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Articolo 14 Codice della strada

(D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade

Dispositivo dell'art. 14 Codice della strada

1. Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono:

  1. a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
  2. b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze;
  3. c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

2. Gli enti proprietari provvedono, inoltre:

  1. a) al rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni di cui al presente titolo;
  2. b) alla segnalazione agli organi di polizia delle violazioni alle disposizioni di cui al presente titolo e alle altre norme ad esso attinenti, nonché alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni e nelle concessioni.

2-bis. Gli enti proprietari delle strade provvedono altresì, in caso di manutenzione straordinaria della sede stradale, a realizzare percorsi ciclabili adiacenti purché realizzati in conformità ai programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati problemi di sicurezza.

3. Per le strade in concessione i poteri e i compiti dell'ente proprietario della strada previsti dal presente codice sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito.

4. Per le strade vicinali di cui all'art. 2, comma 7, i poteri dell'ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal comune.

Massime relative all'art. 14 Codice della strada

Cass. civ. n. 22330/2014

L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benché non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuta alla loro manutenzione, ha l’obbligo di vigilare affinché dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonché — ove, invece, esse si verifichino — quello di attivarsi per rimuoverle otarie rimuovere, sicché è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1176, secondo comma, cod. civ. e 2043 cod. civ., qualora, pur potendosi avvedere con l’ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l’abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, né abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione.

Cass. civ. n. 23562/2011

In tema di circolazione stradale è dovere primario dell’ente proprietario della strada (e dell’ANAS, in relazione alle strade e autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali esercita i diritti e i poteri attribuiti all’ente proprietario) garantirne la sicurezza mediante l’adozione delle opere e dei provvedimenti necessari. Ne consegue che sussiste la responsabilità di detto ente in relazione agli eventi lesivi occorsi ai fruitori del tratto stradale da controllare, anche nei casi in cui l’evento lesivo trova origine nella cattiva o omessa manutenzione dei terreni laterali alla strada, ancorché appartenenti a privati, atteso che è comunque obbligo dell’ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza.

Cass. civ. n. 5559/2011

Nell’ambito delle aree autostradali e delle relative pertinenze, l’attività di raccolta e di gestione dei rifiuti compete al concessionario dell’autostrada, il quale, in base all’art. 14 del codice della strada, è tenuto ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto di rifiuti fino alla discarica. Ne consegue che, in relazione a tale attività, deve ritenersi esclusa la competenza dei Comuni che sono pertanto privi di qualsivoglia potere impositivo ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non essendo tale potere configurabile in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio.

Cass. civ. n. 9527/2010

Gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, devono — salvo che nell’ipotesi di concessione prevista dal comma 3 della predetta norma — provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta. Trattasi di obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari il quale può concorrere con ulteriori obblighi (e, quindi, con ulteriori cause di responsabilità) del medesimo ente odi altri, derivanti da altre normative e, in particolare, dalla disciplina dettata dall’art. 2051 c.c.

Cass. pen. n. 44536/2009

Risponde di omicidio colposo, il direttore del tratto autostradale, gestito da una società in forza di convenzione per la sua costruzione ed esercizio, che non predisponga presidi di sicurezza ed apposita segnaletica atti a prevenire il pericolo di precipitazione di persone discese dalle autovetture nel varco esistente tra le due corsie di marcia di un viadotto. (Nella specie, un conducente, dopo un incidente avvenuto in ora notturna in un tratto illuminato di un viadotto autostradale, aveva scavalcato la barriera di separazione tra le due corsie, precipitando nel vuoto).

Cass. civ. n. 17178/2008

I proprietari od i concessionari di strade pubbliche hanno l’obbligo, previsto dall’art. 14 del codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia di esse, da ritenersi comprensivo della rimozione, custodia e se del caso demolizione sia dei veicoli lasciati in sosta d’intralcio, sia di quelli abbandonati, e di sostenere i relativi oneri e spese, salvo rivalsa nei confronti del proprietario del veicolo.

