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Articolo 1158 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari

Dispositivo dell'art. 1158 Codice Civile

La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento [957, 978, 1021, 1022, 1031] sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni(1).

Note

(1) Il possesso è continuato o continuo se il possessore mantiene la possibilità di esercitare, quando voglia, atti di signoria; non è necessaria, cioè, una sua interferenza continua. Per la dimostrazione vengono in aiuto le norme di cui agli artt. 1142 e ss.

Ratio Legis

La disposizione si occupa dell'usucapione ordinaria dei beni immobili. Per il suo ricorrere è richiesto soltanto il possesso continuato per venti anni.
Non serve un possesso pacifico di buona fede: l'eventuale contestazione nei confronti del possessore assume rilievo solo se determini interruzione.

Brocardi

Adversus fiscum usucapio non procedit
Incorporales res traditionem et usucapionem non recipiunt
Numquam in usucapionibus iuris error possessori prodest
Possessio ad usucapionem
Possessor malae fidei ullo tempore non praescribit
Praescriptio temporis iuri publico non debet obsistere
Pro herede ex vivi bonis nihil usucapi potest
Probabilis error possidentis usucapioni non obstat
Sine possessione, usucapio contingere non potest
Tantum praescriptum, quantum possessum
Ubi lex inhibet usucapionem, bona fides possidenti nihil prodest
Usucapio
Usucapio est adiectio dominii per continuationem possessionis temporis lege definiti
Usucapionis requisita sunt: res habilis, titulus, fides, possessio, tempus

Spiegazione dell'art. 1158 Codice Civile

Applicabilità della norma al caso di usucapione contro il dante causa

La norma non richiede una particolare illustrazione. È da notare solo che da un lato la precisazione che l’usucapione è un modo di acquisto del diritto in virtù del possesso, dall’altro l’accenno al requisito della continuità del possesso ad usucapionem, accenno reso tanto più necessario dalla ricordata abolizione della categoria formale del possesso legittimo.

Il confronto delle espressioni usate in questo articolo con quelle dei successivi artt. 1159 e 1161colui che acquistada chi non è proprietario ») mostra poi come il nuovo codice abbia respinto la tesi di coloro i quali negano che il possessore possa usucapire contro il suo dante causa. La soluzione è tanto più da approvare in quanto gli argomenti addotti a sostegno di tale dottrina sono privi di consistenza.

Per quanto infatti concerne la considerazione addotta da parte della dottrina, secondo cui chi è già proprietario non può divenire tale una seconda volta, si è giustamente replicato che si tratta di una di quelle regole di incompatibilità mal formulate e peggio intese, che si fondano su una corrispondente incompatibilità di fatto e che devono cedere qualora essa scompaia.

È vero che non si può acquistare un diritto che già si ha e in generale non si può acquistare un diritto su cosa propria, ma, se l’appartenenza del diritto costituisce un ostacolo a tale acquisto, essa non esercita invece alcuna influenza sugli elementi di fatto che costituiscono i requisiti per l’acquisto medesimo, infatti non li può snaturare. Il possesso rimane sempre possesso (né diventa meno idoneo all’usucapione, come vorrebbe la tesi sopra ricordata, che contrappone appunto il c.d. possesso causale al possesso formale).

Ciò che non può essere accolto è solo l’acquisto del diritto in causa dell’ostacolo esteriore dato dalla qualità di titolare del diritto stesso in chi dovrebbe acquistare. Ma, una volta venuta meno la titolarità del diritto, viene meno anche l’ostacolo e gli elementi che producono l’acquisto tornano ad avere tutta la loro efficacia. Non poche sono le ipotesi in cui ciò si verifica secondo il nostro ordinamento positivo: si pensi per tutte a quella dell'ipoteca costituita sulla cosa propria, che acquista valore quando la proprietà venga perduta. Si pensi, in un altro campo, alle ipotesi del legato di debito, della seconda stipulazione rivolta allo stesso oggetto della prima e che acquista valore se questa abbia qualche vizio e via dicendo.

Una volta che il titolo d'acquisto sia venuto meno (per annullamento, rescissione), l'acquirente è considerato come se non fosse mai stato titolare del diritto: l'ipotesi è quindi ben diversa da quella di colui che sia già titolare del diritto e logicamente non può diventare tale una seconda volta!


Inammissibilità della c.d. usucapio libertatis

Nè questo articolo nè alcuno dei successivi accennano agli effetti dell'usucapione della proprietà sui iura in re aliena o altri pesi che gravino la cosa. Tale silenzio è stato da alcuni interpretato nel senso che la questione dell’ ammissibilità o meno di quella che, con espressione imprecisa, si suole chiamare usucapio libertatis si presenti nel nuovo codice negli stessi termini in cui si presentava nel codice del 1865.

Ma ciò non è corretto, e per un duplice ordine di considerazioni.

Anzitutto, mentre non risulta che il legislatore del 1865 si fosse posto il problema, gli autori del progetto preliminare del nuovo codice si erano invece preoccupati di esso e, dopo aver largamente illustrato il punto nella loro Relazione, avevano formulato un art. 582 in cui si dichiarava, almeno in materia mobiliare, il principio della liberazione dai pesi in conseguenza dell'usucapione della proprietà. Di fronte a ciò, è assai sintomatico che, mentre i1 testo definitivo del codice pia non riproduce tale articolo, la relazione in proposito sia muta. La circostanza è poi tanto più significativa ove si consideri che, come si è visto, il principio della liberazione della cosa dai pesi e diritti altrui è accolto dall' art. 1153 del c.c. riguardo all'acquisto immediato delle cose mobili.

Queste due circostanze basterebbero di per sè ad escludere che il nuovo codice abbia voluto accogliere il principio in materia di usucapione. E ciò rafforza in tale convincimento il rilievo che il principio non è uno di quelli che possano nel silenzio della legge considerarsi connaturali all'usucapione. Questa è infatti dal codice nuovo, così come da quello del 1865, configurato come un modo di acquisto della proprietà o dei diritti su cosa altrui, e non come un modo di acquisto delle singole utilità, costitutive dell’una o degli altri, come sembra ritenere parte della dottrina.

Se è così, è chiaro come in difetto di esplicita determinazione legislativa l’usucapione possa condurre ad acquistare la proprietà di una cosa, ma non anche la libertà di questa dai diritti o pesi che la gravano.


Effetto retroattivo dellusucapione

Il progetto preliminare del secondo libro (art. 365) escludeva il c. d. effetto retroattivo dell'usucapione, disponendo che « restano sempre salvi i diritti acquistati dai terzi verso il vero proprietario anteriormente alla pubblicazione della domanda od eccezione tendente a far dichiarare verificata la prescrizione acquisitiva » , e ciò in vista dell'iniquità di una soluzione « che sacrifica coloro the acquistano da chi aveva il potere di disporre di fronte a coloro che acquistano da chi a quel momento tale potere non aveva ». La disposizione, che non aveva precedenti legislativi, suscitò critiche e dubbi vari tanto in dottrina quanto in seno alla Commissione delle assemblee legislative, e venne soppressa come quella che « avrebbe annullato praticamente l'efficacia dell'usucapione, perché avrebbe costretto colui che ha usucapito a iniziare in ogni caso un giudizio per l'accertamento del suo acquisto per evitare il pericolo che, malgrado l'avvenuta usucapione, l' ex dominus potesse ancora costituire diritti sulla cosa ». Così la Relazione al Re Imperatore, dove si aggiunge come con tale disposizione le esigenze della pubblicità avrebbero annullato un' altra fondamentale esigenza, che è quella di non attenuare l'efficacia dell'usucapione, la quale resta sempre il mezzo migliore per rimediare alle inevitabili lacune del nostro sistema di pubblicità.

Resta invece aperta — conclude la Relazione la questione della sorte che i diritti costituiti dal vero proprietario prima del verificarsi dell'usucapione hanno nel momento in cui l'usucapione si è compiuta. Sorte che, a nostro avviso, non pile essere se non quella della assoluta inefficacia.


L’art. 2651 c.c.

Eliminato l'art. 365 del progetto preliminare, l' art. 2651 del c.c. cosi dispone : « Si devono trascrivere le sentenze da cui risulta estinto per prescrizione o acquistato per usucapione ovvero in altro modo non soggetto a trascrizione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell' art. 2643 »

Quali siano le conseguenze della mancata osservanza della formalità la legge non dice, ma appare chiaramente dalla collocazione della norma che, per le ipotesi in essa previste, non trova applicazione l'art. art. 2650 del c.c., che commina l'efficacia delle successive trascrizioni a carico dell'acquirente.


Disposizioni transitorie

Le disposizioni transitorie sono chiare e rispondono a principi di diritto costantemente applicati. Essendo stati da un lato abbreviati i termini prescrizionali, dall'altro ammessa l'usucapione delle servitù discontinue, prima non usucapibili, occorreva provvedere all'ipotesi in cui il possesso fosse incominciato sotto l'impero del vecchio codice.

Ed è stato adottato il criterio per cui l'usucapione delle servitù discontinue non incomincia a decorrere se non dall'entrata in vigore del nuovo codice, e ciò anche se il possesso di tali servitù fosse già in atto a tale data. Quanto agli altri diritti, l'usucapione si compie nel termine pia breve, che peraltro non incomincia a decorrere se non dalla data di entrata in vigore della nuova legge, salvo che, per il compimento di essa secondo le disposizioni del vecchio codice, rimanga a decorrere un termine minore: in tal caso, come è ovvio, l'usucapione si compie col decorso di quest'ultimo termine.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

547 Si è attuata una più organica e razionale sistemazione della materia col trasferire sotto il titolo del possesso le norme particolari all'usucapione. Nelle linee essenziali la disciplina dell'usucapione immobiliare non differisce da quella tracciata dal codice del 1865. L'usucapione ordinaria della proprietà e degli altri diritti reali di godimento sui beni immobili si compie in virtù del possesso continuato per venti anni (art. 1158 del c.c.). Ho ridotto il termine di trent'anni stabilito dal codice anteriore, al fine di adeguarlo al termine di prescrizione dei diritti reali di godimento su cosa altrui. L'usucapione abbreviata, la quale ha per presupposto il possesso di buona fede e l'esistenza di un titolo astrattamente idoneo a trasferire o a costituire il diritto reale sull'immobile, si compie, come nel codice precedente (art. 2137), col decorso di dieci anni dalla data della trascrizione del titolo. L'art. 1159 del c.c., parlando di acquisto in buona fede «da chi non è proprietario» dell'immobile, rende chiaro che la disposizione si riferisce all'ipotesi dell'acquisto a non domino e non anche all'ipotesi dell'acquisto viziato a domino. E' così risolta una questione a cui dava luogo la formula meno precisa dell'art. 2137 del codice del 1865.

Massime relative all'art. 1158 Codice Civile

Cass. civ. n. 18544/2022

L'atto introduttivo del giudizio di scioglimento della comunione non interrompe il decorso del tempo utile all'usucapione, trattandosi di atto dispositivo del proprietario non diretto al recupero del possesso.

Cass. civ. n. 6728/2022

Il principio dell'accessione del possesso è applicabile non solo all'usucapione di cui all'art. 1158 c.c., ma anche a quella decennale di cui all'art. 1159 c.c.; in quest'ultimo caso, ai fini della maturazione dell'usucapione abbreviata in favore di chi abbia acquistato da meno di dieci anni e unisca al proprio il possesso del suo autore per goderne gli effetti, il decennio "ad usucapionem" decorre dalla data della trascrizione del titolo di acquisto del suo autore.

Cass. civ. n. 5582/2022

Nessuna incidenza interruttiva può avere sul decorso del termine per l'usucapione da parte del possessore, una procedura di espropriazione per pubblica utilità promossa contro l'intestatario dell'immobile e da quest'ultimo contestata, poiché l'interruzione del possesso può derivare solo da situazioni di fatto che ne impediscano materialmente l'esercizio, e non da vicende giudiziali tra l'intestatario della titolarità del bene e i terzi, che non comportano alcuna conseguenza nella continuità del possesso.

Cass. civ. n. 41027/2021

La convenzione negoziale con cui un soggetto riceva da un altro il godimento di un bene, con patto di futura vendita in proprio favore, essendo finalizzata, per comune proposito delle parti, al trasferimento della proprietà o di un diritto reale, determina, quale anticipazione dell'effetto giuridico finale perseguito, il passaggio immediato del possesso del bene medesimo, la cui consegna costituisce, pertanto, atto idoneo ai fini del relativo acquisto per usucapione.

Cass. civ. n. 28865/2021

Essendo l'usucapione un titolo d'acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l'azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell'onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell'usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell'opporre l'usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l'appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all'epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui "dies a quo" sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell'attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall'attore.

Cass. civ. n. 25865/2021

Nell'azione per rivendicazione l'onere della cd. "probatio diabolica" incombente sull'attore si attenua quando il convenuto si difenda deducendo un proprio titolo d'acquisto, quale l'usucapione, che non sia in contrasto con l'appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell'attore; in siffatta evenienza detto onere può ritenersi assolto, in caso di mancato raggiungimento della prova dell'usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell'appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere.

Cass. civ. n. 13156/2020

Ove il difetto della continuità del possesso risulti "ex actis" dalla produzione della parte che quella continuità invochi, il giudice, anche se l'interruzione non sia stata dedotta dalla controparte e pur in contumacia della stessa, deve rigettare la domanda o l'eccezione, giacché, in tal caso, non giudica "ultrapetita" in violazione dell'art. 112 c.p.c., rilevando un fatto che avrebbe dovuto essere eccepito ad iniziativa della controparte, bensì si limita a constatare il difetto, risultante dagli atti del giudizio fornitigli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all'accoglimento della domanda o dell'eccezione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 25/07/2016).

Cass. civ. n. 6123/2020

Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 20/03/2018).

Cass. civ. n. 27411/2019

La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell'ipotesi della mera convivenza nell'immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell'avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Tale accertamento realizza un'indagine di fatto, rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 28/05/2015).

Cass. civ. n. 26633/2019

Perché il possesso sia utile per l'usucapione è sufficiente che sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, in modo visibile e non occulto, così da palesare l'animo del possessore di volere assoggettare la cosa al proprio potere, mentre la violenza o la clandestinità, quali modalità che escludono che esso giovi all'usucapione, devono verificarsi al momento dell'acquisto, cosicché la sopravvenienza di tali elementi non incide sull'inizio del termine per usucapire. L'accertamento relativo alla qualificazione del possesso ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell'usucapione è devoluto al giudice del merito ed il relativo apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 07/07/2014).

Cass. civ. n. 23564/2019

Ai sensi dell'art. 1 della l. n. 36 del 1994 tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e, in quanto tali, sono demaniali in forza dell'art. 822, comma 1, c.c. Esse, dunque, per loro natura non sono suscettibili di usucapione, a nulla rilevando che l'usucapione sia giunta a maturazione prima dell'entrata in vigore della menzionata legge, atteso che il diritto d'azione (nella specie, il diritto dell'usucapente al riscontro giudiziale dell'acquisto a titolo originario) postula che l'ordinamento contempli in astratto la pretesa sostanziale che si intende azionare, laddove tale astratta prefigurazione deve escludersi con riferimento all'usucapione di beni demaniali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 02/01/2015).

Cass. civ. n. 4839/2019

Ai sensi dell'art. 35 c. nav., la sdemanializzazione dei beni del demanio marittimo non può avvenire "per facta concludentia", ma solo per legge o mediante l'adozione, ad opera dell'autorità competente, di un formale provvedimento che ha efficacia costitutiva, essendo basato su una valutazione tecnico-discrezionale in ordine ai caratteri naturali dell'area ed alle esigenze locali, finalizzata a verificare la sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare. Pertanto, non rilevano né il possesso del bene da parte del privato, improduttivo di effetti ed inidoneo all'acquisto della proprietà per usucapione, né il non uso dell'ente proprietario, con la conseguenza che l'accertamento giudiziale della non ricorrenza dei presupposti fattuali di appartenenza di un bene al suddetto demanio è del tutto privo di utilità. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 03/11/2014).

Cass. civ. n. 3487/2019

In tema di usucapione, l'assolvimento dell'onere probatorio gravante su chi invoca l'acquisto a titolo originario della proprietà, pur dovendo essere apprezzato con particolare rigore, è comunque soggetto alla regola della "preponderanza dell'evidenza" o "del più probabile che non" propria del processo civile e non a quella della prova "oltre il ragionevole dubbio" propria del processo penale, stante l'equivalenza dei valori in gioco tra le due parti contendenti nel processo civile e la diversità di quelli in gioco tra accusa e difesa in quello penale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata in quanto il giudice del merito aveva rigettato la domanda di usucapione, ritenendo che in questa materia trovasse applicazione il criterio del processo penale della prova oltre ogni ragionevole dubbio e fosse, viceversa, insufficiente il canone civilistico del "più probabile che non"). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 29/08/2013).

Cass. civ. n. 2977/2019

La prova degli estremi integratori di un possesso "ad usucapionem", vertendo su una situazione di fatto, non incontra alcuna limitazione nelle norme concernenti gli atti soggetti a forma scritta, "ad substantiam" o "ad probationem", e, pertanto, può essere fornita per testimoni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SASSARI, 28/11/2014).

Cass. civ. n. 587/2019

L'istituto dell'immemorabile, non più applicabile ai rapporti privatistici in quanto abrogato dal codice civile del 1865 e non richiamato in vigore dall'attuale codice civile, è invece operante nei rapporti di diritto pubblico e in particolare in quelli che hanno a oggetto beni demaniali; esso, a differenza dello usucapione, non è un modo di acquisto del diritto, ma costituisce una presunzione di legittimità del possesso attuale, fondata sulla "vetustas", e cioè sul decorso di un tempo talmente lungo che si sia perduta memoria dell'inizio di una determinata situazione di fatto, senza che ci sia memoria del contrario, di modo che la presunzione di corrispondenza dello stato di diritto allo stato di fatto implica che rispetto a quest'ultimo si presuma esistente il titolo legittimo e che, conseguentemente, possa ritenersi la legittimità dell'esercizio di diritti il cui acquisto non sarebbe attualmente possibile da parte di coloro che li esercitano. Perché possa ritenersi realizzata la prova di siffatta situazione, essa deve provenire da soggetti appartenenti ad almeno due generazioni, vale a dire non solo dagli ultracinquantenni della generazione attuale ma anche, secondo il loro ricordo, dai rispettivi genitori. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto l'istituto dell'immemorabile inapplicabile alla servitù di uso pubblico esercitata su di un terreno di proprietà privata). (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 04/12/2013).

Cass. civ. n. 31638/2018

In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, la deduzione del proprietario che il bene sia stato goduto dal preteso possessore per mera tolleranza costituisce un'eccezione in senso lato e, pertanto, essa è proponibile per la prima volta anche in grado di appello, sempre che la dimostrazione dei relativi fatti emerga dal materiale probatorio raccolto nel rispetto delle preclusioni istruttorie, concernendo il divieto di cui all'art. 345 c.p.c. le sole eccezioni in senso stretto, ossia quelle riservate in esclusiva alla parte e non rilevabili d'ufficio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 30/03/2015).

Cass. civ. n. 28804/2018

In tema di apertura di luci irregolari nel muro divisorio tra proprietà confinanti, bisogna distinguere se esse siano state realizzate sul manufatto di proprietà esclusiva di colui che compie tale attività e, quindi, "iure proprietatis", ovvero sul muro comune o di proprietà esclusiva del confinante e, pertanto, "iure servitutis", poiché solo in quest'ultima ipotesi il diritto a mantenere la relativa servitù può essere acquisito per usucapione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di appello che aveva affermato la non usucapibilità di una servitù di luce, prescindendo dalla concreta individuazione del regime dominicale del muro sul quale detta luce era stata aperta).

Cass. civ. n. 1395/2017

È ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso "ad usucapionem".

Cass. civ. n. 11052/2016

Al fine della determinazione del "dies a quo" per l'usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione bensì a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, mercé la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l'esistenza di uno stato di fatto coincidente con l'esercizio di un diritto reale di servitù.

Cass. civ. n. 1616/2014

In forza del principio "tantum praescriptum quantum possessum", la servitù è acquistata per usucapione in esatta corrispondenza con l'utilizzazione delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, protrattasi continuativamente per venti anni, il contenuto del diritto essendo determinato dalle specifiche modalità con cui, di fatto, se ne è concretizzato il possesso. Ne consegue che ogni apprezzabile variazione delle modalità possessorie interrompe il corso dell'usucapione e dà luogo a una nuova decorrenza del relativo termine.

Cass. civ. n. 25245/2013

L'usucapione richiede solo il possesso, inteso come esercizio di un potere di fatto sulla cosa con la volontà di esercitarlo alla stregua di un proprietario, e non è, quindi, incompatibile con la conoscenza del diritto altrui né con una dichiarazione rivolta ad un terzo relativa al titolo di proprietà del titolare formale intestatario.

Cass. civ. n. 24675/2013

In tema di servitù di passaggio, l'interesse ad agire per l'accertamento dell'avvenuta usucapione non viene meno in conseguenza del sopravvenuto acquisto, da parte dell'attore, di altro fondo limitrofo, ma non confinante con quello dominante, dotato di analoga servitù sul preteso fondo servente, essendo irrilevante per una servitù non coattiva la sussistenza di un altro passaggio per arrivare alla pubblica via, praticabile sul secondo fondo.

Cass. civ. n. 18859/2013

La servitù di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitù volontaria, sicché, ai fini del relativo acquisto, è irrilevante lo stato di interclusione del fondo, dovendosi prescindere dai requisiti per la costituzione ed il mantenimento della servitù di passaggio coattivo, desumibili dagli artt. 1051, 1052 e 1055 c.c., che regolano detto istituto.

Cass. civ. n. 18215/2013

Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus".

Cass. civ. n. 14902/2013

Non è configurabile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella legale allorché, risulti che, nel corso del tempo necessario ai fini di tale acquisto, l'originario manufatto, consistente, nella specie, in un rudere fatiscente, sia stato demolito e sostituito con un immobile avente una differente altezza ed una diversa localizzazione rispetto alle fondamenta ed all'area di sedime del preesistente, così integrando gli estremi di una nuova costruzione e non di un intervento di ristrutturazione, con conseguente venir meno dell'identità del bene occorrente per l'unitarietà del possesso "ad usucapionem".

Cass. civ. n. 14115/2013

Ai fini dell'usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, anche dopo l'invalido trasferimento della proprietà, l'"accipiens" può possedere il bene "animo domini", ed anzi proprio la circostanza che la "traditio" sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido (perché non concluso nella necessaria forma scritta), era comunque volto a trasferire la proprietà del bene costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'"accipiens" e la "res tradita" sia sorretto dall'"animus rem sibi habendi".

Cass. civ. n. 13212/2013

Nell'azione di accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù prediale, la proprietà del fondo dominante, la quale costituisce un requisito di legittimazione e non l'oggetto della controversia, può essere provata anche mediante presunzioni, quali, nella specie, l'intestazione catastale del bene conseguente alla trascrizione di un atto di divisione, o la circostanza che l'azione negatoria proposta dal titolare del fondo che si assume servente fosse stata rivolta proprio nei confronti dell'attore per usucapione.

Cass. civ. n. 12996/2013

Il possesso continuato per venti anni, utile ai fini dell'usucapione delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, è configurabile solo dalla data dell'acquisto dell'unità immobiliare, non potendosi prima di tale momento considerare distintamente il diritto dominicale trasferito ed il diritto d'uso del parcheggio non trasferito.

Cass. civ. n. 10894/2013

Non è configurabile quale possesso "ad usucapionem" il comportamento consistente nell'uso di una striscia di terreno ricoperta di ghiaia come parcheggio e spazio di manovra, non essendo detta condotta di per sé espressione di un'attività materiale incompatibile con l'altrui diritto di proprietà e non avendo la relativa esteriorizzazione la valenza inequivoca di una signoria di fatto sul bene, in quanto la copertura dell'area con ghiaia non integra un'opera permanente di trasformazione, idonea a precludere la potestà dominicale del proprietario, mentre l'utilizzo a scopo di parcheggio può risultare transitoriamente consentito per mera tolleranza.

Cass. civ. n. 6387/2013

Ai fini dell'accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù di scolo, non risulta decisivo che le relative opere apparenti insistano sul solo fondo servente, essendo, per contro, necessario che le stesse siano a servizio e rispondano ad un'effettiva utilità del fondo preteso dominante (nella specie, costituita dall'esigenza di far defluire le acque piovane e di coltura).

Cass. civ. n. 5769/2013

Il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la "realitas", intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità, così come al fondo servente del peso; pertanto, l'acquisto per usucapione della servitù di parcheggio è impedito oltre che dall'eventuale assenza delle opere richieste dall'art. 1061 c.c., anche dalla natura meramente personale dell'utilità.

Cass. civ. n. 3979/2013

È ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso "ad usucapionem".

Cass. civ. n. 16914/2011

Su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso "pro indiviso" tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest'ultimo, della comproprietà "pro indiviso" del medesimo bene, una volta trascorso il tempo per l'usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato. Tale situazione di compossesso non esige l'esclusione del possesso del proprietario (trattandosi in tal caso, altrimenti, di possesso esclusivo), né richiede che il compossessore effettivo ignori l'esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l' "animus possidendi" che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa "uti condominus".

Cass. civ. n. 14092/2010

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell'"animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'"animus possidendi" nell'indicato soggetto. Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell"animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un, contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l"'animus possidendi" nell'indicato soggetto.

Cass. civ. n. 4428/2009

Ai fini del possesso necessario al conseguimento dell'usucapione, va considerata utilmente la signoria esercitata su un fabbricato sebbene in corso di costruzione, posto che anche su un bene "in fieri" possono esercitarsi con pienezza tutte le facoltà dominicali.

Cass. civ. n. 14936/2008

Ai fini dell'usucapione di una servitù di passaggio, nel caso dell'esistenza di un fondo intermedio, per l'accertamento del diritto sul fondo servente, non occorre alcuna specifica prova della titolarità sul fondo intermedio, una volta che ne sia dimostrata la necessaria utilizzazione, in concreto, essendo sufficiente l'astratta configurabilità del requisito dell'utilitas eventuale, richiesta dall'articolo 1029, primo comma, c.c., salvo la prova da parte di chi la contesti di un'impossibilità in tal senso.

Cass. civ. n. 11624/2008

In tema di possesso utile per l'usucapione, ai fini dell'accertamento della mancanza di clandestinità, è necessario che il possesso sia acquistato ed esercitato pubblicamente in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto col possessore. (Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto pubblico il possesso in un vano accessibile solo mediante una botola d'ingresso, situata in un retrobottega, visibile solo a chi avesse la possibilità di entrare nel locale).

Cass. civ. n. 21855/2007

Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo.

Cass. civ. n. 15446/2007

Ai fini della prova dell'intervenuta usucapione, la coltivazione di un terreno, in modo pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto per i venti anni richiesti dall'art. 1158 c.c. ben può configurare lo jus possessionis mentre la sussistenza dell'animus possidendi è desumibile in via presuntiva ed implicita dall'esercizio dell'attività materiale corrispondente al diritto di proprietà.

Cass. civ. n. 5861/2006

Il possesso di una servitù «atipica» può legittimamente dare luogo all'acquisto per usucapione del corrispondente diritto, il principio essendo coerente con il disposto degli articoli 1031 e 1061 c.c., i quali annoverano l'usucapione tra i possibili modi di acquisto della servitù, senza alcuna limitazione, salvo quella derivante dalla necessità del requisito dell'apparenza. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accertato l'acquisto per usucapione della servita «di sosta» ai fini della utilizzazione «quale terrazza» di un lastrico solare, rilevando, ancora, che il giudice del merito, con motivazione esaustiva e coerente, come tale non sindacabile in sede di legittimità, giacché si verteva su di accertamenti ed apprezzamenti di fatto, aveva saputo rendere conto della esistenza, sul lastrico, di opere visibili e permanenti destinate al detto fine — recinzione, rete divisoria, porte finestre).

Cass. civ. n. 27930/2005

Colui che assume di essere titolare di una servitù coattiva apparente (nel caso, di scarico) ha l'onere di fornire la prova del relativo acquisto, non essendo al riguardo sufficiente la mera sussistenza di opere visibili e permanenti, non costituendo l'esistenza di siffatti elementi un autonomo modo di acquisto della servitù stessa, ma solo il presupposto dell'acquisto mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia.

Cass. civ. n. 25922/2005

Ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione, il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all'esercizio del relativo diritto, manifestando — con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura — un comportamento rivelatore anche all'esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all'inerzia del titolare; pertanto, la verifica in ordine all'idoneità del possesso a determinare il compiersi dell'usucapione deve essere effettuata dal giudice non in astratto ma con riferimento alla specifica destinazione economica e alle utilità che, secondo un criterio di normalità, il bene è capace di procurare. (Nella specie, con riferimento alla coltivazione di un terreno boschivo, sottoposto al periodico taglio delle piante da effettuare ad intervalli di 35-40 anni, è stato escluso che un solo taglio delle piante compiuto dall'attore oltre trent'anni prima della domanda di usucapione fosse elemento sufficiente per integrare il possesso utile ad usucapionem non essendo al riguardo irrilevante l'inerzia nella coltivazione dei terreni dimostrata dall'attore successivamente al taglio).

Cass. civ. n. 10460/2003

Tenuto conto che, in virtù del principio tantum praescriptum quantum possessum, una servitù apparente viene acquistata per usucapione in esatta corrispondenza dell'utilizzazione delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio protrattasi continuativamente per il tempo necessario previsto dalla legge, la realizzazione di opere che abbino ridotto l'estensione di una veduta, non incidendo sulla sua identità, non determina l'interruzione dell'usucapione e la decorrenza di un nuovo termine.

Cass. civ. n. 13082/2002

Su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di con possesso «pro indiviso» tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest'ultimo, della comproprietà «pro indiviso» dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l'usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato. Né tale situazione di compossesso, che consiste nell'esercizio del comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (ché in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); né richiede che il compossessore effettivo ignori l'esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l'animus possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti condominus.

Cass. civ. n. 8737/2001

Ai fini dell'acquisto per usucapione di un diritto di servitù, l'elemento oggettivo del possesso protratto per l'arco temporale richiesto dalla legge viene integrato dalla semplice utilizzazione di fatto, da parte dei proprietario di un fondo, di un contiguo immobile altrui, a vantaggio del proprio, senza che assuma rilievo ostativo la circostanza che la medesima attività venga svolta anche da terzi estranei, salvo che questa dia luogo ad una interruzione naturale del possesso, impedendone l'esercizio. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio enunciato nella massima, ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano accolto la domanda dei condomini di un edificio di essere dichiarati titolari di un diritto di servitù, acquistato per usucapione, avente quale contenuto la facoltà di parcheggiare i propri autoveicoli in un adiacente terreno di proprietà di altro soggetto, utilizzato «abusivamente» allo stesso scopo anche da terzi estranei al condominio, che, peraltro, aveva sempre cercato di impedire tale utilizzazione da parte di costoro transennando l'area in questione in modo sempre più efficace).

Cass. civ. n. 6910/2001

Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario onde fare accertare l'intervenuto acquisto del diritto di proprietà per usucapione, la condizione soggettiva del proprietario convenuto il quale abbia ritenuto di conservare le sue facoltà dominicali pur non avendo alcun rapporto concreto con l'immobile — né diretto, come effettiva materiale disponibilità corpore et animo, né indiretto, come disponibilità solo animo utilmente mediata dal rapporto con un detentore — è del tutto irrilevante, trattandosi di circostanza che non influisce sul alcuno degli elementi — il soggetto, il possesso, il tempo — costitutivi della fattispecie regolata dall'art. 1158 c.c., a meno che si sia manifestata negli atti idonei alla privazione del possesso protratta per un anno, previsti dal primo comma dell'art. 1167 c.c., ovvero all'interruzione della prescrizione, previsti nei primi due commi dell'art. 2943 c.c. applicabili per rinvio recettizio dall'art. 1165 c.c.; non è consentito infatti, attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti nelle citate norme, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi d'interruzione della prescrizione acquisitiva non ammette equipollenti.

