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Articolo 104 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee

Dispositivo dell'art. 104 Codice dell'ambiente

1. È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.

2. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.

3. In deroga a quanto previsto al comma 1, per i giacimenti a mare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e, per i giacimenti a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, le regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

4. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l'autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l'assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico.

4-bis. Fermo restando il divieto di cui al comma 1, l'autorità competente, al fine del raggiungimento dell'obiettivo di qualità dei corpi idrici sotterranei, può autorizzare il ravvenamento o l'accrescimento artificiale dei corpi sotterranei, nel rispetto dei criteri stabiliti con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'acqua impiegata può essere di provenienza superficiale o sotterranea, a condizione che l'impiego della fonte non comprometta la realizzazione degli obiettivi ambientali fissati per la fonte o per il corpo idrico sotterraneo oggetto di ravvenamento o accrescimento. Tali misure sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre nell'ambito del Piano di tutela e del Piano di gestione.

5. Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con proprio decreto, purché la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all'iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e 3.

5-bis. In deroga a quanto previsto al comma 1 è consentita l'iniezione, a fini di stoccaggio, di flussi di biossido di carbonio in formazioni geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni che per motivi naturali sono definitivamente inadatte ad altri scopi, a condizione che l'iniezione sia effettuata a norma del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico di biossido di carbonio.

6. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi:

  1. a) per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l'acqua risultante dall'estrazione di idrocarburi;
  2. b) per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall'impianto di iniezione o di reiniezione.

7. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l'assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.

8. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico è revocata.

8-bis. Per gli interventi assoggettati a valutazione di impatto ambientale, nazionale o regionale, le autorizzazioni ambientali di cui ai commi 5 e 7 sono istruite a livello di progetto esecutivo e rilasciate dalla stessa autorità competente per il provvedimento che conclude motivatamente il procedimento di valutazione di impatto ambientale.

Massime relative all'art. 104 Codice dell'ambiente

Corte cost. n. 100/2012

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 della L.R. 19 maggio 2011, n. 6 della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (Disposizioni in materia di attività estrattive e risorse geotermiche), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che ha modificato l'art. 18 della legge regionale 15 maggio 2002, n. 13 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2002), aggiungendo al comma 26 la lettera c-ter) che prevede, con riferimento alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici, avendo la Regione esercitato la propria competenza legislativa in conformità a quanto previsto dall'art. 101, comma 7, lettera e), del D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente), che, nell'individuare i criteri generali della disciplina degli scarichi delle acque, espressamente prevede che la normativa regionale possa assimilare alle acque reflue domestiche le altre acque reflue che abbiano caratteristiche qualitative ad esse equivalenti, e non essendo irragionevole ritenere che tale tipologia di acque presenti caratteristiche equivalenti a quella delle acque reflue domestiche, disponendo peraltro l'art. 104 dello stesso D.Lgs. n. 152 del 2006, che proprio le acque utilizzate per scopi geotermici possano essere escluse dal divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo. È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, L.R. 19 maggio 2011, n. 6, Friuli-Venezia Giulia, nella parte in cui, modificando l'art. 18, L.R. 15 maggio 2002, n. 13, Friuli-Venezia Giulia, prevede, con riguardo alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici, in riferimento all'art. 117, 2 comma, lett. s), Cost.

Corte cost. n. 251/2009

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Emilia-Romagna avverso l'art. 104, comma 4, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in riferimento all'art. 117 Cost. e alla Direttiva n. 80/68/CEE. Infatti, a prescindere dall'omessa indicazione del parametro costituzionale che si assume violato, la ricorrente non ha specificato quali attribuzioni regionali verrebbero lese in dipendenza della violazione della menzionata disciplina comunitaria. È inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Puglia avverso gli artt. 101, comma 7, e 104 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. in quanto la ricorrente, oltre a non fornire alcuna argomentazione sulla pretesa lesione del principio di sussidiarietà, adduce una motivazione indeterminata e intrinsecamente contraddittoria della violazione dei parametri indicati. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale promosso con ricorso delle Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata avverso numerose disposizioni del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, vengono trattate le sole questioni aventi ad oggetto gli artt. 91, commi 1, lettera d), 2, e 6, 95, comma 5, prima parte, 96, 101, comma 7, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, 114, commi 1 e 2, e 116, con rinvio a separate decisioni delle ulteriori questioni. Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Piemonte nei confronti degli artt. 91, 96, 104, comma 3, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in relazione agli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost. e al principio di leale collaborazione. Infatti, le censure sono generiche, poiché non sorrette da un'autonoma e specifica motivazione in relazione a ciascuno dei numerosi parametri evocati. È inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Emilia-Romagna avverso l'art. 104, comma 3, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in riferimento agli artt. 76 e 117 Cost. Infatti, la ricorrente non ha alcun interesse alla impugnazione, posto che la norma non sottrae alla Regione il potere di autorizzare lo scarico nel sottosuolo di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui sono stati estratti, ma assicura il coinvolgimento regionale attraverso il meccanismo dell'intesa.

