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Articolo 117 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Ricorsi avverso il silenzio

Dispositivo dell'art. 117 Codice del processo amministrativo

1. Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, comma 2.

2. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.

3. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.

4. Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

5. Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito.

6. Se l'azione di risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

6-bis. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 6, si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

Spiegazione dell'art. 117 Codice del processo amministrativo

La norma in esame è l’unica contenuta nel Titolo III del Libro IV del Codice del processo amministrativo, relativo alla tutela contro l’inerzia della Pubblica Amministrazione.

A tali riguardi, va premesso che l’inerzia cui si riferisce la norma si realizza quando la P.A. viola l’obbligo di provvedere nei termini stabiliti dall’art. 2 L. 241/90. In caso di inerzia dell’Amministrazione, dunque, il silenzio va inteso come silenzio – inadempimento e al privato è riconosciuto il potere di agire in giudizio affinchè il giudice
  1. accerti la violazione dell’obbligo di provvedere;
  2. condanni la PA a pronunciarsi entro un termine.
A tal fine, la norma in commento – da leggersi in combinato disposto con l’art. 31 c.p.a. – prevede un rito speciale accelerato.

In particolare, si prevede che il ricorso sia proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato alla PA e ad almeno un controinteressato.
Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata, sempre nell’ottica della celerità e della semplificazione.
In caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a 30 giorni.

Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata. Va precisato, a questi riguardi, che l’attività del commissario ad acta si configura come attività propriamente sostitutiva rispetto all’esercizio ddel potere da parte della PA.

Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito. In tal caso, quindi, è prevista sempre la conversione del rito.

Conclusivamente, per il caso in cui l'azione di risarcimento del danno sia proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il legislatore dispone che il giudice possa
  • definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio;
  • trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
In tal caso, quindi, non è sempre prevista la conversione del rito, che rappresenterà un’opzione percorribile solo nel caso in cui la domanda risarcitoria appaia manifestamente infondata o comunque non necessiti di ulteriori adempimenti istruttori, apparendo di facile soluzione.

Massime relative all'art. 117 Codice del processo amministrativo

Cons. Stato n. 4561/2019

Non può configurarsi alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su una richiesta di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo, mediante l'azione avverso il silenzio rifiuto ex artt. 31 e 117 c.p.a., in quanto il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell'Amministrazione competente e si esercita d'ufficio, nel rispetto dei criteri di certezza delle situazioni giuridiche e di efficienza gestionale, cui detta valutazione discrezionale deve essere improntata, e non si esercita, quindi, in base ad una istanza di parte, avente, al più, portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad ingenerare alcun obbligo giuridico di provvedere". E ciò vieppiù a dirsi ove, com'è nel caso di specie, gli atti di gara risultano fatti oggetto di contenzioso oramai definito con sentenze oramai coperte dal giudicato. (Conferma Tar Campania Napoli, sez. V, n. 06716/2018). Lo speciale rimedio dell'azione avverso il silenzio è esperibile non solo in presenza di condotte omissive che si protraggano oltre i termini di legge, ma anche in presenza di atti infra procedimentali o soprassessori, per tali dovendosi intendere quelli che solo apparentemente configurano una spendita di potere ma che sostanzialmente eludono l'obbligo di provvedere mediante richieste istruttorie inutilmente defatigatorie o provvedimenti che eludono il contenuto dell'istanza del privato o sospendono l'iter procedimentale in casi non previsti dalla legge violando il dovere di provvedere normativamente imposto. (Conferma Tar Campania Napoli, sez. V, n. 06716/2018). L'azione amministrativa avverso il silenzio della pubblica amministrazione, ex art. 117 del D.Lgs. n. 104/2010 può avere ad oggetto sia condotte omissive che si protraggano oltre i termini di legge ma anche atti infra procedimentali o soprassessori quali sono quelli che eludono il contenuto dell'istanza del privato o sospendono l'iter procedimentale in casi non previsti dalla legge violando il dovere di provvedere così come normativamente imposto.