Cass. civ. n. 2308/2007

La disciplina di cui all'art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva ed omessa manutenzione delle autostrade da parte dei concessionari, in ragione del particolare rapporto con la cosa che ad essi deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulle medesime, salvo che dalla responsabilità presunta a loro carico i concessionari si liberino fornendo la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell'interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche dalla dimostrazione – in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova – di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere di modo che il sinistro appaia verificatosi per fatto non ascrivibile a sua colpa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile la responsabilità da omessa custodia a carico del concessionario gestore di autostrada con riferimento ad incidente verificatosi per la presenza sulla sede autostradale di un cane che aveva tagliato la strada al veicolo del controricorrente sopraggiungente, con conseguente sbandamento e ribaltamento dello stesso in virtù della collisione con i cordoli laterali e la produzione di lesioni personali, senza che la ricorrente, sulla quale incombeva il relativo onere, fosse riuscita a dimostrare che l'immissione dell'animale era riconducibile ad ipotesi di caso fortuito, quale l'abbandono del cane in una piazzola dell'autostrada ovvero il taglio vandalico della rete di recinzione od, ancora, il suo abbattimento in conseguenza di precedente incidente, per il quale non era stato possibile intervenire tempestivamente adottando le necessarie cautele).

Cass. civ. n. 15383/2006

In tema di responsabilità per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia sul bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c., che non prevede alcuna limitazione della responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. In tal caso graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale (come, ad esempio, della strada), che va considerata fatto di per sé idoneo — in linea di principio — a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia.

Cass. civ. n. 5445/2006

In materia di strade pubbliche, per assicurare la sicurezza degli utenti la P.A., quale proprietaria, ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione (art. 16 legge n. 2248 del 1865, all. F; art. 14 cod. strada; art. 28 legge n. 2248 del 1865, all. F; per i Comuni, art. 5 R.D. 15 novembre 1923, n. 2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale («banchina»), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata, in quanto anch’essa, in assenza di specifica segnalazione contraria, benché non pavimentata per la sua apparenza esteriore suscita negli utenti affidamento di consistenza e sicura transitabilità, sicché non deve presentare insidie o trabocchetti, la cui sussistenza comporta pertanto la responsabilità della P.A. per i danni che ai medesimi ne siano derivati.

Cass. civ. n. 25036/2005

Spetta alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella del giudice amministrativo conoscere della domanda con cui un privato chiede la condanna della P.A. ad eseguire su un bene pubblico le opere necessarie per eliminare le cause che provocano danni al proprio bene (nella specie, i lavori occorrenti per eliminare le infiltrazioni d’acqua provenienti da una strada comunale ed annessa aera di parcheggio in danno di un edificio condominiale), atteso che nella relativa controversia non è in gioco una posizione di supremazia della P.A. che si sia manifestata attraverso atti o provvedimenti, ma è in discussione l’osservanza da parte dell’ente pubblico del generale principio del neminem laedere, che si sostanzia, nella specie, nel dovere di sistemazione e di manutenzione dei beni pubblici in conformità con le normali regole di prudenza e di diligenza, al fine di evitare che essi possano recare danno a terzi.

Cass. civ. n. 13087/2004

In base all’art. 14 del codice stradale, l’ente proprietario della strada ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale e delle sue pertinenze, per assicurare la sicurezza degli utenti della strada, ma tale obbligo non si estende alle zone estranee ad esse e circostanti, mentre, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, grava sui proprietari delle ripe dei fondi laterali alle strade l’obbligo di mantenerle in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti o scoscendimenti del terreno, o la caduta dei massi o altro materiale sulla strada, dove per ripe devono intendersi le zone immediatamente sovrastanti e sottostanti la scarpata del corpo stradale. (Nella specie la S.C., confermando la sentenza di merito, ha ritenuto insussistente alcuna responsabilità del comune proprietario della strada per i danni subiti da un automezzo a causa di alcuni massi che, staccatisi dalla parete rocciosa sovrastante alla ripa che costeggiava la strada, lo avevano colpito).

Cass. civ. n. 1406/2004

In tema di violazioni del codice della strada, è onere del trasgressore, che proponga, avverso l’atto di accertamento della contravvenzione, opposizione fondata sulla asserita illegittimità del segnale stradale indicante la norma di comportamento violata (nella specie, limite di velocità), dedurre le ragioni di tale illegittimità — e, quindi, della sussistenza delle condizioni per l’esercizio del potere di disapplicazione del giudice ordinario — e non già onere dell’Amministrazione dimostrare la legittimità del relativo provvedimento, che, adottato dall’ente proprietario della strada ai sensi dell’art. 14, primo comma, lett. c), cod. della strada, si presume conforme a legge.