Cass. civ. n. 15171/2000

In tema di possesso ad usucapionem di una servitù prediale di passaggio, non è necessario che il possesso del passaggio sia esercitato in modo esclusivo, cioè inconciliabile con la possibilità di fatto di un contemporaneo godimento della cosa da parte di altri, purché questo non sia esercitato in forma tale da dissolvere o fortemente stemperare gli elementi (obiettivi e soggettivi) che devono connotare la identità dell'altro possesso. In particolare, in relazione al medesimo fondo servente non esiste alcuna incompatibilità fra il possesso di una servitù di passaggio di uso pubblico, esercitato uti cives da una collettività, ed il possesso di una servitù prediale di passaggio a favore di un fondo determinato, preteso dominante, poiché questa ha il tratto individualizzante per eccellenza dell'essere esercitata dal proprietario fundi nomine, vale a dire per l'utilità del fondo a favore del quale si costituirà la servitù.

Cass. civ. n. 8120/2000

Affinché possa ritenersi un possesso ad usucapionem da parte di un comproprietario-compossessore occorrono atti particolarmente qualificati, tali da manifestare inequivocabilmente l'animus excludendi a carico degli altri comunisti. D'altra parte il possesso, acquisito animo et corpore, ben può conservarsi «solo animo», quando non consti l'animus dereliquendi e la cosa sia restata nella virtuale disponibilità del compossessore.

Cass. civ. n. 1530/2000

Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l'intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, gli atti di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario in favore di terzi non esercitano alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell'usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, res inter alios acta, ininfluente sulla prosecuzione dell'esercizio della signoria di fatto sul bene, non impedito materialmente, né contestato in modo idoneo.

Cass. civ. n. 14368/1999

Ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione, rileva l'animus possidendi e non il titolo, di talché è compatibile con la situazione di diritto riportata dall'atto, una diversa situazione di fatto atta a consentire comunque l'esercizio del possesso di un bene uti dominus da parte del fruitore.

Cass. civ. n. 6942/1999

Gli atti interruttivi dell'usucapione eseguiti nei confronti di uno dei compossessori non hanno effetto interruttivo nei confronti degli altri, in quanto il principio di cui all'art. 1310 c.c., secondo cui gli atti interruttivi contro uno dei debitori in solido interrompono la prescrizione contro il comune creditore con effetto verso gli altri debitori, trova applicazione in materia di diritti di obbligazione e non di diritti reali, per i quali non sussiste vincolo di solidarietà, dovendosi, invece, fare riferimento ai singoli comportamenti dei compossessori, che giovano o pregiudicano solo coloro che li hanno (o nei cui confronti sono stati) posti in essere.

Cass. civ. n. 815/1999

Ai fini dell'usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l'invalido trasferimento della proprietà, l'accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi, proprio la circostanza che la traditio sia stata eseguita in virtù di un contratto che pur invalido, era comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'accipiens e la res tradita fosse sorretto dall'animus rem sibi habendi.

Cass. civ. n. 10984/1998

Ai fini dell'acquisto per usucapione di una servitù continua (nella specie: servitù di veduta) è sufficiente l'esistenza della prescritta durata ventennale di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, non essendo anche necessaria la continuità dell'utilizzazione delle opere.

Cass. civ. n. 10481/1998

Per il principio tantum praescriptum quantum possessum, il termine prescrizionale acquisitivo a titolo originario di un diritto di servitù, nel caso di modifica dell'opera per il suo esercizio rispetto ad altra precedente, decorre dall'effettuata trasformazione. (Nella specie iniziali paratie frangivento ed un tendone di copertura erano stati sostituiti da una veranda, con infissi in ferro, chiusi da vetri, a distanza inferiore da quella legale rispetto ad una soprastante veduta).

Cass. civ. n. 6997/1998

Ai fini dell'usucapione il requisito della continuità del possesso va desunto dal comportamento del possessore, non dalle contrarie intenzioni del proprietario. Ai fini indicati è irrilevante la violenza esercitata in un momento successivo all'acquisto del possesso. A sua volta la non clandestinità va riferita non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l'animo del possessore di volere assoggettare la cosa al proprio potere e senza che sia necessaria l'effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato.

Cass. civ. n. 3081/1998

La continuità della possessio ad usucapionem va correlata all'utilizzazione del bene che ne costituisce l'oggetto, sì che se è normale, in relazione ad essa, l'intermittenza dei relativi atti di godimento - come nel caso di non utilizzazione di un'area di parcheggio durante la circolazione dei veicoli - non esclude, in sé, la persistenza del potere di fatto sulla cosa.

Cass. civ. n. 10317/1996

La servitù di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitù volontaria ed è perciò irrilevante lo stato di interclusione del fondo, dovendosi prescindere dai requisiti per la costituzione ed il mantenimento della servitù di passaggio coattivo, desumibili dagli artt. 1051, 1052, 1055 c.c., che regolano detto istituto.

Cass. civ. n. 3405/1996

La portata del principio tantum prescriptum quantum possessum deve essere intesa nel senso che il contenuto delle servitù acquistate per usucapione va determinato in funzione della sola utilità obiettiva cui sono riferibili gli atti di esercizio nei quali si è realizzato il possesso.

Cass. civ. n. 10652/1994

Il requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso ad usucapionem (art. 1158 c.c.), si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa contrapposta all'inerzia del titolare del diritto. La continuità si distingue, pertanto, dall'interruzione del possesso, giacché la prima si riferisce al comportamento del possessore, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall'attività del titolare del diritto reale che compia un atto di esercizio del diritto medesimo. (Nella specie, il possessore di una servita di veduta ne aveva dismesso per un certo periodo l'esercizio, eliminando con la schermatura di una terrazza ogni possibilità di inspectio e di prospectio sul fondo limitrofo).

Cass. civ. n. 2324/1994

Il compossessore o codetentore di una cosa che ne curi la custodia anche nell'interesse degli altri può acquistarne il possesso o la detenzione esclusiva solo dal momento in cui, con atto inequivoco, abbia iniziato a possederla o a detenerla solo nel proprio interesse.

Cass. civ. n. 3699/1993

Al fine della determinazione del dies a quo per l'usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza legale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, con la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, i quali rivelino anche al titolare del fondo servente l'esistenza della situazione coincidente con quella del diritto reale di servitù.

Cass. civ. n. 7742/1990

Al fine dell'acquisto per usucapione della proprietà o di altri diritti reali immobiliari, il possesso ventennale non deve essere viziato né da violenza né da clandestinità, ma non valgono ad infirmarne la legittimità, né ad interromperne l'usucapione, i semplici atti di contestazione e diffida posti in essere da colui che assuma di essere il proprietario della cosa, poiché l'applicazione all'usucapione delle regole generali in materia di prescrizione estintiva presuppone la loro compatibilità con la natura dell'usucapione, che non permette di attribuire efficacia ad atti destinati ad operare soltanto in relazione a diritti di obbligazione e perciò non configurabili in difetto di un debitore.

Cass. civ. n. 2088/1990

In tema di possesso ad usucapionem, che il codice vigente assoggetta alle stesse condizioni contemplate dal codice del 1865 (con la formula «possesso legittimo»), inclusa quella della pacificità del possesso medesimo, tale requisito non può essere escluso per la sola circostanza che il preteso titolare del diritto manifesti una volontà contraria all'altrui possesso, trattandosi di elemento rilevante al diverso fine di evidenziare la mala fede del possessore (con la conseguente applicabilità del termine ventennale).

Cass. civ. n. 3472/1989

Ai fini dell'acquisto per usucapione di una servitù si richiede che le opere visibili e permanenti, obiettivamente destinate al suo esercizio, siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo prescritto dalla legge per usucapire, e quando, come in tema di servitù di passaggio, oltre alle opere visibili, sia richiesta una determinata attività, è altresì necessario che le opere siano strumentalmente utilizzate per l'esercizio del possesso della servitù per lo stesso periodo di tempo, che prende inizio dal giorno in cui le opere strumentali all'esercizio della servitù siano venute ad esistenza, quando con tale giorno coincide quello del primo atto di esercizio, e dal giorno del primo di tali atti quando questi vengano posti in essere in un periodo successivo.

Cass. civ. n. 6818/1988

L'acquisto per usucapione richiede il possesso effettivo dell'usucapiente per il periodo prescritto dalla legge, ma non anche il possesso esclusivo, con la conseguenza che un'eventuale situazione di compossesso può incidere solo sulla misura dell'acquisto, ma è del tutto irrilevante nei confronti del proprietario non possessore, il quale può impedire l'acquisto per usucapione solo provando l'esistenza di atti di esercizio del suo diritto incompatibili con il possesso animo domini dell'usucapiente.

Cass. civ. n. 4698/1987

Ad integrare il possesso ad usucapionem di una servitù prediale è necessario che, con l'esercizio continuo ed ininterrotto di una attività a vantaggio di un fondo e a carico di un altro, si accompagni anche l'intento di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale a cui corrisponde la concreta attuazione del potere di fatto. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha escluso potersi ravvisare esercizio di fatto della servitù di tenere costruzioni a distanza inferiore a quella legale rispetto al fondo vicino, nell'avere il locatario di un cortile eseguito illegittimamente nello stesso dette costruzioni, senza che fosse dimostrato che il locatore, dante causa di chi pretendeva di unire tale possesso al proprio ai fini dell'usucapione della servitù, avesse acconsentito alla nuova destinazione del cortile e l'avesse accettata, comportandosi di conseguenza con l'animus rem sibi habendi).

Cass. civ. n. 4206/1987

Anche al fine dell'usucapione, il possesso si deve esteriorizzare in un comportamento univocamente corrispondente all'esercizio della proprietà od altro diritto reale, e, pertanto, specie a fronte di atti del proprietario, che, pur se privi di efficacia interruttiva, indichino una persistenza della titolarità del diritto dominicale (come la presentazione di denuncia di successione, la partecipazione a divisione ereditaria, il promovimento nei confronti di un terzo di giudizio di affrancazione), il possesso medesimo non è ravvisabile nel mero godimento della cosa, ove questo non si traduca in una attività materiale incompatibile con l'altrui diritto (e quindi non giustificabile da un titolo diverso, ad esempio, la locazione od il comodato).

Cass. civ. n. 3864/1986

L'elemento psicologico del possesso ad usucapionem della servitù di passaggio, consistente nella volontà del possessore di comportarsi come titolare del relativo diritto reale, va desunto dalle concrete circostanze nelle quali il possesso si è estrinsecato, quali l'abitualità del transito, con inizio nel preteso fondo dominante ed esercizio attraverso il preteso fondo servente, nonché il conseguimento di una obiettiva utilità per il primo a danno del secondo, cioè da una serie di elementi, caratterizzati da precise esplicazioni materiali e così suscettibili di controllo.

Cass. civ. n. 284/1984

L'acquisto di una servitù di uso pubblico, per possesso immemorabile, su di un fondo privato presuppone l'esistenza dei seguenti elementi da accertare dal giudice del merito, il quale deve sugli stessi motivare in modo congruo e giuridicamente corretto: a) la generalità di uso del bene da parte di una collettività indeterminata di individui considerati uti cives, ossia quali titolari di interessi di carattere generale — e non uti singuli, ossia quali persone che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato; b) l'oggettiva idoneità di quel bene all'attuazione di un fine di pubblico interesse configurabile in senso ampio, così da comprendere ogni utilizzazione, anche di mera comodità, purché rivolta al soddisfacimento di un'esigenza comune della collettività medesima; c) l'esistenza di una situazione di fatto le cui origini si perdono nel passato.

Cass. civ. n. 2717/1982

Al fine della usucapione, il passaggio, come atto di esercizio di una servitù attiva, deve potere avvenire in qualsiasi momento, indipendentemente dalla collaborazione prestata dal titolare del fondo servente. Ne consegue che deve considerarsi solo occasionale e non idoneo a configurare l'esercizio di una servitù attiva, il passaggio che venga esercitato attraverso il portone d'ingresso di un edificio con la collaborazione dei condomini o del portiere che, di volta in volta, procedano alla rimozione della chiusura del portone stesso legittimamente apposta.

Cass. civ. n. 2289/1976

Nell'ordinamento giuridico attuale l'istituto dell'immemorabile opera soltanto nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico con l'amministrazione dello Stato ed, in particolare, per quanto concerne i rapporti reali, è applicabile a quelli che hanno ad oggetto beni demaniali. Per contro, nei rapporti di diritto privato, ivi compresi quelli relativi a beni patrimoniali disponibili dello Stato, il suddetto istituto venne abrogato dal codice civile del 1865 e non è stato, poi, richiamato in vigore dal nuovo codice civile. Caratteristica fondamentale dell'immemorabile è che sia stato smarrito il ricordo del momento in cui è nata la situazione di possesso che si pretende di affermare come legittima: esso pertanto non può essere invocato quando sia nota la data di inizio della situazione in contestazione.

Cass. civ. n. 1314/1976

Sebbene il vigente diritto positivo non disciplini espressamente il compossesso pro indiviso, nulla impedisce la possibilità di un esercizio di fatto dell'attività corrispondente alla comunione del diritto di proprietà e, quindi, anche la possibilità di pervenire, sussistendo gli altri presupposti indispensabili, all'acquisto della comproprietà a titolo di usucapione.

Cass. civ. n. 1019/1974

Perché si abbia possesso ad usucapionem della proprietà di beni immobili o di altri diritti reali di godimento sui beni medesimi, è necessaria la sussistenza di un possesso continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico, esercitato coscientemente, nel senso previsto dall'art. 1140 c.c., cioè concretantesi in un potere che si manifesti in un'attività intenzionale del possessore corrispondente all'esercizio di un diritto dominicale sull'immobile o di altro diritto reale di godimento sullo stesso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1158 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. M. chiede
lunedì 18/03/2024
“Buongiorno ho un quesito legale riguardante: l'usucapione.
In Ottobre 2009 mio padre ha comprato un appartamento a Roma a me ed ai miei 2 fratelli, nel 2012 purtroppo viene a mancare mio padre, il resto del mutuo è stato pagato dalla banca attraverso una assicurazione che aveva sottoscritto mio padre a suo nome in caso di morte.

Questa casa purtroppo non si può dividere in tre in quanto ha solo 2 porte, i miei fratelli ci vivono dal 2009, e non vogliono né vendere né affittare l'immobile, per un paio di anni e senza il mio consenso è stato fatto un B&B, sono entrambi disoccupati da anni, io vivo e lavoro all'estero sono iscritto all'Aire dal 2008, tutto ciò che riguarda bollette tasse ecc, le paga mia madre, ma sono intestate ai miei fratelli, non ho le chiavi dell'immobile, non ho fatto alcuna spesa in questo immobile.Vorrei capire se i miei fratelli possono esercitare il diritto di usucapione su questo immobile e come posso fermarlo senza necessariamente la vendita o l'affitto dell'immobile.

Grazie per una risposta

Cordiali Saluti


Consulenza legale i 24/03/2024
Il caso prospettato richiede di affrontare il tema della possibilità o meno di usucapire un immobile in comproprietà.
Su tale questione la giurisprudenza ha mostrato in verità, nel corso degli anni, un orientamento altalenante, in quanto alla tesi negativa si contrapponeva quella favorevole all’acquisto della proprietà esclusiva per usucapione.
Un punto fermo sulla questione è stato raggiunto con l’ordinanza della Cass. Civ. Sez. VI, n. 10620 del 04.06.2020, così massimata:
In tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale continuo ed ininterrotto attuato sulla res sia accompagnato dall'intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché - in materia di usucapione di beni oggetto di comunione – il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un'attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo”.

Si ricorda che, secondo quanto disposto dall’art. 1158 c.c., è possibile acquistare a titolo originario la proprietà di un bene per mezzo del possesso continuo, ininterrotto e pacifico, tenendo un comportamento c.d. uti dominus.
Ebbene, secondo la S.C. tale comportamento può anche essere posto in essere dal comproprietario e per tale ragione si ammette che lo stesso possa usucapire la quota del bene immobile appartenente agli altri comproprietari rimasti inerti.
Nel caso concreto si ritiene che sussistano tutti i presupposti per consentire ai due fratelli, che finora hanno goduto in via esclusiva dell’immobile, di agire in giudizio per farne valere l’acquisto dell’intero per antico possesso, essendosi il terzo fratello completamente disinteressato della sua quota di proprietà, sia attivamente che passivamente (non avendone in alcun modo goduto e neppure avendo sostenuto alcuna spesa inerente quanto meno alla proprietà).

Per evitare, dunque, che al maturarsi del termine richiesto dalla legge per usucapire (ossia 20 anni, secondo il citato art. 1158 c.c.) gli altri due comproprietari possano agire in giudizio onde chiedere che venga accertata la vicenda acquisitiva dell’usucapione, si suggerisce di redigere una scrittura privata dalla quale far risultare che il fratello che finora non ha utilizzato l’immobile ne concede gratuitamente l’uso esclusivo agli altri due fratelli, i quali a loro volta si obbligano, in segno di riconoscimento, a sopportare per intero le spese inerenti alla proprietà ed all’uso dello stesso immobile.
Una scrittura di questo tipo, la quale necessita ovviamente della sottoscrizione di tutti i comproprietari, potrà essere utilizzata in giudizio per provare la persistenza della volontà di mantenere la titolarità del diritto di proprietà sulla propria quota.
Si ricorda, a tal proposito, quanto affermato dalla giurisprudenza in termini praticamente unanimi, ovvero che qualora la signoria sulla cosa tragga origine da spirito di condiscendenza del proprietario ovvero da rapporti di amicizia o di buon vicinato, ciò è sufficiente ad escludere un possesso ad usucapionem (cfr. Cass. civ. Sez. II n. 3404/2009; Cass. civ. Sez. II n. 16497/2005; Cass. civ. Sez. II n. 71/2002; Cass. civ. Sez. II n. 8152/2001; Cass. civ. Sez. II n. 4092/1992).

Si riportano, per completezza, le massime di due delle sentenze sopra citate, che appaiono più significative a sostegno della soluzione qui suggerita:
Cass. civ., Sez. II, 15/06/2001, n. 8152
In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso "ad usucapionem", e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene”.

Cass. civ., Sez. II, 03/04/1992, n. 4092
Affinché si abbia possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno jus in re aliena, e, quindi, una signoria sulla cosa che permanga per tutto il tempo indispensabile per usucapire, senza interruzione, sia per quanto riguarda l'animus che il corpus, e che non sia dovuta a mera tolleranza, la quale è da ravvisarsi tutte le volte che il godimento della cosa, lungi dal rivelare l'intenzione del soggetto di svolgere un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, tragga origine da spirito di condiscendenza o da ragioni di amicizia o di buon vicinato”.

Qualora, poi, gli altri fratelli non volessero prestare il proprio consenso a sottoscrivere un accordo di questo tipo, non resta altra soluzione che quella di avviare il giudizio di divisione, tenuto conto che l’art. 1111 del c.c. riconosce a ciascun partecipante il diritto di chiedere in qualunque momento lo scioglimento della comunione.


G. S. chiede
domenica 18/02/2024
“Misure particelle errate

Al rogito notarile di acquisito di 2 particelle di terreno contigue da parte di due acquirenti diversi veniva allegata una planimetria, la cui registrazione veniva effettuata al catasto dal Notaio rogante.
Successivamente lo scrivente acquirente, nel delimitare i confini delle particelle stesse, ha constatato e verificato che la lunghezza complessiva indicata in suddetta planimetria risulta inferiore a quella reale misurata sia sul terreno che col sistema del GPS; ha invitato, pertanto, l'altro acquirente ad effettuare la dovuta rettifica catastale onde stabilire con certezza ed equità i confini delle particelle ed anche perché il predetto risulta possedere una porzione di terreno che non gli appartiene, ma di competenza dello scrivente.
L'invito scritto, causa scuse diverse della controparte, non ha raggiunto ancora la finalità della rettifica catastale.
Alla luce di quanto sopraesposto, volendo con immediatezza rientrare in possesso del terreno che gli appartiene ma detenuto impropriamente dall'altro acquirente, CHIEDO di conoscere quali azioni intraprendere per la subitanea restituzione di detta porzione di terreno.
Grazie della risposta

Consulenza legale i 29/02/2024
Nel caso di specie sembra che nell’atto di acquisto di due particelle di terreno confinanti da parte di due diverse persone, sia stata allegata una planimetria da cui risultano due aree di misure differenti rispetto ai confini reali.
Si immagina, quindi, che esistesse uno stato di fatto con recinzioni poste in punti diversi rispetto a quanto riportato nella planimetria.
Uno dei due proprietari però sostiene che il vicino possieda una parte di terreno impropriamente a causa degli errori planimetrici.
Ne deriva, allora, che la recinzione è stata effettuata dopo il trasferimento di proprietà e sulla base della planimetria allegata all’atto e che quindi lo stato di fatto attuale corrisponde all’oggetto della compravendita.
Se così fosse il proprietario non ha molte possibilità di rientrare in possesso dell’area controversa.
L’atto di compravendita infatti è del 1988 e a distanza di 36 anni il vicino può sostenere di avere usucapito ai sensi dell’art. 1158 c.c. la porzione di terreno, senza che a nulla rilevino eventuali errori in sede di stipula o una diversa volontà contrattuale.
Gli unici modi per sostenere che non sia intervenuta l’usucapione sono i seguenti.

1) L’esistenza di atti interruttivi dell’usucapione come indicati nell’art. 2943 c.c.
La giurisprudenza ha però ritenuto che le diffide, le messe in mora o altre comunicazioni che intimano di restituire il terreno non siano idonee ad interrompere il trascorrere dell’usucapione (Cass. civ. n. 15927/2016; Cass. civ. n. 18004/2004).
A meno che sia stata introdotta un’azione giudiziaria nei confronti del vicino per rivendicare la proprietà della porzione di area controversa, si ritiene che quest’ultimo l’abbia usucapita.

2) Dimostrare che il decorso dell’usucapione è stato interrotto da un comportamento del confinate che dimostri di riconoscere il diritto di proprietà altrui, incompatibile con la volontà di godere il bene “possessio uti dominus” (Cass. civ. n. 25250/2006).
Non è però sufficiente una dichiarazione con la quale dimostri di sapere che la proprietà è del vicino ma è necessaria la manifestazione di volontà di attribuire il diritto al suo titolare (Cass. civ. n. 27170/2018; Cass. civ. n. 14654/2006).

Qualora, invece, lo stato di fatto attuale e quindi il possesso delle aree corrisponda a quanto sostenuto dal proprietario e sia difforme rispetto a quanto risulta dall’atto di compravendita, si ritiene allo stesso modo che si possa sostenere di aver usucapito la porzione di terreno che nel contratto di acquisto risulterebbe intestato al vicino.

In caso di accordo le parti potranno regolare la circostanza rivolgendosi ad un Notaio; in caso di controversia invece sarà necessario intraprendere un’azione giudiziaria per l’accertamento dell’usucapione.

F. D. P. chiede
giovedì 28/09/2023
“Nel 2009 ho acquistato una mansarda che sin dalla sua costruzione, in difformità al progetto, ha inglobato il pianerottolo con muro e porta. Detto pianerottolo è oggi di esclusivo uso della mansarda.
Posso far valere usucapione e per farlo devo rivolgermi al tribunale?”
Consulenza legale i 05/10/2023
A parere di chi scrive vi sono tutti i presupposti per richiedere ai danni dell’intera compagine condominiale l’usucapione per possesso ventennale ai sensi dell’art. 1158 del c.c. del pianerottolo, bene che diversamente dovrebbe considerarsi comune ai sensi dell’ art. 1117 del c.c.
La giurisprudenza (tra le tante, Cass. Civ.Sez.II, n.20039 del 06.10.2016) ha precisato che è possibile per un singolo proprietario usucapire un bene condominiale, ma per farlo non è sufficiente dimostrare che gli altri comproprietari si siano astenuti dall’utilizzare il cespite; è necessario invece che colui che sostiene di aver usucapito dimostri di aver sottratto in maniera pacifica e non clandestina il bene comune (in questo caso il pianerottolo) agli altri condomini, manifestando quindi la volontà di possederlo in maniera esclusiva; inoltre tale sottrazione si deve protrarre per un periodo utile prestabilito dalla legge, che è solitamente pari a venti anni.

Nel caso specifico pare che tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza si siano realizzati in quanto l’originario proprietario della mansarda ha di fatto annesso in epoca remota il pianerottolo alla sua proprietà esclusiva escludendo gli altri comproprietari dalla possibilità di usufruirne. Per quanto ci è dato saperne tale impossessamento esclusivo è avvenuto in maniera del tutto pacifica e alla luce del sole, senza che gli altri condomini obbiettassero alcunché o senza che l’amministratore inviasse una qualche comunicazione scritta.

A seguito della avvenuta cessione della mansarda l’attuale proprietario ai sensi del 2° co. dell’art. 1146 del c.c. può unire il possesso esercitato sul pianerottolo dal suo precedente dante causa (ovvero colui che gli ha venduto il bene) con quello che egli esercita attualmente dal momento dell’acquisto: così facendo egli potrebbe vantare un possesso ultraventennale e rientrando perfettamente nei requisiti richiesti dalla normativa del codice civile per usucapire.

L’usucapione però è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, quindi che non dipende dal diritto di un precedente dante causa, il quale si realizza nel momento in cui si concretizzano alcuni requisiti previsti dall’art. 1158 del c.c.: il possesso pacifico e non clandestino del bene per un periodo ininterrotto prestabilito dalla legge che è solitamente pari a venti anni.

A differenza quindi di un acquisto della proprietà a titolo derivativo da un altro proprietario, che si concretizza solitamente attraverso un rogito notarile, l’acquisto per usucapione, basandosi esclusivamente sulla sussistenza di determinate situazione fattuali (il possesso), non viene sancito da un documento o da un rogito. Per tale motivo sorge spesso l’esigenza per il proprietario usucapiente di procurarsi questo documento che dia stabilità al suo diritto di proprietà e lo certifichi anche nei confronti dei terzi.
Per realizzare questo obbiettivo l’autore del quesito ha davanti due soluzioni non necessariamente alternative l’una con l’altra: o un procedimento di mediazione innanzi ad un organismo abilitato ex D.Lgs n.28/10 oppure una azione giudiziaria innanzi al Tribunale tesa a far accertare un acquisto per usucapione del pianerottolo condominiale: ovviamente entrambe queste procedure dovranno essere promosse contro l’intera compagine condominiale nella persona dell’attuale amministratore.

Dare un consiglio su quali delle due vie intraprendere non è facile: tutto dipende dal tasso di litigiosità che vi è attorno alla vicenda da parte degli altri condomini. Se infatti nessuno dei proprietari è interessato a far ritornare il pianerottolo tra i beni comuni e vi è quindi una complessiva serenità sarà sufficiente instaurare una procedura di mediazione il cui verbale di accordo sancirà e accerterà l’acquisto per usucapione. Il verbale, con firme autenticate da un Notaio, verrà poi trascritto presso i registri immobiliari e si raggiungerà quindi l’obbiettivo di avere un titolo che sancisca la proprietà esclusiva del pianerottolo.

Se invece il tasso di litigiosità è più elevato è probabile che non si riesca a definire la vicenda in mediazione ma sia necessario instaurare un successivo contenzioso in Tribunale: se così fosse si avrà l’onere di provare davanti ad un giudice attraverso documenti e, soprattutto testimonianze, che si sono concretizzati tutti i requisiti previsti dalla legge per usucapire il pianerottolo. Anche in questo secondo caso, se il contenzioso vedrà vittorioso l’autore del quesito (cosa che si ritiene molto probabile) la sentenza che sancirà a suo favore l’acquisto per usucapione dovrà essere trascritta presso i registri immobiliari al fine di stabilizzare la proprietà esclusiva del pianerottolo e poter quindi in un futuro liberamente cedere il bene a terzi.

G. P. chiede
lunedì 14/08/2023
“Spett.le Brocardi,
Mi rivolgo a Voi per la seguente consulenza legale:
Antonio ha un terreno intercluso e Giovanni gli concede una servitù di passaggio al confine della sua proprietà in un tratto che risulta comodo per entrambi considerando che Antonio ha già una servitù accatastata che però attraversa il terreno di Giovanni. La nuova servitù non viene registrata.
La situazione di fatto rimane invariata nel corso degli anni.
Recentemente, visualizzando le mappe catastali della zona, si è venuto a scoprire che il terreno dove Giovanni ha concesso il transito (trattasi di una striscia di terra di un piccolo mappale di 410 mq) in realtà appartiene a Guido che ha il terreno confinante.
Questa situazione derivante da un errato rilievo tecnico che aveva compreso il suddetto mappale nella proprietà di Giovanni è andata avanti nel tempo dato che anche Guido, fino a questo momento, era ignaro della proprietà.
Adesso che Guido ha preso atto del possesso del terreno come deve comportarsi alla luce di questa situazione:
1) Guido si può opporre alla servitù dato che essa è stata concessa arbitrariamente sul suo terreno?
2) Dovrebbe essere Giovanni, dato il gravame della servitù accatastata, a individuare un eventuale nuovo percorso nel suo terreno per agevolare il transito di Antonio?
3) Se si dovesse lasciare lo status quo Antonio sarebbe tenuto a chiedere a Guido il permesso di transito registrando la nuova servitù?
4) La mancata registrazione della servitù comporta un danno a Guido ovvero ad Antonio e ai suoi eredi cui si potrebbe negare in futuro l’utilizzo della servitù?
5)È ipotizzabile che Antonio possa avanzare un diritto di usucapione in buona fede sulla servitù dato l’utilizzo da più di 10 anni?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 22/08/2023
La fattispecie che qui viene descritta si caratterizza per la presenza di una prima servitù di passaggio regolarmente costituita e trascritta ed una seconda servitù di passaggio esistente solo in fatto ma non giuridicamente.
Ora, è ben noto che, secondo quanto disposto dall’art. 1031 del c.c., la costituzione della servitù può avvenire:
a) in attuazione di un obbligo di legge (c.d. servitù coattive)
b) per volontà dell’uomo (contratto o testamento): si parla in questi casi di servitù volontarie (art. 1058 del c.c.);
c) per usucapione (art. 1061 del c.c.);
d) per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 del c.c.).

Concentrando l’attenzione sulle servitù volontarie, ed in particolare su quelle concluse per contratto, va detto che quest’ultimo, riferendosi ad un diritto reale immobiliare, deve necessariamente risultare da atto scritto (così il n. 4 dell’art. 1350 del c.c.; Cass. 27.4.2018 n. 17044) ed è soggetto, ai fini dell’opponibilità ai terzi, a trascrizione (così il n. 4 dell’art. 2643 del c.c.; Cass. 31.08.2018 n. 21501).
In particolare, il contratto (o il testamento) risulta indispensabile soltanto per la costituzione di servitù non apparenti, mentre quelle apparenti possono anche sorgere per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

Si qualificano come “apparenti” quelle servitù al cui esercizio sono destinate opere, anche formatesi naturalmente (può essere tale, ad esempio, un sentiero creatosi per effetto del solo calpestio, cfr. Cass. 27.05.2009 n. 12362) visibili e permanenti, non importa se insistenti sul fondo servente o su quello dominante o sul fondo di terzi, purchè siano obiettivamente finalizzate all’esercizio della servitù.
In altre parole, occorre che queste opere rendano manifesta la soggezione alla servitù, intendendo il legislatore così evitare che la servitù sorga in base a manifestazioni non chiare ed equivoche, che, non incidendo sensibilmente sulla sfera altrui, possono anche essere state tollerate a titolo precario, magari per ragioni di buon vicinato.