Cons. Stato n. 4504/2019

Il ricorso avverso il silenzio inadempimento deve intendersi ritualmente esperibile solo se proposto a tutela di posizioni di interesse legittimo, implicanti l'esercizio in via autoritativa di una potestà pubblica, e non se l'inerzia è serbata a fronte di un'istanza avanzata per il riconoscimento di un diritto soggettivo, poiché in tal caso l'interessato ha titolo a chiedere l'accertamento del diritto al giudice competente, vale a dire al giudice ordinario, se la materia non rientra tra quelle di giurisdizione esclusiva. Il ricorso avverso il silenzio inadempimento dell'Amministrazione, proposto ai sensi dell'art. 117 del D.Lgs. n. 104/2010, è diretto ad accertare la violazione dell'obbligo della stessa di provvedere su un'istanza dell'interessato volta a sollecitare l'esercizio di un pubblico potere; questo tipo di ricorso risulta dunque esperibile in presenza di un obbligo di provvedere nei confronti del richiedente, rispetto al quale l'amministrazione sia rimasta inerte, sia in base ad espresse previsioni di legge, sia nelle ipotesi che discendono dai principi generali o dalle peculiarità del caso.

Cons. Stato n. 4502/2019

Non si ravvisa alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità degli atti amministrativi mediante l'istituto del silenzio-rifiuto, costituendo l'esercizio del potere di autotutela facoltà ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitarla, con la conseguenza che essa non ha alcun obbligo di provvedere su istanze che ne sollecitino l'esercizio, per cui sulle stesse non si forma il silenzio e la relativa azione, volta a dichiararne l'illegittimità, è da ritenersi inammissibile.

Cons. Stato n. 3576/2019

L'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita su una istanza diretta a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela (che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l'amministrazione per la tutela dell'interesse pubblico) e che il potere di autotutela è incoercibile dall'esterno attraverso l'istituto del silenzio-inadempimento ai sensi dell'art. 117 D.Lgs. n. 104/2010.

Cons. Stato n. 4580/2019

Il commissario ad acta nominato nell'ambito dei giudizi avverso il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione subentra nei poteri da questa non esercitati, spendendone le facoltà ed utilizzando il margine di discrezionalità spettante all'amministrazione.

Cons. Stato n. 1634/2019

In materia di danni da emotrasfusione, il rifiuto opposto dalla Pubblica Amministrazione all'istanza di transazione del danneggiato non incide sul diritto soggettivo al risarcimento, ma sull'interesse all'osservanza della normativa secondaria concernente la procedura transattiva. Tale principio vale anche quando, di fronte all'inerzia dell'amministrazione relativa all'istanza presentata, si fa valere una situazione che si configura quale interesse legittimo alla corretta conclusione della procedura, con la conseguente possibilità di esperire anche l'azione prevista dagli artt. 31 e 117 D.Lgs 104/2010.

Cass. civ. n. 18152/2015

Il ricorso avverso il silenzio della P.A., previsto dall'art. 117 del D.Lgs. n. 104 del 2010, quale strumento processuale di tutela contro l'inerzia della stessa P.A., non fonda bensì presuppone la giurisdizione del giudice amministrativo sulla pretesa sostanziale alla quale si riferisce la dedotta inerzia, non determinando una ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva di detto giudice, per cui è alla natura di tale pretesa che occorre avere riguardo ai fini del riparto della giurisdizione. Pertanto, nel caso in cui la posizione fatta valere dai ricorrenti che agiscono per l'annullamento di un silenzio-rifiuto rientri nel novero dei diritti soggettivi (nella specie, si trattava del diritto soggettivo all'assunzione), senza alcun intervento della P.A. dotato di margini di discrezionalità, la controversia rientra nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario.

Cons. Stato n. 1739/2011

Alla luce dell'art. 117, comma 6, del c.p.a., deve ritenersi ammissibile la domanda di risarcimento proposta unitamente ai ricorso avverso il silenzio. È certamente ammissibile la domanda con cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.

Cons. Stato n. 1335/2011

Il danno ingiusto derivante dal tardivo rilascio della concessione edilizia va posto in stretta correlazione con l'inosservanza dolosa o colposa della normativa disciplinante il relativo procedimento addebitabile all'Amministrazione. L'avvenuto riconoscimento in sede giudiziale penale, ai fini civilistici, di un diritto al risarcimento dei danni subiti dal Comune in ragione del comportamento tenuto dal dipendente, comporta inevitabilmente che la condotta accertata come penalmente rilevante, posta in essere dal tecnico, come riconosciuta lesiva della posizione giuridica soggettiva dello stesso Comune, spezza il rapporto organico esistente tra datore di lavoro e dipendente, senza che quanto operato illegittimamente dal secondo soggetto possa rifluire in capo al primo.