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Consulenze legali
relative all'articolo 14 Codice della strada

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Lamberto P. chiede
venerdì 10/11/2017 - Lazio
“Fatto: Su di una strada vicinale a fondo intercluso insistono due proprietà, (A e B) che si trovano l'una di fronte all'altra e sono divise dalla suddetta strada vicinale che passa nel mezzo. Sul muro di cinta della proprietà A, e quindi al suo esterno, c'è una quercia secolare. La quercia secolare a seguito di eventi atmosferici particolarmente gravi cade e danneggia entrambe le proprietà. Quesito: A chi compete pagare il danno trattandosi di quercia posta su strada vicinale? Al Comune in via esclsuiva o percentuale? Oppure ai rispettivi proprietari A e B?
Vorrei avere giurisprudenza in materia ed eventuali sentenze.”
Consulenza legale i 22/11/2017
L’art. 3 comma 1 n. 52 del nuovo codice della strada (Decreto Legislativo 30 aprile 1992 n. 285) qualifica come strada vicinale (o poderale o di bonifica) una strada privata fuori dai centri abitati destinata ad uso pubblico.

Il successivo art. 14 dello stesso codice si occupa invece di disciplinare quali sono i poteri ed i compiti degli enti proprietari delle strade, disponendo al primo comma che tali enti, allo scopo di garantire la sicurezza e la fruibilità della circolazione, devono tra l’altro provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade e delle loro pertinenze.

Nel caso particolare delle strade vicinali, quale viene definita quella in esame, i poteri dell’ente proprietario vengono espressamente attribuiti al comune; per una più precisa individuazione di tali strade è tra l’altro rimasta in vigore, ex art. 231 del nuovo codice della strada, la vecchia Legge 12 febbraio 1958 n. 126, la quale, dopo aver distinto all’art. 1 le strade di uso pubblico in statali, provinciali, comunali, vicinali e militari, qualifica al successivo art. 9 come vicinali tutte quelle strade che sono soggette a pubblico transito, ma che non possono essere iscritte nelle precedenti categorie di strade statali, provinciali e comunale per difetto dei relativi requisiti.

Ora, qualificata la strada vicinale quale strada ad uso pubblico in quanto soggetta a pubblico transito ed accertato che i poteri e gli obblighi di manutenzione di tale tipologia di strada competono ex art. 14 comma 4 del Nuovo codice della strada al Comune, vediamo in che misura ed a quali condizioni l’ente comunale possa ritenersi responsabile del danno verificatosi nel caso di specie.

Intanto, costituisce principio generale applicabile in materia quello dettato dall’art. 2051 c.c., norma secondo la quale il responsabile va sempre individuato nel soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, che ha in carico la custodia del bene, in questo caso l'albero.
Sulla base di quanto sopra osservato, tale obbligo di custodia grava in capo all’ente comunale, il quale potrà essere esonerato da ogni responsabilità soltanto se prova il caso fortuito o la causa di forza maggiore.

Molto spesso sono proprio gli eventi atmosferici straordinari ed imprevedibili che vengono invocati a propria discolpa dai rispettivi custodi, ma si tratta di una causa giustificativa che nella maggior parte dei casi si rivela priva di fondamento, in quanto il crollo di una pianta risulta frequentemente addebitabile a patologie della stessa ovvero ad errori di piantagione o a difetto di manutenzione.

Nel caso proposto si parla di una quercia secolare, ma si fa anche riferimento ad eventi atmosferici particolarmente gravi; ciò comporta che, nel momento in cui dovesse decidersi di avanzare al Comune richiesta di risarcimento dei danni provocati dalla caduta di quella quercia, danni che nella qualità di custode si ritengono in linea generale imputabili interamente a tale ente per difetto di manutenzione, lo stesso si presume non tarderà ad eccepire che l’evento si è verificato per un evento atmosferico straordinario ed imprevedibile.

A quel punto, si renderà necessario accertare quali siano state le reali cause del crollo di quella pianta, il che non potrà prescindere dall’ausilio della perizia tecnica di una figura abilitata in materia, ossia il dottore agronomo forestale, l’unico che nella qualità di consulente sarà in grado di effettuare la diagnosi fisiologia e morfologica dello stato sanitario dell'albero crollato, e così poter constatare se il crollo possa essere imputabile al particolare evento atmosferico ovvero ad una cattiva o assente cura della pianta.