Ebbene, sulla base dei brevi e sintetici concetti appena esposti, può senza alcun dubbio affermarsi che nel caso in esame non può dirsi validamente costituita alcuna volontaria servitù di passaggio a carico della striscia di terreno di proprietà di Guido ed a favore del terreno di proprietà di Antonio, considerato che non sono state minimamente rispettate le condizioni previste dalla legge per la giuridica esistenza di una servitù (atto scritto e trascrizione).
Tuttavia, tenuto conto che trattasi di servitù per il cui esercizio esistono opere visibili e permanenti, sussistono tutti i presupposti perché Antonio possa un giorno far valere la costituzione di quella servitù di passaggio per usucapione o antico possesso.

Si ricorda, infatti, che per usucapione possono acquistarsi sia la proprietà che i diritti reali di godimento (tra cui vi rientrano le servitù), ad eccezione delle servitù non apparenti.
In particolare, affinchè si verifichi l’usucapione, debbono concorrere i seguenti presupposti:
a) il possesso del bene, sia esso di buona che di mala fede. Va precisato che se il possesso illegittimo o di mala fede viene acquistato con violenza o clandestinità, il possesso utile per l’usucapione decorre solo dal momento in cui sono cessate la violenza o la clandestinità.
b) la continuità del possesso per un determinato periodo di tempo: la legge agevola il soggetto interessato a dimostrare la continuità del suo possesso con la cd. presunzione di possesso intermedio (art. 1142 del c.c.), in forza della quale è sufficiente che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in un tempo più remoto. Spetta eventualmente a chi sostiene il contrario di dimostrare il suo assunto.
c) la non interruzione del possesso, che si ha allorquando, nel lasso di tempo richiesto dalla legge, non intervenga né una causa di interruzione c.d. naturale dell’usucapione né una causa di interruzione civile.
Va detto a tal proposito che le cause di interruzione civile dell’usucapione coincidono con quelle di interruzione della prescrizione e che la giurisprudenza ritiene tassativa l’elencazione degli atti interruttivi del possesso ad usucapionem contemplata dall’art. 2943 del c.c., a cui fa rinvio l’art. 1165 del c.c..
d) il decorso di un certo lasso di tempo, che gli artt. 1158, 1160 comma 1 e 1162 comma 2 c.c. fissano, di regola, in venti anni (c.d. usucapione ordinaria).

Trattasi di presupposti che, nel caso in esame, possono dirsi tutti sussistenti, il che consentirebbe ad Antonio, un giorno (ovvero al momento del maturarsi dei venti anni), di promuovere con esito positivo un giudizio di accertamento dell’intervenuta usucapione, giudizio che si concluderebbe con una sentenza avente valore meramente dichiarativo e non costitutivo (ciò perché l’acquisto del diritto in forza di usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine normativamente previsto).

Stando così le cose, dunque, si può adesso cercare di rispondere alle singole domande che nel quesito vengono poste.

1. Se non sono ancora decorsi venti anni, Guido si può ed anzi deve immediatamente opporsi alla servitù esercitata sulla striscia di terreno di sua proprietà ed a favore del fondo di Antonio.
Ci si può a tal fine avvalere di due forme di opposizione:
a) porre in essere un atto di interruzione naturale, ovvero chiudere il passaggio ad Antonio, il quale a sua volta potrà agire in giudizio con l’azione di reintegrazione entro il termine di un anno dall’avvenuto spoglio (art. 1167 del c.c.);
b) porre in essere un atto di interruzione civile ex artt. 1165 e 2943 c.c., sopra richiamati sub lettera c).

2. Su Giovanni non grava alcun onere di individuare un nuovo percorso sul suo terreno per agevolare il transito di Antonio. Quest’ultimo, infatti, gode già di una servitù di passaggio regolarmente costituita, della quale può benissimo avvalersi e che rende il suo fondo non più intercluso.

3. Mantenendosi la situazione attuale, Antonio non ha alcun obbligo di chiedere a Guido il permesso di attraversare il suo fondo, in quanto già si esercita tale diritto e sussistono opere visibili e permanenti che ne attestano l’esercizio.
Finchè nessuno si oppone, dunque, in favore di Antonio continua a decorrere il tempo utile per acquistare definitivamente quel diritto ex lege.

4. La mancata registrazione (sarebbe meglio dire “formalizzazione”) della servitù non comporta alcun danno per Antonio né per i suoi eredi.
Questi ultimi, in particolare, in assenza di alcun atto di opposizione da parte di Guido, potranno unire al loro possesso quello del loro dante causa Antonio (c.d. successione del possesso, a cui fa riferimento il primo comma dell’art. 1146 del c.c.), mentre in caso di trasferimento da parte di Antonio del fondo a terzi (es. per vendita), l’acquirente, che acquisisce il possesso a titolo particolare, può sommare al tempo del proprio possesso anche quello del suo dante causa (si parla in questo caso di accessione del possesso, a cui si fa riferimento al comma 2 dell’art. 1146 c.c.).
Per quanto concerne la posizione di Guido, la mancata formalizzazione di quella servitù può produrgli un danno nella misura in cui non ci si opponga ad essa, lasciando decorrere in favore di Antonio il termine utile ad usucapire.

5. All’ultima domanda, contrassegnata con il numero 5), si è data chiara risposta.
Occorre solo precisare che, in assenza di valido titolo (che qui, stando a quanto detto nel quesito, sembra non sussistere), il termine utile per usucapire non è di 10 anni, ma di venti (termine ordinario ex art. 1158 c.c.).

M. M. chiede
giovedì 13/07/2023
“Sono proprietario di un terreno (terreno A) di circa un ettaro che confina con altro terreno di circa un ettaro (terreno B). Il confine è costituito da un muro in cemento armato lungo circa cinquanta metri costruito oltre trenta anni fa.
Dalla lettura dei dati e delle mappe catastali è emerso che il muro non è stato costruito sul confine catastale ma circa due metri all'interno del terreno B. Inoltre, il muro non è rettilineo, come da mappa catastale, ma presenta delle rientranze. Anche queste rientranze favorevoli al proprietario del terreno A.
Il proprietario del terreno B può chiedere giudizialmente che il muro venga demolito e ricostruito sulla posizione e nella forma indicate dalle mappe catastali?
Si consideri che il proprietario del terreno B non può motivare la richiesta con argomenti di accesso o di fruibilità del proprio terreno che è libero e accessibile sugli altri lati.
Grazie.”
Consulenza legale i 19/07/2023
Occorre innanzitutto precisare che il catasto ed i dati da esso risultanti costituiscono un mezzo di prova residuale (ovvero a cui l’autorità giudiziaria può ricorrere in ultima istanza) al fine di accertare la proprietà o i confini di un immobile, essendo stato istituito esclusivamente per ragioni fiscali.
E’ soltanto sulla base di atti quali un rogito notarile, una disposizione testamentaria o l’acquisto per usucapione che è possibile dare prova della proprietà di un determinato bene immobile.
In casi come quello qui descritto (in cui vi è una palese discordanza tra situazione dei luoghi e confini quali risultanti dalle mappe catastali) colui che si accorge di una usurpazione di parte del proprio fondo (il proprietario B) può avvalersi di una specifica azione giudiziaria, qualificata come “actio finium regundorum” (o azione di regolamento di confini, diversa da quella di rivendica).
E’ tale, infatti, quell’azione proposta dal proprietario che, pur in presenza di un confine apparente, ne deduca l’incertezza per intervenuta usurpazione di una porzione del proprio terreno da parte del vicino e chieda, di conseguenza, un accertamento giudiziale della superficie dei fondi confinanti senza porre in discussione i titoli di proprietà.
Il positivo esperimento di tale azione avrà come naturale ed inevitabile conseguenza un effetto recuperatorio della porzione di proprietà controversa, sebbene la sua finalità sia soltanto quella di eliminare l’incertezza e le contestazioni relative alla linea divisoria.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con ordinanza n. 25197 del 17.09.2021, a cui le parti in causa sono giunti a seguito di sentenza del Tribunale di primo grado (successivamente appellata), in forza della quale il Tribunale aveva regolato il confini tra i fondi di loro proprietà sulla base delle sole mappe catastali, ordinando ai convenuti di rimuovere il muro di recinzione realizzato e di restituire la striscia di terreno usurpata.
Tuttavia, deve evidenziarsi che la ragione per cui si è potuti giungere ad una siffatta decisione della Suprema Corte deve essenzialmente individuarsi nella circostanza che la parte convenuta non ha avuto cura di sollevare nei prescritti termini l’eccezione di usucapione della porzione di terreno usurpata, ciò che, invece, nel caso in esame va sicuramente fatto, considerato che sono trascorsi ben trenta anni dalla realizzazione di quel muro.
Sussistono, infatti, tutti i presupposti per poter vantare l’acquisto per usucapione, considerato che la linea di confine tra i terreni è rimasta inalterata per più di venti anni, termine questo espressamente richiesto dall’art. 1158 c.c. al fine di poter maturare il possesso utile per tale modo di acquisto della proprietà.

Pertanto, se la linea di confine tra i terreni è rimasta inalterata per circa trenta anni, anche nell’ipotesi in cui le metrature effettive dei terreni di A e B differiscano da quelle indicate nell’atto di acquisto o da quelle risultanti dalle mappe catastali, la pretesa del vicino di riconfinamento può essere contrastata facendo rilevare al giudice l’intervenuta usucapione.
Si ritiene possa essere utile a tal fine ricordare che i requisiti essenziali per usucapire un bene immobile, quali risultanti dal codice civile, sono i seguenti:
a) Il decorso di venti anni;
b) Il possesso continuato nel tempo;
c) Il possesso pacifico e pubblico, ovvero non acquisito a seguito di minaccia o violenza ed esercitato in modo palese “alla luce del sole”;
d) l’esercizio del possesso corrispondente in modo non dubbio all’esercizio del diritto di proprietà, ovvero in modo da evidenziare la chiara volontà di possedere un determinato bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni forma di godimento o di gestione di quel medesimo bene (nessuna rilevanza assume lo stato di buona o di mala fede del possessore).

Come può facilmente intuirsi, si tratta di presupposti tutti sussistenti nel caso che qui viene preso in esame.
Pertanto, stando così le cose, ciò che si consiglia, finchè il confinante non manifesti alcuna intenzione di rivendicare la porzione di terreno che gli è stato usurpata, è di non intraprendere alcuna azione giudiziaria volta a chiedere al giudice di dichiarare l’acquisto della porzione eccedente di terreno per intervenuta usucapione.
Piuttosto, qualora il proprietario del fondo B dovesse esperire o manifestasse l’intenzione di voler esperire la c.d. actio finum regundorum (a cui prima si è fatto cenno), ci si potrà difendere in giudizio sollevando l’eccezione di usucapione, la quale, in considerazione di quanto fin qui detto, non potrà che trovare accoglimento.
Solo dopo il riconoscimento giudiziale dell’acquisto del diritto di proprietà sulla striscia di terreno usurpata sarà anche possibile provvedere a modificare quanto indicato in catasto, esibendo al Conservatore il titolo giudiziale ottenuto.

A. M. chiede
mercoledì 29/03/2023
“Nel giardino di mia proprietà, acquistata nel 1979, esisteva un locale caldaia termica di superficie mq 5,10. Con la installazione degli impianti autonomi nel 1991, detto locale ha cessato di essere utilizzato ed è stato inglobato al nostro ripostiglio che con esso confinava realizzando la cucina realizzata nel 1993 con regolare concessione edilizia in sanatoria (legge 47/85 e DL 551/94). La visura della planimetria, richiesta tramite (omissis) del mio immobile (Informazioni riportate negli atti del catasto al 27/03/2023), in san sebastiano al vesuvio, depositata nel 1994 riporta in planimetria l'ampliamento. Nessuna eccezione è mai stata sollevata dal momento che veniva a cadere il motivo dell'ingresso nella mia proprietà come pure veniva soppresso il serbatoio per il gasolio interrato nel nostro giardino. In data 28 marzo un condomino ha sollevato la questione di approfondire la destinazione di questa servitù e del locale caldaia. Che fare?”
Consulenza legale i 05/04/2023
Nel caso descritto pare essersi concretizzato un tipico caso di acquisto per usucapione di bene condominiale.
L’usucapione prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c. è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, dal quale discende la proprietà di un determinato bene a fronte del suo possesso continuato per un determinato arco di tempo predeterminato dalla legge, che è solitamente di venti anni.

Ai sensi dell’art. 1140 del c.c. si ha il possesso di un determinato bene nel momento in cui un soggetto compie una determinata attività sul bene corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. In altri termini, si è possessori di un bene nel momento in cui ci comportiamo come se fossimo proprietari dello stesso senza di fatto esserlo, o meglio senza avere un titolo (es. rogito notarile) che ci attribuisce la proprietà del medesimo.

Affinché possa concretizzarsi l’acquisto per usucapione è necessario poi che la situazione di possesso protrattasi per il periodo prescritto dalla legge sia assolutamente pacifica ed ininterrotta e che essa non abbia avuto inizio in maniera violenta o clandestina.
Il possesso è acquistato in maniera violenta o clandestina se l’impossessamento del bene è stato compiuto contro la volontà dell’attuale e legittimo possessore, o se si è a lui occultato e tenuto nascosto i comportamenti tesi ad impossessarsi del bene.
In ambito condominiale la giurisprudenza ammette l’acquisto della proprietà per usucapione di un bene comune ex. art. 1117 del c.c., come appunto un locale tecnico o locale caldaia, a patto che si sia posseduto per almeno un ventennio in maniera tale da rendere assolutamente impossibile il godimento del bene comune da parte degli altri proprietari, e vi sia stata la volontà da parte di colui che fa valere l’acquisto per usucapione di possedere come proprietario esclusivo e non come comproprietario (Cass. Civ.,sez.II, n.20039 del 06.10.2016). Ovviamente qualora qualcuno contesti l’acquisto per usucapione di un bene, è necessario che chi ritiene di aver usucapito riesca a dimostrare innanzi ad un giudice la sussistenza dei requisiti che si sono detti fin qui.

A quanto pare però ciò che viene richiesto dalle norme del codice civile e dalla giurisprudenza assolutamente maggioritaria si è pienamente verificato nel caso specifico: il locale comune infatti in maniera del tutto pacifica e non clandestina è stato inglobato nella proprietà dell’autore del quesito da epoca ultraventennale. Ciò inoltre è avvenuto senza che gli altri condomini personalmente o tramite l’amministratore facessero qualcosa per rivendicare il loro diritti sul cespite.

Se quindi alla prossima riunione l’iniziativa del condomino dovesse sfociare in qualche discussione più specifica, si consiglia di limitarsi a sostenere e a mettere a verbale di essere legittimi proprietari del locale tecnico. Se poi da tale discussione dovesse derivare una qualche iniziativa più specifica da parte del condominio si avranno le opportune argomentazioni per difendersi nelle sedi opportune.

I. C. chiede
lunedì 19/12/2022 - Piemonte
“Buongiorno, no so se mi potete dare un aiuto, ma vi pongo il problema: poichè ho molto interesse sto cercando la proprietà di due terreni di cui nessuno in loco sa nulla e che sono completamente abbandonati da almeno 30 anni in condizioni di assoluto degrado; ho fatto visure catastali dalle quali ho appreso il nome delle due società s.r.l. intestatarie, sono andato in camera di commercio per fare le relative visure, ma qui le società risultano inesistenti; ho fatto anche visure ipotecarie ma non risultano trascrizioni e iscrizioni né contro né a favore, questi terreni sembra che siano di nessuno; poiché questa ricerca si protrae da parecchi mesi ad oggi non ricordo come sono venuto a conoscenza che le due società hanno avuto nel 1962 due liquidatori di cui conosco il nome e che risultano deceduti, forse la nomina dei liquidatori l’ho rilevata dalla visura in conservatoria; uno dei due liquidatori risulta in guida telefonica, ho fatto diverse telefonate, ma chi mi risponde è una signora probabilmente la vedova di questo liquidatore che non vuole parlare e mi chiude il telefono; quindi stante la situazione mi viene da pensare che ci sia qualcosa di strano sotto, e che forse questa persona che non risponde abbia timore di essere perseguita per dei debiti o altro; vorrei sapere come posso fare senza incorrere in qualche contestazione per far si che questa persona mi risponda e per poter instaurare una normale conversazione al fine di sapere chi è proprietario o chi ha titolo su questi terreni. Valutando la situazione vi chiedo se sarebbe possibile instaurare una pratica di usucapione pur non conoscendo un soggetto contro la quale rivolgerla, o quale altra soluzione trovare.”
Consulenza legale i 02/01/2023
Delle diverse ricerche effettuate sembrerebbe che sia stata omessa quella volta ad accertare se vi è qualche soggetto, persona fisica o giuridica, che in tutti questi anni abbia provveduto al pagamento dei tributi sui terreni di cui si discute.
Probabilmente una ricerca di questo tipo potrebbe essere in grado di fornire qualche indizio positivo circa l’individuazione degli effettivi proprietari dei terreni, tenuto conto peraltro che la giurisprudenza, in particolare quella di legittimità, è orientata nel senso che anche il pagamento dei tributi, inerenti alla proprietà dell’immobile, deve essere interpretato quale manifestazione implicita della volontà di possedere quell’immobile.

Ciò posto, sulla base di quanto viene riferito nel quesito non possono dirsi in alcun modo sussistenti, allo stato attuale, i presupposti per far valere l’usucapione dei due terreni.
L’usucapione di beni immobili risulta disciplinata dall’art. 1158 c.c., il quale dispone espressamente che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti di godimento sugli stessi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni (oppure per dieci anni, c.d. usucapione abbreviata, se il possesso è stato acquistato in buona fede ed in forza di un atto di vendita o di donazione, trascritto nei registri immobiliari e poi rivelatosi nullo).
Come può facilmente notarsi, presupposto essenziale per vantare l’usucapione è il possesso, definito dall’[art. 1140 del c.c. come “…potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.”.
Il termine previsto dall’art. 1158 c.c. deve farsi decorrere dall’inizio del possesso ovvero dal primo atto di esercizio dello stesso.

Nel caso di specie non sembra che colui che pone il quesito abbia mai posto in essere un atto di esercizio del possesso di quei terreni, per cui risulta giuridicamente impossibile pensare di avvalersi dell’istituto dell’’usucapione per conseguire la proprietà di quei terreni a titolo originario.
Ciò a cui si può pensare, invece, qualora si riesca a raggiungere la certezza che alla proprietà di detti terreni non possa essere interessato alcuno, è di iniziare a porre in essere degli atti di esercizio del possesso, quale potrebbe essere, a titolo meramente esemplificativo, la pulizia degli stessi e la loro recinzione, in modo da impedirne l’ingresso da parte di terzi.
Chi vuole ottenere l’usucapione di un terreno, infatti, deve dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto corrispondente a quello del proprietario per il periodo prescritto dalla legge, occorre dunque sia il “corpus” (ossia la disponibilità del terreno) che “l’animus” (ovvero la volontà di possedere il terreno come proprio).
Quest’ultimo elemento, in particolare, non deve rimanere puramente interno, ma deve essere esternato in modo oggettivo e tangibile.

E’ per tale ragione che, come si è prima accennato, per pensare di poter far valere l’usucapione è indispensabile che il possessore abbia posto in essere sul terreno atti tipici che solo il proprietario potrebbe compiere (quale la recinzione), essendo tali comportamenti gli univoci indizi necessari per usucapire.

Peraltro, fino a qualche decennio fa, situazioni come quella qui descritta venivano semplicemente risolte recandosi dal notaio e chiedendo al professionista di ricevere un atto pubblico traslativo basandosi unicamente sulle dichiarazioni delle parti attestanti l’usucapione a favore del venditore dell’immobile (ciò significa che se Tizio voleva conseguire a titolo originario la proprietà di un immobile, era sufficiente recarsi dal notaio con Caio e dichiarare che quest’ultimo, proprietario per antico possesso dell’immobile, intendeva alienarlo a Tizio).
La Corte di Cassazione, invece, dapprima con sentenza n. 2485 del 05.02.2007 e immediatamente dopo con sentenza n. 12609 del 19.03.2008, ha aderito alla tesi secondo cui un atto traslativo di tale tipo è possibile soltanto in base ad un diritto già consolidato in capo al possessore durante i 20 anni pregressi di possesso pacifico, richiedendo, dunque, il previo accertamento giudiziale dell’intervenuta usucapione, il quale dà luogo ad una sentenza accertativa, avente natura dichiarativa.
Tale sentenza, peraltro, va trascritta ex art. 2651 del c.c. e la relativa trascrizione ha natura di pubblicità notizia, in quanto consente di garantire completezza e continuità ai pubblici registri.

Si tenga conto che fino all’anno 2013 il nostro ordinamento giuridico prevedeva che l’usucapione potesse essere accertata solo giudizialmente.
Il decreto del fare (D.l. 69/2013, convertito nella Legge n. 98/2013), ha invece modificato l’art. 2643 del c.c., introducendo al n. 12 bis la possibilità di accertare l’usucapione di un bene svolgendo una procedura di mediazione civile.
In particolare, l’art. 5 del D.lgs. 28/2010 prevede che le parti tentino la mediazione prima di ricorrere al giudice per accertare l’usucapione, con il vantaggio di raggiungere il risultato sperato in termini sicuramente più brevi (generalmente in soli tre mesi) e sostenendo dei costi molto bassi (proporzionati al valore dell’immobile che si intende usucapire).


P.C. chiede
giovedì 17/11/2022 - Campania
“Siamo un condominio (lotto E) nato con una licenza avuta nel 1966 che prevedeva la costruzione prima di 3 palazzi che chiameremo lotto A-B-C (fine costruzione 1967/68) e poi successivamente di altri 2 lotti D-E (atto acquisto terreno 11/5/68 fine costruzione 1971) questo comprensorio denominato verbalmente (non ufficialmente nemmeno negli atti fondativi) parco (omissis) costruito da due persone che avevano lo stesso cognome ma che dagli atti dichiaravano di non essere fratelli, hanno costruito 5 palazzi con delle strade interne fatte a ferro di cavallo
SCRIVEVANO NELL’ATTO DI ACQUISTO
- l’acquisto della striscia di terreno dovrà essere adibita a completamento della strada privata cosi come i tronchi diramazioni ai fini di una valorizzazione urbanistica
-in conseguenza nel sottosuolo di dette zone adibite o da adibire a strada potranno essere immesse condotte di qualunque natura e specie purchè destinate al servizio delle costruzioni che su detta strada prospettano
-unico onere a carico dei frontisti le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria della detta rete stradale fin quanto non passerà al comune
dovevano servire a strade per il miglior godimento delle aree destinate all’edilizia residenziale, i due costruttori dichiarano che si riservano la proprietà di questa strada fin quanto non passerà al comune, fatto che e avvenuto ma solo sulla parte esterna (lotto A-B-C) mentre nella parte interna che comprende il mio (lotto E) e rimasta di loro proprietà, ma non hanno mai fatto o chiesto niente, lasciando al servizio dei palazzi che hanno gestito come meglio credevano, chiaramente il tutto e diventato un parcheggio. (il costruttore e morto e l’unico erede trasferitosi in un'altra regione ha già detto che non vuole sapere nulla)
spiegato l’atto fondativo succede che negli anni 80 il mio condominio lotto E crea un proprio cancello con una autorizzazione concessa dal comune che richiama la manutenzione straordinaria e realizzazione di pertinenza a servizio di edificio preesistente oltre alla legge ponte e i regolamenti di edilizia di igiene e di polizia locale, ma dopo qualche anno con un evento doloso questo cancello viene abbattuto, negli anni 90 i lotti A-B-C decidono di innalzare dei cancelli che ci chiudono completamente, chiaramente hanno fornito a tutti gli accessi (anche perchè noi siamo nella parte interna “fondo dominante”, infatti negli atti fondativi nostri, non concediamo la servitù di passaggio a persone e cose perchè non scritta, mentre negli atti esterni ce scritta); preciso anche che ognuno ha il proprio civico, non siamo un super condominio, inoltre ognuno ha il proprio amministratore e la propria gestione ed ognuno paga l’energia per conto proprio per l’illuminazione che circonda il proprio civico; preciso anche una grossa anomalia, cioè che il comune in un trasloco ha smarrito tutti i nostri progetti e grafici, ha in possesso solo le licenze
detto ciò è nostra necessità chiudere il nostro tratto che circonda il civico lotto E per questioni di sicurezza, perché negli anni questi accessi sono stati consentiti a tutto il quartiere, quindi ora per il caos non c'è nemmeno più la possibilità di parcheggiare. Soprattutto, il nostro edificio è in fase di ristrutturazione con il bonus 110% e siccome le auto che non sappiamo nemmeno di chi sono, vengono parcheggiate anche dentro l’area di cantiere; vorremo di nuovo chiuderci per tutte queste necessità gravi elencate
-chiaramente abbiamo ascoltato dei pareri, c'è chi dice alzate i cancelli perché se voi non avete titolo nemmeno gli altri lo possono mostrare (escluso l’unico erede disinteressato)
- altri dicono che gli esterni potrebbero subito attuare una “possessoria” o un art 700 per il cancello
- altri dicono che con la legge Ponte possiamo chiuderci
-altri dicono che essendo il nostro tratto al momento area di cantiere può iniziare ora il processo di chiusura per poi affrontare una causa (però in tanto ci chiudiamo)
-altri dicono che potremmo fondare un condominio di gestione separato da quello principale che si occupi solo della strada
voi cosa ne pensate?”
Consulenza legale i 22/11/2022
Innanzitutto è giusto precisare che con ogni probabilità i 5 lotti costituiscono un supercondominio, in quanto gli edifici anche se di per sé autonomi e costituenti ciascuno un condominio hanno con ogni probabilità tra di loro dei servizi e delle servitù comuni ai sensi dell’ art. 1117 del c.c.. La giurisprudenza in maniera assolutamente costante chiarisce come il supercondominio (ma anche il condominio) sia una situazione di fatto che sorge quando in un complesso edile vi sia la contestuale presenza da un lato di corpi di fabbrica autonomi (nel caso specifico, i nostri 5 edifici), e dall’altro beni e servizi comuni al servizio di tutti i palazzi che costituiscono il complesso. In altre parole, affinché sussista un supercondominio e scatti l’obbligo di applicare la relativa disciplina non è necessaria una delibera costitutiva dei proprietari o comunque una manifestazione di volontà dei medesimi: tali delibere non sono altro che la naturale conseguenza dell’obbligo di applicare le norme che regolamentano il condominio.

Fatta questa iniziale premessa, della cui utilità si capirà tra poco, proviamo a chiarire i dubbi posti nel quesito, con la precisazione che la risposta che si fornirà viene data sulla base dei soli fatti riferiti, ma un parere più preciso può essere fornito solo dopo un esame completo degli atti che attengono al complesso.
Detto ciò, ci si sente di consigliare al condominio E di recintare il tratto di strada di interesse e di iniziare quindi su di esso un possesso ex art. 1140 del c.c. utile a far maturare in un futuro con la decorrenza di un ventennio l’acquisto del bene per usucapione ex art.1158 del c.c. È vero che oggi nel presente il tratto di strada non potrebbe giuridicamente considerarsi bene condominiale del solo edificio E, ma i componenti del condominio possono comunque goderne come se già lo fosse.

Le ragioni di questo consiglio risiedono nel fatto che, sulla base di quanto riferito, non pare che vi siano altri soggetti all’infuori dei proprietari del palazzo “E” che abbiano un effettivo interesse a reclamare la titolarità del bene, né gli eredi dei costruttori né i proprietari dei lotti A, B, C e D: questo è vero, si badi, a condizione che l’impossessamento non vada pregiudicare gli altri beni e i servitù super condominiali comuni con gli altri lotti, se ve ne sono (da qui la necessità della premessa che è stata fatta all’ inizio del parere).

Non si è convinti della bontà delle altre soluzioni ovvero, l’invocazione della legge Ponte e della costituzione di un ente di gestione solo per la strada.
La giurisprudenza ha infatti precisato che i vincoli sui “parcheggi Ponte” sorge nel momento in cui tali parcheggi siano stati effettivamente realizzati e l’area sia stata ciò destinata (Cass.Civ.Sez.II, n.13210 del 25.05.2017). Nel caso specifico, ma si dovrebbe meglio verificare gli atti, non pare che questo vincolo sussista, in quanto l’area del quesito non era destinata a parcheggio, ma a strada di completamento del borgo.
Non ci si sente di consigliare neppure la costituzione di un ente di gestione per la sola strada in quanto, seppur è vero che il super condominio sorge automaticamente ex lege, costituire un ente super condominiale per un solo tratto di strada diventa assolutamente diseconomico, soprattutto se tra i cinque palazzi non vi sono altri beni e servizi comuni.

Christian D. M. chiede
mercoledì 10/08/2022 - Lazio
“Egr. Avvocati buongiorno,
Abbiamo acquisito un appartamento nel maggio dello scorso anno che il venditore aveva a sua volta da breve acquisito in asta fallimentare.
Alla sottoscrizione dellla proposta vincolante di acquisizione del bene abbiamo avuto contezza che l'immobile era stato oggetto di una sanatoria per una importante variante
- richiesta il 24/11/1970 (su progetto del 1960)
- eseguite a seguito di regolare nulla osta il 27/11/1970
- Accatastate come risultante dalla planimetria presentata presso il catasto edilizio urbano in data 18/11/1986
- Con pagamento delle oblazioni, e comunicazione pec al Comune l'11/03/2021.

A seguito di questi lavori quello che era un grande balcone integrato, con una superficie più che doppia dell’immobile originario, è stato chiuso divenendo volumetria utile e portando la superfice da 43 a 168 mq.
L'appartamento è all'ultimo piano e la tettoia di codesto balcone è parte di un lastrico solarie calpestabile comune all'intero immobile
Di questa variazione di cubatura tengono conto le tabelle millesimi condominiali ma nel regolamento non si definiscono proprietà esclusive o meno, l’utilizzo del solarium è a vantaggio di tutti i proprietari.
Quesito:
Visto che
- La variante del 1970 è stata sanata e quindi perfezionata solo nel 2021 a seguito di pagamento delle oblazioni;
- Il lastrico solare derivante da codesto intervento copre esclusivamente superfici del nostro appartamento;
Considerando che
- l’accesso è in comune con il solarium tramite la tromba delle scale che termina in una torretta;
- che l’utilizzo non è diviso dal regolamento condominiale e lo conferisce solidalmente a tutti i proprietari;
- che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria non contraddistinguono la porzione in oggetto.

Siamo a richiedere parere in merito alla fondatezza legale di poter vantare da parte nostra, con i giusti rimedi giuridici, un diritto di proprietà (o in seconda ipotesi di usufrutto esclusivo) sulla quota di terrazzo/solarium derivante dalla variante sanata tale da consentirci la recinzione della parte stessa ed il collegamento diretto con l’appartamento.

Fin d’ora le riportiamo che nell’eventualità di un Sua interpretazione positiva se Lei ce lo indicasse come necessario
- saremmo disposti a lasciarne una porzione per consentire agli altri condomini l’affaccio;
- saremmo coscienti degli oneri derivanti in termini di costi condominiali ordinari e straordinari;
- saremmo disposti a quanto necessario in ordine agli oneri edilizi;
- ma non saremmo interessati, se fosse condizione necessaria, a passare per una sopraelevazione fatto salvo un eventuale struttura per produzione fotovoltaico
- che non vi è la possibilità di acquisirlo dagli altri condomini che oltre ad essere in numero non irrilevante, sono in parte irreperibili per eredità imperfette
Se tutto ciò fosse plausibile chiederemmo di darci un’idea di quale dovrebbe essere l’iter corretto per garantire l’esercizio di codesto diritto e quali costi, seppur in termini spannometrici, andremmo ad affrontare per gli aspetti legali della questione.
Se fossero utili potremmo inviaree tutta la documentazione necessaria a partire dal progetto ante e post operam della variante.