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J. F. S. C. chiede
domenica 10/03/2024
“Salve. Mio padre ha una casa che ha costruito, inizio lavori, nel 1959 in regola. Mancava una parte e la terminò tra il 1960 ed il 1962 aggiungendo peró un garage ed una stanza come deposito/ripostiglio coprendo un'area scoperta che aveva il secondo ingresso di casa per accedere ad una scala esterna che porta al piano superiore terrazzato di metri quadrati pari a tutta la costruzione sottostante di casa, utilizzato per stendere il bucato. Premetto che sono state portate, in quegli anni, le tramezzature delle stanze di sotto anche al terrazzo con l'idea di costruire un secondo piano abitabile in futuro. Cosa peró mai fatta. Successivamente nel 1985, con la sanatoria, ha messo in regola tutto quello che aveva coperto, le 2 costruzioni compresa la scala che sono corpo unico con la casa. Nel 1995 ha eseguito ulteriori lavori trasformando una veranda, che affacciava nel giardino interno alla casa, metà coperta e metà scoperta (quest'ultima era la parte superiore del pozzo nero in quanto il comune era sprovvisto di rete fognaria urbana) in corridoio, soggiorno e bagno. Il comune, tra l'altro, ha richiesto 8 anni fa ai cittadini di mettersi in regola con l'allaccio in fogna comunale avendone finalmefinalmente effettuato l'impianto urbano. Cosa non eseguita visto che, a detta dei geometri comunali, essendo una casa sempre chiusa dove ci si va 1 volta all'anno per le vacanze, poteva rimanere così. Adesso io devo acquistarla e vorrei conoscere la situazione di legge obbligatoria affinché si possa effettuare vendita ed acquisto. Cosa é d'obbligo a chi vende, mio padre, e cosa a me che acquisto. Tutto l'iter. Tenendo presente che vorrei effettuare un "acquisto programmato con riscatto mensile" verso mio padre a cui andranno i soldi come ristoro mensile per i suoi fabbisogni, sino a che sarà in vita, successivamente andranno a beneficio di mia madre sino a quando sarà in vita (o viceversa) ed ho 7 fratelli eredi. La casa é di proprietà di mio padre il quale, pur essendo in comunione dei beni con mia madre, la costruí prima del matrimonio avvenuto nel dicembre del 1960.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 18/03/2024
L’attuale situazione urbanistica dell’immobile non consente che lo stesso possa costituire oggetto di trasferimento immobiliare.
Difettano, infatti, sia la conformità catastale che quella urbanistica, presupposti entrambi indispensabili per poter trasferire a qualunque titolo un bene immobile.
La prima, ovvero la conformità catastale, attiene alla corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile a quanto dichiarato ai fini tributari in catasto, mentre la conformità urbanistica attiene alla conformità dell’immobile alle disposizioni urbanistiche vigenti, tanto al momento della realizzazione degli interventi quanto all’attualità.
La conformità urbanistica si verifica attraverso il c.d. stato legittimo, ossia la corrispondenza tra lo stato di fatto e lo stato di diritto relativo all’immobile ( sussistenza di regolari titoli edilizi).

L’assenza di entrambe le conformità impedisce a qualunque notaio di ricevere l’atto pubblico di trasferimento immobiliare, pena la nullità di tale atto.
Sotto il profilo della relativa disciplina normativa vengono in considerazione:
  1. per la conformità urbanistica l’art. 46 T.U.E., il quale statuisce che sono invalidi gli atti ove da essi non risultino per dichiarazione dell'alienante o dei condividenti gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero gli estremi della segnalazione certificata di inizio attività.
  2. per la conformità catastale l’art. 19, comma 14, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010 n. 122, il quale ha aggiunto un nuovo comma 1 bis all’art. 29 L. 27 febbraio 1985 n. 52.

Per effetto di questa integrazione normativa, a decorrere dal giorno 1 luglio 2010, tutti gli atti pubblici e le scritture private autenticate che hanno per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, sempre a pena di nullità, oltre alla identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie.
La dichiarazione degli intestatari può essere sostituita da una attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Come si evince dallo stesso dato letterale, la norma può essere suddivisa in due parti:
  1. nella prima parte si persegue la c.d. “conformità oggettiva” degli immobili (la Circolare 2/2010 parla di “coerenza oggettiva”), cioè la conformità degli immobili esistenti alle risultanze del catasto;
  2. nella seconda parte, invece, si persegue la “conformità soggettiva” (o “coerenza soggettiva”), cioè la corrispondenza tra le risultanze del catasto e quelle dei Registri Immobiliari.
La prima, ovvero la conformità oggettiva, va documentata attraverso una dichiarazione resa in atto dalla parte che dispone dell’immobile (o in alternativa da un tecnico abilitato); la seconda, invece, ossia la conformità soggettiva, costituisce oggetto di un accertamento demandato dalla norma al notaio.

