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Articolo 32 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Pluralità delle domande e conversione delle azioni

Dispositivo dell'art. 32 Codice del processo amministrativo

1. È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV.

2. Il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali. Sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni.

Spiegazione dell'art. 32 Codice del processo amministrativo

La norma in esame consente al ricorrente, principale o incidentale, di proporre innanzi al GA una pluralità di domande connesse.
Una simile facoltà concessa alle parti comporta il rischio che vengano proposte nell’ambito del medesimo giudizio diverse azioni che, singolarmente proposte, sarebbero soggette a riti diversi (come ad esempio avviene nel caso di contestuale proposizione dell’azione avverso il silenzio, per la quale è previsto un rito accelerato in camera di consiglio, e di un’azione di annullamento, per la quale è previsto il rito ordinario): per far fronte a tale evenienza, dunque, il legislatore specifica che prevale il rito ordinario (salvo eccezioni ex titolo V, capi I e II del Libro IV).
Al comma secondo della norma, poi, si precisa che il giudice procede a qualificare le azioni proposte valutandone gli elementi sostanziali e che egli può comunque disporre la conversione delle azioni qualora ne ricorrano i presupposti.

Massime relative all'art. 32 Codice del processo amministrativo

Cons. Stato n. 4569/2019

Nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo. Sono preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro: in questi casi, infatti, si verifica una non giustificata "confusione" tra cause che possono dare origine a fenomeni di abuso processuale, in relazione al mancato versamento del contributo unificato, ledendo nel contempo anche il principio del giusto processo di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 104/2010 rallentando la definizione della controversia. La cumulabilità delle impugnative impone che tra gli atti gravati deve potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione. In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell'impugnazione congiunta dell'atto presupposto e di quello consequenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull'interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale). In tema di gare di appalto pubbliche, nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione può essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto. Il cumulo di azioni è quindi ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale. In questo caso, infatti, si ricade nell'ipotesi generale nella quale gli atti - sebbene formalmente distinti - si fondano però sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti. In pratica, in questo genere di casi, l'impugnazione congiunta di una pluralità di atti, aventi identico contenuto, fondata sulle medesime ragioni di diritto, non comporta "confusione" tra le cause, ma anzi evita il rischio di conflitto tra giudicati. Nel processo amministrativo il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa.

Cons. Stato n. 1687/2019

Nel processo amministrativo la cumulabilità delle impugnative impone che tra gli atti gravati deve potersi rintracciare una ragione comune per cui anche se appartengono a procedimenti diversi sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione.

Cons. Stato n. 875/2019

Quando l'Amministrazione rinnova l'esercizio delle sue funzioni dopo l'annullamento di un atto operato dal giudice amministrativo, l'interessato che si duole (anche) delle nuove conclusioni raggiunte dall'amministrazione può proporre un unico giudizio davanti al giudice dell'ottemperanza, lamentando la violazione o elusione del giudicato ovvero la presenza di nuovi vizi di legittimità nella rinnovata determinazione; il giudice dell'ottemperanza è quindi chiamato, in primo luogo, a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all'ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell'azione amministrativa, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori; nel caso in cui il giudice dell'ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, ne dichiara la nullità, con la conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda (quella cioè volta a sollecitare un giudizio sulla illegittimità dell'atto gravato). Viceversa, in caso di rigetto della domanda di nullità, il giudice dispone la conversione dell'azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione, ai sensi dell'art. 32, comma 2, del D. Lgs. n. 104/2010.

Cons. Stato n. 5854/2018

L'ipotesi prefigurata dall'art. 34, comma 3 D.Lgs. 104/2010, non concreta una mera riqualificazione della domanda originaria. In quest'ultimo caso, infatti, il giudice è chiamato soltanto ad una operazione di interpretazione giuridica della domanda originaria, alla stregua del contenuto effettivo della pretesa (del tutto coerentemente, l'art. 32, comma 2, D.Lgs. 104/2010 lo configura come potere prettamente ufficioso). Il passaggio dall'azione di annullamento a quella di mero accertamento, per contro, determina una modificazione (non degli effetti processuali della domanda originaria, bensì) degli effetti sostanziali scaturenti dal giudicato. La variazione in senso riduttivo del petitum originario, al fine di renderlo adeguato alle sopraggiunte necessità di soddisfacimento del bisogno di tutela - modificandosi l'utilità perseguita (l'oggetto mediato trascorre dalla tutela specifica a quella per equivalente) in relazione alla originaria richiesta di provvedimento giurisdizionale (oggetto immediato), quest'ultimo viene soltanto variato nella sua estensione - integra una ipotesi di conversione (art. 32, comma 2, D.Lgs. 104/2010). Tra i presupposti della conversione dell'azione di annullamento in mero accertamento occorre una espressa manifestazione di interesse del ricorrente a fini risarcitori.

Cons. Stato n. 5723/2018

La disciplina di cui all'art. 32, comma 2, primo periodo del D.Lgs. n. 104/2010 prevede che il giudice qualifichi l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali e che converta l'azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione nel caso ne ravvisi i presupposti.

Cons. Stato n. 2/2013

L'art. 32, co. 2, primo periodo, cpa, (in base al quale "il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali", e la conversione dell'azione è ben possibile - ai sensi del secondo periodo del medesimo comma - "sussistendone i presupposti") presuppone che tale azione sia proposta non già entro il termine proprio dell'actio iudicati (dieci anni, ex art. 114, co. 1, cui rinvia l'art. 31, co. 4, cpa), bensì entro il termine di decadenza previsto dall'art. 41 cpa: il rispetto del termine decadenziale per la corretta instaurazione del contraddittorio è reso necessario, oltre che dalla disciplina del giudizio impugnatorio, anche dall'espresso richiamo alla necessità di sussistenza dei "presupposti" (tra i quali occorre certamente comprendere il rispetto dei termine decadenziale), effettuato dall'art. 32, co. 2, cpa.

Ai sensi dell'art. 32, comma 2, primo periodo, cpa, la conversione dell'azione può essere disposta dal giudice dell'ottemperanza e non viceversa, perché solo questo giudice, per effetto degli articoli 21 septies L. 7 agosto 1990, n. 241 e 114, co. 4, lett. b), cpa, è competente, in relazione ai provvedimenti emanati dall'amministrazione per l'adeguamento dell'attività amministrativa a seguito di sentenza passata in giudicato, per l'accertamento della nullità di detti atti per violazione o elusione del giudicato, e dunque - come si è già evidenziato - della più grave delle patologie delle quali gli atti suddetti possono essere affetti.

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