Consulenza legale i 22/08/2022
Ciò che ci si prefigge non è di facile realizzazione.

L’art. 1117 del c.c. al suo n.1) inserisce espressamente il lastrico solare tra le parti dell’edificio che devono considerarsi comuni a tutti i proprietari delle singole unità immobiliari in condominio, salvo che il titolo, cioè i rogiti di acquisto dei singoli appartamenti o il regolamento di condominio, non disponga diversamente.
Nel caso specifico, per quanto è dato capire, non vi è alcun titolo che attribuisca espressamente il lastrico solare in proprietà o anche solo in uso esclusivo ad un singolo condomino, anzi il regolamento inserisce tale manufatto tra le parti comuni dell’edificio.

Ma è possibile usucapire una parte dell’edificio condominiale?

L’usucapione, prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c., è un modo di acquisto della proprietà che si concretizza nel momento in cui un soggetto possiede pacificamente e in maniera non clandestina un bene per un determinato arco di tempo previsto dalla legge (generalmente venti anni), comportandosi come se ne fosse proprietario, pur non vantando nei confronti del predetto bene un rogito notarile che gli attribuisca espressamente il diritto di proprietà sullo specifico manufatto.

Come è facile intuire, l’usucapione è spesso fonte di contenziosi giudiziari: si pensi al caso in cui colui che risulta formalmente il proprietario del bene rivendica nei confronti di colui che semplicemente lo possiede il suo diritto di proprietà e il convenuto si difende a sua volta sostenendo l'intervenuta usucapione; oppure si pensi al caso di colui che ha maturato il periodo per usucapire ed è quindi desideroso di vedersi certificato da un documento giuridico l’acquisto del diritto di proprietà: per ottenere ciò, cita in giudizio colui che risulta formalmente proprietario del bene per ottenere nei sui confronti un provvedimento giudiziario che accerti l’acquisto della proprietà del bene per usucapione.

La giurisprudenza assolutamente costante della Corte di Cassazione ci dice che il singolo proprietario ben può usucapire le quote che gli altri partecipanti al condominio vantano su una parte dell’edificio che di per se sarebbe da considerarsi comune (come, ad esempio, il lastrico solare), ma affinché si possa ottenere un provvedimento favorevole è necessario che egli riesca a dimostrare in giudizio di aver goduto del bene a titolo esclusivo, escludendo quindi gli altri condomini dal godimento anche potenziale del bene (si cita tra le tante Cass. Civ, Sez.II, n. 20039 del 06.10.2016). Ai sensi dell’art. 1158 del c.c. è poi necessario che si dimostri, attraverso ad esempio materiale fotografico via via risalente nel tempo e testimonianze, che questo godimento esclusivo si sia protratto per un periodo non inferiore a venti anni. Nel caso in cui il bene durante tale periodo sia stato ceduto una o anche più volte ai sensi del 2°co. dell’art. 1146 del c.c. ai fini del computo del ventennio è possibile unire il possesso dell’attuale possessore ai quello dei precedenti autori, fermo restando, comunque, per chi fa valere in giudizio l’usucapione, l’onere di provare che il possesso dei vari soggetti sommati tra loro si è protratto per vent’anni.

Ad esempio, un’area come quella del lastrico solare descritta nel quesito si potrebbe usucapire se si procedesse alla sua recinzione fatta in maniera tale da impedirne l’accesso agli altri condomini e tale situazione di fatto venga protratta, anche tramite possessi intermedi di più autori, per un periodo di venti anni.

Si presti tuttavia attenzione, in quanto il semplice invio da parte di uno dei condomini di una lettera raccomandata per mezzo della quale si contesti a colui che lo ha realizzato l’intervenuto spossessamento del lastrico, comporterebbe l’interruzione del conteggio del termine ventennale che dovrebbe quindi poi ricominciare daccapo.

Per quanto ci è dato capire però, tutto questo non è avvenuto nel caso specifico: si vorrebbe infatti solo oggi procedere alla recinzione della porzione di lastrico al fine di escludere gli altri condomini dal suo godimento. Il fatto che vi sia stata un abuso edilizio la cui pratica di sanatoria era pendente dal 1970 e sanata solo nel 2021 non integra un comportamento idoneo a concretizzare un acquisto per usucapione, potendo al massimo di per sè costituire un semplice argomento di prova.

Sulla base di quanto riferisce il quesito, quindi, si deve concludere che una ipotetica causa per usucapione avrebbe con ogni probabilità un esito sfavorevole.

Si tenga conto poi che per radicare una causa di usucapione come quella descritta, rimarrebbe comunque fermo, per opportune esigenze difensive, l’obbligo di dover individuare i proprietari di tutti gli appartamenti ricompresi nel condominio al fine di notificare loro, unitamente all’amministratore di condominio in carica, l’atto introduttivo del giudizio.

Forse, paradossalmente, la soluzione più idonea sarebbe quella di procedere autonomamente alla recinzione della porzione di lastrico di interesse al fine di dare inizio sul bene ad un possesso utile a far maturare nel ventennio un acquisto della sua proprietà per usucapione.

Se gli altri condomini negli anni a venire non muoveranno contestazioni scritte, con il passare del tempo si raggiungerebbe lo scopo che ci si prefigge e gli attuali proprietari dell’appartamento condominiale o i loro successivi aventi causa beneficeranno dell’acquisto della proprietà del lastrico: prima del ventennio, poi, gli attuali proprietari potranno comunque beneficiare dall’uso e godimento del lastrico che ne deriva dal suo possesso esclusivo.
Se questa strada non è percorribile l’unica via alternativa è quella di individuare e contattare ciascun partecipante al condominio e acquistare da lui la quota di comproprietà che egli vanta sulla porzione di lastrico condominiale.


Enzo S. chiede
martedì 09/08/2022 - Emilia-Romagna
“Nell'anno 1994 ho acquistato un appartamento con due cantine ed un garage facente parte di una palazzina di cinque appartamenti posta in zona collinare.
La palazzina è composta da tre appartamenti che si sviluppano sul fronte strada (ammezzato, primo piano, secondo piano) e nel retro (versante collinare) due appartamenti e cantine seminterrate: al piano ammezzato le cantine seminterrate, un appartamento al primo piano (rispetto al piano strada ma a livello del giardino) ed un appartamento al secondo piano.
L'appartamento che ho acquistato è quello del primo piano (versante collinare) livello giardino in parte privato ed in parte condominiale.
Sotto all'appartamento, si trovano tutte le cantine.
Dall'appartamento accedo ad una terrazza costruita già in fase di edificazione (abusiva ma poi condonata) lunga come tutta la parete della casa e che copre integralmente uno scannafosso (abusivo poi condonato) nel quale si affacciano le finestre delle cantine.
Unitamente all'appartamento ho acquistato due cantine (quindi sottostanti il mio appartamento) e l'uso esclusivo dello scannafosso che peraltro era accessibile solo attraverso il garage (esterno all'area di sedime e quindi riconosciuto come estraneo al condominio) che ho acquistato sempre con lo stesso rogito delle altre unità citate.
Dopo circa due anni ho eseguito lavori di ristrutturazione al termine dei quali sono andato ad abitare l'appartamento.
Con tali lavori ho innalzato la pavimentazione dello scannafosso portandola al livello delle cantine aperto due porte (una per ogni cantina) per collegarle allo scannafosso
installato un ascensore che dall'appartamento scende al livello cantine in tal modo ho collegato l'appartamento con le due cantine e con il garage.
poiché le cantine hanno finestre nello scannafosso ho costruito un solaio che isola il mio corridoio dalle finestre che ora si affacciano su una intercapedine sotto al terrazzo e sopra al mio corridoio. Alle cantine ho dato aria aprendo delle finestre nell'inercapedine e luce installando blocchi di vetrocemento sul pavimento della mia terrazza.

Recentemente ho eseguito (a mie spese) una impermeabilizzazione del muro controterra che presentava infiltrazioni.
Lo scannafosso è sempre stato ritenuto condominiale sia nel mio rogito (ovviamente) che al catasto.
Alcuni anni fa ho fatto sistemare la posizione catastale nella quale però l'ex scannafosso è indicato come unità condominiale.
Non esiste regolamento condominiale.
Abbiamo un amministratore.

Posso vantare la proprietà dello scannafosso (sia nella parte praticamente integrata nel mio appartamento che nella intercapedine che ho realizzato per dare aria alle cantine) per usucapione?”
Consulenza legale i 21/08/2022
La questione che con il presente quesito si chiede di affrontare è sostanzialmente quella, abbastanza diffusa, della usucapibilità o meno delle parti comuni di un edificio condominiale.
Di tale problema si è occupata in diverse occasioni la Suprema Corte di Cassazione, affermando quanto segue:
il “comproprietario che voglia dimostrare di avere usucapito la quota degli altri comunisti deve dimostrare di averla posseduta uti dominus e non più uti condominus, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune (Cass. n. 23539/2011; Cass. n. 3238/2018), ossia può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola ma è necessario che la possieda animo domini, per il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante una attività che valga, comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari (Cass. n.5640/1995).”

Tale principio si trova ribadito in una recente sentenza di merito della Corte d’Appello di Brescia del 2 luglio 2021, nella quale viene appunto statuito che, onde procedere all’acquisto a titolo originario, il possessore risulta onerato di esplicare in via esclusiva, continuativa e senza alcun limite il potere di fatto corrispondente all’esercizio del relativo ius potestativo, palesando un comportamento capace di mettere in evidenza, anche agli occhi dei terzi, una incontestabile e piena signoria de facto sul cespite che si intende usucapire.

Ora, analizzando la disciplina generale dell’usucapione, quale dettata dagli artt. 1158 e ss. c.c., va detto che gli elementi costitutivi dell’acquisto a non domino sono dati dalla pacificità, pubblicità e continuità, senza apprezzabile interruzione, del possesso da parte del rivendicante il diritto, nonché dal c.d. animus possidendi, inteso come volontà di atteggiarsi quale proprietario e non dalla semplice convinzione di esserlo, esprimendo facoltà riconducibili a quel determinato ius e tali da apparire ai terzi quale proprietario (così Corte App. Roma Sez. IV 29.10.2002, Cass. vic. Sez. II del 15.07.2002 n. 10230, Cass. civ. Sez. II del 6 maggio 2014 n. 9671).
Sul piano processuale, l’attore, che agisce al fine di vedersi riconosciuta per usucapione l’attribuzione del diritto reale su un determinato bene immobile, è onerato di dimostrare i predetti elementi costitutivi e, dunque, sia l’animus che il corpus.
In particolare, per quanto riguarda l’animus possidendi, si ammette che lo stesso possa desumersi per presunzione allorquando l’attore compia atti o fatti tali da manifestare l’intenzione di avere la res quale bene proprio (cfr. Cass. civ. Sez. II 11.06.2010 n. 14092); di contro, sull’effettivo titolare del diritto, ovvero il convenuto, incombe l’onere di provare che il godimento, conduzione o disponibilità a qualsiasi titolo del bene in capo all’attore discende da un titolo idoneo.

Entrando adesso nel merito della fattispecie in esame, si ritiene che chi pone il quesito sia in condizione di provare agevolmente la sussistenza di entrambi i presupposti richiesti dalla legge ai fini dell’usucapione dello scannafosso (ossia il corpus e l’animus possidendi), avendo posseduto quel bene in modo esclusivo, pacifico ed ininterrotto per un ventennio, con incontrovertibile esclusione degli altri condomini dal compossesso della res comune.
Peraltro, si ritiene che i lavori eseguiti sullo scannafosso (quali descritti nel quesito) possano valere ad escludere ogni presunzione di legittima possibilità di concorrente, e perfino parziale e saltuario, esercizio del diritto da parte dei residuali comunisti, costituendo prova provata che tale esercizio non possa effettivamente più sussistere ed occorrere (cfr. in tal senso Cass. civ. Sez. II n. 23539 del 10.11.2011, Trib. Nocera Inferiore sez. I del 02.02.2021).

Unica eccezione a cui si rischia di andare incontro, e che potrebbero sollevare gli altri condomini, è quella derivante da quanto viene riferito nella parte iniziale nel quesito, ove viene detto che, unitamente all’appartamento, è stato acquistato “l’uso esclusivo dello scannafosso”.
Occorrerebbe, infatti, comprendere bene se tale “uso esclusivo” sia stato configurato come un vero e proprio diritto reale d’uso (il che si porrebbe come ostacolo all’acquisto della piena proprietà del bene per usucapione) ovvero come un semplice diritto personale di godimento (solo l’esame del titolo di provenienza può contribuire a chiarire la natura di tale diritto).

In ogni caso, si tenga presente che, per effetto del decreto legge n. 69/2013, che ha aggiunto il numero 12 bis all’art. 2643 del c.c., la materia dell’usucapione dei diritti reali rientra tra quelle oggetto di mediazione obbligatoria, con la conseguenza che oggi è possibile usucapire un bene, mobile o immobile che sia, ricorrendo a tale istituto, con un notevole risparmio di tempi e di costi rispetto a quanto avveniva seguendo la procedura ordinaria (già in tale sede ci si potrà rendere conto di quali opposizioni intenderanno avvalersi gli altri condomini ed eventualmente decidere di non portare avanti il giudizio di merito).

La T. L. chiede
venerdì 13/05/2022 - Toscana
“Sono proprietaria per 15/47 di un immobile sito in ........ Tali quote le ricevute in eredità da mia madre, ........ deceduta nel 2011, la quale ne era venuta in possesso fin dall'anno 1982. Dei restanti proprietari è noto solo nome e cognome, dati non sufficienti all'identificazione. Come posso diventare proprietaria al 100%?
Sono in possesso di certificato catastale e nota di trascrizione dell'avvenuto acquisto da parte di mia madre.”
Consulenza legale i 19/05/2022
Fino a qualche anno fa situazioni di questo tipo venivano risolte facendo ricorso al ministero del notaio, mediante la stipula di un atto di c.d. “vendita per possesso”.
Sarebbe stato sufficiente recarsi dal notaio e chiedergli di ricevere un atto pubblico di vendita nel quale il venditore, sotto responsabilità penale, dichiarava di essere l’unico ed esclusivo proprietario dell’immobile oggetto di vendita per averne esercitato il possesso ultraventennale, continuo ed ininterrotto, come richiesto dall’art. 1158 c.c.
In tal modo si evitava di dover fare ricorso al procedimento giudiziario volto ad accertare l’avvenuta usucapione del bene.

Tale sistema, peraltro, trovava il favore della giurisprudenza di legittimità e del Consiglio Nazionale del Notariato (cfr. Cass. n. 2485/2007 e Studio CNN n. 176-2008/C), anche se si preferiva fare ricorso allo stesso in circostanze del tutto particolari, come ad esempio nel caso di valore estremamente esiguo del bene trasferito, tale da rendere quasi ingiustificabile il dover sopportare i costi di un giudizio di usucapione per raggiungere il risultato sperato.
In ogni caso non si mancava di raccomandare al notaio di informare adeguatamente il cessionario dei pericoli e rischi economici connessi ad un acquisto di tale tipo, considerato che successivamente sarebbe pur sempre potuta intervenire una sentenza dichiarativa della mancata usucapione.
Infatti, l’originario proprietario del bene, venuto a conoscenza di tale vendita, avrebbe potuto decidere, a sua volta, di agire in giudizio per impugnare la dichiarazione che l’alienante, sotto la propria responsabilità, aveva reso nell’atto pubblico notarile, chiedendo l’accertamento della mancanza dei presupposti per ritenere il bene usucapito dall’alienante e così rivendicare la proprietà dello stesso.

Proprio in considerazione dei rischi connessi a tale tipo di vendita e sicuramente considerata anche la mole di contenzioso che ne scaturiva, i notai già da qualche anno non sono più disposti a ricevere atti di tale tipo, probabilmente attenendosi anche a nuove linee guida dettate dal Consiglio Nazionale del Notariato.
Pertanto, adesso l’unico sistema che residua per conseguire la proprietà esclusiva di un bene di cui catastalmente si è proprietari pro quota, ma di cui da tanti anni si è unici possessori, è quello di avvalersi del giudizio ordinario di usucapione, con le difficoltà legate alla peculiarità della situazione di specie, ovvero al fatto che tale giudizio dovrebbe essere condotto nei confronti di intestatari catastali sconosciuti.

Accade molto di frequente, infatti, che l’intestatario catastale del bene, quale risultante dai registri catastali, sia morto e che, malgrado le ricerche svolte diligentemente sui registri dello stato civile, non si riesca a scoprire se il de cuius ha lasciato eredi ovvero se, in assenza di eredi, la proprietà di quel bene sia stata acquistata dallo Stato ex art. 586 del c.c. (nel qual caso il giudizio dovrebbe essere instaurato nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze).
Ma può anche accadere che l’intestatario o gli intestatari catastali del bene siano ancora in vita ma irreperibili o che non siano più residenti in Italia e non si conosca lo Stato di attuale domicilio.
Ora, l’art. 2697 c.c. richiede che colui il quale vuole agire in giudizio per ottenere un titolo che dichiari l’esistenza del suo diritto, non solo avrà l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi dell’usucapione, ma dovrà necessariamente evocare in giudizio coloro che risultano intestatari formali del medesimo bene, sui quali, di contro, incomberà l’onere di allegare e provare in giudizio un fatto impeditivo dell’avvenuta usucapione.
Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, di regola non sono ammessi giudizi contenziosi in cui il convenuto non venga identificato, e ciò perché la mancata identificazione del convenuto determinerebbe la nullità della domanda giudiziale per vizio della editio actionis oltre che l’inesistenza della sentenza conclusiva del processo.
A ciò si aggiunga che, al fine di ottenere una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione del bene, è richiesto che venga preventivamente esperito il procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 04.03.2010 n. 28, per lo svolgimento del quale è pure necessario convocare tutti coloro che al catasto risultano formali intestatari del bene.

Ebbene, proprio per ovviare a situazioni questo tipo e per garantire l’integrità del contraddittorio, il diritto processuale civile prevede all’art. 150 c.p.c. la possibilità di fare ricorso alla c.d. notifica per pubblici proclami, la quale, su istanza della parte interessata (colui che vuole usucapire) e sentito il pubblico ministero, dovrà essere autorizzata dal Capo dell’ufficio giudiziario davanti al quale si procede.
Avvalendosi di tale forma di notifica sarà possibile esperire il preventivo ed obbligatorio tentativo di mediazione (il quale non potrà che avere esito negativo, ritenuto che non si avrà una controparte con cui mediare), per poi instaurare il giudizio ordinario civile volto ad ottenere una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione.

Purtroppo, non può farsi a meno di ammettere che si tratta di un giudizio abbastanza lungo e per certi versi costoso, ma, fatta eccezione per quella particolare modalità di vendita di cui si è detto all’inizio e che avrebbe consentito di trasferire ad un proprio familiare o comunque ad una persona di propria fiducia la proprietà di quel bene nella sua interezza, pure non avendone titolo, non esistono nel nostro ordinamento giuridico altri strumenti per raggiungere il medesimo risultato.

G. C. chiede
giovedì 28/04/2022 - Emilia-Romagna
“Il sottoscritto abita un appartamento in bologna dal 1982, di cui la proprieta' era della matrigna deceduta nell'agosto del 2021 senza lasciare testamento- eredi di diritto 2 nipoti figli del defunto fratello. per contro la matrigna da parte sua ha sempre abitato l'appartamento del defunto marito, che dal 1981 e' interamente intestato ai tre figli di primo letto (di cui fa parte il sottoscritto).
Per il possesso e l'uso dell'appartamento concesso di fatto al sottoscritto figliastro da 1982 non fu fatto alcun contratto, ma e' sempre stata versata mensilmente una somma nel c/c della de cuius.
Si evidenzia che in alternativa l'intera eredita andrebbe ai soli eredi di diritto cioe':
-n.1 appartamento di proprietà regolarmente affittato con contratto a terzi
-n.1 appartamento di proprietà abitato/posseduto dal sottoscritto figliastro senza soluzione di continuità fin dal 1982
-la somma liquida riveniente dal c/c bancario
-un'auto
Si chiede
se sia legittimo chiedere l'usucapione dell'appartamento e quindi l'intestazione della proprietà al sottoscritto figliastro, considerato pure che la matrigna, con riferimento a detto appartamento, ha sempre assicurato a lui e alla moglie e non solo, che anche dopo la sua morte non avrebbero dovuto preoccuparsi essendo sua intenzione metterlo per iscritto (cosa che non si e' potuto riscontrare).
restando in attesa
si porgono cordiali saluti
nb: riferimento possessio testatoris.......”
Consulenza legale i 04/05/2022
Nel caso in esame, purtroppo, si ritiene che non possano ravvisarsi i presupposti per far valere l’usucapione di quell’appartamento che si abita sin dal 1982.
E’ noto che l’usucapione rappresenta un particolare modo di acquisto della proprietà c.d. “a titolo originario”, la quale, secondo quanto disposto dall’art. 1158 c.c., si realizza per effetto del possesso continuato e incontestato per venti anni, esercitato con l’animus del proprietario.
Quest’ultimo, in particolare, costituisce un elemento molto difficile da provare, ma sostanzialmente si fa consistere nel fatto che chi possiede un determinato bene, deve possederlo nella convinzione di esserne proprietario.

Sia la dottrina che la giurisprudenza individuano con tre brocardi le caratteristiche fondamentali del possesso utile all’usucapione; in particolare, per poter usucapire un bene sono necessari i seguenti requisiti:
a) l’animus possidendi, cioè la volontà di possedere un bene come se si fosse titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale corrispondente;
b) l’animus rem sibi habendi, cioè la volontà di tenere un bene esercitando i poteri corrispondenti a quelli del titolare del diritto reale;
c) il corpus possessionis, consistente in uno stato di fatto che si configura in modo tale da far apparire il possessore quale titolare del diritto reale corrispondente.

Occorre prestare particolare attenzione al fatto che il possesso, richiesto ai fini dell’usucapione, va tenuto ben distinto dalla mera detenzione, la quale ricorre, invece, nel caso, ad esempio, della locazione o del contratto di comodato.
In particolare, il locatario o il comodatario, i quali detengono un bene in forza di un contratto di locazione o di comodato, non avranno il possesso giuridico del bene oggetto del contratto, pur avendone la materiale disponibilità.
Gli stessi potranno qualificarsi come semplici detentori, risultando giuridicamente ben consapevoli della circostanza che la loro detenzione è legata ad un contratto costitutivo di un diritto personale di godimento (locazione, comodato, affitto), e non ad un diritto reale (piena proprietà, usufrutto, servitù).

Ora, la posizione in cui si trova chi pone il quesito si ritiene che non possa in alcun modo ricondursi a quella del possessore, ma che debba piuttosto qualificarsi come mera detenzione.
In tal senso depone la circostanza che per poter godere di quell’immobile è stato da sempre e mensilmente versato un corrispettivo sul conto corrente della legittima proprietaria (adesso deceduta), il che costituisce prova inconfutabile del fatto che chi vorrebbe adesso usucapire il bene non ha, di contro, mai smesso di riconoscere l’altruità di quello stesso bene.
Nessuna rilevanza in proprio favore può assumere l’ulteriore circostanza che tra le parti non sia stato mai formalizzato alcun contratto.
Infatti, se la somma mensilmente versata era minima, il rapporto intercorrente tra le parti potrebbe ricondursi ad un contratto di comodato, per il quale non è richiesto il rispetto di alcuna forma particolare (le somme corrisposte possono qualificarsi come una sorta di rimborso spese, pagamento tasse e manutenzione).

Se, al contrario, la somma versata non era di minima entità, ma ragguagliata ad un ordinario canone di locazione, il rapporto giuridico creatosi tra le parti potrebbe invece ricondursi ad un contratto di locazione, seppure nullo per difetto di forma.
Si ricorda che, mentre per il codice civile il contratto di locazione ha forma libera, nel senso che le parti potrebbero anche accordarsi oralmente, l’art. 1 comma 4 della Legge n. 431/1998, che ha riformato la disciplina delle locazioni ad uso abitativo, prevede che “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”.
Dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno poi interpretato quest’ultima norma nel senso che la forma scritta deve intendersi richiesta ad substantiam, con la conseguenza che il contratto verbale sarebbe radicalmente ed irrimediabilmente nullo, senza alcuna possibilità di sanatoria.

Tale nullità, tuttavia, non può addursi quale valido elemento probatorio per giustificare una c.d. interversio possessionis, ossia un mutamento del titolo o della qualifica del possesso che è stato esercitato sul bene, tale da poter porre quel possesso a fondamento di un acquisto per usucapione.
Semmai, la mancanza di un valido contratto di locazione potrà assumere rilievo sotto il profilo procedimentale, nel senso che sarà precluso ai legittimi proprietari dell’appartamento, in caso di morosità o di finita locazione, di avvalersi del rito speciale della convalida dello sfratto, dovendo, invece, fare ricorso ad un procedimento ordinario per ottenere il rilascio dell’immobile occupato sine titulo.

Pertanto, ritenendosi, in forza di quanto sopra dedotto, che non vi siano i presupposti per far valere l’usucapione dell’appartamento della matrigna defunta, si deve per forza di cose riconoscere che, in assenza di diversa volontà testamentaria, con l’apertura della successione legittima eredi di quell’immobile non potranno che essere i nipoti della de cuius, per rappresentazione del defunto fratello premorto ex art. 468 del c.c..

Per quanto concerne, invece, l’appartamento abitato dalla de cuius ma di proprietà, sin dal 1981, dei tre figli di primo letto del defunto marito, va detto che nessun diritto avrebbe avuto il coniuge superstite di vivere in quell’immobile, tenuto conto che l’art. 540 del c.c. riconosce il diritto di continuare ad abitare la casa coniugale e di far uso dei mobili che la corredano solo nel caso di immobile di proprietà del defunto in via esclusiva o in comunione con il coniuge sopravvissuto.
Pertanto, il fatto che i figli, legittimi proprietari di quell’appartamento, abbiano continuato a farlo abitare dalla matrigna (coniuge superstite), non può che trovare il proprio fondamento in un rapporto di comodato, il quale, caratterizzandosi essenzialmente per la sua gratuità, non può addursi a fondamento di alcuna pretesa remuneratoria.

A. T. chiede
mercoledì 02/03/2022 - Abruzzo
“Sono proprietario di un immobile a destinazione commerciale posto al piano terra di un condominio.
Sul retro del mio locale c'è un piccolo vano concesso in locazione dal condominio alla stessa persona alla quale io ho affittato il mio negozio. (il conduttore del mio locale commerciale è la stessa persona che paga l'affitto al condominio per il piccolo vano usato come magazzino).
A tale magazzino (piccolo vano concesso in locazione dal condominio) è possibile accedere solo attraverso il mio negozio, essendo in pratica una piccola stanza dello stesso.
La domanda è la seguente:
essendo la proprietà un diritto reale e considerando che il presunto titolare dello stesso (condominio) non ha un potere pieno su questo bene in quanto viene meno il principio dell'immediatezza, perchè nessuno può accedervi (da più di 50 anni) se non attraverso il mio negozio.
Può il locatore rifiutare di pagare il canone di locazione al condominio?
Ci sono le condizioni per usucapire il piccolo magazzino (12 metri quadri circa) e quindi concederlo gratuitamente al conduttore del mio negozio?”
Consulenza legale i 10/03/2022
Le risposte sono entrambe negative. Posto che il condominio ha validamente concesso in locazione un suo bene comune (cosa assolutamente possibile), non si vede a quale titolo si possa giustificare l’interruzione del pagamento del canone. L’ immediatezza sul bene a cui si fa riferimento non si concretizza solo con atti materiali e un uso diretto, ma anche con atti giuridici: l’esistenza stessa del contratto di locazione dimostra come il condominio esercita sulla sua parte comune un potere pieno e legittimante.

Per lo stesso identico motivo non sussiste in alcun modo la possibilità di usucapire il bene, il cui concretizzarsi viene proprio negato dalla esistenza di un contratto di locazione.
A mente dell’art. 1158 del c.c. per aversi usucapione sarebbe necessario esercitare, infatti, sulla cosa comune un possesso prolungato per venti anni. Ai fini dell’usucapione il possesso deve intendersi come l’esercizio sul bene comune di un potere teso ad escludere gli altri condomini dal godimento del magazzino: in altre parole ci si deve comportare come proprietario unico ed esclusivo pur non avendo titolo per esserlo. Come già detto, tale circostanza viene radicalmente esclusa dalla presenza del contratto di locazione, in quanto la disponibilità del magazzino deriva non dal possesso come sopra lo si è descritto, ma, al contrario, dalla detenzionedel medesimo giustificata dalla esistenza del contratto di locazione, sottoscritto a suo tempo dai legittimi comproprietari riuniti in condominio e oggi ancora vigente.


R. N. chiede
domenica 09/01/2022 - Lazio
“Un condomino si è appropriato dei locali serbatoi acqua posti sul tetto del caseggiato con conseguente appropriazione del locale stesso. Inoltre si e appropriato di una parte delle scale condominiali che portavano al locale idrico chiudendo con cancello l'ultima rampa delle scale e si è appropriato anche del terrazzo-lastrico solare. Successivamente ha richiesto condono per il locale trasformato in appartamentino, condono che sembra sia stato concesso. Ci si può appropriare dei beni condominiali? ATTENDO UNA VOSTRA GRADITA RISPOSTA”
Consulenza legale i 12/01/2022
Secondo una giurisprudenza assolutamente costante i beni comuni e nello specifico quelli condominiali possono essere usucapiti quando il singolo comproprietario-condomino tenga un comportamento teso ad escludere gli altri partecipanti alla comunione dal godimento del bene comune. Ai sensi dell’art. 1158 del c.c., affinché si possa usucapire un bene è necessario che tali comportamenti siano protratti ininterrottamente per un periodo di venti anni, siano assolutamente pacifici e fatti pubblicamente, alla luce del sole.

Chi vuole far valere l’usucapione in giudizio di un bene condominiale è necessario, dunque, che fornisca innanzi al giudice la prova che si sia realizzata una situazione di godimento esclusivo, il quale potrà essere accertato fornendo la prova che il singolo comproprietario ne abbia goduto in modo inconciliabile con le altrui possibilità di utilizzo. In altre parole, serve provare che, al di là di qualsiasi possibile altrui tolleranza, il singolo abbia esercitato una inequivocabile volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo ai comproprietari ogni potenziale atto di godimento o di gestione. (Cass. Civ.,Sez. II, n.14171 del 18.06.07).

Nel caso specifico, pare proprio che i comportamenti descritti si siano realizzati: non è dato capire, però, se essi sono stati tenuti per un periodo sufficiente a concretizzare un acquisto per usucapione ai sensi dell’art.1158 del c.c. Ad ogni modo, al fine di prepararsi ad un ipotetico contenzioso e ad evitare un possibile decorso del termine ventennale, è opportuno che l’amministratore di condominio o anche un singolo proprietario invii al condomino che sta tenendo tali condotte una lettera nella quale venga diffidato dal mantenere detti comportamenti esortandolo, entro un breve termine, a restituire i beni comuni alla collettività condominiale.


P. M. C. chiede
martedì 23/11/2021 - Lombardia
“consulenza n. Q202129083

Buongiorno.
Davvero ho apprezzato la vostra correttezza professionale sulla quale non ho mai avuto dubbi. Ho sempre ricevuto, in risposta ai miei quesiti, una consulenza approfondita, completa e chiara.

Seguendo il vostro consiglio mi sono rivolta a un avvocato il quale ha espresso apprezzamento per la qualità della consulenza da voi fornita, condividendo le vostre conclusioni. Secondo l'avvocato il punto debole per chiedere e ottenere la cancellazione della servitù è rappresentata dal discorso della reciprocità, molto difficile da sostenere.
C’è qualche considerazione, suggerimento, riflessione che potreste aggiungere a questo proposito?