Va anche sottolineato, tuttavia, che per motivi di estensione del territorio amministrato, non sempre gli enti pubblici sono in condizione di provvedere alla manutenzione e ad evitare la caduta di un albero in strada.
Sotto questo profilo un certo grado di responsabilità va ricercato anche in coloro che hanno subito il danno, e tale responsabilità potrebbe farsi discendere dal non aver mai formalmente denunziato all’ente comunale, nella sua qualità di custode, il pericolo che poteva derivare da quella quercia, intimando se necessario di effettuarne la manutenzione ed eventualmente il taglio o la potatura, diritto questo che lo stesso codice civile disciplina in una specifica norma, ossia all’art. 1172 c.c., rubricato proprio “Denuncia di danno temuto”.

Qualora dovesse eccepirsi ciò, comunque, non esistono delle tabelle secondo cui effettuare una ripartizione della relativa responsabilità, e sarà dunque compito esclusivo del Giudice, investito dell’eventuale controversia, stabilire secondo quale percentuale il danno dovrà farsi gravare sull’ente pubblico e sui privati per non aver fatto tempestiva denunzia di pericolo.

Per quanto concerne infine la giurisprudenza che può rinvenirsi sull’argomento e della quale ci si potrà eventualmente avvalere per sostenere le proprie ragioni, si ritiene sufficiente segnalare:

  • quale giurisprudenza di merito la sentenza del Tribunale di Nola del 31.01.2006, nella quale viene affermato che quando l’albero è morto da tempo, privo di una saldo radicamento e in condizioni precarie perché l’ente non ha provveduto alla potatura, al taglio o all’eventuale estirpazione definitiva, può bastare un colpo di vento a farlo cedere, con la conseguenza che, in casi come questo, l’evento non potrà essere ascrivibile a cause di forza maggiore, ma soltanto all’incuria dell’amministrazione;
  • quale giurisprudenza di legittimità l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI Civile, n. 3216 del 3 novembre 2016, che a sua volta richiama Cass.,Sez. 3, Sentenza n. 23562 dell'11 novembre 2011, nella quale si afferma che il Comune deve provvedere alla manutenzione delle strade, nonché delle aree limitrofe alle stesse, atteso che è comunque obbligo dell'ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza; così, se il Comune consente alla collettività di utilizzare un'area di proprietà privata, per il pubblico transito, si assume anche l'obbligo di accertarsi che la manutenzione dell'area e dei relativi manufatti non venga trascurata.
Al seguente link può trovarsi il testo integrale di questa ordinanza:
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20170207/snciv@s63@a2017@n03216@tO.clean.pdf.

Marco D.M. chiede
lunedì 21/11/2016 - Lazio
“Buongiorno sono proprietario di lotto di terreno recentemente acquistato. Il lotto comprende una porzione di spazio sul quale insiste una strada asfaltata che transita su vari lotti ed è catalogata nell'elenco dei toponimi del Comune di R. come via L. S.. La strada non versa in buono stato, è priva di illuminazione e il comune non sta provvedendo alla manutenzione, ma presenta tutti i requisiti previsti per desumere che si possa trattare di strada privata ad uso pubblico (uso indistinto collettività, collegamento tra due strade principali, uso dal 1980). Il problema è che non si capisce chi debba provvedere alla manutenzione, considerando anche il fatto che la stessa strada non è una ex strada vicinale, ma bensì fu costruita abusivamente dagli abitanti dell'abitato viciniore e senza autorizzazione dei proprietari che non si sono mai opposti ufficialmente se non con qualche lettera di protesta (parliamo di 50anni di storia).Detto questo oggi la situazione è la seguente: gli utenti del quartiere, supponendo che la strada sia pubblica continuano a chiederne la manutenzione, il comune dice (ufficiosamente interpellato) che non può intervenire perché trattasi di strada privata. Quindi volevo sapere: come posso comportarmi nella considerazione che ho timore che una richiesta formale di manutenzione da parte degli utenti possa coinvolgermi negli oneri di spesa?”
Consulenza legale i 28/11/2016
Va innanzitutto chiarito che l’inserimento del nominativo della strada in questione nella toponomastica comunale non ha natura costitutiva (ovvero la via non diviene pubblica con l’inserimento del nominativo nell’elenco) ma riveste una funzione puramente “dichiarativa” della natura della via, per cui la pubblicità dell’uso si presume, ma è ammessa la prova contraria.