Cons. Stato n. 1271/2011

L'inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del privato assume particolare valenza negativa (derivando dall'ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del procedimento che il legislatore ha elevato all'ambito dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m) cost.), con la conseguenza che risulta valorizzata e potenziata ogni forma di tutela, compresa quella risarcitoria, per i danni da ritardo della p.a., estensibili quindi anche alle conseguenze di detto ritardo sull'integrità fisica del cittadino (cosiddetto danno biologico). Il danno biologico costituisce quell'aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all'integrità fisica della persona, derivante nella specie dalla patologia «disturbo ansioso-depressivo reattivo con somatizzazioni, quali l'alopecia», tenuto conto del fatto che la già debole situazione psico-fisica del ricorrente è stata in concreto messa duramente alla prova da una attesa, apparsa a volte interminabile, della conclusione di un procedimento, da cui dipendeva la sorte dell'unica attività imprenditoriale in quel momento svolta. La quantificazione del danno biologico permanente, va effettuata in via equitativa, anche tenendo conto dell'età del ricorrente e dei criteri di cui all'art. 139 del D.Lgs. n. 209/2005, su cui vanno calcolati interessi e rivalutazione monetaria.

In caso di ritardo nel rilascio di un permesso di costruire in variante (intervenuto solo a seguito di impugnazione del silenzio del Comune), il privato è abilitato a richiedere innanzi al a.g.a. il risarcimento del "danno da ritardo": infatti, l'intervenuto art. 2 bis, comma 1, L. n. 241/90, introdotto dalla L. n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. L'art. 1 bis, comma 1, L. n. 241/90, presuppone che anche il tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.

Può essere riconosciuto il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante e tale danno farsi decorrere; dalla data in cui l'istruttoria sulla relativa domanda era completa e non dal momento in cui è stato presentato dall'istante il ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 21 bis L. n. 1034 del 1971 e s.m.i.

Cons. Stato n. 996/2011

In tema di giustizia amministrativa l'interessato, con l'azione avverso il silenzio, può chiedere solo l'accertamento della sussistenza dell'obbligo di provvedere - l'an dell'azione amministrativa - potendo chiedere l'accertamento della fondatezza della pretesa - il quomodo dell'azione amministrativa - solo se si tratti di attività vincolata, o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 117 Codice del processo amministrativo

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Paola P. chiede
giovedì 08/10/2020 - Veneto
“Spett.le Redazione di Brocardi.it,

ho un problema che si protrae da anni a causa di una caldaia e canna fumaria abusive di un proprietario di un interrato sottostante il mio appartamento.
A causa della condensa formatasi all’interno della canna fumaria si è ammalorata la parete condominiale che cinge la mia proprietà. Tale canna fumaria è installata all’interno della parete condominiale e il condomino l’ha installata in modo arbitrario senza alcuna autorizzazione. Mi sono rivolta ad un avvocato e passata la fase di mediazione senza che il proprietario in questione si presentasse in Tribunale ho chiesto un accertamento tecnico preventivo.
Dopo i necessari sopralluoghi, il CTU nella relazione ha affermato che la caldaia non è a norma ai sensi del Regolamento (UE) n. 813/2013 in quanto a camera stagna e la canna fumaria non è conforme alla legge ai sensi della UNI 7129-3:2015 in quanto non avente percorso rettilineo, presentando 4 curve (cambi di direzione) per raggiungere il tetto.
Questo iter è durato 3 anni e non avendo ottenuto risultati ho deciso di revocare il mandato all'avvocato.
Su suggerimento di mio figlio, che è architetto, per abbreviare i tempi ho fatto un esposto all’U.L.S.S. denunciando il condomino per abuso edilizio in quanto l’interrato non abitabile è utilizzato come abitazione e denunciando anche la presenza di una camera, una cucina, un camino e un bagno.
L’ U.L.S.S. l’ha inoltrato al Comune, il quale dopo 15 mesi e varie pec ha pubblicato un’ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi ordinando solamente la demolizione di una parete divisoria per la creazione della camera e la rimozione della caldaia perché priva di libretto e dei requisiti di legge.
Dopo questo, ho inviato una pec al Comune dicendo di rettificare, integrare e ripubblicare l’ordinanza perché manchevole in quanto non si pronuncia sui reati denunciati con l’esposto.
Ho ricordato inoltre che il motivo principale per cui è stato presentato l’esposto è la presenza della canna fumaria, perciò non ordinandone la demolizione la causa del danno rimane. Ho fatto presente che la giurisprudenza si è espressa più volte chiarendo che la predisposizione di impianti e opere è sufficiente a dimostrare la difformità rispetto alle norme urbanistico - edilizie cioè costituisce circostanza di fatto del mutamento di destinazione d’uso a fini abitativi del vano interessato e quindi comprova il reato di abuso edilizio, rimandandoli alle sentenze della Corte di Cassazione penale sezione III n. 4555/2007, Cass. pen. sez. III n. 27713/2010, Cass. pen. sez. III n. 9282/2011, Cass. pen. sez. III n. 42453/2015 e Cass. pen. sez. III n. 49840/2016.
Per le suddette ragioni ho sottolineato che deve essere demolito l’impianto di riscaldamento e rimossa l’utenza gas.
Nel regolamento edilizio comunale è riportato che le cucine non possono essere ubicate al piano interrato ed anche che il bagno in quanto cieco ed unico per l’unità immobiliare non è a norma. Inoltre ho scritto che in quanto pubblici ufficiali non possono esimersi dal far demolire le opere abusive e denunciare i reati all’Autorità Giudiziaria in caso contrario saranno punibili ai sensi dell’art. 361 c.p. e 328 c.p..

