla parte che li ha confessati, che il giudice ha il dovere di trarre dalla confessione, non può essere vinta con una mera prova contraria, essendo necessario dimostrare anche che la difformità dal vero non è stata cosciente.

Cass. civ. n. 5390/1977

Il principio, secondo il quale la totale o parziale confessione resa in sede di risposta all'interrogatorio formale può equivalere alla sussistenza di quel principio di prova scritta che consente l'ingresso della prova testimoniale, anche in relazione a negozi per i quali sia prescritta la forma solenne ad substantiam, opera solo quando la confessione provenga dallo stesso stipulante del negozio, non già quando provenga da un terzo, il quale abbia in causa la posizione di litisconsorte facoltativo. (Nella specie, la confessione era stata resa da un soggetto che non rivestiva più la carica di legale rappresentante della società convenuta e non aveva più, quindi, la disponibilità dei diritti in contestazione).

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