Ciò detto, secondo giurisprudenza costante della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato,: “La natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dalla esistenza di tre concorrenti elementi, che sono: a) che vi si eserciti il passaggio ed il transito iuris servitutis publicae da parte di una moltitudine indistinta di persone qualificate dall'appartenenza ad un ambito territoriale ; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico; c) titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d'uso della strada). (Consiglio di Stato, sez. VI, 20/06/2016, n. 2708).

In particolare, in merito all’ultimo degli elementi di cui alla citata pronuncia, il titolo idoneo a sorreggere un “diritto di uso pubblico” può essere o un atto che ne abbia trasferito la titolarità/proprietà in capo all’amministrazione (non è infatti di per sé sufficiente che la strada sia destinata all’uso pubblico: si veda Cass. n. 8204/2006 che richiama una costante linea interpretativa), oppure anche – come afferma il Consiglio d Stato - la protrazione dell’uso, “da tempo immemorabile” o per il tempo sufficiente all’usucapione dello stesso.
Si cita in proposito un’altra pronuncia: “L'asservimento a uso pubblico di una strada privata , in forza del quale essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale, può derivare (…) da un immemorabile uso privato che va inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione — pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica — di esercitare il diritto di uso della strada. (…)” (T.A.R. Palermo, (Sicilia), sez. II, 01/04/2016, n. 836).

Ovviamente, quando si parla di “collettività” resta “escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato a un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene uti singuli, essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all'uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti. (T.A.R. Catania, (Sicilia), sez. I, 04/11/2015, n. 2552).

Ciò detto, dalla descrizione dello stato dei luoghi che emerge dal quesito, sembrerebbe che la strada in questione possa effettivamente qualificarsi come strada privata ad uso pubblico: nasce, infatti, in passato come strada realizzata da privati, poi viene utilizzata per un arco di tempo di oltre 20 anni non solo dai proprietari dei fondi che attraversa ma altresì, essendo di collegamento tra due vie pubbliche, dalla collettività estesa dell’abitato. S

Ebbene, anche se il difetto di proprietà non può consentire alla P.A. di disporre della strada ed esercitare su di essa i poteri che le competerebbero se questa appartenesse al proprio demanio (T.A.R. Lombardia Sez. III sentenza n. 466/2011), tuttavia l’uso pubblico la obbliga ad esercitare quei poteri che ne garantiscono l'uso da parte della collettività in conformità ai dettami del pubblico interesse, e quindi la P.A. stessa sarà tenuta all’applicazione – su questo bene - del Codice della Strada e, di conseguenza, anche alla manutenzione.

Andrebbe tuttavia e per completezza chiarito (ma gli elementi forniti dal quesito in questo senso non sono sufficienti) se la strada in questione possa – contrariamente a ciò che si assume nel quesito – qualificarsi invece anche come strada “vicinale”.
E’ scritto nel quesito che essa è stata realizzata ”abusivamente” dai non proprietari, i quali poi pare non abbiano mai formalmente riconosciuto la legittimità della strada né, tantomeno, abbiano concordato sulla sua destinazione ad uso pubblico (benché poi, di fatto, così sia avvenuto).

Le strade vicinali, in effetti, sono costituite generalmente mediante conferimento delle aree da parte dei proprietari dei fondi latistanti e dei fondi in consecuzione; tuttavia, in buona sostanza e più in generale, la vicinale è una strada che «nasce» per servire alcuni terreni ed abitazioni specifici, ma che poi magari inizia ad essere utile anche a persone diverse dai proprietari, facenti parte della collettività indistinta della popolazione, con la conseguenza che si evidenzia un interesse di tutti all’uso della strada, cosa che ulteriormente si determina poi la nascita – appunto - di un uso pubblico.

Questo uso pubblico, praticamente, non è altro che una servitù di passaggio che, anziché essere a favore di un privato in particolare, è a servizio di tutti i cittadini, ragione per cui la sua gestione è affidata al Comune nel cui territorio si trova la strada.

Quindi la situazione giuridica della strada vicinale è solitamente questa: una strada oggetto di un diritto di proprietà privata in comunione a più comproprietari, titolari di terreni confinanti con la stessa e dalla medesima «serviti», gravata da un diritto di servitù di passaggio a favore di tutti, gestita dall’ente comunale.