Ho eseguito immediatamente quanto richiesto dall'avvocato dei vicini; ora il cancello è stato spostato di circa un metro verso casa mia, anche se le sue dimensioni, più di tre metri, sono rimaste inalterate. Questo perché i miei cugini, alle lamentazioni del vicino che, diminuendo la larghezza del cancello avrebbe avuto difficoltà ad accedere alla sua proprietà, per “non aver rogne con avvocati" glielo hanno concesso. Purtroppo per me!
Confesso, quindi, che sto maturando l’idea di lasciar perdere tutto, vendere la casa e trasferirmi altrove; devo solo riuscire a superare l’ostacolo affettivo.

Nel caso prendessi questa decisione mi si presenterà un grosso problema, problema che si sarebbe risolto automaticamente con l’acquisto del terreno.
Si tratta di questo: mio padre, nel 1983, aveva acquistato dai parenti una porzione del prato, circa 10 metri quadrati, davanti alla facciata nord di casa, dove c’è l’ingresso. Aveva poi recintato la parte realizzando un terrazzino. Davanti al terrazzino, sempre sul prato dei parenti, mio padre parcheggiava la sua auto; lo stesso facciamo ora noi.
Purtroppo, però, non abbiamo alcuna prova scritta dell'acquisto per cui il terreno risulta essere ancora di proprietà dei miei cugini.
Questo problema esiste da sempre, ma, qualora mi risolvessi a vendere casa, il problema diventerebbe pressante: innanzitutto la casa sarebbe priva di parcheggio, inoltre il fatto di abitare a piano terra in mezzo a un prato e non poter passare del tempo all’aperto rappresenterebbe un forte deterrente per un eventuale acquirente. Sicuramente influirebbe sul valore della casa.

La cosa più semplice sarebbe quella di registrare finalmente l’atto di acquisto, ma non sono certa che i miei cugini accetterebbero, loro intendono vendere l’intera proprietà, oppure niente.
Sarò, quindi, costretta a procedere per usucapione.
Chiedo, pertanto, il vostro prezioso aiuto per capire come si procede, quali prove servono, quali sono gli ostacoli e i tempi.

Le mie richieste sono due:
1. un approfondimento, se possibile, per quanto riguarda il discorso della reciprocità della servitù prediale, descritta nell’atto costitutivo del 1909,
2. una guida per l’usucapione.

Attendo indicazioni per l' integrazione del costo della consulenza; devo aprire un’altra consulenza per l’usucapione?
Ringrazio anticipatamente per l’aiuto.

Un cordiale saluto”
Consulenza legale i 29/11/2021
Il primo aspetto in relazione al quale vengono richiesti chiarimenti è quello relativo all’asserita natura reciproca delle servitù di cui si discute.
Detta natura si ritiene che possa chiaramente desumersi dallo stesso tenore letterale dell’atto notarile in forza del quale è avvenuta la loro costituzione, dal quale risulta che la servitù era stata costituita tra il nonno di chi pone il quesito e Caio al fine di soddisfare esigenze reciproche, ossia da un lato consentire al nonno di raggiungere il suo fienile intercluso e dall’altro a Caio, proprietario dei terreni che il nonno doveva attraversare per raggiungere il fienile, di avere un accesso ulteriore per raggiungere il suo di fienile, seppure godesse già di un altro accesso.
Questo è ciò che si legge nell’atto notarile del 18/06/1909:
“T.R…..dichiara concedere come concede al presente ed accettante C.G. il diritto di passare a pedoni ed anche con carro …..
Alla sua volta il C.R. concede alla presente ed accettante T.R. il diritto di passare a pedoni e con carro…
Si intende così di costituire tra i contraenti un andito a pedoni e con carro uguale e reciproco fra di essi e tutti i corrispettivi cointestati…
Il C. paga qui all’atto lire….a titolo di corrispettivo per la presente concessione di servitù….Tale servitù è uguale e reciproca tra i fondi”.

Sembra evidente, come detto nelle precedenti consulenze, che nel caso di specie si sia in presenza di una tipica ipotesi di servitù coattiva (C.G. aveva diritto di passare sul fondo altrui per raggiungere il suo fienile intercluso), costituita volontariamente tra le parti.
Si è anche precisato che, nell’ambito di tale fattispecie costitutiva di servitù, sia il pagamento del corrispettivo di lire…. che la costituzione in favore di T.R. della servitù reciproca integrano quell’indennizzo che, ex art. 1053 del c.c., il proprietario del fondo servente (ossia T.R.) ha il diritto di pretendere nei confronti del proprietario del fondo dominante.

Una volta cessata l’interclusione (per successiva alienazione del fienile da parte di C.G.) deve ritenersi venuto meno il presupposto essenziale in forza del quale quelle servitù reciproche erano state costituite, con la conseguenza che potrebbe farsi valere dinanzi al giudice l’estinzione della servitù ancora gravante sul proprio fondo per difetto del requisito della reciprocità.
A quest’ultimo proposito sarebbe possibile invocare l’applicazione in via analogica del disposto di cui all’art. 1463 del c.c., norma che, seppure dettata in materia contrattuale, esprime il concetto che si ritiene applicabile ad ogni ipotesi di prestazioni corrispettive, ovvero quello secondo cui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti legittima l’altra parte a non continuare ad eseguire la propria prestazione.

E’ questa in estrema sintesi la linea difensiva che si suggerisce di portare avanti qualora ci si decidesse ad agire in giudizio, al fine di convincere il giudice sia dell’inutilità della servitù attualmente esercitata sulla particella 188 (godendo il fondo dominante di un accesso perfino più comodo alla pubblica via) sia del venir meno del carattere reciproco per il quale quella stessa servitù è stata a suo tempo costituita.

Passando adesso ad occuparci del tema dell’usucapione, può dirsi che nel caso di specie sembrano sussistere tutti i presupposti per potersi avvalere di tale fattispecie acquisitiva con riguardo a quella porzione di prato dei parenti di cui non è stata mai formalizzata la vendita.
Come si ritiene possa essere ben noto, l’usucapione si fonda essenzialmente sul possesso esercitato su un determinato bene, possesso che deve avere dei requisiti ben precisi, ossia deve essere:
a) duraturo, ossia prolungato nel tempo;
b) pacifico, ovvero occorre avere acquisito il possesso del bene in modo non violento (ricorre il carattere della violenza, ad esempio, quando si invade con la forza un terreno, rivolgendo minacce al legittimo proprietario di non essere disturbati nel possesso);
c) pubblico: non può giovarsi dell’usucapione chi ruba un bene ad un altro soggetto, senza che questo se ne accorga (si dice che l’acquisto non deve essere clandestino);
d) continuato o ininterrotto: deve essere esercitato costantemente e uniformemente sulla cosa per tutto il periodo di tempo prescritto dalla legge, senza che siano stati posti in essere atti provenienti da terzi, per effetto dei quali il possessore sia stato privato del bene.

Nel caso di specie non sembra possano sussistere dubbi sulla presenza di tutti i requisiti appena elencati, considerato che il possesso è stato conseguito dal padre di colei che pone il quesito in virtù di una promessa di vendita (seppure verbale, ma comunque in modo pacifico) ed esercitato da costui e dai suoi eredi (la figlia) in modo non clandestino (vi è stata perfino realizzato un terrazzino recintato e vi si parcheggiano le auto).
Inoltre, sono abbondantemente maturati i tempi utili per il prodursi dell’usucapione, tempi che il codice civile fissa in venti anni per gli immobili (per il caso in cui non si sia in ossesso di alcun titolo), trovando peraltro applicazione il principio della c.d. successione nel possesso di cui all’art. 1146 del c.c..

Ovviamente, qualora, come in questo caso, si voglia disporre giuridicamente di quel bene (alienandolo a terzi) è necessario che ci si munisca di una valido titolo che accerti l’intervenuta usucapione, ovvero occorre ottenere una sentenza c.d. dichiarativa, in quanto da essa ne conseguirà non tanto la costituzione del diritto (in quanto l’usucapione produce i suoi effetti col semplice avverarsi delle condizioni di legge sopra viste), quanto piuttosto la semplice formalizzazione dell’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione (così Cass. civ. sent. n. 12609 del 19 marzo 2008).

E’ pur vero che secondo un recente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass., sent. n. 32147 del 12 dicembre 2018) deve ritenersi valido e non nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile su cui il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione, sebbene l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario, ma è anche vero che l’accertamento giudiziale dell’usucapione non può non considerarsi necessario allorchè l’usucapione sia controversa, così come è anche vero che il potenziale acquirente avrebbe tutte le sue buone ragioni per non effettuare l’acquisto da chi ha usucapito senza un preventivo accertamento giudiziale (lo stesso notaio rogante è tenuto a precisare nell’atto di acquisto che il compratore è consapevole che l’acquisto del presunto bene usucapito possa essere a rischio, inserendo nel negozio stipulato tra le parti una specifica clausola in tal senso).

Stando così le cose, si può solo sperare che, trattandosi di materia per la quale è prevista la mediazione obbligatoria (reintrodotta con il decreto del fare D.L. 21 giugno 2013 n. 69 convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98), si possa evitare di dover fare ricorso all’autorità giudiziaria (e dunque affrontare una causa civile) risolvendo il tutto con un accordo in sede di mediazione, per effetto del quale le parti riconoscano bonariamente e consensualmente l’intervenuta usucapione, dando così la possibilità a chi pone il quesito (parte usucapiente) di formalizzare il suo acquisto e alienare liberamente la proprietà di quella porzione di prato quale pertinenza del suo immobile.

E.L. chiede
giovedì 16/09/2021 - Liguria
“Gentilissimi, la mia richiesta è relativa a un tentativo di usucapione di un bene indiviso relativo a un piccolo immobile ancora intestato ai nostri avi di certamente poco valore ma di molto valore
affettivo per tutti i discendenti. Attualmente gli eredi sono 12.
Nel 2000 mio fratello essendo quello che aveva più tempo disponibile e i viaggi gratuiti in quanto pensionato ferroviere con l'accordo di tutti gli eredi si intestava
le utenze gas luce e acqua e imu.
Queste spese venivano ripartite tra tutti noi e rimborsate a mio fratello. Lo stesso ha riconosciuto con uno scritto la nostra partecipazione.
L'immobile veniva frequentato per brevi periodi da una parte degli eredi avendo ognuno di noi una chiave e sempre avvertendo tutti o sapendo che la casa in quel momento era disponibile.
Negli ultimi anni pur continuando a pagare molti di noi, vuoi per l'eta 88/86/ 84 anni vuoi per l'impegni lavorativi dei più giovani non abbiamo più usufruito dell'immobile. Tengo a precisare che i rapporti con mio fratello erano ottimi. Il giorno 26/3/2021 riceviamo e solo 4 degli eredi ( solo i più vecchi ) un decreto di fissazione di udienza ex articolo 702 bis c.p.c. che allego.
Alla richiesta di che cosa stesso facendo, mio fratello ci rispondeva che potevamo sempre prendere un avvocato.
La mia decisione è di fare in modo che l'immobile resti come è di tutti e senza divisioni.
Vengo alle mie domande.
Può una persona appropriarsi dell'immobile comune senza aver citato tutti gli eredi ?
Può una persona cercare di raggirare persone in buona fede ?
Può una persona con sotterfugi chiedere l'usucapione ?
Quali passi posso fare, e se possibile avere un'idea della spesa che andrei incontro per oppormi ?
Ringraziando anticipatamente colgo l'occasione per inviare distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/09/2021
Esaminato il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. che ci è stato trasmesso ed in risposta alle domande contenute nel quesito si osserva quanto segue.

Per quanto riguarda gli eredi citati in giudizio, la vocatio in ius appare corretta in quanto sono stati citati in giudizio tutti coloro ricompresi nella linea di discendenza degli intestatari catastali e, segnatamente, i due fratelli del ricorrente oltre alle figlie dello zio del ricorrente.
Come del resto dispone l’art. 565 c.c. nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali , agli altri parenti e allo Stato.
Nella presente vicenda i coniugi, gli ascendenti ed i collaterali degli intestatari sono morti.
E i discendenti primi chiamati alla successione appaiono essere quelli indicati nel ricorso.

Quindi in risposta alla prima domanda possiamo affermare che per essere valida una citazione in giudizio relativa ad un usucapione deve essere destinata a tutti gli eredi immediatamente successibili, come è avvenuto nel caso di specie.

Quanto alla seconda domanda contenuta nel quesito, si evidenzia quanto segue.
Parlare di “raggiri” appare azzardato.
Sicuramente, sul piano umano, non vi è stato un comportamento corretto da parte di vostro fratello che senza cercare di risolvere prima bonariamente la questione si è rivolto direttamente ad un avvocato per esercitare una azione civile di usucapione (preceduta dall’obbligatorio tentativo di mediazione cui, stando a quanto indicato nel ricorso, nessuno degli eredi ha partecipato).
Però non per questo si può parlare di veri e propri raggiri, quasi come se fosse stato posto in essere il reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.

Parimenti, in risposta alla terza domanda, non possiamo parlare di "sotterfugi".
Diciamo che nel ricorso vostro fratello ha omesso di riportare, per ovvie ragioni, alcuni importanti elementi in vostro favore tipo quello di avere una scrittura che riconosce che si provvedeva a rimborsare pro quota le utenze e che comunque fino ad alcuni anni fa (quanti?) anche gli altri eredi frequentavano l’immobile e possedevano la relativa chiave.
Come ha osservato la Corte di Cassazione nella sentenza n.22444 del 2019i coeredi non sono detentori dei beni ereditari, in quanto non è ravvisabile un rapporto di natura obbligatoria con i beni della comunione ereditaria, sicchè non è necessaria la prova di un atto di interversione del possesso ai fini dell'usucapione di beni ereditari, ma la prova del possesso ad excludendum, vale a dire una situazione nella quale il rapporto materiale del coerede con i beni ereditari sia tale da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di analogo rapporto. A tale riguardo, non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario, e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato nell'interesse anche degli altri coeredi”.
Tale principio è stato ribadito anche nella recentissima pronuncia n.9359/2021 che richiamando precedente giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che: “il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso" (ex multis, Cass. 966/2019). A tal fine, però "egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso" (ex multis, Cass. 966/2019). A tal fine, però "egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus" (Cass. 10734/2018, Cass. 7221/2009, Cass. 13921/2002), "non essendo sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune" (Cass. 966/2019). quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus" (Cass. 10734/2018, Cass. 7221/2009, Cass. 13921/2002), "non essendo sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune" (Cass. 966/2019).

Alla luce di quanto precede, in conclusione ed in risposta all’ultima domanda si rileva quanto segue.

La prima cosa da fare sarebbe stato partecipare al tentativo di mediazione.
A questo punto, suggeriamo comunque di costituirsi in giudizio tramite avvocato in quanto non appaiono esservi elementi così certi a favore dell’usucapione, considerata anche la posizione della prevalente giurisprudenza di legittimità sopra riportata.
Infatti, se le bollette venivano rimborsate (e vi è prova documentale di ciò), tutti gli eredi avevano (hanno ancora?) la chiave ed utilizzavano tranquillamente l’immobile, quanto riportato nel ricorso non appare sufficiente per usucapire l’immobile in questione.

Insomma, vi sono più che valide ragioni per opporsi alla domanda (quanto alla Sua volontà di non fare alcuna divisione del compendio ereditario ciò è possibile fino a che nessuno degli eredi non si oppone e non si rivolge al giudice per chiedere la divisione ereditaria).

Quanto al relativo costo non siamo in grado di dare una quantificazione certa.
Basandoci sul valore indicato nel ricorso introduttivo e facendo riferimento in linea di massima ai parametri minimi forensi disciplinati dal DM 55/2004, potremmo ipotizzare in via del tutto approssimativa un costo sui tremila euro, senza contare variabili quali la vittoria o perdita della causa, compensazione o condanna alle spese di lite ecc.ecc.

V.P. chiede
domenica 01/08/2021 - Puglia
“Scrivo per conto di mia moglie D.M.che ha la possibilità di vendere un locale eriditato da suo padre. Si fa presente che il padre di mia moglie era proprietario di un locale spazioso adibito a stalla e di un piccolo locale di circa 70 metri quadrati con l'entrata alla sinistra dell' entrata di questa stalla, avendo necessità di allargare l'entrata della stalla fece abbattere la parte divisorio e quindi si perse anche il portoncino di entrata per l'appartamento dei 70 metri quadrati. Alla sua morte poichè la stalla è stata ereditata da uno dei fratelli di mia moglie gli aveva chiesto piu volte di ripristinare il tutto come era prima per consentire a mia moglie di accedere all'appartamento di cui sopra.Poichè la richiesta di mia moglie non trovava accoglimento fu costretta a intraprendere un processo legale con esito a lei favorevole. Anche con una sentenza favorevole di cui conservava una copia il fratello di mia moglie ha continuato a negare l'entrata.Ora sono passati molti anni, il fratello di mia moglie è morto e i suoi figli vantano l'usucapione di questo appartamento. Si fa presente che per questo appartamento mia moglie ha pagato l'ICI e le spese per rifare la rete fognante. Considerando che l'cquirente che vorrebbe acquistare il locale di mia moglie, potrebbe rinunziare all'entrata poichè essendo confinante con il suo appartamento a quello di mia moglie, l'aquirente vorrebbe allargarsi mantenendo solo la sua entrata.Lo scrivente fa notare che l'acquirente vorrebbe almeno visionare la casa di di proprietà di mia moglie e certamente i nipoti siu rifiuterebbero vantando sempre un'usucapione che non hanno mai chiesto di rendere legale e quindi senza alcuna sentenza in merito. Alla luce di quanto sopradescritto mia moglie avrebbe bisogno di sapere come muoversi da un punto di vista legale e con quale esito? Certo di un riscontro distintamente ringrazia”
Consulenza legale i 06/09/2021
Va premesso che non è possibile, allo stato, provvedere ad una completa ricostruzione della vicenda oggetto del quesito.
Sappiamo dalla sentenza allegata (di cui però è stato inviato solo il dispositivo) che nel 1988 l’autorità giudiziaria ordinò alla controparte il rilascio dell’immobile.
Non è ben chiaro cosa sia stato fatto da entrambe le parti dopo tale sentenza: in particolare, nel quesito si afferma che la controparte avrebbe continuato a negare l’accesso. Non viene specificato, tuttavia, se ci siano stati dei tentativi di mettere in esecuzione la sentenza o, quanto meno, diffide scritte; non sappiamo se il diniego dell’accesso sia stato espresso solo verbalmente o, ad esempio, attraverso comportamenti di fatto.
Inoltre, non è chiaro se la controparte si sia appropriata solo della porzione di immobile corrispondente all’ingresso o se, invece, abbia utilizzato uti dominus (cioè come se fosse proprietario) l’intero appartamento di 70 mq.
Certo è che il periodo di tempo trascorso dalla sentenza rende astrattamente possibile una eventuale usucapione dell’immobile - o di una parte di esso.
Occorrerebbe, però, conoscere in maniera più precisa quale sia stato nel corso di tutti questi anni il comportamento di entrambe le parti.
Soprattutto, controparte per usucapire non dovrebbe semplicemente dimostrare di aver posseduto l’immobile, dunque esercitato un potere di fatto su di esso, per il periodo di tempo stabilito dalla legge: si veda in proposito Corte d'Appello Napoli, Sez. II, 26/06/2008, secondo cui “l'azione giudiziale diretta all'accertamento della proprietà su di un bene a titolo originario comporta l'onere di fornire una rigorosa prova in ordine ai requisiti del possesso necessari ad usucapire, ovvero al possesso pacifico, incontestato, continuativo ed ultraventennale del bene di cui si chiede il riconoscimento della proprietà esclusiva, tale da non lasciare perplessità di sorta in ordine al possesso corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà protratto per il tempo previsto”.
Sotto questo profilo, il pagamento delle imposte di proprietà relative all’immobile, e addirittura il fatto che la proprietaria abbia sostenuto le spese per il rifacimento della rete fognaria possono deporre a sfavore della controparte.
Si consiglia, pertanto, di rivolgersi quanto prima ad un legale, il quale potrà esaminare i vari aspetti della situazione e suggerire la strategia difensiva più idonea.

ANTONIO O. chiede
venerdì 04/06/2021 - Sardegna
“Con riferimento al precedente quesito e relativa consulenza Q202128212 del 14 marzo ultimo scorso vorrei chiedere un approfondimento riguardante un aspetto specifico relativo alla provenienza del bene in questione.
Per il momento, allo scopo di rendere più comprensibile la descrizione dei fatti, indicherò le persone coinvolte con le iniziali del loro cognome e nome.
Il fabbricato in cui è compreso l’alloggio promesso in vendita all’anziana signora CR è stato costruito dal promittente venditore FP, seppure in piccola parte, su un’area appartenente ad altra ditta, di cui il costruttore non ha mai avuto titolo.
Si tratta della particella del foglio 5 numero 204 sub b, della superficie di centiare 29 intestata ad una certa signora NA nata nel 1895.
Il fabbricato è stato dichiarato “ciascuno per i propri diritti” con la pratica di accatastamento presentata il 4/10/1989 (Tipo mappale e Mod. 3SPC).
Nel preliminare di compravendita del notaio DM (10 luglio 1989) non si fa il minimo cenno alla mancanza parziale di titolo, limitandosi a specificare, alla fine dell’articolo 1, che “Il fabbricato di cui è parte quanto in oggetto è edificata sull’area censita nel N.C.T al foglio 5 mappale 267, subalterno D.” Detto mappale fu acquistato dal FP per rogito notaio VGM del --/--/1982, Repertorio ------. Questi sono gli unici dati catastali identificativi dell’unità immobiliare promessa in vendita riportati nel preliminare.
In fase di accatastamento per la formazione dell’Ente Urbano (tipo mappale e modello 3SPC del 4/10/1989) si è avuto l’accorpamento della particella 1107 sub “a” (derivata dal mappale 267 sub “d” su citato), numero definitivo 1137 di are 3,96 con la particella 204 sub ”b”, numero definitivo 1136 di centiare 29, che apparteneva alla signora NA, non al costruttore FP. Su detta particella vi ricade circa 1/3 del soggiorno, in prossimità delle finestre, che non si può isolare in alcun modo dal resto dell’appartamento.
Per questo l’intero fabbricato si è dovuto accatastare “ciascuno per i propri diritti” come “Ditta dichiarata priva di titolo legale reso pubblico”.
Il lotto definitivo Ente Urbano ha assunto il numero 1137 di are 4,25 pari alla somma delle due particelle accorpate.
Nell’articolo 3 del preliminare si precisa che “…. La vendita sarà fatta ed accettata a corpo e non a misura, con tutti i diritti, ………. ai sensi dell’art. 1117 C.C. così come si possiede e si ha dalla parte promittente venditrice diritto di possedere e godere per giusti e legittimi titoli quali l’atto a rogito del dottor VGM, notaio in ……, in data --/--/ 1982, repertorio n. ------/-----, registrato a ------- il --/--/1982, al n° ---.”.
Nessun altro riferimento circa l’area occupata senza titolo.
Precisato ciò, si dovrebbe dedurre che i promittenti acquirenti hanno posseduto senza alcun titolo almeno il diritto di superficie corrispondente ai 29 m² della particella 1136 appartenente alla signora NA nata nel 1895, dalla quale e alla quale i promittenti acquirenti non hanno mai comprato o corrisposto alcunché.
La conclusione del mio discorso è questo: la signora CR assieme al marito ha sicuramente detenuto la porzione di alloggio ricadente sull’area acquistata nel 1982 dal promittente venditore FP con l’atto del notaio VGM, avendola pagata; ma è altrettanto certo che la stessa signora CR ha POSSEDUTO il resto dell’alloggio ricadente sul mappale appartenente alla signora NA nata nel 1895. Le due parti dell’abitazione non sono separabili e quella posseduta è interna e interclusa; essa è raggiungibile SOLO attraverso il resto del soggiorno, dove c’è l’ingresso dell’appartamento.
Il possesso dell’intero alloggio è iniziato il 10/07/1989 e i 20 anni per considerare usucapita almeno la porzione intestata alla signora NA nata nel 1895 sono maturati il 10/07/2009; cioè quasi 1 anno prima dell’iscrizione dell’ipoteca giudiziaria contro il promittente venditore FP di € 2.500.000,00 accertata da un altro notaio dottor PM (è il terzo notaio coinvolto in questa paradossale e triste vicenda).
Cosa ne pensate? È sostenibile il mio punto di vista? Può ancora sperare la signora CR di evitare il pignoramento perché nel frattempo ha maturato il diritto di usucapione su una porzione di alloggio non separabile dal resto della casa? E nel caso, si potrebbe proporre opposizione al pignoramento del tutto, che ora pare inevitabile?
Vorrei allegare copia della planimetria catastale e dell’elaborato planimetrico con didascalie in rosso e in giallo apportate dal sottoscritto, nei quali le parti in giallo rappresentano le porzioni edificate sull’area occupata senza titolo appartenente alla ditta NA; questi documenti chiariscono bene la situazione, però non riesco a trovare il modo di inviarli. Vi sarò grato se mi darete le indicazioni per farlo.
Ringrazio per la cortese attenzione e resto in attesa di ricevere quanto prima il vostro preventivo per un parere più esteso.
Saluti cordiali

Consulenza legale i 10/06/2021
Gentile cliente, anche sotto l’ulteriore aspetto che adesso chiede di prendere in esame, la persona ai cui interessi sta dedicando la sua attenzione non ha, purtroppo, alcuna possibilità di riuscita.
Si cercherà qui di seguito di spiegarne le motivazioni.

Perché possa prodursi l’effetto dell’acquisto della proprietà per usucapione è necessario che il soggetto che usucapisce abbia posseduto ininterrottamente il bene nel ventennio.
Deve trattarsi di “possesso”, non di semplice “detenzione”, ovvero dell’esercizio di poteri e attività sul bene qualificabili come atti che il proprietario stesso porrebbe in essere (c.d. possesso “uti dominus”).
Infatti, mentre il possessore si comporta come se fosse il proprietario, il semplice detentore è colui che riconosce la titolarità altrui ed agisce di conseguenza (nella posizione di detentore si trova il promissario acquirente).

Ebbene, la giurisprudenza è stata più volte chiamata ad affrontare la questione se sia possibile acquistare per usucapione la proprietà di un immobile, per effetto di contratto preliminare di compravendita, in cui le parti abbiano concordato la consegna delle chiavi del bene fin da quel momento, allorchè, per diversi motivi, non sia seguito il rogito del contratto definitivo.
Ci si è chiesti, infatti, se sia possibile per il promissario acquirente, decorso il periodo di vent’anni dal preliminare, far valere il suo acquisto per usucapione.

A tale quesito ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7155 del 21/03/2017, nella quale la S.C. afferma che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi (si ricorda che con il contratto preliminare le parti si obbligano alla stipula di un successivo contratto definitivo).
La disponibilità conseguita dal promissario acquirente, infatti, si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori.
Da ciò se ne deve far conseguire che la relazione con la cosa da parte del promissario acquirente è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non può mai essere qualificata come possesso utile ad usucapionem, salvo il caso in cui si riesca a dimostrare un'intervenuta interversione del possesso.

Quest’ultimo fenomeno si realizza quando il soggetto, che detiene un bene, muta la detenzione in possesso oppure inizia ad esercitare il possesso con le caratteristiche proprie del proprietario al fine di acquistare la proprietà del bene con l’usucapione; a tal fine è necessario che il detentore ponga in essere atti che appaiano all’esterno come svincolati da un titolo, dal quale discenderebbero poteri diversi da quelli tipici del proprietario.

Nessuno di tali presupposti ricorre nel caso di specie per la promissaria acquirente, avendo sempre detenuto il bene nel suo intero in forza del preliminare di vendita (riconoscendone, dunque, la titolarità in capo al promissario venditore) e non potendosi peraltro pensare che possa configurarsi una interversione del possesso relativamente ad una minima porzione dell’immobile promesso in vendita, oltretutto priva di autonoma utilità funzionale.

Semmai, è in favore del promittente venditore che può parlarsi di acquisto per usucapione, avendo questi esercitato il possesso su quella porzione di immobile, costruita su suolo altrui, per mezzo della promissaria acquirente, che ne ha avuto la detenzione, e risultando accatastato a suo nome sin dal 1989, seppure come “Ditta dichiarata priva di titolo legale reso pubblico”.

Per le ragioni sopra esposte, dunque, non può consigliarsi di portare avanti la tesi prospettata.


Natale R. B. chiede
venerdì 13/12/2019 - Lombardia
“Buonasera,
ho acquistato all'asta un immobile accatastato nella categoria C3 (Laboratorio per arti e mestieri); questo immobile si trova al piano terzo di un condominio di 3 piani. Attraverso l'ausilio di un architetto farò un cambio destinazione d'uso in un immobile residenziale accatastato nella categoria A3.
Fatta questa premessa, l'immobile (un monolocale) è comunicante mediante scala a chiocciola a un terrazzo ad uso esclusivo posto al piano 4 che è anche il tetto del condominio.Su questo piano (terrazzo) sono presenti 2 depositi comunicanti: uno col tetto e 2 porte, uno senza tetto (per accedere al secondo bisogna passare dal primo). Questi però sono classificati come proprietà comune al condominio e non ricoprono nessuna funzione specifica.
La mia domanda è la seguente: essendo questi depositi comunicanti esclusivamente con la mia proprietà (è necessario letteralmente avere le chiavi di casa per accedervi da parte degli altri condomini perché l'unico ingresso è posto al piano terzo) è possibile in qualche modo reclamarne la proprietà? E se sì, in che modo?”
Consulenza legale i 17/12/2019
Nel rispondere si darà per presupposto che gli altri componenti del condominio non siano tutti concordi nel cedere volontariamente i due depositi comunicanti all’autore del quesito. Se così fosse infatti, la risposta alla domanda posta sarebbe semplicissima: è sufficiente che tutti i condomini si rechino dal notaio e cedano per mezzo di un rogito notarile al proprietario interessato i due locali deposito. Prima di recarsi dal notaio sarebbe necessario però svolgere alcune pratiche catastali, per il cui dettaglio non può che farsi rinvio ad un tecnico edile, per esempio l’architetto che sta curando il cambio di destinazione d’uso della unità immobiliare acquistata.

Nel caso in cui, come si immagina, la compagine condominiale non sia unanimemente concorde nel cedere i due depositi (non accade quasi mai), l’unica possibilità per acquisire la proprietà esclusiva di tali parti comuni è quella di instaurare contro il condominio una causa avente ad oggetto l’accertamento della intervenuta usucapione delle parti comuni interessate da parte del proprietario della unità immobiliare posta al terzo piano.

L’usucapione prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c. è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale su cosa altrui a titolo originario, dal quale discende la titolarità del diritto reale a fronte del suo possesso continuato per un determinato arco di tempo predeterminato dalla legge. L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, in quanto il diritto non è ricollegato alle ragioni di un precedente dante causa, ma la proprietà discende dal decorso del tempo.

Affinché possa concretizzarsi l’acquisto per usucapione di un determinato diritto è necessario che si verifichino due elementi:
  1. Il possesso pacifico ed ininterrotto del bene o di altro diritto reale, acquisito in maniera non violenta o clandestina;
  2. il decorso di un determinato periodo di tempo.
Si ha il possesso descritto sub a) ai sensi dell’art.1140 del c.c. nel momento in cui un soggetto compie una determinata attività sul bene corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. In altri termini, si è possessori di un bene nel momento in cui ci comportiamo come se fossimo proprietari dello stesso senza di fatto esserlo, o meglio senza avere un titolo (es. rogito notarile) che ci attribuisce la proprietà del medesimo.