Penso di aver diritto di fare richiesta di accesso agli atti per visionare ed avere copia del verbale di accertamento, vi chiedo conferma di questo e se la risposta è positiva se è possibile farlo via pec.
Il Comune non ha mai risposto alle pec, chiedo gentilmente cosa potrei fare per esortarli a rettificare l’ordinanza.
Inoltre durante i sopralluoghi del CTU ho potuto constatare la presenza di camera, camino, bagno e cucina e perciò non avendone ordinato la demolizione vi chiedo se l’amministrazione, in particolare il Responsabile dell’Area Edilizia Privata, il Comandante dei Vigili e il Sindaco siano punibili di abuso d’ufficio.
A questo punto se non ho risposta è meglio che faccia una diffida dando loro un termine di 15 giorni dicendo che scaduto il termine farò un esposto al Prefetto?
Posso fare una segnalazione all’Eni gas e luce allegando copia dell’ordinanza e chiedere la rimozione del contatore?
Nell’eventualità di essere costretta a fare ricorso al T.A.R. posso farlo per i reati di cui sopra?

Ringrazio e saluto distintamente.”
Consulenza legale i 20/10/2020
In risposta al quesito è necessario premettere che il Comune, pur essendo deputato alla vigilanza ed alla repressione degli abusi edilizi, non è titolare di alcun potere o competenza in merito all’accertamento sulla eventuale sussistenza di reati ex art. 44, D.P.R. n. 380/2001.
Infatti, tale Ente si occupa soltanto dell’irrogazione delle sanzioni amministrative demolitorie o pecuniarie e della segnalazione della presenza degli abusi all’Autorità Giudiziaria, che è l’unico organo deputato allo svolgimento delle indagini e all’adozione dei necessari atti di impulso nell’ambito del procedimento penale.
Nel caso di specie, si nota che il Comune sotto questo aspetto ha agito correttamente, in quanto, oltre a ordinare la demolizione delle opere abusive, la rimozione della caldaia e il ripristino dell’originaria destinazione d’uso non abitativa, ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica competente per territorio (v. pag. 2 ordinanza trasmessa a corredo della richiesta di parere).
Non è, quindi, da escludere che il responsabile dell’abuso venga colpito anche da una sanzione penale, ma questa può essere irrogata solo dal Giudice penale e non dal Comune o dal T.A.R..

Tanto chiarito, quanto alla PEC già inviata al Comune, si rileva anzitutto che, in ipotesi di segnalazioni circostanziate, l'Amministrazione ha l'obbligo di attivare un procedimento di controllo e di verifica in merito alla sussistenza dell'abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell'esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l'esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente (T.A.R. Milano, sez. II, 04 novembre 2019, n. 2290).
Pertanto, se l’esposizione dei fatti contenuta nella PEC (indipendentemente dalla qualificazione giuridica che ne è stata data sotto l’aspetto penale) è precisa e documentata, il Comune è tenuto nell’ordinario termine di trenta giorni a fare le adeguate verifiche e a dare una risposta espressa circa la presenza o meno degli ulteriori abusi contestati.
In ogni caso, si potrebbe anche eventualmente integrare la segnalazione già inoltrata, ad esempio allegando (se ancora non è stato fatto) le fotografie dei luoghi e la relazione peritale svolta dal Consulente nominato nel procedimento di accertamento tecnico preventivo.