Premesso che si tratta di un settore del diritto che, a fronte di un vastissimo numero di casi pratici, rimane alquanto dubbio, a cominciare dal concetto stesso di strada vicinale, diviene rilevante stabilire se quest'ultima assuma un carattere pubblico o meno.
Infatti, se si tratta di strade vicinali ad uso pubblico, il Comune sarebbe obbligato a concorrere alla spesa per la manutenzione, sistemazione e riparazione delle medesime, ai sensi dell’art. 3, del D.Lgs. Luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446.
Detto articolo prevede, infatti l’obbligo del Comune di partecipare agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali (ivi incluso, quindi, lo sgombero della neve), nella misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell’importanza delle strade, purché la strada sia soggetta a pubblico transito.
La manutenzione della strada vicinale è, quindi, di solito a carico dei proprietari di detti fondi, che dovrebbero a tal fine costituire appositi consorzi: in virtù della legislazione attuale, però, sussiste ancora oggi l’obbligo per i Comuni di partecipare alle spese per la manutenzione delle strade vicinali ad uso pubblico e ciò anche a prescindere dalla costituzione dei consorzi di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 e di cui all’art. 14 della legge 12 febbraio 1958 n. 126.

In questo senso la sentenza del TAR Lombardia-Brescia, sez. I, 11.11.2008, n. 1602: «La norma di riferimento per stabilire la misura della partecipazione dei comuni agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali è in effetti l’art. 3 del DLLgt. 1446/1918, il quale prevede una misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell’importanza delle strade. Condizione essenziale perché possa sorgere l’obbligo di contribuzione è che le vicinali siano soggette a pubblico transito. (…) Se una strada vicinale può essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi, come avviene nel caso in esame, non può essere negata la presenza del pubblico transito solo perché materialmente la strada si presenta disagevole in alcuni tratti e poco frequentata nel complesso. L’uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva, legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al traffico, ad esempio vietando l’uso di alcuni mezzi (specie di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in particolari periodi, come per il resto della viabilità comunale. L’apposizione di limiti e divieti non fa venire meno la caratteristica del pubblico transito e quindi non esime i comuni dall’obbligo di contribuire alla manutenzione. L’esistenza dell’obbligo in capo ai comuni è indipendente dalla formazione di un consorzio tra gli utenti, sia nella forma facoltativa di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 sia nella forma obbligatoria di cui all’art. 14 della legge 12 febbraio 1958 n. 126. La costituzione del consorzio è necessaria per imporre la ripartizione delle spese tra i privati, mentre nei confronti del comune competente per territorio l’obbligo di finanziamento è una conseguenza automatica del diritto di uso pubblico secondo il principio generale dell’art. 1069 cc. in materia di opere necessarie per la conservazione della servitù. (…) Tuttavia la manutenzione deve tenere conto degli interessi pubblici collegati alla viabilità, e in particolare dell’utilizzazione della strada per il servizio antincendio, le emergenze sanitarie e gli interventi di protezione civile. Queste considerazioni riassumono i criteri con cui deve avvenire il riparto della spesa tra i comuni e i privati. Un ulteriore criterio è costituito dalla presenza di un “consumo notevole” della strada da parte di un singolo utente o un gruppo ristretto ai sensi dell’art. 9 del DLLgt. 1446/1918. In effetti se vi è uno squilibrio nell’utilizzazione, nel senso che la strada è di fatto al servizio di pochi anziché della collettività, l’onere economico deve gravare in misura proporzionale su questi ultimi, a prescindere dalla formale istituzione di un consorzio».

In conclusione, per quanto riguarda la strada vicinale, è obbligatoria la costituzione di un consorzio tra i proprietari per la gestione della stessa; tuttavia, si potrà (sempre che sussista il requisito dell’uso pubblico) chiedere al Comune un contributo alla manutenzione. Se invece l’uso pubblico manca, si potrà ugualmente richiedere un contributo, ma il Comune non sarà obbligato a concederlo.

Sarebbe opportuno, lo si ribadisce, per una risposta davvero completa al quesito, chiarire le circostanze della “nascita” della strada in questione per capire se il Comune abbia o meno gli obblighi di contribuzione appena descritti: i requisiti della pubblicità dell’uso, infatti, (che sono sempre gli stessi sopra richiamati nelle pronunce citate, sia per le strade private in generale sia per le strade private cosiddette vicinali), ad avviso di chi scrive, sussistono tutti.