Ai fini della usucapione il possesso protratto nel tempo non deve essere viziato, ovvero ai sensi dell’art.1163 del c.c., non deve essere acquistato in maniera violenta o clandestina. Il possesso è acquistato in maniera violenta o clandestina se l’impossessamento del bene è stato compiuto contro la volontà dell’attuale e legittimo possessore, o se si è a lui occultato e tenuto nascosto i comportamenti tesi ad impossessarsi del bene. Banalizzando si può dire che il ladro o chi occupa abusivamente un immobile contro la volontà del suo legittimo proprietario non potrà mai usucapire il bene che ha rubato o occupato.

Venendo ora a trattare del tempo necessario affinché possa maturare l’acquisto per usucapione, vi è da dire che nel caso descritto nel quesito sarebbe necessario dimostrare in giudizio che si è stati possessori dei due depositi condominiali in maniera pacifica ed ininterrotta per un periodo almeno di venti anni, così come prescritto dall’art. 1158 del c.c.
Vi è da dire che l’autore del quesito ha appena acquistato l’unità immobiliare, ed è quindi divenuto condomino da poco tempo: sarebbe quindi di per sé impossibile per lui dimostrare di essere stato possessore dei depositi per un tempo così lungo, ma in soccorso delle sue ragioni potrebbe intervenire il 2°comma dell’art. 1146 del c.c. Tale norma ci dice che:” Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti.”

In altri termini, in tale ipotetico giudizio di usucapione sarebbe necessario coinvolgere il venditore della unità immobiliare (o meglio, il debitore che ha subito la procedura esecutiva da cui si è acquistato i locali a uso laboratorio) e dimostrare, magari attraverso l’ausilio della sua stessa testimonianza, che:
  1. il venditore si è impossessato dei locali depositi in maniera pacifica e non clandestina;
  2. che tale possesso si è protratto per almeno un periodo ventennale, e se si riuscisse solo a raggiungere la prova di un possesso per un periodo inferiore al ventennio, si deve dimostrare che il periodo di possesso del precedente autore sommato a quello attuale, copre un arco di tempo almeno ventennale.
Essendo i due depositi che si intendono acquisire beni condominiali, la giurisprudenza richiede delle ulteriori condizioni rispetto a quanto finora detto per riconoscerne l’usucapione. La Cass. Civ.,sez.II, n.20039 del 06.10.2016, ammette che una determinata parte condominiale possa essere usucapita da un singolo proprietario. Affinché però si possa considerare una parte comune usucapita, non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano semplicemente astenuti dall’utilizzo di quella determinata parte comune. Il proprietario che ritiene di aver usucapito, deve infatti allegare e provare in giudizio di aver posseduto per almeno un ventennio in maniera tale da rendere assolutamente impossibile il godimento del bene condominiale da parte degli altri condomini, e la sua volontà di possedere come proprietario esclusivo e non come comproprietario.

Nel caso di specie non credo che il raggiungimento di tale prova sia particolarmente ardua in quanto, come viene riferito nel quesito, ai locali depositi si accede solo dalla unità immobiliare acquistata dall’autore del quesito, utilizzando le chiavi per accedere a suoi locali. Si sta nei fatti concretizzando perfettamente quel possesso esclusivo teso ad escludere gli altri condomini dal godimento del bene comune richiesto dalla giurisprudenza appena citata.

Secondo A. chiede
giovedì 12/12/2019 - Campania
“Mio padre costruì un fabbricato per civili abitazione nel 1969 con regolare licenza comunale. Sul rimanente suolo costruì, altresì, in difformità alla licenza edilizia altri cespiti . Alla sua morte (1971) noi eredi prima della stipula degli atti di vendita ai vari compromissori, redigemmo il regolamento di condominio riservandoci in detto, la proprietà di tutte le aree circostanti il fabbricato nonché anche quella destinata ad area di parcheggio secondo la licenza edilizia. Ora dovendo destinare un'area a parcheggio secondo la legge n. 765 del 1967 inserimmo nel regolamento a tale scopo, il lastrico solare posto a livello stradale, di un cespite costruito sullo stesso terreno in difformità alla licenza edilizia e dunque abusivo, assoggettando la manutenzione sia ordinaria che straordinaria al condominio. Il condominio non avendo mai usata questa area in seguito, con delibera assembleare, rifiutò l'uso di detta area di parcheggio onde evitare le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'area stessa, nonché delle strutture portanti sottostanti ad essa. Nel 1981 gli eredi nel dividersi i beni rimasti in comune, assegnarono al coerede D la proprietà dell'immobile abusivo F il quale dopo aver recintato il sovrastante lastrico solare, (già destinato ad area di parcheggio condominiale) nel 1985 ne richiese il condono edilizio che ad oggi non è stato ancora concesso. La domanda è questa: possono, oggi, gli altri coeredi, vantare la comproprietà del lastrico solare destinato ad area di parcheggio del condominio ma mai effettivamente usata, ed essendo di mia proprietà il sottostante cespite ? Oppure, come io credo, essendo stato assegnato detto cespite ad uno solo dei coeredi (quota D) egli è l'unico e solo proprietario?
Si allega: copia grafico licenza edilizia; Copia regolamento condominiale; Copia atto di demolizione; Copia atto di divisione; grafico accatastamento della situazione attuale. Con distinti saluti.”
Consulenza legale i 19/12/2019
Prima di fare chiarezza in questa vicenda è opportuno fare una piccola premessa. Si deve tenere strettamente distinte le violazioni urbanistico edilizie rappresentate dall’edificazione di manufatti in violazione del permesso di costruire, dagli effetti civilistici derivanti dai vari atti di cessione delle unità immobiliari in condominio e dall’atto di divisione.
In altri termini, gli atti di vendita delle unità immobiliari in condominio, i quali comprendevano anche la cessione dell’area di parcheggio quale parte comune, e il successivo atto di divisione tra coeredi sono perfettamente validi ed efficaci nonostante avessero ad oggetto degli immobili abusivi. Ovviamente lo Stato non ha rinunciato a sanzionare le violazioni alle leggi edili, ed infatti l’area di parcheggio è stato colpita da una ordinanza di demolizione (che pare, comunque non essere mai stata eseguita), ma tale aspetto non è rilevante per rispondere al quesito. E’ possibile fare questa affermazione in quanto sia le singole vendite che il successivo atto di divisione sono stati rogati antecedentemente 17.03.1985, data di entrata in vigore della L. n. 47 del 28.02.1985, la quale ha introdotto importanti vincoli alla commerciabilità di immobili abusivi, ma questa non è la sede per affrontare tale importante intervento legislativo e le sue successive modifiche ed integrazioni.

Tale premessa si è resa necessaria solo per precisare che per dare una risposta compiuta al quesito, non sono rilevanti, e pertanto non si affronteranno, le conseguenze legali che derivano dalle costruzioni abusive: si fingerà pertanto che le stesse non siano state commesse.
Fatta questa premessa vediamo di entrare nel merito del quesito, e sia consentito rispondere facendo alcuni esempi pratici.
Alla morte del loro padre i 4 coeredi A, B, C e D si trovano ad essere comproprietari di vari cespiti, di cui in particolare di alcune unità immobiliari in condominio e di una area di parcheggio (che nel quesito viene impropriamente definito come lastrico solare).
I quattro coeredi nel vendere le varie unità immobiliari, allegano ai rogiti di vendita un regolamento di condominio, di evidente natura contrattuale, nel quale viene indicato tra le parti comuni dell’edificio anche una area di parcheggio in corpo staccato. Per effetto di tali vendite quindi gli acquirenti degli immobili non solo si sono trovati proprietari delle varie unità immobiliari oggetto di vendita, ma anche sono divenuti comproprietari, ciascuno per la propria quota millesimale, dell’area di parcheggio.

Successivamente, per ragioni che sono del tutto irrilevanti in questa sede, i condomini riuniti in assemblea, deliberano di rinunciare a tale area di parcheggio. Ora, su questo punto è importante precisare che una delibera di questo tipo è assolutamente nulla e non è produttiva di alcun effetto giuridico. I condomini non possono, infatti, rinunciare ad una parte comune per mezzo di una delibera condominiale, anche se presa all’unanimità. Per raggiungere tale risultato, tutti i condomini si sarebbero dovuti recare da un notaio e rinunciare alle loro quote di comproprietà sull’area di parcheggio, per mezzo di un rogito notarile regolarmente trascritto presso la Conservatoria competente.

L’area di parcheggio sarebbe rimasta un bene condominiale se non fosse accaduto un fatto importante: il coerede D, assegnatario a seguito di atto di divisione dell’immobile F, recinta l’area di parcheggio, di cui il condominio si è comunque disinteressato, e se ne impossessa, facendo iniziare a decorrere i termini per usucapire la proprietà dell’area.
Se tale situazione di possesso da parte del coerede D, che lo si ricorda si deve essere realizzata in maniera non clandestina o violenta ex art. 1163 del c.c., si è protratta per oltre un ventennio, secondo il termine indicato dall’art. 1158 del c.c., egli potrà adire il giudice al fine di ottenere una sentenza che gli riconosca l’acquisto della proprietà dell’area per intervenuta usucapione.

Si tenga presente che, sulla base di quanto riferito nel quesito, si ritiene che i soggetti che dovranno essere convenuti in giudizio, non saranno gli altri coeredi, i quali non hanno mai avuto alcun diritto sull’area di parcheggio dopo le cessioni ai singoli condomini, ma gli attuali componenti del condominio, i quali, visto la nullità della delibera di rinuncia, rimangono formalmente comproprietari dell’area. Visto quanto accaduto in passato, è assolutamente possibile che i condomini non si costituiranno neppure in giudizio, spianando la strada ad un suo esito favorevole, oppure potranno addirittura addivenire ad un accordo bonario con il coerede interessato, al fine di sbarazzarsi una volta per tutte del problema dell’area di parcheggio abusiva.

Giancarlo C. chiede
giovedì 10/10/2019 - Sardegna
“Spett.le Brocardi,
Un condomino da oltre 23 anni occupa uno spazio condominiale nel seminterrato del fabbricato quale posto auto. A suo dire poiché non ha mai avuto contestazioni e/o limitazioni di alcun genere deve iniziare la pratica di usucapione. Il quesito è: "Tale condomino può procedere ad usucapire l'area condominiale" ?
Grazie”
Consulenza legale i 12/10/2019
L’usucapione prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c. è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale su cosa altrui a titolo originario, dal quale discende la titolarità del diritto a fronte del suo possesso continuato per un determinato arco di tempo predeterminato dalla legge. L’usucapione viene definita un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, in quanto il diritto acquisito discende, appunto, dal decorso del tempo e non dalle ragioni di un precedente dante causa.
Affinché possa concretizzarsi l’acquisto per usucapione di un determinato diritto è necessario che si verifichino due elementi:
  1. Il possesso pacifico ed ininterrotto del bene o di altro diritto reale, acquisito in maniera non violenta o clandestina;
  2. Il decorso di un determinato periodo di tempo.
Si ha il possesso descritto sub a) ai sensi dell’art. 1140 del c.c., nel momento in cui un soggetto compie una determinata attività sul bene corrispondente all’ esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. In altri termini, si è possessori di un bene nel momento in cui ci comportiamo come se fossimo proprietari dello stesso senza di fatto esserlo, o meglio senza avere un titolo (es. rogito notarile) che ci attribuisce la proprietà del medesimo.
Ai fini della usucapione il possesso protratto nel tempo non deve essere viziato, ovvero ai sensi dell’art. 1163, non deve essere acquistato in maniera violenta o clandestina. Il possesso è acquistato in maniera violenta se si sono tenuti dei comportamenti contrari alla volontà dell’attuale e legittimo possessore; è clandestino quando lo si acquisisce tenendo nascosto i propri comportamenti sempre all’attuale legittimo possessore.

Venendo ora a trattare del tempo necessario affinché possa maturare l’acquisto per usucapione, vi è da dire che il codice civile individua diverse casistiche con tempistiche differenti, la più comune, e quella a cui si fa riferimento nel quesito, è l’usucapione ventennale normata dall’art. 1158 del c.c. Tale norma dispone che la proprietà sui beni immobili si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni.

Affinché si possa usucapire il bene la legge non richiede che vi sia un documento che lo sancisca: l’acquisto della proprietà avviene come conseguenza automatica derivante dal possesso continuato per il tempo richiesto dalla legge. Sovente capita, tuttavia che il soggetto che si avvantaggia della usucapione, desideri avere, per i motivi più vari, un atto che accerti l’intervenuto acquisto per usucapione e lo dichiari quindi proprietario del bene. In questo caso, l’unica strada che può intraprendersi è quella di adire l’autorità giudiziaria con l’ausilio di un legale, convenendo in giudizio il soggetto che risulta essere proprietario dell’immobile (rintracciato a seguito di indagini, spesso molto tortuose, in conservatoria), al fine di ottenere un provvedimento che accerti l’intervenuta usucapione sul bene. Durante il giudizio, non sarà sufficiente allegare il fatto di essere stato possessore in maniera pacifica ed ininterrotta per il tempo richiesto dal codice civile per far maturare i termini per usucapire, ma tale circostanza andrà puntualmente provata, generalmente attraverso l’ausilio della prova testimoniale. Chi intende ottenere una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione, dovrà, quindi, trovare qualcuno disposto ad andare davanti al giudice e che dichiari che il soggetto che ha proposto l’azione giudiziaria agisce come proprietario di quel determinato immobile in maniera pacifica ed ininterrotta per almeno un ventennio.

Può essere usucapita una parte comune condominiale? La giurisprudenza, si veda su tutte Cass. Civ., sez.II, n. 20039 del 06.10.2016, ammette che una determinata parte condominiale possa essere usucapita da un singolo proprietario. Affinché però si possa considerare una parte comune usucapita, non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano semplicemente astenuti dall’utilizzo di quella determinata parte comune. Il proprietario che ritiene di aver usucapito, deve infatti allegare e provare in giudizio di aver posseduto per almeno un ventennio in maniera tale da rendere assolutamente impossibile il godimento del bene condominiale da parte degli altri condomini, e la sua volontà di possedere come proprietario esclusivo e non come comproprietario.

È chiaro, quindi, che per usucapire un determinato posto auto condominiale non è sufficiente dimostrare in giudizio di aver posteggiato pacificamente la macchina in quel posto per 23 anni, ma si dovrà dimostrare di aver considerato quel determinato posto auto per 23 anni come una pertinenza esclusiva della unità abitativa, escludendo in radice la possibilità, anche solo astratta, che altri condomini ne facciano parimenti uso ai sensi dell’art. 1102 del c.c., ad esempio costruendovi intorno una recinzione in cui solo quel determinato proprietario poteva accedervi.

Alla luce di ciò, se anche il condomino del quesito dovesse citare in giudizio gli altri proprietari sostenendo l’avvenuta usucapione del posto auto, gli altri condomini avrebbero sicuramente buone armi difensive sulla base della giurisprudenza citata.
A scanso di equivoci, e al fine di interrompere la maturazione dei tempi necessari ad usucapire, sarebbe comunque consigliabile chel’amministratore, in nome e per conto degli altri proprietari, invii una raccomandata con avviso di ricevimento al condomino, in cui si ribadisce e si precisa la natura condominiale del posto auto occupato.

Paolo A. chiede
martedì 02/04/2019 - Sicilia
“Salve, vi chiedo delucidazioni sulla possibilità di usucapione di un terreno.

Mio padre insieme a mia madre hanno coltivato un terreno in affitto per uso caccia tramandato oralmente da parte di mio nonno, più di trent'anni fa mio padre e mia mamma incominciano a costruire stalle per animali ricoveri per attrezzi una piccola cucina ,una cantina sotterranea (quest'ultima a dire il vero poco visibile) il tutto abusivamente,e delimitano con recinzione una parte del fondo destinata ad Aia per galline conigli ecc.ecc. Il resto della proprietà e coltivabile solo in piccoli pezzi essendo di natura lavica
Gran parte del terreno risulta pascolo per capre.
Il fondo confina con un terreno della mia famiglia che non è lavico ma coltivato, abbiamo sempre utilizzato il nostro fondo per coltivare e il fondo in affitto per il bestiame .
Al fondo si accedeva tramite un cancello di cui solo noi avevamo le chiavi e di un accesso che noi avevamo creato attraverso la nostra proprietà.
Nel 2000 i vigili accertano con un verbale di abusivismo che mio padre ha costruito alcune strutture, costruite negli anni.
Nel 2004 mio padre viene a mancare e il possesso e continuato da mia mamma e da due dei miei fratelli.
Nel 2006 i proprietari catastali vendono e il nuovo proprietario non ha mai preso possesso, nel 2007 manda una raccomandata in cui chiede la liberazione del fondo ma è indirizzata solo ad uno dei miei fratelli il quale risponde di essere affittuario... E paga una sola annata e finisce così Senza nessun azione per affermare il possesso.
Per gli anni a seguire rifiuta il pagamento dell' affitto di fatto solo una volta pagato e poi basta. Non abbiamo mai perso il possesso e di fatto ci siamo comportati da proprietari non pagando nulla è facendo quello che volevamo senza che nessuno ci dicesse nulla.
A settembre 2018 un provvedimento di esproprio vede interessato per la costruzione di una strada ,una piccola parte della nostra proprietà, dove si trova il cancello e la strada che porta al fondo in affitto .
L'esproprio interessa anche parte del fondo che vorremmo usucapire che un verbale di constatazione accerta essere coltivato con alberi da frutto una grande vasca per irrigare ecc. ecc. E in parte lavico incolto.
In quest'occasione il proprietario inizia a fare diverse denunce ai vigili con l' intento di farci liberare il fondo è abbattere le diverse strutture che nonostante accertate abusive nel 2000 sono ancora li...
I vigili intervengono e fanno nuovo verbale come se le strutture fossero appena fatte, e contestano il verbale a mia mamma e ai miei fratelli. L'unica cosa che abbiamo cambiato negli anni è parte della recinzione perché logorata..
Abbiamo opposto ricorso al Tar perché in questo verbale e stata inserita anche struttura insistente sul terreno di nostra proprietà e confinato, e il resto delle strutture già accertate 2000 fatte da mio padre.
In una sua ultima dichiarazione il proprietario dice che non ci conosce e che non ha mai visto le strutture.... E chiede al giudice per poter ripristinare lo stato dei luoghi di poter intervenire con le forze dell'ordine.
Ora spulciando un po' nei documenti in cerca di tracce dell'inizio dell' Animus possidendi , ho trovato una foto aerea della regione del 1986 in cui si vedono già le costruzioni...
Quindi se posso far partire come data certa dell' animus possidendi nel 1986 nel 2006 si è consolidato l'usucapione
Ed è retroattivo quando lui ha acquistato in realtà eravamo di fatto già divenuti proprietari.
Ora a distanza di 13 anni da quell'atto
Come faccio a dimostrare al giudice che il proprietario catastale non ha diritti sul fondo per sopraggiunto usucapione
E che vi è un ricorso al Tar per il nuovo verbale di abusivismo .
Ci sono reali possibilità di far valere il diritto di proprietà per usucapione?”
Consulenza legale i 14/04/2019
L’istituto dell’usucapione costituisce un modo di acquisto della proprietà a titolo originario in cui, a differenza degli acquisti a titolo derivativo, è indifferente per l’ordinamento che vi sia o meno un precedente proprietario che possa vantare un titolo sul bene.

Difatti, secondo l’opinione comune, l’usucapiente acquista il diritto in maniera automatica, per effetto delle semplice congiunzione tra possesso e decorso del tempo, ed al di fuori di qualsivoglia nesso con la situazione giuridica del precedente titolare, la quale si estingue.

Per aversi usucapione di un bene l’acquisto del possesso deve essere pacifico (senza violenza), pubblico (non fatto in maniera clandestina), ininterrotto (l’usucapiente non deve essersi privato del possesso per oltre un anno ex art. 1167] e continuato (caratterizzante cioè una situazione in cui il possessore può esperire in ogni momento atti di signoria sulla cosa).

Ai sensi dell'articolo 1158, per poter usucapire un bene immobile, con la conoscenza che appartenga ad altri (come nel caso di specie), e senza la seppur minima parvenza di un accordo di natura traslativa, è necessario il decorso del termine di vent'anni, a partire dal momento in cui si ritiene sussistente l'animus possidendi.

Spesso, ai fini della prova, si ritiene sufficiente che esistano in loco segni dell’apparenza concretizzatisi in opere permanenti, artificiali e naturali, obiettivamente destinate al suo esercizio, che risultino altresì visibili in modo tale da escludere la clandestinità del possesso o da farne presumere la conoscenza da parte del proprietario del fondo.

Fatte le dovute premesse, al quesito in esame vanno applicate due norme fondamentali:
  • innanzitutto, dato che il possesso del fondo altrui è stato iniziato dal padre, viene in soccorso l'articolo 1146, ai sensi del quale il possesso continua nell'erede, senza alcuna interruzione. Il decesso del de cuius è pertanto irrilevante ai fini dell'usucapione, purché gli eredi abbiano continuato a possedere e a comportarsi sul fondo esercitando i diritti che spettano al proprietario;
  • ai sensi dell'articolo 1144, la mera tolleranza del proprietario impedisce il decorrere del termine e di conseguenza non vale ai fini dell'acquisto per usucapione. Si ha tolleranza allorché il titolare di un diritto o il possessore, con l’intento di fare una mera concessione, non si opponga a che altri realizza sulla cosa uno stato di fatto incompatibile e contrastante con il pieno godimento con il pieno godimento del diritto. La lunga durata del godimento può integrare un elemento presuntivo in favore dell’esclusione di una semplice tolleranza (Cass.civ. sent. n. 4327/2008). Nel caso di specie, dunque, non sembra così arduo potersi sostenere che non vi sia stata mera tolleranza da parte del primo proprietario. Difatti, la lunga durata del godimento, senza alcuna domanda di liberazione del fondo, pare escludere che vi sia stata mera tolleranza. Per il primo proprietario, inoltre, sarebbe stata sufficiente chiedere la liberazione del fondo prima del decorso dei vent'anni (anno 2006), per interrompere l'usucapione una volta per tutte. Ma così non è stato.



Per quanto concerne la prova del possesso nel tempo, si applicano i principi di cui agli artt. 1142 e 1143 e l’esistenza di un possesso ad usucapionem può essere data in qualsiasi modo, anche per presunzioni, fatti notori, per testimoni o per documentazione fotografica. Inoltre, è sufficiente provare che l’inizio del possesso, quando non è possibile indicare una data precisa, risalga ad almeno vent’anni prima.

Orbene, nel caso di specie, l'unico scoglio da affrontare è quello di dimostrare (con qualsiasi mezzo, e dunque non è detto che la testimonianza favorevole valga meno di una documentazione fotografica o scritta) l'inizio del possesso, che, se veramente è iniziato nel 1986, consente l'acquisto a titolo originario per usucapione nel 2006. Tutti i restanti presupposti per l'acquisto sussistono. Il successivo acquirente, ha perciò acquistato a non domino (ovvero da chi non era più proprietario) ed avrà diritto alla restituzione di quanto sborsato per l'acquisto. Ovviamente, la raccomandata del 2007 tramite cui il nuovo proprietario chiedeva la liberazione del fondo non ha rilevanza alcuna, dato che, se provato, l'acquisto per usucapione è avvento l'anno precedente.

Inoltre, l'azione giudiziale diretta all'accertamento dell'avvenuta usucapione che, come correttamente affermato, ha natura retroattiva, avrà effetto anche nei confronti del procedimento amministrativo di esproprio. In un eventuale giudizio amministrativo si potrà infatti ottenere la sospensione del procedimento (dato che l'accertamento in via civile pregiudica gli effetti del giudizio amministrativo) e, una volta ottenuto l'accertamento dell'avvenuta usucapione, condannare la pubblica amministrazione a iniziare un nuovo procedimento di esproprio, tenendo naturalmente conto del nuovo proprietario. Nel caso in cui l'amministrazione decida di continuare con l'esproprio, sarà tenuta ad indennizzare il (nuovo) proprietario.

Marco D. chiede
lunedì 21/01/2019 - Lazio
“Sono recentemente diventato il proprietario di un terreno destinato a verde pubblico e servizi pubblici, per averlo acquistato con atto notarile dagli eredi del vecchio proprietario, con l’intenzione di cederlo in convenzione al comune, per la creazione di un’area sgambamento cani così come prevede il regolamento urbanistico per i terreni a verde pubblico e quindi sottoposti a vincolo espropriativo. Tuttavia un tizio che ha occupato un lotto distante dal mio (in esso ha realizzato un allevamento abusivo di pecore su terreno altrui), era solito a entrare nel mio terreno con un trattore per tagliare l’erba per realizzare una 40na di mini balle di fieno e utilizzarle per dare da mangiare alle sue pecore. Questo avveniva ed avviene una sola volta durante l’anno perché il terreno che non recintato non veniva da tempo utilizzato dai vecchi proprietari che vivevano lontano. Loro erano a conoscenza della cosa e la tolleravano in modo tacito perché era vista come scambio bene servizio (tu mi tieni il terreno pulito io ti do in cambio il ricavato dello sfalcio). Nel 2015 però gli eredi subentrati, in procinto di vendere il bene, hanno diffidato formalmente tizio ad accedere al loro terreno e tizio ha risposto che il terreno era suo per averlo posseduto uti dominis. Ciò nonostante al di là del solo fatto su descritto (sfalcio erba una tantum) non risultava nessuna richiesta di usucapione ne tantomeno un comportamento che potesse far pensare alla costituzione dello stesso. (Anche i vicini che sono lì da 30 anni mi hanno riferito che il terreno è sempre stato aperto e libero da ogni cosa). E quindi ho comprato. Aggiungo inoltre che dal 2015 in poi ho raccolto varie foto e nel 2018 i proprietari hanno autorizzato le riprese sul proprio terreno di un film (prova di tutto questo è stato fotografato e inviato tra me e i proprietari via pec). Questo per dire che al momento la pretesa permane ma che la stessa non è supportata da elementi di fatto o di diritto. prima dell’acquisto ho cercato di parlare con tizio per spiegargli che avrei preso il terreno per cederlo di iniziativa privata al comune, ma lui mi ha detto che voleva 20.000€ Perché il terreno era suo e che quando era piccolo ci andava con suo padre. Non curante di questa richiesta che ritengo essere illegittima se non addirittura illecita, ho continuato la trattativa con i legittimi proprietari, fino ad arrivare all’acquisto. Ora però vorrei prepararmi alla difesa in caso di azione legale nei miei confronti, non tanto per l’usucapione (del quale sono convinto non vi siano gli estremi o quanto meno ci siano state interruzioni almeno dal 2015 ad oggi), quanto per un’azione possessoria di spoglio. Aggiungo che il terreno è stato acquistato libero da cose o persone (foto dello stato di fatto allegata all’atto) in questo momento tizio non sa del mio acquisto e il terreno è sempre libero. Ora sono indeciso, vorrei recintarlo e vorrei avviare la pratica urbanistica di passaggio al comune. Oppure non lo recinto, lascio le cose come stanno, nel mentre osservo che il terreno rimanga libero, presento i documenti al comune, e quest’estate quando tizio entrerà per le balle di fieno lo diffido. In questo modo non potrà fare un’azione di spoglio ma semmai far valere il suo diritto all’usucapione affrontando una causa diversa. La mia paura è che lui possa vantare nei miei confronti un vantaggio dicendo che ero a conoscenza del suo possesso, in realtà il possesso lui lo esercita nella sua testa perché ripeto il terreno è libero è sempre stato libero e non credo che lo sfalcio dell’erba una tantum legittimi tizio a pretendere di avere il bene, che tra l’altro potrà essere sempre espropriato dal comune.”
Consulenza legale i 25/01/2019
L’elemento di favore risultante dalla vicenda descritta, e su cui occorrerà puntare ogni azione e/o decisione, è il fatto che Tizio non ha mai avuto e continua a non avere il possesso continuo di quel lotto di terreno.

Cominciamo con l’analizzare brevemente quando ricorre l’usucapione.
Il riferimento non può che esser fatto all’art. 1158 del c.c., il quale dispone che la proprietà o altro diritto reale si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni.
Quando si parla di possesso, però, non è sufficiente che un soggetto abbia una qualsiasi relazione materiale con un determinato bene, ma necessita principalmente che colui il quale ha intenzione di usucapire eserciti su quel bene le stesse attività che eserciterebbe qualora ne fosse il reale titolare.
Caso classico è quello della coltivazione continuativa di un terreno con destinazione agricola.

Altro elemento di cui tener conto ai fini dell’usucapione è che il possesso non sia stato conseguito in modo violento o clandestino (in tal senso si esprime chiaramente l’1art. 163 del c.c.); così non si potrà usucapire un terreno sul quale venga esercitato il possesso per aver violato la recinzione che lo delimita ovvero all’insaputa del proprietario.

Infine, elemento quest’ultimo di particolare rilievo per il caso di specie, occorre che il possesso prosegua ininterrottamente per almeno venti anni, e ciò risponde perfettamente alla ratio per cui il legislatore ha voluto prevedere l’usucapione come modo di acquisto della proprietà, ossia agevolare coloro che rendono produttivi beni altrui e per i quali il legittimo proprietario non mostra alcun interesse.
Quest’ultimo aspetto (il disinteresse di chi ne è titolare) spiega la ragione per cui, se durante il possesso altrui il proprietario afferma il suo diritto nei confronti del possessore, viene interrotto il decorso del termine ventennale e sarà necessario il decorso di un nuovo periodo perché l’usucapione possa compiersi.

Dopo aver fornito queste poche e semplici nozioni sulla finalità e sui presupposti dell’usucapione, vediamo adesso di capire per quale ragione in questo caso Tizio non si trova nella condizione di usucapire quel terreno (o, quantomeno, come detto nel quesito, vi si trova solo “nella sua testa”) e quali possono essere le strategie migliori per avere certezza che Tizio non conseguirà mai il risultato sperato.

Si è detto che il soggetto che ha intenzione di usucapire deve esercitare sul bene le stesse attività del proprietario, il che non può che manifestarsi con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa.
Certamente, accedere su quel terreno una volta all’anno per ripulirlo dell’erba che vi cresce (si presume) spontaneamente, realizzandone delle balle di fieno, non può configurarsi come possesso conforme alla qualità ed alla destinazione del bene, difettandone sia la continuità che la manifestazione di una piena signoria su di esso.
E’ indubbiamente più aderente alla realtà credere che tale attività venga compiuta perché frutto di un accordo con il proprietario di ripulire il terreno dall’erba facendone proprio ciò che viene raccolto (accordo per il quale non è necessaria alcuna forma solenne), piuttosto che dover attribuire a tale comportamento i caratteri di quel possesso che il legislatore richiede ai fini dell’usucapione.

A ciò si aggiunga che, come riferito, si dispone di ulteriori indizi ed elementi in grado di provare che i vecchi proprietari non sono mai stati spossessati in alcun modo del bene, avendone perfino fruito pubblicamente consentendone le riprese di un film (ciò che, ci si augura, possa risultare documentato in qualche atto scritto con cui è stata concessa formale autorizzazione ad accedere nel terreno).

Al di là di tali considerazioni in ordine alla possibilità o meno per Tizio di far valere l’usucapione, vediamo come ci si può difendere o meglio come si possono prevenire eventuali suoi attacchi.
Sicuramente la soluzione pratica migliore sarebbe quella di chiudere con una recinzione il terreno, dimostrandone così di averne la piena signoria, ma ciò farebbe inevitabilmente andare Tizio su tutte le furie, convito com’è di averne maturato l’usucapione e vedendone così vanificati tutti i “sacrifici” svolti per questo lungo periodo.