Nell’ipotesi di mancata risposta, pur essendo in astratto possibile proporre anche un’istanza di accesso agli atti, lo strumento più adeguato e diretto al fine di ottenere l'attivazione di poteri sanzionatori edilizi da parte della P.A. rimane il ricorso avverso il silenzio di cui all’art. 117 c.p.a..
Infatti, una costante giurisprudenza afferma che il proprietario di un immobile confinante con quello sul quale sono state realizzate opere abusive, in ragione dello stabile collegamento con il territorio oggetto dell'intervento edilizio, ben può chiedere al Comune di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'ordinamento, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-inadempimento (ex multis, T.A.R. Napoli, sez. VI, 04 ottobre 2019, n. 4744; T.A.R. Roma, sez. II, 02 luglio 2019, n. 8620).
Il ricorso non richiede alcuna preventiva diffida nei confronti della Pubblica Amministrazione e può essere proposto al TAR territorialmente competente fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento (art. 31, D. Lgs. n. 104/2010); nella specie non dovrebbe ricorrere alcuna decadenza, considerato anche che la precedente ordinanza comunale risale all’inizio del corrente mese.
In caso di accoglimento del ricorso, il T.A.R. ordina all’Amministrazione di provvedere, emettendo i dovuti provvedimenti sanzionatori, entro un termine di norma non superiore a trenta giorni.

Per completezza, è però opportuno precisare che la giurisprudenza qualifica la canna fumaria come un volume tecnico e, come tale, la considera un'opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è necessario il permesso di costruire, senza essere conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione, salvo che non si tratti di opera di palese evidenza rispetto alla costruzione ed alla sagoma dell'immobile (T.A.R. Perugia, sez. I, 31 gennaio 2020, n.41; T.A.R. Salerno, sez. II, 11 aprile 2019, n. 592).
Pertanto, nella eventuale integrazione della segnalazione o nel ricorso avverso il silenzio pare opportuno non focalizzarsi soltanto sulla realizzazione della canna fumaria, bensì evidenziare come essa si ponga all’interno di un complesso di interventi finalizzati ad attuare una non consentita modificazione della destinazione d’uso dell’immobile.
Infine, va chiarito che il Comune o il TAR non possono in ogni caso addentrarsi della questione relativa ai danni provocati all’appartamento di Sua proprietà, trattandosi di un aspetto che attiene esclusivamente ai rapporti tra privati e che è, quindi, appartenente alla giurisdizione del Giudice civile.



Anonimo chiede
sabato 18/01/2020 - Toscana
“Gentile redazione,
chiedo il vostro parere riguardo ad un contenzioso amministrativo relativo all’annullamento di
una sanatoria edilizia a me rilasciata su istanza del mio confinante, nonché fratello A.P. ,
avente per oggetto un bene di mia proprietà e la successiva istanza di A.P nei miei confronti
per l’adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’ente Comunale.

I dettagli del quesito sono presentati attraverso allegato pdf.”
Consulenza legale i 29/01/2020
Il quesito coinvolge diversi complessi profili di fatto e di diritto che per maggiore chiarezza di esposizione verranno trattati singolarmente, a cominciare dalla questione dell’opportunità di costituirsi nell’attuale ricorso al TAR promosso dal confinante.

1. Il ricorso attualmente pendente innanzi al TAR è stato promosso dal confinante ai sensi dell’art. 117, D.Lgs. n.104/2010, che è un rito speciale previsto per porre rimedio al cosiddetto “silenzio” (ossia l’inerzia) della P.A. nel concludere con un provvedimento espresso i procedimenti amministrativi avviati d’ufficio o ad istanza di parte.
Nel nostro caso, il ricorso riguarda soltanto lo specifico profilo dell’inerzia del Comune nell’adottare i provvedimenti repressivi conseguenti alla abusività delle opere oggetto del quesito.
Invero, l’abusività delle opere, che pure erano state in un primo momento sanate, è da ritenere ormai un fatto assodato e non più contestabile, essendosi ormai conclusa in modo definitivo la vicenda giudiziaria che ha portato all’annullamento degli atti autorizzativi adottati da Comune e Soprintendenza (la questione verrà approfondita in seguito).
In breve, l’azione mira semplicemente ad accelerare la concreta repressione dell’abuso, che rimane comunque un’attività dovuta e destinata ad essere in ogni caso portata avanti dal Comune.