Per quanto concerne l’ambito applicativo delle suddette normative, dalla loro semplice lettura se ne deduce agevolmente che deve trattarsi:
  • di atti tra vivi, che determinino il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali di godimento (sono esclusi i diritti reali di garanzia, quali le ipoteche);
  • di atti stipulati nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata;
  • di atti che abbiano ad oggetto fabbricati già esistenti.

I limiti derivanti da tali norme, invece, non trovano applicazione nel caso del contratto preliminare ed, in genere, in qualunque caso di contratto avente ad oggetto effetti soltanto obbligatori tra le parti, dovendosi tuttavia pur sempre tenere presente che anche la sola irregolarità catastale può determinare l’impossibilità di dare esecuzione al contratto preliminare (per questa ragione, infatti, seppure il preliminare possa essere stipulato anche qualora manchi la conformità oggettiva o quella soggettiva, è bene disciplinare in modo puntuale la soluzione di questo problema, in modo che lo stesso possa essere superato prima della sottoscrizione del contratto definitivo).

Alla luce di quanto fin qui detto, dunque, l’acquirente diligente deve svolgere ogni indagine opportuna per appurare la regolarità urbanistica del bene e valutare la convenienza dell'affare, anche in riferimento ad una eventuale mancata rispondenza della costruzione al titolo dichiarato, e ciò soprattutto in considerazione del fatto che le sanzioni amministrative ricadranno comunque su di lui.
Per tale ragione, anche qualora nel caso di specie il padre alienante decidesse di assumersi la responsabilità di dichiarare in atto pubblico che lo stato di fatto dell’immobile corrisponde al suo stato di diritto, menzionando quali titoli edilizi soltanto quelli di cui è in possesso, è bene essere coscienti del fatto che in ipotesi di successivi accertamenti di difformità dell’immobile sarà su colui che risulta a quel momento titolare del diritto di proprietà che ricadranno le conseguenze di natura amministrativa.

In considerazione del quadro normativo sopra delineato e tenuto conto, peraltro, dell’intento manifestato da colui che pone il quesito circa le modalità che si intendono utilizzare per conseguire la proprietà del bene, la soluzione più opportuna che si ritiene di suggerire è quella di concludere un contratto di locazione con patto di futura vendita, fattispecie negoziale che si caratterizza per la creazione di un collegamento contrattuale tra una locazione ed un preliminare di vendita.
In particolare, viene predisposto uno schema contrattuale per effetto del quale il locatore (promittente venditore) ed il conduttore (promissario acquirente) convengono che la locazione si "trasformi" poi in una compravendita, il cui prezzo è rappresentato (in tutto o in parte) dai canoni versati.
Si può trattare sia di un contratto preliminare "bilaterale" (entrambi i contraenti si obbligano alla stipula del contratto definitivo) o "unilaterale" (l’obbligo di stipulare il contratto definitivo sorge cioè solo per il locatore, mentre il conduttore rimane libero di stipulare il contratto definitivo).
Tale forma contrattuale determina soltanto il sorgere nell’immediato di effetti obbligatori tra le parti, mentre gli effetti traslativi saranno differiti al momento della stipula dell’atto definitivo di vendita.
Nel contratto andrà inserita una clausola per effetto della quale il locatore (promittente venditore) si obbliga a regolarizzare prima della stipula del contratto definitivo la situazione urbanistica e catastale dell’immobile, deducendo tale fatto quale condizione risolutiva del preliminare stesso.
Ovviamente tale accordo necessita poi di essere definito nei suoi dettagli, anche con riferimento ai soggetti in favore dei quali il canone di locazione dovrà essere versato (come accennato nel quesito).

Per quanto concerne la situazione del mancato collegamento dell’immobile alla rete fognaria, al di la di ciò che possono aver detto i tecnici comunali, si tenga presente che, in conformità a quanto previsto dall’art. 104 del codice ambiente, si tratta di un vero e proprio obbligo di legge, in cui assenza non può essere rilasciata la certificazione di abitabilità/agibilità dell’immobile, ma che non impedisce di stipulare validamente l’atto di compravendita, a condizione che l’acquirente sia messo a conoscenza di tale situazione, accettando ugualmente di sottoscrivere il contratto.