Non resta allora, come suol dirsi, che “tastare il terreno”, inviandogli formale comunicazione (ossia a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno), con cui lo si informa nell’ordine:
  1. di essere il nuovo proprietario di quel terreno a far data da….;
  2. di aver appreso dai venditori che il destinatario della missiva aveva l’incarico di ripulire gratuitamente una volta l’anno il terreno dalle erbacce per ricavarne delle balle di fieno da utilizzare per se medesimo;
  3. che dal momento di ricezione di quella missiva deve ritenersi espressamente esonerato dallo svolgere tale attività, in quanto sarà cura dell’attuale proprietario provvedere personalmente al diserbo del terreno;
  4. infine, non può mancare una formale diffida ad accedere in quel terreno per qualunque ragione, intimandogli, per il caso di inottemperanza, di denunciarlo per invasione di terreni, reato previsto dall’art. 633 del c.p..
E’ ovvio che Tizio, a quel punto, non resterà indifferente al contenuto della missiva, decidendosi probabilmente a citare in giudizio il mittente per far valere l’usucapione ovvero ponendo in essere un’azione pratica e diretta, ossia la recinzione del terreno.
In questo modo, però, ci si potrà porre nella condizione desiderata, ossia quella di attaccare la controparte con una azione di spoglio (azione che si temeva di dover subire) ovvero di difendersi, con le prove di cui si dispone, dalla pretesa infondata dell’attore di voler usucapire.

Questo è il consiglio che ci si sente di dover dare nel rispetto delle intenzioni manifestate da chi ha posto il quesito.
Va tuttavia sottolineato, per concludere, che resta in ogni caso sempre aperta la strada ordinariamente percorribile per situazioni come questa (in cui un terzo estraneo si vuole appropriare di ciò che non gli appartiene), ossia chiudere quel terreno con una recinzione, così da impedire a chiunque di accedervi.
Ciò provocherà indubbiamente, come prima accennato, la reazione di Tizio ed avrà come inevitabile conseguenza quella di trovarsi coinvolti in un giudizio possessorio prima e, probabilmente, petitorio dopo, ma nel corso dei quali si ritiene che non si corra alcun rischio, rivestendo chi ha agito la qualità di legittimo proprietario di quel terreno in forza di regolare e pubblico atto di compravendita ed avendo semplicemente esercitato quella facoltà che l’art. 841 c.c. consente al proprietario di esercitare in qualunque tempo.

GERARDA C. chiede
domenica 17/12/2017 - Basilicata
“Sono in possesso da ormai 30 anni di un appezzamento di terreno. Era di mia mamma morta 50 anni fa.
Questo terreno mi è stato passato senza atto dalla mia nonna materna, di cui risulta ancora intestataria.
Come posso farmi un atto e intestarmelo?
Posso fare un’usucapione speciale ai sensi dell’art. 1159 c.c. o cosa mi consigliate?”
Consulenza legale i 21/12/2017
La situazione prospettata può senza alcun dubbio inquadrarsi in quel particolare modo di acquisto della proprietà che il codice civile definisce usucapione e che disciplina dettagliatamente agli artt. 1158 e seguenti.

In maniera estremamente sintetica va detto che due sono le possibili forme di usucapione, e precisamente:
A) l’usucapione ordinaria: è tale quella che, nel caso di beni immobili, si compie in virtù del possesso continuato per venti anni (art. 1158 c.c.)
B) l’usucapione abbreviata: è una sottospecie dell’usucapione ordinaria, da cui si differenzia per il solo fatto che richiede alcuni requisiti in più e si realizza in minor tempo (10 anni).
Dispone infatti l’art. 1159 c.c. che, ai fini dell’usucapione abbreviata sono necessari la buona fede al momento dell’acquisto del possesso, un titolo valido ed astrattamente idoneo al trasferimento del diritto, la trascrizione del titolo.

E’ chiaro che nel caso in esame questa seconda fattispecie non è realizzabile, difettando il titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto e la sua trascrizione.

Pertanto, unica forma possibile per conseguire l’intestazione formale del bene resta l’usucapione ordinaria, e ciò in considerazione del fatto che il possesso dell’appezzamento di terreno è stato esercitato addirittura per trenta anni, e dunque per un tempo notevolmente maggiore a quello richiesto dall’art. 1158 c.c.
Nell’affermare ciò, ovviamente, si dà per presupposto che tale possesso sia stato acquistato in modo non violento o clandestino, e ciò perché l’art. 1163 c.c. dispone espressamente che “il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata”.

Altro elemento essenziale per potersi avvalere dell’usucapione ordinaria è che il possesso venga manifestato all’esterno con il compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa, capaci di rivelare una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all'inerzia del titolare o dei titolari del diritto (in tal senso tra le altre cfr. Cass. 12 aprile 2010, n. 8662).

Ricorrendo tutti i requisiti appena detti, possiamo dunque dire che la strada ordinaria per vedersi riconosciuta la proprietà a tutti gli effetti erga omnes, con conseguente trascrizione e voltura catastale a proprio favore (c.d. allineamento catastale) è l’accertamento giudiziale; si tratta di una vera e propria causa, promossa da chi ritiene di averne diritto, al termine della quale il giudice accerta l’effettivo acquisto originario per usucapione e dichiara l’avvenuto acquisto della proprietà in capo al nuovo titolare.

Non v’è dubbio che le complesse procedure per l’accertamento giudiziale dell’usucapione costituiscono un ostacolo a che il nuovo proprietario si rivolga alla Giustizia; la procedura, infatti, è lunga e costosa, e questa è la ragione per cui i beni di cui si può far valere l’usucapione spesso continuano ad essere solo utilizzati dal possessore uti dominus.

Una valida e conveniente alternativa alla procedura giudiziale è stata però prevista dal c.d. “Decreto del fare” (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con L. 9 agosto 2013, n. 98) il quale, introducendo la nuova normativa in materia di mediazione, ha previsto che l’accertamento dell’usucapione possa essere effettuato presso un Organismo di mediazione, davanti ad un mediatore professionista e con l’assistenza di un legale.

Per effetto di tale normativa è stato aggiunto all’art. 2643 c.c. il numero 12 bis, il quale dispone che si devono rendere pubblici con il mezzo della trascrizione gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L’accordo di mediazione che accerta l’usucapione di un immobile sarà trascrivibile in Conservatoria, proprio come la sentenza del Giudice.

Al fine di potersi avvalere di tale strumento giuridico, tuttavia, occorre:
1. individuare gli aventi diritto sul terreno da usucapire e, quindi, nel nostro caso, gli eredi della nonna e della madre (non è chiaro quale delle due sia deceduta prima);
2. che tutti gli eredi aventi diritto siano concordi nel riconoscere l’avvenuta usucapione;
3. che il giorno fissato per l’incontro di mediazione tutti gli aventi diritto sul bene da usucapire siano presenti personalmente o tramite procura speciale notarile;
4. che siano state effettuate le dovute denunce di successione;
5. che si sia in possesso dei riferimenti catastali completi dell’immobile da usucapire;
6. che ci si faccia assistere da un avvocato;
7. che ci si rivolga ad un notaio per autenticare la sottoscrizione del verbale di mediazione [i].

Qualora si ritenga che sia impossibile soddisfare tutti questi requisiti, non rimane purtroppo altra strada che ricorrere all’Autorità giudiziaria ed instaurare un lungo e costoso processo civile, volto appunto ad accertare l’avvenuta usucapione.

Altra soluzione potrebbe essere quella di vendere ad un proprio parente prossimo (es. ad un figlio) quel terreno (non essendo ovviamente possibile vendere a se stessi), dichiarando in atto di esserne divenuto proprietario per antico possesso, ma si tratta di un atto che orami la quasi totalità dei notai si rifiuta di eseguire, fatta eccezione per quei rari casi in cui l’usucapione riguardi solo una minima porzione del bene che si intende vendere (es. una piccolissima particella di un fondo di maggiore estensione) e risulti davvero antieconomico richiedere all’autorità giudiziaria una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione.


[i] Nel verbale di mediazione, infatti, viene solitamente inserita la seguente clausola:
Le parti si danno atto che il presente verbale di accordo è soggetto a trascrizione e che, pertanto, le firme devono essere autenticate da un Pubblico Ufficiale a ciò autorizzato. Conseguentemente si impegnano fin da ora a comparire senza ritardi avanti al Notaio scelto di comune accordo tra loro, per procedere al trasferimento definitivo nelle forme ritenute ai sensi del 2657 c.c. idonee alla pubblicità immobiliare; si impegnano, altresì, a fornire al Notaio incaricato tutta la collaborazione necessaria per la raccolta dei documenti e delle informazioni che egli riterrà opportune”.


ANGELO P. chiede
venerdì 03/02/2017 - Lombardia
“Buon Giorno, ho vissuto assieme a mia moglie e mio figlio dal luglio 1979 al 24 dicembre 1999, in una casa in modo legale senza alcun contrasto, di proprietà della ex suocera, ho sempre pagato io tutte le bollette della luce, gas, telefono ecc.
Poi ci siamo separati e divorziati, oggi dopo la bellezza di quasi 17 anni, potrei chiedere l'usucapione e far valere gli eventuali miei diritti in merito o è già tutto prescritto.”
Consulenza legale i 08/02/2017
I temi che il quesito in esame richiede di affrontare e definire sono
  • requisiti necessari per poter validamente acquistare a titolo originario la proprietà o altro diritto reale
  • conseguenze in caso di perdita di possessodel bene

Per quanto concerne il primo tema, norma primaria che va richiamata è quella di cui all’art. 922 c.c., la quale prevede tra i modi di acquisto della proprietà l’usucapione, un modo di acquisto a titolo originario, in quanto l’acquisto non dipende in nulla né si collega al diritto del precedente proprietario.

Il codice civile, però, si preoccupa anche di stabilire delle condizioni ben precise al ricorrere delle quali può maturarsi l’usucapione di un diritto su un determinato bene:
  • innanzitutto si richiede che il possesso del bene sia protratto per un certo periodo di tempo.
  • inoltre, si ammette quale forma di possesso utile ad usucapire soltanto quello acquistato pacificamente e senza spoglio, mentre se esso è stato acquistato in modo violento o clandestino (un esempio classico è il caso del ladro) non giova ai fini dell’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata (così art. 1163 c.c.).
  • il possesso, inoltre, non deve essere equivoco, ingenerandosi altrimenti nei terzi il dubbio circa l’effettiva intenzione dell’interessato di esercitare in fatto il potere sulla cosa.
  • infine, altro requisito essenziale è il tempo, il quale varia a seconda del tipo di bene oggetto del diritto e della caratterizzazione psicologica del possesso, a seconda cioè che esso sia di buona o di mala fede.In particolare, per quello che qui ci interessa, l’usucapione dei diritti reali su bene immobile si compie in venti anni (così art. 1158 c.c.).

Fin qui sembrerebbero sussistere, in linea teorica, tutti i presupposti utili ad usucapire la casa di proprietà della ex suocera, avendone avuto il possesso per più di venti anni (dal luglio 1979 al 24 dicembre 1999) e risultando tale possesso dimostrabile dagli atti compiuti senza alcuna clandestinità in tal senso (pagamento utenze varie).

Tuttavia, al conseguimento di tale effetto giuridico si frappone un primo ostacolo che potremmo definire insormontabile, ossia la circostanza che colui il quale vuole rivendicare la proprietà dell’immobile non può dimostrare l’uso esclusivo dello stesso, e ciò proprio in considerazione della situazione di pacifica e consensuale convivenza all’interno dello stesso immobile fra i vari componenti il nucleo familiare (si dice che nella casa si viveva in modo legale senza alcun contrasto).
A conforto di quanto appena detto si richiama una recente sentenza della Corte di Cassazione n. 20568 del 12 ottobre 2016 la quale, con specifico riferimento a due coniugi separati nella medesima casa afferma che uno dei due coniugi non può usucapire la porzione di appartamento da lui abitata dopo la rottura di fatto del matrimonio in quanto, per poter rivendicare una parte di proprietà dell’immobile egli dovrebbe dimostrare l’uso esclusivo dei vani contestati.
Nel caso che ci occupa non potrebbe fornirsi alcuna prova del possesso esclusivo dell’immobile, data la situazione di stabile e pacifica convivenza tra i coniugi e la condivisione di tutti gli spazi.
Si ritiene, invero, che non sia stato esercitato giuridicamente un vero e proprio possesso legittimante l’usucapione, ma che si sia avuta una mera [def ref=detenzione (diritto civile)]detenzione[/def] dell’immobile scaturente da un rapporto di [[def ref=comodato]] tra le parti, seppure quest’ultimo non formalizzato in alcun documento scritto data la sua libertà di forma.

A tutto questo, poi, deve aggiungersi un secondo ostacolo (pur esso fondamentale) al conseguimento di una utile usucapione dell’immobile. Vediamolo.
L’art. 1165c.c. stabilisce che si estendono alla disciplina dell’usucapione, in quanto compatibili, le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e di interruzione e quelle riguardanti il computo dei termini.
Per quanto concerne l’interruzione, dispone specificamente il successivo art. 1167 c.c. che l’usucapione è interrotta quando il possessore è stato materialmente privato del possesso per oltre un anno.
Tale norma discende da quello che è un ulteriore e fondamentale requisito per l’usucapibilità di un bene, ossia la circostanza che colui il quale intenda esperire un’azione di usucapione riesca a dar prova di un possesso attuale, continuo e ininterrotto, ciò che nel caso di specie difetta, risultando il possesso cessato da ben 17 anni, senza che sia stata posta in essere alcuna azione volta al recupero dello stesso.



MDM chiede
venerdì 09/09/2016 - Lazio
“Vorrei acquistare un terreno ho rintracciato i proprietari i quali abitano lontano e vogliono liberarsene. Il terreno risulta incolto e abbandonato, non recintato ma annualmente un tizio entra con il trattore taglia l'erba e si porta via le balle di fieno che crea. I proprietari attuali (che hanno ereditato il terreno) hanno diffidato tizio ad entrare nel loro terreno, ma questi asserisce che lo possiede da illo tempore. A quel punto i proprietari non potendo confutare quanto asserito da tizio (ancorché il terreno sia libero e non occupato ne recintato) sostengono che non vorrebbero ripercussioni contro i danni per l'eventuale evizione in caso di intervenuto usucapione. Gli eredi vorrebbero comunque donarmi o vendermi simbolicamente il terreno purché io dichiari che sono a conoscenza di tale pretesa e mi assuma gli oneri legali di un contenzioso futuro. Io abito vicino al terreno in questione e so che il terreno è usato da tizio solo ed esclusivamente per realizzare del fieno una volta l'anno, mi spiacerebbe pensare che non lo possa acquistare o ricevere in donazione dai legittimi proprietari. Cosa posso fare per acquistare il terreno e difendermi da un eventuale tentativo di usucapione? In che forma potrei fare l'atto con gli eredi evitando di sancire in un atto gli accordi a escludere gli stessi da ogni forma di rivalsa? Avrei una possibilità nei confronti di tizio con un titolo di acquisto in mano oppure il terreno è destinato al primo furbo che dice di averlo curato da più di 20 anni e ancora oggi non ne ha chiesto l'usucapione per non pagarne le tasse?
Grazie”
Consulenza legale i 12/09/2016
Al fine di poter asserire di avere acquistato un terreno per usucapione non è sufficiente la semplice “parola” del soggetto che asserisce di essersi preso cura del terreno uti dominus possessio uti dominusper il tempo previsto dalla legge.

L’art. 1158 c.c. prescrive infatti il possesso continuato per venti anni; possesso che deve essere un possessio uti dominus, vale a dire, nelle qualità di un proprietario (c.d. animus possidendi). La Cassazione ha precisato che l’animus possidendi "non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui” (C. Cass., ord. 5/4/2011 n. 7757).

Ai sensi degli artt. 1487 e 1488 c.c., le parti possono modificare o escludere la prestazione della garanzia per evizione, ma il venditore, anche in caso di esclusione, sarà sempre tenuto per l'evizione derivante da un fatto suo proprio, non essendo ammesso alcun patto contrario (ma non sarebbe il caso di specie).

L'esclusione della garanzia comporta che, in caso di evizione, il compratore potrà pretendere dal venditore solo la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese, salvo che quest'ultimo vada esentato anche da tali obblighi laddove la vendita sia convenuta a rischio e pericolo del compratore.

L’acquisto “a rischio e pericolo” dell’acquirente metterebbe al sicuro solo i venditori, non sicuramente l'acquirente che potrebbe vedersi spogliato della proprietà per l'intervenuta (e poi accertata giudizialmente) usucapione del vicino.

In ogni caso, prima di procedere all’acquisto della proprietà del terreno (a qualsiasi titolo, oneroso – compravendita – o gratuito – donazione), è bene informarsi a fondo sul periodo nel quale il vicino si è sempre occupato di tale terreno. In particolare, potrebbe capitare che quest'ultimo abbia solo detenuto tale terreno (il titolo di detenzione non fa scattare l’usucapione, in assenza dell’animus possidendi) - ad esempio, perché esiste (o esisteva) un contratto di affitto agrario.


Formalmente il terreno è intestato al venditore, e certamente tutto ciò si evincerà anche dalle risultanze della Conservatoria dei Registri Immobiliari e dal Catasto fabbricati. Nessun impedimento formale, quindi, a poter rogitare l'atto notarile di compravendita.

Una volta acquistato il terreno il suggerimento è di recingerlo immediatamente, impedendo così l'acceso a qualunque soggetto.
Siffatta operazione, se fosse stata fatta dal vicino già anni addietro, avrebbe costituito una prova abbastanza solida della usucapione a suo favore. E' una buona cosa che non l'abbia fatto.
Può darsi, peraltro, che proprio posando la recinzione, il vicino decida (finalmente vien da dire) di esercitare un'azione giudiziale volta ad accertare l'intervenuta usucapione del terreno a suo favore.

Nel caso di una domanda giudiziale in tal senso, dovrà previamente essere avviato - ai sensi del D. Lgs. 28/2010 che disciplina la Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali - il c.d. tentativo di mediazione obbligatoria, (trattandosi di diritti reali, tra i quali certamente rientra il diritto di proprietà), che potrebbe portare ad una eventuale conciliazione in sede stragiudiziale (un accordo di qualche tipo con il vicino: la liquidazione di una somma di denaro a suo favore o la divisione del terreno in due lotti da attribuirsi uno per parte, o il permesso di continuare a fare fieno X volte l'anno). In realtà, inutile farne mistero, nella maggior parte dei casi il tentativo di conciliazione, più che essere vissuto come una opportunità, viene visto come un passaggio obbligato per accedere alla sentenza del giudice.
L'esito del giudizio è sicuramente incerto. Molto dipenderà dall'abilità dei legali di parte.

Quel che è certo è che tagliare l'erba non è una attività sufficiente, da sola, a fondare una usucapione.
Il vicino dovrà provare l'animus possidendi, ovvero la necessaria manifestazione del proprio dominio esclusivo sulla res (fondo) attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui.
Come detto sopra, se avesse recintato, la situazione volgerebbe decisamente a suoi favore, poiché è chiaro che recingere significa escludere il possesso altrui. Ma così non ha fatto.

Carmine V. chiede
martedì 23/06/2015 - Campania
“Dal mese di aprile 1987 risiedo, con la mia famiglia, in un appartamento esercitandone il possesso pubblico, pacifico ed ininterrotto. Tale appartamento era nelle disponibilità di un costruttore (Tizio) in forza di una scrittura privata del 1986, con la quale lo stesso si obbligava ad eseguire lavori di ristrutturazione e rifinitura sull’immobile del proprietario (Caio) e quest’ultimo, a fronte dei lavori commissionati e a titolo di corrispettivo, si obbligava a trasferire a favore del costruttore (Tizio) la proprietà di due appartamenti ubicati al secondo piano di detto fabbricato. Con atto preliminare di compravendita del 4/7/1987, stipulato tra mia madre ed il costruttore (Tizio), quest’ultimo si obbligava a trasferire a mia madre uno degli appartamenti, dichiarando nel predetto preliminare che la proprietà di detto appartamento era del costruttore (Tizio), che sullo stesso vantava un diritto di proprietà in forza della scrittura privata sopra menzionata e che l’acquirente veniva immesso nel possesso del medesimo il 28/3/1987 a cura dello stesso costruttore. La compravendita avveniva per il prezzo x e vi era incluso, altresì, un posto auto scoperto. Restava concordato tra le parti che qualsiasi onere, pregresso, attuale o futuro (tra cui il pagamento del condono edilizio e degli oneri di cui alla c.d. Legge Bucalossi) non era a carico dell’acquirente. Si dava atto nel preliminare che prima dell’atto definitivo tra il promittente acquirente ed il promittente venditore sarebbe intervenuto l’atto di trasferimento dell’appartamento sopra descritto tra il proprietario dell’immobile (Caio) ed il costruttore (Tizio). Come già detto, mia madre mi immetteva sin dal 1987 nel possesso dell’immobile sopra descritto, con il consenso e il beneplacito del proprietario (Caio) che era a conoscenza dell’atto preliminare di compravendita sopra indicato, ove stabilivo sin da allora la mia residenza e domicilio, così come comprovato dal certificato storico di residenza, nonché dalle bollette delle varie utenze e della Tarsu, tutte a me intestate. Considerato che sorsero, subito dopo l’immissione in possesso, delle divergenze tra il proprietario (Caio) ed il costruttore (Tizio) in merito a pretese di opere non eseguite e pagamenti non effettuati, ho più volte nel corso degli anni compulsato sia il costruttore (Tizio) che il proprietario (Caio) per ottenere la stipula dell’atto definitivo di compravendita, avendo io provveduto al pagamento dell’intera somma pattuita. Tali tentativi, purtroppo, sono sempre risultati infruttuosi, anche perché il proprietario (Caio) sosteneva che, non essendo avvenuto il pagamento dell’oblazione di condono e della Bucalossi, non si poteva effettuare il trasferimento dell’immobile. Sin dal 1993 e fino al 30.6.2009, comunque, ho sempre provveduto a rimborsare al proprietario (Caio) le somme da questi corrisposte per il pagamento dell’IRPEF e dell’ICI, dapprima in contanti, poi tramite assegno bancario e da ultimo, con vaglia postali (rimborsi dei quali detengo documentazione). Dopo la morte del proprietario (Caio), avvenuta nel settembre 2009, i suoi eredi, più volte compulsati, non hanno voluto procedere al trasferimento dell’immobile poiché ritenevano che il costruttore (Tizio), anch’egli deceduto, non avesse ultimato i lavori e pertanto io dovevo, in suo luogo, provvedere a sanare le pendenze, pare sorte da un’altra obbligazione intercorrente tra il costruttore ed il proprietario dell’immobile, oltre agli oneri di urbanizzazione. Inoltre, durante l’ennesimo tentativo di comporre bonariamente la vicenda, alla precisa richiesta dell’indicazione del soggetto o dei soggetti ai quali rimborsare le somme relative all’IRPEF e all’ICI dal 2009 in poi, essendo intanto intervenuto l’atto di divisione tra gli eredi del proprietario (Caio), ricevevo risposte evasive unitamente all’ennesimo rifiuto. A questo punto, ho comunicato loro che intendevo esercitare l’azione di usucapione in quanto la divisione, non essendo diretta alla contestazione diretta ed immediata, non aveva interrotto il mio possesso “ad usucapionem”, in quanto non avevo mai ricevuto nessuna contestazione o atto giudiziale diretto a rivendicare la proprietà e le pertinenze da usucapire. Messi alle strette, solo allora gli eredi mi hanno comunicato che, a far data dal 2004, non avevano più riscosso i rimborsi effettuati tramite i vaglia postali che io, in buona fede e rispettando gli accordi, avevo puntualmente continuato ad effettuare. Anzi, dato il decorso del tempo, tali vaglia si erano ormai estinti, causandomi anche un danno economico per l’impossibilità di chiederne il rimborso alle Poste. Peraltro, in quel contesto gli eredi mi hanno comunicato che se non avessi sanato le pendenze del costruttore (Tizio) (da corrispondere in contanti e senza rilascio di ricevuta!) essi si sarebbero opposti al riconoscimento dell’usucapione, inoltre avrei dovuto sottoscrivere una scrittura privata nella quale mi impegnavo a corrispondere gli eventuali oneri e spese che a qualsiasi titolo fossero state imputate all’appartamento, anche se formalmente imputate al proprietario (Caio) o ai suoi eredi!!! Da ultimo, in data 3 giugno 2015 (28 anni dopo la mia immissione in possesso!), uno degli eredi mi ha inviato una raccomandata con la quale, nella qualità di comproprietario dell’immobile, mi invitava e diffidava al rilascio dell’appartamento libero da persone e cose ed al pagamento di tutti gli importi dovuti per l’illegittima occupazione del bene. Ovviamente a questa missiva ho risposto per le rime ed affermando che occupavo l’appartamento a pieno titolo.
Tanto premesso, riassumo brevemente quanto sopra esposto:
• esercito il possesso, pubblico, pacifico ed ininterrotto dal 1987 – e cioè da oltre vent’anni - sull’immobile adibito a civile abitazione e sulle relative pertinenze e, a tutt’oggi, godo dei beni descritti in via esclusiva, esercitandovi il dominio sia diretto che utile, curando e mantenendo a mie spese l’appartamento in questione, dimostrandomi, pertanto, pubblicamente e pacificamente quale unico, vero ed esclusivo proprietario, come peraltro attestato da testimonianze (parroci dei vari periodi, postino, vicini, etc.), attività e utenze.
• ai registri immobiliari non risultano essere trascritte, nel ventennio precedente il 2007 e contro i suddetti beni, domande giudiziali volte a rivendicarne la proprietà o altri diritti reali di godimento sui beni medesimi e non ho ricevuto mai alcuna contestazione del loro possesso con azioni giudiziarie, né alcuno ha mai rivendicata la proprietà sull’immobile de quo e delle sue pertinenze.
• ho rimborsato, fino al 30.6.2009, le somme necessarie per il pagamento dell’IRPEF e dell’ICI, apprendendo solo nel 2010 che parte di esse, a far data 28 giugno 2004, benché regolarmente e puntualmente erogate, non erano state riscosse.
Alla stregua di quanto esposto, pongo i seguenti quesiti:
1) considerato che in tema di usucapione, nel rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, per cui non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, può l’interruzione della riscossione del rimborso delle somme corrisposte per il pagamento dell’IRPEF e dell’ICI operata da parte del proprietario, benché effettuata fraudolentemente, interrompere il decorso dell’usucapione?
2) nel caso di interruzione dell’usucapione, benché ottenuta nei modi sopra descritti, si può tener conto della mia buona fede nel continuare a rimborsare gli oneri - malgrado a mia insaputa la controparte non li incassasse - in un’azione legale per il riconoscimento dell’usucapione?
3) si può intentare un’azione di rivalsa sugli eredi per il recupero delle somme versate alle Poste e da loro artatamente non riscosse?
4) in merito alla richiesta di pagamento delle pendenze del costruttore (Tizio), da corrispondere agli eredi del proprietario (Caio) in contanti e senza rilascio di ricevuta, nonché la sottoscrizione di una scrittura privata “capestro”, si può prefigurare una condotta estorsiva eventualmente perseguibile penalmente?
Ringrazio e resto in attesa.”
Consulenza legale i 29/06/2015
La condotta descritta e mantenuta dal 1987 fino al 2009 sembra apparentemente rivestire i presupposti richiesti dalla legge per l'usucapione ventennale di immobili. Il comportamento dell'occupante dell'appartamento è stato in effetti assimilabile a quello del "proprietario", in quanto egli si è occupato di tutte le spese inerenti all'immobile: inoltre non si è verificata alcuna causa di interruzione della presunta usucapione. Tuttavia, l'occupazione dell'immobile non è iniziata come possesso, bensì come detenzione, poiché è avvenuta in virtù di un contratto preliminare di vendita.

La Corte di Cassazione, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, ha stabilito in maniera definitiva che “nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto, la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ.”.

Ciò significa che il promissario acquirente non può iniziare a possedere ai fini dell'eventuale usucapione, a meno che non muti il suo titolo per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore (nel nostro caso, il proprietario Caio). La causa proveniente da un terzo è qualsiasi atto di trasferimento del diritto (reale) idoneo a legittimarne il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo, compresa l'ipotesi di acquisto proveniente dal titolare solo apparente; l'opposizione del detentore contro il possessore, invece, può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e "consiste nel rendere noto al possessore, e cioè a colui per conto del quale la cosa era detenuta, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l'intenzione di tenere la cosa come propria" (Cass. civ., sez. II, 5.12.1990).

Nel caso di specie, la persona immessa nella detenzione dell'immobile - in base ai soli dati forniti nel quesito - non sembra poter vantare un titolo per la mutazione della detenzione in possesso (anche se si invita chi ha posto il quesito ad approfondire questo aspetto fondamentale), poiché sembrano mancare sia atti provenienti da terzo che opposizioni formali al possessore (questa sembra essere stata effettuata efficacemente solo contro gli eredi di Caio, ma quindi in un momento tardivo).

Di conseguenza, sembra difficile ipotizzare che l'immobile possa essere stato usucapito.

Ciò non significa che il detentore sia privo di rimedi a suo favore, né tantomeno che egli stia occupando senza titolo l'immobile. Egli, infatti, ha pagato il prezzo del bene e ha un contratto preliminare di acquisto a favore della madre (consenziente) che può essere fatto valere in giudizio. Lart. 1478 del c.c., relativo al contratto di vendita di cosa altrui (nel nostro caso Tizio ha promesso la vendita di una cosa altrui), è applicabile per analogia anche al contratto preliminare di vendita e, pertanto, il promittente venditore è tenuto a procurare l’acquisto del bene al promissario acquirente (attraverso una doppia alienazione o facendo trasferire direttamente il bene dal terzo al promissario).

Secondo una giurisprudenza che appare costante, in caso di morte del promittente venditore di un immobile dopo la stipula del contratto preliminare, gli eredi che hanno accettato l'eredità sono obbligati alla stipula del contratto definitivo, al fine di tutelare le ragioni e le legittime aspettative del promissario acquirente: “Nel quadro della liquidazione dell'eredità accettata con beneficio di inventario devono, di massima, trovare sistemazione e definizione tutti i rapporti di contenuto patrimoniale lasciati pendenti dal de cuius, all'atto della sua morte, essendo l'erede e l'eventuale curatore nominato per gestire la procedura liquidatoria, in linea di principio, tenuti, nei limiti delle disponibilità esistenti nell'asse ereditario, a far fronte ad ogni ragione vantata verso l'eredità da tutti i soggetti nei confronti dei quali il de cuius aveva in vita assunto obbligazioni. Alla stregua di tale principio non può dubitarsi dell'azionabilità nei confronti dell'eredità beneficiaria, nelle persone dell'erede e/o del curatore preposto alla relativa liquidazione, del diritto alla stipulazione di un contratto definitivo scaturito da un contratto preliminare concluso, a suo tempo, dal de cuius, non essendovi motivi validi per ravvisare esclusi dal novero degli obblighi, che l'eredità beneficiaria è tenuta ad onorare, quelli aventi il titolo nel negozio di cui agli art. 1351 e 2932 c.c.” (Cass. civ., sez. II, 30.1.1995, n. 1087)

La sentenza deve riprodurre il contenuto del contratto preliminare, quindi resterà in particolare fermo il prezzo concordato e altre eventuali condizioni (nel nostro caso, "qualsiasi onere, pregresso, attuale o futuro, tra cui il pagamento del condono edilizio e degli oneri di cui alla c.d. Legge Bucalossi", non era a carico dell’acquirente).

Il detentore dell'immobile (o meglio, formalmente, la madre) dovrebbe quindi agire nei confronti degli eredi di Tizio per ottenere che sia pronunciata la sentenza. A loro volta, gli eredi di Tizio chiameranno in giudizio gli eredi di Caio per ottenere il trasferimento coattivo dell'immobile, se sono state rispettate le condizioni del contratto preliminare tra Tizio e Caio.
Qualora non si dovesse riuscire ad ottenere il trasferimento di proprietà tra Caio e Tizio, il detentore dell'immobile potrà sempre ottenere la risoluzione del contratto (con obbligo però di restituire l'immobile) e chiedere il risarcimento del danno, che sarà certamente molto ingente, vista la situazione di incertezza protrattasi per decenni.