Tanto premesso, quanto al profilo relativo alla legittimazione a ricorrere, la giurisprudenza è pressoché costante nel ritenere che il proprietario confinante, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi , sia titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti poteri e possa, quindi, ricorrere avverso l'inerzia dell'organo preposto (T.A.R. Napoli, sez. VI, 04 ottobre 2019, n.4744; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 17 settembre 2019, n.4515; T.A.R. Genova, sez. I, 05 febbraio 2019, n.94).
Infatti, il proprietario di un immobile confinante con un’area sulla quale insistono manufatti abusivi è titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto alla collettività, in quanto subisce gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell'eventuale illecito edilizio (Consiglio di Stato sez. VI, 28 marzo 2019, n.2063; T.A.R. Milano, sez. II, 28 settembre 2018, n.2171).
Ancora, la giurisprudenza ha riconosciuto il dovere del Comune di attivarsi a seguito delle segnalazioni dei proprietari di terreni limitrofi –e la loro relativa legittimazione a ricorrere avverso la sua eventuale inerzia- non solo in caso di abusi già certi, ma anche nella fase di accertamento degli stessi (T.A.R. Napoli, sez. VI, 04 ottobre 2019, n.4744; T.A.R. Napoli, sez. VI, 21 ottobre 2016, n.4816).
In sostanza, anche quando il vicino segnali soltanto un possibile abuso, il Comune ha l’obbligo di verificare la fondatezza di tale segnalazione e, eventualmente, di adottare i dovuti provvedimenti repressivi.

La sentenza del Consiglio di Stato citata nell’articolo in realtà non si discosta da tale orientamento, ma anzi lo conferma, aggiungendo che “essendo il presupposto per la legittimazione a ricorrere, costituito tra l'altro, dalla titolarità di un diritto reale su un bene ricadente nella zona interessata dal manufatto abusivo, tale presupposto viene a cessare nei casi in cui il bene che forma l'oggetto del diritto di proprietà sia, a sua volta, interamente o prevalentemente abusivo ed il Comune ne abbia ordinato, senza esito, la demolizione, ossia in tutti quei casi in cui l'inottemperanza alla diffida a demolire produce di diritto l'acquisizione del bene al patrimonio pubblico con la sua area di sedime (art. 31, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n.2228).
Infatti, il fondamento della legittimazione del vicino è costituito dal suo stabile collegamento con i luoghi, consistente nella titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale, nel possesso, nella detenzione di un bene immobile confinante con la costruzione abusiva.
Ne discende che alla perdita della proprietà del bene che si verifica a seguito della mancata esecuzione di un ordine di demolizione di opere abusive consegue il venir meno della legittimazione ad agire avverso l’inerzia della P.A. nei confronti dei confinanti.

Nel caso di specie, è vero che alcune delle opere presenti sul fondo del confinante sono state raggiunte da un ordine di sospensione dei lavori e di ripristino dello stato dei luoghi, ma è anche vero che per alcune delle costruzioni realizzate sembrano essere state richieste delle sanatorie edilizie.
Il TAR, dunque, potrebbe validamente ritenere che il caso in esame non ricada nella fattispecie considerata nella citata decisione del Consiglio di Stato, che richiede che l’immobile di proprietà del soggetto che agisce avverso il silenzio sia interamente o prevalentemente abusivo e sia stato colpito dalla sanzione più severa prevista dal T.U. Edilizia, tantopiù che la titolarità dell’interesse ad agire del sig. A.P. nemmeno è stata contestata nel ricorso da questi con successo intentato per l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria.
Invero, se il sig. A.P. era legittimato a ricorrere per far dichiarare l’abusività delle opere in parola, sarà anche legittimato a ricorrere avverso l’inerzia del Comune nell’adottare gli atti repressivi che conseguono a tale abusività.
In considerazione di quanto detto, l’eventuale costituzione nel nuovo ricorso al TAR non pare portare particolari vantaggi, in quanto le probabilità che il Giudice accolga l’eccezione di difetto di legittimazione del sig. A.P. sono molto basse e, comunque, il Comune è effettivamente tenuto ad intervenire per reprimere l’abuso a seguito dell’annullamento dei titoli edilizi in sanatoria.

Le suddette conclusioni rimangono ferme anche se si considera la lesione della veduta e del panorama lamentata nel ricorso del confinante.
Dalla lettura dell'atto, infatti, emerge che tale profilo sia stato menzionato al solo scopo di rafforzare le deduzioni riguardanti la legittimazione e l’interesse a ricorrere, per la sussistenza dei quali è, comunque, sufficiente il possesso della qualità di proprietario del fondo confinante.
Peraltro, la sentenza che concluderà il nuovo ricorso al TAR potrà semplicemente ordinare alla P.A. di attivarsi per reprimere l’abuso, ma non si potrà esprimere in relazione a tale presunta lesione del panorama, posto che si tratta di una questione afferente esclusivamente i rapporti tra privati, che -come tale- appartiene alla giurisdizione del Giudice ordinario.
Qualsiasi considerazione il TAR dovesse esprimere sul punto nella decisione, dunque, non farà stato nei Suoi confronti, cioè non Le precluderà alcuna eventuale futura azione o difesa concernente tale profilo.

2. Tutti i principi sopra espressi in merito alla legittimazione del confinante a sollecitare la repressione degli abusi edilizi operano –questa volta in Suo favore- anche quando si tratti di accertare l’abusività delle opere realizzate da A.P..
In particolare, è certamente Suo diritto ricevere, anzitutto, una risposta espressa all’esposto presentato nel novembre 2019, nonché di agire in caso di mancato riscontro con il ricorso avverso il silenzio di cui all’art. 117, D.Lgs. n.104/10.
Infatti, come sopra accennato, il proprietario di un immobile confinante con manufatti abusivi è legittimato a ricorrere alla procedura del silenzio -inadempimento, laddove abbia sollecitato inutilmente il Comune ad adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'ordinamento (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 marzo 2019, n.2063).
La sentenza del Consiglio di Stato richiamata al punto precedente, inoltre, non dovrebbe porre particolari problemi, posto che non si è verificata a Suo danno alcuna perdita della proprietà degli immobili insistenti sul Suo fondo.

Tuttavia, è importante tenere presente che l’art. 31, comma 2, D. Lgs. n. 104/2010, stabilisce un termine decadenziale per l’esercizio dell’azione, che “può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”.
Qualora l’esposto inviato al Comune non abbia seguito, dunque, è opportuno rivolgersi in tempi brevi ad un Legale, in modo da evitare che il ricorso sia dichiarato inammissibile per l’avvenuto decorso di tale termine.
Va aggiunto che –come è ormai pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 27 marzo 2019, n.2025)- Lei è pienamente legittimato non solo a sollecitare l’intervento del Comune nell’accertamento e nella repressione degli abusi edilizi del confinante, ma anche ad impugnare nel termine di sessanta giorni dalla cosiddetta “piena conoscenza” gli eventuali titoli edilizi (in sanatoria e non) emanti in favore del sig. A.P..

3. Rimangono ora da affrontare le questioni della possibilità di ottenere una nuova sanatoria delle opere oggetto del ricorso straordinario o, in alternativa, di eliminarle volontariamente senza aspettare che il Comune ne ordini la demolizione.
Quanto al primo aspetto, la risposta è purtroppo negativa, poiché tale strada è preclusa dal giudicato già formatosi sulla questione.
In via generale, si ritiene che, nel giudizio amministrativo che si conclude con l’accoglimento del ricorso, il giudicato si formi con riferimento ai soli vizi dell'atto ritenuti sussistenti dal Giudice e che alla P.A. rimanga il potere di rideterminarsi con il solo limite di non incorrere nei vizi già accertati in sede giudiziale (Consiglio di Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n.6486; T.A.R. Milano, sez. II, 02 luglio 2018, n.1640).
Nel nostro caso, il decreto che ha accolto il ricorso straordinario ha annullato la sanatoria concessa dal Comune e il parere favorevole della Soprintendenza, in quanto ha, in primo luogo, ritenuto come ormai “accertato” l’aumento volumetrico dell’edificio B (pag.7), che determina l’impossibilità di regolarizzare l’opera realizzata a causa della presenza di un vincolo paesaggistico (pagg.9-10).
In secondo luogo, è stata dichiarata l’illegittimità del titolo in sanatoria anche in ragione del fatto che la costruzione non è conforme alla normativa urbanistico/edilizia vigente al momento della sua realizzazione (pag.11).
Tale accertamento contenuto nel decreto è coperto da giudicato ed è vincolante per la P.A., che non se ne può in alcun modo discostare.
Pertanto, un’eventuale nuova domanda di sanatoria è destinata ad essere inevitabilmente respinta, in quanto mancano le condizioni minime per il rilascio del titolo ex art. 36, D.P.R. n. 380/2001.

Nemmeno viene in aiuto l’art. 14, L. R. Sicilia n.16/2016, né il fatto che la domanda originaria di sanatoria edilizia risalga al 2008.
Infatti, il procedimento aperto con tale domanda si è concluso (anche se con l’emanazione di un provvedimento illegittimo) e l’eventuale nuova istanza sarebbe valutata alla luce della disciplina oggi vigente, secondo il principio tempus regit actum.
Per di più, l’articolo della Legge Regionale da ultimo citato è stato colpito da una pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte costituzionale, 8 novembre 2017, n. 232) proprio laddove consentiva al responsabile dell’abuso di ottenere il permesso in sanatoria nel caso in cui l’intervento fosse conforme soltanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda e non anche al momento della costruzione dell’opera.
A corollario di quanto scritto, si ritiene che nemmeno sia utile impugnare la futura ordinanza di demolizione, posto che essa costituisce un atto vincolato conseguente all’accertata e non più contestabile abusività della costruzione in parola.

4. Molto più promettente appare, invece, la possibilità di rimuovere spontaneamente le opere, in quanto essa in via generale ha l’effetto di eliminare il reato paesaggistico e, pur non estinguendo il reato edilizio, è comunque una circostanza considerata positivamente dal Giudice penale.
Infatti, ai sensi dell’art. 181, comma 1 quinquies, D. Lgs. n. 152/2004, “La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggisticì da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1”.
Ancora, secondo la giurisprudenza la demolizione delle opere abusive può essere valutata ai fini sia della mancanza di un danno penalmente rilevante, sia della buona fede dell’imputato, sia ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante della avvenuta riparazione del danno e della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (Cassazione penale, sez. III, 10 marzo 2016, n.15731; Cassazione penale, sez. III, 08 ottobre 2015, n.50215; Cassazione penale, sez. III, 26 febbario 2013, n.13738).

Ciò detto, va chiarito che il reato di abuso edilizio punito dagli artt. 10 e 44, D.P.R. n. 380/2001 si prescrive nel termine di quattro anni dal compimento dell'illecito se non vi sono stati atti interruttivi della prescrizione, o in cinque anni quando invece tali atti interruttivi siano stati compiuti (art. 160 c.p.]]; in entrambi i casi il termine decorre dall’ultimazione dei lavori (Cassazione penale, SS.UU., 27 febbraio 2002, n. 17178; Cassazione penale, sez. III, 20 novembre 2019, n.2695).
Tuttavia, l’avvenuta prescrizione dei reati non impedisce all’Amministrazione di emanare la sanzione amministrativa della demolizione delle opere abusive, che può essere ingiunta in ogni tempo ed anche a distanza di molti anni dall'esecuzione dell’opera (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n.9).

Anche per questo motivo, pare opportuno valutare insieme ai tecnici comunali le modalità con le quali attuare la volontaria rimessione in pristino dei luoghi, che comunque sarà una conseguenza necessaria ed inevitabile dell’annullamento dei titoli edilizi in sanatoria (peraltro, probabilmente essa determinerebbe anche la dichiarazione di cessazione della materia del contendere del ricorso promosso da A.P.).

5. Infine, vista la sorte dell’accertamento di conformità in sanatoria rilasciato dal Comune, pare possibile avanzare un’istanza di rimborso dell’oblazione a suo tempo versata, ricordando che il diritto alla restituzione si prescrive nel termine ordinario di dieci anni decorrente dal momento dell'annullamento del titolo edilizio (Cassazione civile, SS.UU., 23 aprile 2009, n.9662).

Giuseppina I. chiede
martedì 30/08/2016 - Calabria
“Ho effettuato una richiesta di accesso ai documenti (l.241) via PEC, nella fattispecie, il rilascio della copia stampata di una richiesta concernente la mia sfera lavorativa con relativa risposta effettuata da dirigenti, con mezzo di posta elettronica. Sono trascorsi più di trenta giorni, e a tutt'oggi la richiesta risulta completamente inesitata. La mia domanda si riferisce a cosa posso fare, visto lo stato dell'arte, oltre al ricorso presso il TAR. Vorrei sapere, inoltre, se sono previste sanzioni per il mancato riscontro alla succitata richiesta, sia esso positivo o negativo, nei riguardi dei destinatari della stessa.
Distinti saluti”
Consulenza legale i 01/09/2016
Nella procedura amministrativa esiste il c.d. silenzio-rifiuto: l’autorità amministrativa - a cui è stata presentata una qualsivoglia richiesta - può liberamente decidere di non rispondere entro i tempi stabiliti dalla legge e quella richiesta si intende rifiutata. In particolare, passati i trenta giorni senza risposta, la richiesta di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241/90 si intenderà rifiutata.
Il nuovo Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2/7/2010 n. 104) ha invero previsto i rimedi giurisdizionali avverso il silenzio della pubblica amministrazione all’art. 117. L’unico rimedio esperibile è la presentazione di un ricorso al TAR competente con il quale eventualmente anche richiedere il risarcimento del danno, quantificato oppure da stabilirsi in via equitativa dal giudice amministrativo; in alternativa, l’art. 31, comma 2 del codice del processo amministrativo prevede la possibilità di attendere un anno dalla conclusione della procedura (anno che decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione dell’istanza di accesso ai documenti senza risposta) per poi ripresentare la medesima istanza.