Per quanto riguarda il pagamento delle imposte da parte del detentore, non riscosse da Caio per alcuni anni, esso sembra costituire un pagamento effettuato in virtù di un accordo (si presume verbale) tra le parti: quindi, non sembra esservi il diritto a chiedere la restituzione. Tuttavia, la mala fede della controparte che, appositamente, ha omesso di ricevere i pagamenti, potrebbe configurarsi come inadempimento del contratto - contratto chiaramente finalizzato a far sopportare al detentore le imposte dell'immobile in attesa della sottoscrizione del contratto definitivo - e quindi come causa di risoluzione dello stesso, con diritto di chi ha versato inutilmente le somme a vedersele restituire.

Quanto all'ultimo punto del quesito, il reato di estorsione è commesso da chi, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (art. 629 del c.p.). Nel caso di specie il reato si potrebbe astrattamente configurare, visto che la minaccia contemplata dalla norma può consistere anche in un comportamento omissivo, come nell'ipotesi in cui il proprietario di un immobile rifiuti la conclusione di un contratto. Si tratta di un reato procedibile d'ufficio. La proposizione di una denuncia va, però, valutata attentamente da un penalista, che possa esaminare nel dettaglio le circostanze concrete del caso.

In conclusione, poiché la questione è (estremamente) delicata e necessita certamente di un sostanzioso approfondimento con documenti alla mano, è consigliabile rivolgersi immediatamente ad un legale per valutare con la sua assistenza quale sia l'azione più opportuna da intraprendere.

Laura P. R. chiede
venerdì 05/06/2015 - Lazio
“Nel 1979 ho acquistato un terreno, in quote millesimali con un altro acquirente. Ho scoperto dopo che questo lotto diviso in millesimi non riguardava solo noi ma altri 16 acquirenti. Sottolineo che questo acquisto era solo ed esclusivamente del terreno che non aveva nessun fabbricato. Dopo 20 anni, durante i quali ognuno ha costruito, chi più chi meno, è stata richiesta l'usucapione, ciascuno per la propria quota. Nel 2013 è stata emessa la sentenza. La sentenza è stata trasmessa anche all'agenzia delle entrate.
Ora l'agenzia delle entrate ci sta chiedendo il pagamento per la trascrizione. Ci sta chiedendo, però il pagamento sia sui terreni che su tutti gli immobili che ognuno di noi ha costruito successivamente al 1979. Non solo, ma dice che se qualcuno non dovesse pagare gli altri sono solidali, quindi dovrebbero pagare anche le quote di chi non paga.
Specifico che ognuno di noi ha costruito ed accatastato e pagato il condono edilizio.
Spero di essere stata abbastanza chiara e di ricevere una vostra cortese risposta”
Consulenza legale i 11/06/2015
L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, tanto che la sentenza che la accerta si considera avere, appunto, natura di accertamento e non natura costitutiva di un nuovo diritto.

Tuttavia, la nota II-bis dell'art. 8 della Tariffa, Parte Prima, allegata al DPR n. 131/1986 stabilisce che "i provvedimenti che accertano l'acquisto per usucapione della proprietà di beni immobili o di diritti reali di godimento sui beni medesimi sono soggetti ad imposta secondo le disposizioni dell'art. 1 della Tariffa", e cioè si applica l'imposta proporzionale di registro dettata per gli atti a titolo oneroso, e la sentenza è trattata - da questo punto di vista - come se avesse natura costitutiva.

L'Agenzia delle Entrate, di regola, basa il calcolo dell'imposta esclusivamente sul dato letterale della sentenza di usucapione, in particolare guardando a quelli che sono gli immobili elencati nel dispositivo del provvedimento. La base imponibile è data dal valore venale in comune commercio degli immobili.

Per sciogliere ogni dubbio, pertanto, si deve leggere con attenzione il testo della sentenza: quali sono gli immobili sui quali si è perfezionata l'usucapione, secondo il giudice?
Appare verosimile che il ricorso per usucapione abbia dato conto dell'esistenza di edifici sui terreni che furono acquistati nel 1979 e che di conseguenza il giudice abbia decretato come usucapiti anche i fabbricati.
Se questo fosse il caso, il calcolo effettuato dall'Agenzia delle Entrate sembrerebbe essere corretto.

Si ricordi che il fisco ammette ormai da tempo la richiesta delle agevolazioni come prima casa anche per i beni immobili acquistati per usucapione, quindi questo potrebbe essere un modo di ridurre l'imposta dovuta.

Se, invece, la sentenza, nel dispositivo, menziona esclusivamente i terreni, è possibile aprire una discussione con l'Agenzia per valutare di delimitare l'imposta agli immobili catastalmente identificati nella sentenza, e solo quelli.
Il problema resta il fatto che se si intende procedere a trascrizione dell'acquisto degli immobili in forza della sentenza di usucapione, appare logico che anche sui fabbricati l'imposta di registro debba essere versata. Diversamente, si avrebbe - senza motivo - una trascrizione esente.

Infine, si precisa che il principio della solidarietà nel pagamento dell'imposta evocato dall'ente è principio pacifico e che su questo punto nulla si può eccepire all'Agenzia delle Entrate.

Marco chiede
domenica 10/05/2015 - Lazio
“Ho ricevuto in eredità un terreno agricolo ubicato in una regione lontana da quella nella quale vivo. Non conoscendolo, mi sono recato a nella zona per vederlo di persona e mi sono accorto che qualcuno ne aveva tagliato l'erba per fare dei covoni di fieno. Il terreno di cui trattasi è di libero accesso (non recintato) e qualcuno sta approfittando della crescita di erba per farne del fieno. Ora, dal momento che vorrei vendere il citato terreno e ho già trovato un acquirente, ho cercato e individuato l'attore intervenuto negli anni (credo massimo 2 volte all'anno) per lo sfalcio dell'erba, il quale mi ha detto che erano più di 50 anni che usava il terreno in quel modo e che ne avrebbe richiesto l'usucapione. Detto questo vorrei sapere:
essendo io il proprietario (almeno dagli atti in mio possesso) posso realizzare immediatamente una recinzione che ne impedisca l'accesso "fraudolento" a questa persona? Per pretendere l'usucapione del mio terreno deve farmi causa lui e dimostrare di averlo posseduto in maniera continuativa o devo fargli causa io per cacciarlo? Ripeto, i testimoni di zona riferiscono che quel terreno è sempre stato libero (erba) che 1 o 2 volte all'anno viene tagliata per ricavarne il fieno. Nel frattempo posso vendere il terreno a un terzo in questa situazione? Io sono l'erede, ma come posso parlare per conto dei miei defunti parenti (non conoscendo alcun tipo di eventuale accordo verbale o relazioni intercorse in passato tra i soggetti, costui potrebbe inventarsi di tutto). Grazie”
Consulenza legale i 12/05/2015
L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario previsto dal codice civile (artt. 1158 e seguenti). Perché si perfezioni la fattispecie dovranno sussistere due elementi, il corpus, consistente nell’apprensione materiale del bene sotto forma di possesso ininterrotto, continuato, pacifico e non clandestino, e l'animus, ovverosia l’intenzione di comportarsi come proprietario; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà.

L'acquisto della proprietà per usucapione, per poter essere fatto valere nei confronti degli altri - compreso il proprietario del bene - deve essere accertato in una sentenza giudiziale. Ciò significa che, prima di tale provvedimento, anche se i presupposti della fattispecie si sono verificati, la nuova titolarità del bene non può essere opposta a nessuno.
Ne discende che colui che risulta proprietario di un immobile in base ai pubblici registri e ad una serie continua di trascrizioni (anche in virtù di acquisto ereditario) può comportarsi come dominus e disporre della sua cosa come meglio ritiene.

Nel caso di specie, ad esempio, nulla vieta che il proprietario del terreno provveda a recintarlo. Compete casomai al vicino provare che egli ha un qualche diritto o titolo che gli consente di accedere al fondo.

Allo stesso modo, il titolare del fondo può alienarlo ad altri. Qui, però, si inserisce una problematica, quella dell'evizione. Difatti, il venditore garantisce per legge all'acquirente la proprietà del bene compravenduto: se quest'ultimo subisce la perdita, totale o parziale, del bene, in forza del diritto preesistente di un terzo, egli ha diritto di chiedere al venditore il risarcimento del danno, a norma dell'art. 1479 (art. 1483 del c.c.).
Quindi, se colui che vanta l'usucapione ha già minacciato di esperire la relativa causa di accertamento, si profila concretamente il rischio del venditore nei confronti dell'acquirente che si veda convenire in giudizio dall'usucapente.
Certamente, prima di pensare alla vendita, sarebbe quindi preferibile che venisse chiarita la reale titolarità del terreno. Tuttavia, poiché una causa per usucapione può durare anche alcuni anni, si possono trovare soluzioni intermedie con l'acquirente, come la stipula di un contratto preliminare con immissione immediata nel possesso, in attesa del contratto definitivo, la cui firma può essere legata all'esito del giudizio di usucapione.
Va ricordato, peraltro, che la materia dei diritti reali rientra tra quelle per le quali il legislatore ha previsto la mediazione obbligatoria (v. art. 5 del D.lgs. 28 del 2010).

In ogni caso, come indicazione generale in tema di usucapione, si deve considerare che se esisteva un titolo in base al quale il vicino prelevava l'erba dal terreno (un accordo con il precedente proprietario, o la mera tolleranza di questi), l'usucapione si deve escludere: difatti, mancherebbe l'elemento dell'animus possidendi, cioè l'intenzione di tenere la cosa come propria. E in effetti lo sfalcio dell'erba per due volte l'anno appare più come una concessione del proprietario del terreno che non come un possesso del bene, tale da far scattare il meccanismo dell'usucapione.
Naturalmente, solo l'analisi dei fatti, degli eventuali documenti (es. pagamento delle imposte) e delle testimonianze può davvero far comprendere quali siano le chance di una vittoria in giudizio per il presunto usucapente.

Umberto M. chiede
mercoledì 05/11/2014 - Sardegna
“Salve volevo chiedere, nel caso in cui io sia il proprietario di un terreno, ma una piccola parte non lo detenga, ma è sempre stato nel mio fascicolo aziendale, ma lo lavori una cooperativa: questa può esercitare il diritto di usucapione ventennale? anche se non lo dichiarano nelle relative domande di aiuto. e inoltre chi della cooperativa può fisicamente esercitare il diritto di usucapione del terreno? e io cosa potrei fare se sono passati 20 anni e loro non hanno fatto l'usucapione del terreno? grazie per l'eventuale risposta.”
Consulenza legale i 10/11/2014
La proprietà dei beni immobili, e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi, si possono acquistare per usucapione in virtù del possesso continuato per venti anni (art. 1158 del c.c.).
La legge, però, pone dei requisiti molto rigidi perché ciò possa avvenire: infatti, chi invoca l'acquisto a titolo originario del diritto di proprietà sul bene immobile dovrà provare l'esistenza dei presupposti richiesti dalla legge, ovvero il possesso ed il tempo.
Il possesso, come dice l'art. 1140 del c.c., è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. I giuristi parlano di animus possidendi, inteso come manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato, attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui.
Perché il possesso possa rilevare ai fini dell'usucapione è necessario che esso sia palese e non violento (art. 1163 del c.c.).
Palese, significa "pubblico", "non clandestino", cioè avvenuto in maniera trasparente, anche se magari il proprietario non ne sia venuto a conoscenza subito (es. perché abita lontano da quel luogo); il possesso non è violento quando è stato acquisito pacificamente, senza una violenza fisica o morale nei confronti del proprietario.
Inoltre, deve trattarsi di un possesso continuo, cioè non deve essere esercitato in maniera saltuaria od occasionale.
Infine, il possesso deve essere ininterrotto per fatto del terzo o per eventi naturali: l'interruzione si verifica nel caso in cui il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno. Si suole distinguere tra interruzione naturale e civile del possesso; il primo caso si verifica quando si ha l'effettiva perdita del possesso del bene che può derivare da fatto naturale (es. un edificio distrutto da un terremoto), da atto lecito o da spoglio. Diversamente, si ha interruzione civile quando vengono compiuti atti giuridici idonei ad interrompere il termine per il compimento dell'usucapione, come la domanda giudiziale proposta dal legittimo proprietario con la quale si richieda la restituzione del bene.

Tutto ciò premesso, veniamo ora alla soluzione del caso proposto.
La prima cosa da fare è accertarsi che realmente per vent'anni la cooperativa abbia usato il terreno e lo abbia posseduto nel modo sopra descritto (cioè senza mai essere disturbata, senza pagare un affitto, senza ricevere mai una richiesta di sgombero dal terreno, etc.).
Se tutti i presupposti di legge si sono verificati e l'usucapione si è perfezionata, il proprietario, arrivati a questo punto, non potrebbe fare molto: se la cooperativa gli dovesse fare causa per far dichiarare l'acquisto del terreno per usucapione, risulterebbe certamente vittoriosa in giudizio. Se il proprietario facesse causa per primo, la cooperativa potrebbe opporre l'usucapione e il giudice dovrebbe dichiarare che la proprietà è passata alla società per usucapione ventennale pacifica e ininterrotta.
Il fatto che il terreno sia formalmente intestato al proprietario e non all'usucapente è in qualche modo "normale" e non costituisce un impedimento alla usucapione. Certamente, però, depone a favore del proprietario l'aver pagato, nel corso degli anni, le imposte relative al terreno, dimostrando così di essersi comportato come titolare del diritto di proprietà sull'immobile, a discapito di chi occupava il terreno. Tuttavia il pagamento delle imposte da parte del proprietario non si può configurare come una vera e propria interruzione dell'usucapione, ai sensi dell'art. 2943 del c.c. richiamato dall'art. 1165.
Ovviamente, l'onere di provare i fatti costitutivi dell'usucapione incombe in capo a chi sostiene di aver acquistato il terreno: si tratta di una prova difficile, ma che può essere data anche per testimoni e presunzioni.

Quanto al soggetto che può chiedere l'usucapione, anche una persona giuridica può farlo. La società cooperativa è un soggetto giuridico disciplinato dalla legge, che può "agire" mediante le persone fisiche che lo compongono: pertanto, si ritiene che essa possa essere soggetto che compie una azione di possesso diretto di un bene immobile, attraverso i suoi rappresentanti legali.

In ogni caso, nel dubbio che non sia ancora trascorso il tempo utile perché l'usucapione si perfezioni, sarà assolutamente necessario proporre azione giudiziale per interrompere il termine ventennale: non è sufficiente una mera lettera di diffida, ma è obbligatorio proporre una azione avanti il tribunale competente.

Giuseppe C. chiede
martedì 08/07/2014 - Marche
“Nel 1987 ho costruito, in adiacenza al confine del vicino, una tettoia in ferro che, poi, ho chiuso con vetrate in vetro mobili ed apribili (proteggo le cose in inverno). Il gazebo, ancorato a terra, è stato verbalmente accettato dal vicino che ha manifestato silenzio assenso. I suoi eredi, per mutate condizioni interpersonali, hanno oggi richiesto al Comune un sopralluogo che accerti l'irregolarità edilizia (nessuno, allora, chiedeva permessi per tettoie tant'è che ne esistono tantissime tutte "tollerate" salvo vicini impiccioni. Comunque sanabile) ed il rispetto delle distanze fra costruzioni. Tenuto conto del lungo tempo trascorso fra la sua erezione fino ad oggi (quasi trent'anni) è legittimo l'operato del vicino ? È utilizzabile la Sentenza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 22824/12; depositata il 12 dicembre 2012 ? Grazie”
Consulenza legale i 08/07/2014
L'usucapione del diritto a mantenere le costruzioni edificate a distanza inferiore a quella legale è ammessa dalla giurisprudenza con orientamento si può dire dominante (si vedano ad es. la citata sentenza della Cassazione n. 22824/12, ma anche la n. 4240/2010, tra le altre).
Difatti, si è ritenuto in più occasioni che la deroga al rispetto delle distante legali tra le costruzioni va a creare una vera e propria servitù, che può nascere in due modi: per accordo tra le parti o per usucapione. In questo secondo caso, è richiesto - in generale - che si realizzino i presupposti di legge, ossia l'esercizio della servitù pacifico, continuo e, ininterrotto, per tutta la durata prevista dalla legge (20 anni ex art. 1158 del c.c.).
Addirittura, con la recente sentenza della Cassazione civile, sez. II, 18.2.2013 n. 3979, si è reputato ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, in quanto il difetto della concessione edilizia non ha incidenza sui requisiti del possesso ad usucapionem.
Alla luce dell'orientamento maggioritario sopra indicato, è possibile ritenere che nel caso di specie il vicino, pur potendo sollecitare da parte del Comune un'indagine circa la regolarità della costruzione, non possa invece chiedere che la stessa venga spostata affinché siano rispettate le distanze legali, posto che chi ha eretto la tettoia ha ormai definitivamente acquisito il diritto a mantenerla dove si trova.
Peraltro, il diritto al risarcimento del danno al vicino per il mancato rispetto della distanza legale si prescrive decorso il termine quinquennale di cui all'art. 2947 del c.c., che va fatto partire dal momento in cui si perfeziona il termine ventennale utile per l’usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova (cfr. Cassazione Civile, sez. II, 30.01.1990 n. 594): quindi, nel caso di specie, appare ampiamente prescritto anche il diritto del vicino ad ottenere il ristoro di eventuali danni (tutti da dimostrare).
In conclusione, quindi, qualora il vicino intentasse un'azione legale contro chi ha costruito il manufatto, questi potrà difendersi eccependo l'usucapione dello stesso e il suo diritto a non doverlo spostare, opponendo altresì la prescrizione di qualsiasi diritto al risarcimento.

Giuseppe C. chiede
venerdì 04/04/2014
“Una particella catastale non è conforme alla superficie reale perché ricade (senza sottrarre terreno effettivo al vicino) su una porzione della particella contigua per un errore nell'originario frazionamento della particella madre: Non essendo buoni i rapporti col vicino (per questo motivo) si è tentata la correzione catastale mediante l'usucapione del frustolo di terreno errato. Il Giudice ha rigettato la domanda per "indeterminatezza della richiesta". Tutto da rifare. Tentato il "Regolamento di confine" ma i vicini si sono opposti perché i confini sono ben chiari e definiti da muri in c.a. fin dal 1975. A seguito del mutato orientamento della Corte di Cassazione abbiamo due diverse opinioni notarili: l'una dice che si può vendere il frustolo anche senza la sentenza dichiarativa del Giudice, l'altro ritiene quest'ultima indispensabile e propedeutica all'atto di vendita. Nel frattempo la particella discussa è stata sottoposta a verifica straordinaria dell'UTE e la superficie reale è stata riconosciuta conforme a quella catastale. Quesito: posso fare la vendita anche senza la sentenza di avvenuta usucapione del frustolo ? Grazie.”
Consulenza legale i 17/04/2014
Il quesito attiene alla possibilità di vendere un bene usucapito, qualora tale acquisto a titolo originario non sia stato accertato giudizialmente.
La questione è stata affrontata in diverse sedi (giurisprudenza di merito, giurisprudenza di legittimità, dottrina, fisco, ...) e l'orientamento ormai dominante sembra quello in base al quale una siffatta vendita è giuridicamente possibile e lecita.

Difatti, appare ormai pacifico l'assunto per cui l’accertamento per via giudiziale dell’intervenuta usucapione non dà luogo ad una sentenza costitutiva, bensì ad una mera sentenza di accertamento, che dichiara come esistente una situazione giuridica già perfezionatasi.
A tale conclusione è giunta la giurisprudenza di legittimità con la nota sentenza del 5 febbraio 2007, n. 2485, con cui la Cassazione ha stabilito che è legittimo alienare un bene per colui che asserisca di averlo usucapito, anche in mancanza della sentenza di accertamento dell’usucapione. Diversamente, "si verificherebbe la strana situazione per cui chi ha usucapito sarebbe proprietario, ma non potrebbe disporre validamente del bene fino a quando il suo acquisto non fosse accertato giudizialmente". Ciò costituirebbe un'inaccettabile limitazione del normale contenuto del diritto di proprietà.
D'altronde, altro principio consolidato in giurisprudenza è proprio che la trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione sia irrilevante al fine di risolvere i conflitti tra acquirenti di diritti immobiliari dallo stesso avente causa.
Non si può che aderire a tale approdo giurisprudenziale, che appare perfettamente in linea con i principi del nostro ordinamento.

Quindi, nonostante vi siano notai che rifiutano di stipulare atti di vendita di beni in relazione ai quali non sia intervenuta sentenza giudiziale, risulta incontrovertibile che una vendita di questo tipo sia perfettamente lecita e, soprattutto, giuridicamente vincolante.
Il parere negativo di alcuni notai è giustificabile solo con il timore degli stessi di incorrere in responsabilità civile verso l’acquirente in caso di evizione ottenuta dal proprietario del bene usucapito.

Va infatti ricordato che sussiste pur sempre in astratto il rischio di evizione, cioè di rivendica da parte di terzi di quel bene usucapito, anche nei confronti di chi lo ha acquistato (artt. 1483-1484 c.c.). In caso di compiuta evizione, ossia quando il terzo riesce a dimostrare il suo diritto sul bene venduto, il venditore è tenuto a restituire all’acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; inoltre, deve rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto ed è obbligato al risarcimento del danno.
Nel caso di specie, tuttavia, se l'usucapione si è perfezionata con assoluta certezza, il rischio di evizione è inconsistente. Difatti, anche supponendo che il vicino di casa, che ora non vuole giungere a miti consigli, agisca nei confronti dell'acquirente del terreno (comprendente il frustolo catastalmente incluso nella sua particella, ma in realtà intercluso nel fondo del confinante), questi potrà sempre opporgli l'avvenuta usucapione in via riconvenzionale, ottenendo che sia accertato giudizialmente l'acquisto a titolo originario del terreno da parte del suo dante causa.
Sul punto, va chiarito che la sentenza di rigetto della causa di usucapione si profila come rigetto "in rito" della domanda: ciò che non preclude la riproposizione della medesima domanda in un altro giudizio, sia in via principale che in via di eccezione riconvenzionale.
Tale circostanza dovrebbe, da un lato, rassicurare l'acquirente sulla bontà dell'acquisto che va a stipulare e, dall'altro, dimostrare al vicino l'inutilità della sua opposizione a trovare una soluzione conciliativa, visto che l'usucapione potrà sempre essere provata in qualsiasi giudizio che egli intenterà nei confronti del confinante o del futuro acquirente.

Dal punto di vista della responsabilità del notaio nella stipulazione di una vendita in assenza di sentenza che accerti l'usucapione, è possibile ravvisare una colpa in capo al professionista solo laddove non abbia adeguatamente informato le parti, soprattutto il compratore, dei rischi di una simile operazione economica. In particolare, il promissario acquirente deve essere avvertito che il notaio non ha modo di verificare la dichiarazione del venditore di essere proprietario per possesso ultraventennale continuo e pacifico del bene e che, in assenza della sentenza, si pone un problema di “rischiosità” dell’acquisto (per possibile evizione). Se l’acquirente decide di procedere, il notaio non ha potere di opporsi. A sua garanzia, il professionista potrà includere nell'atto notarile la dichiarazione che l'acquirente è consapevole del rischio. Oppure, le parti stesse possono decidere di escludere la garanzia per evizione prevedendo che, se questa si verifica, il compratore potrà pretendere dal venditore soltanto la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese, ai sensi dell'art. 1488 del c.c..

A confermare quanto detto, anche la stessa Corte di Cassazione ha stabilito non incorre in responsabilità professionale il notaio ove nell’atto venga espressamente inserita una clausola dalla quale possa desumersi che l’acquirente era comunque consapevole del rischio di evizione derivante dal mancato accertamento dell’avvenuta usucapione (Cass. 5 febbraio 2007, n. 2485, già sopra citata).

Pertanto, nel caso di specie, si ritiene di aderire alla tesi accolta dal notaio che reputa di poter stipulare la vendita anche in mancanza della sentenza accertativa dell'usucapione, poiché una tale vendita è legittima ed inoltre perché, nella fattispecie concreta, il rischio di evizione - sempre presente in astratto - sembra del tutto inconsistente.

Nera G. chiede
lunedì 15/07/2013 - Lazio
“può essere pignorato un bene su cui esiste sentenza di usucapione ma ancora non è stata disposta la trascrizione al catasto?
Inoltre posso far valere il possesso pacifico di terreni e immobili ultra ventennale ai fini dell'usucapione anche se su tali immobili proprio in questi giorni una banca ne ha pignorato un terzo intestato a mio fratello mentre gli altri due terzi dei beni sono intestati a me di cui effettivamente ne ho il possesso?”
Consulenza legale i 24/07/2013
Il pignoramento immobiliare chiesto contro il debitore che risulta catastalmente proprietario del bene può essere sempre opposto da colui che abbia acquistato la proprietà dell'immobile per usucapione (art. 619 del c.p.c.). Sul punto esiste una consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione e anche della Corte costituzionale ("In tema di opposizione di terzo ad esecuzione immobiliare, la norma dell'art. 619 c.p.c. legittima il terzo a far valere la proprietà o altro diritto reale sul bene pignorato senza esigere che tali situazioni siano state giudizialmente accertate, con la conseguenza che lo stesso terzo le può far ben valere rispetto ad un bene che assuma di aver già acquistato al momento dell'opposizione per effetto di usucapione, non incidendo, a sua volta, su tale acquisto l'esecuzione del pignoramento immobiliare e potendo, quindi, il termine ventennale utile a consolidarlo venire a maturazione anche successivamente al pignoramento medesimo", Cassazione civile , sez. III, 30 dicembre 2009, n. 27668; "È manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza, la q.l.c. degli art. 2909 c.c., nella parte in cui consente di ritenere il giudicato formatosi tra l'acquirente per usucapione e il precedente proprietario opponibile nei confronti del creditore ipotecario e pignorante di quest'ultimo, e 619 c.p.c., nella parte in cui consente al terzo proprietario del bene pignorato di far valere, dopo il pignoramento, il diritto reale incompatibile con l'espropriazione forzata anche al di fuori dell'opposizione dall'esecuzione, in riferimento agli art. 3 e 24 cost." Corte costituzionale, 19 giugno 2000, n. 219).
La ragione di tale prevalenza sta nel fatto che l'usucapione è una modalità di acquisto della proprietà a titolo originario e può quindi essere fatta valere anche se non risulta trascritta la sentenza che ne attesta il perfezionamento (si tratta di sentenza di mero accertamento, con natura dichiarativa e non costitutiva, v. Cassazione, 19 marzo 2008, n. 12609).

Per quanto riguarda l'usucapione di un terzo dell'immobile del fratello, attualmente pignorato dalla banca, vale quanto detto sopra: l'usucapione può essere fatta valere contro il pignoramento, anche se sarà comunque necessario avviare un giudizio civile ordinario volto all'accertamento dell'acquisto della proprietà. In generale, in tema di usucapione della quota di un bene indiviso, la giurisprudenza ammette che il partecipante alla comunione possa usucapire l'altrui quota indivisa della cosa comune "soltanto allorché il comportamento materiale - continuo ed ininterrotto - attuato sulla res sia accompagnato dall'intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché - in materia di usucapione di beni oggetto di comunione - il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un'attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo" (v. la recente sentenza 2213/2012 del Tribunale di Padova).

Monica D. chiede
mercoledì 06/02/2013 - Lombardia
“Buonasera,
desidero porre il seguente quesito.
Una parte della nostra proprietà, corrispondente a 2 locali di circa 50 mq, è stata utilizzata da oltre 50 anni da mio suocero, utilizzato proseguito da oltre 20 anni da mio marito (costituisce parte delle nostra abitazione). Noi non abbiamo problema a produrre prove e testimoni per ottenere la sentenza di usucapione, ma mentre i 9/12 della proprietà sono intestati a una persona vivente, i restanti 3/12 sono rimasti intestati a persona deceduta nel 1973, quindi oltre 30 anni fa senza apertura di alcuna successione. Decaduto, dopo 10 anni, il diritto alla successione dei potenziali eredi, i beni teoricamente dovrebbero appartenere allo stato.
Come è possibile usucapire questa frazione apparentemente "a nessuno", ma probabilmente allo stato? Esistono sentenze di riferimento con casi analoghi?
Vi ringrazio per la risposta e distintamente saluto.”
Consulenza legale i 07/02/2013
Il caso attiene alla possibilità di usucapire un bene che sia entrato nel patrimonio dello Stato per successione cd. necessaria. L'art. 586 del c.c., infatti, prevede che l'eredità venga devoluta allo Stato, che non ha bisogno di accettarla né può rinunziarvi, laddove manchino altri successibili.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di occuparsi della questione di recente. La seconda sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto, vista l'importanza della questione, di dover formulare il seguente principio di diritto:
"In tema di usucapione di beni immobili, nel caso di acquisto di beni pervenuti, allo Stato, ex art. 586 c.c., a titolo di eredità, ai sensi dell'art. 1163 del c.c., nel testo anteriore alla modifica di cui alla L. n. 296 del 2007, art. 1, comma 260 la mancata conoscenza da parte dell'Amministrazione dell'intervenuto acquisto non impedisce il decorso del termine utile per l'usucapione del diritto da parte del terzo, dovendo escludersi in tal caso la natura clandestina del possesso continuato per venti anni esercitato pubblicamente e pacificamente" (Cass. civ. Sez. II, Sent., 26 gennaio 2010, n. 1549).
In riferimento a tale principio, si precisa che la legge n. 296 del 2007, art. 1, comma 260 (Legge Finanziaria 2007), ha introdotto una disposizione, in vigore dal 1 gennaio 2007, secondo la quale il possesso di un bene dello Stato si considera "clandestino" sino a quando il possessore non adempia all'onere di comunicazione del suo potere di fatto sulla cosa (precisamente, la norma recita: "al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell'art. 1163 c.c. sino a quando il terzo esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale non notifichi all'Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacenti"). Se il possesso risultasse clandestino, come noto, non potrebbe perfezionarsi l'usucapione.
Poiché nel caso in esame l'usucapione si è senza dubbio perfezionata ben prima del 1 gennaio 2007, si deve ritenere applicabile il principio sopra indicato formulato dalla Cassazione e pertanto sarà possibile esperire azione di accertamento dell'usucapione anche in relazione alla quota di bene che cadde in successione nel 1973 e venne devoluto allo Stato (sussistendone, naturalmente, anche tutti gli altri requisiti di legge).

Ronaldo chiede
giovedì 18/10/2012 - Emilia-Romagna
“Buongiorno. Sono proprietario di una casa, dentro la quale (purtroppo) risiede un mio parente a nessun titolo. (Non è in affitto, non ha diritto ad usufrutto... ma ha la residenza ormai da 30 anni in quanto ci viveva con mia suocera la quale aveva diritto ad usufrutto fino che era in vita. Mia suocera è morta ormai da un anno, ma questo parente non vuole liberare l'appartamento. Prima di tutto le chiedo che diritti ha e/o come posso "sbatterlo fuori", ma soprattutto chi deve pagare l'IMU (che per me sarebbe seconda casa)? Grazie dell'aiuto”
Consulenza legale i 18/10/2012

Il nostro ordinamento disciplina i casi in cui un bene si trovi ad avere un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al protrarsi di questa situazione la legge ricollega una specifica conseguenza: il proprietario perde il diritto di proprietà sulla cosa e il possessore lo acquista. Si tratta in tal caso dell'usucapione, prevista e disciplinata dall'art. 1158 del c.c., il quale prevede che l'usucapione sia il modo di acquisizione della proprietà a seguito del possesso pacifico, non violento e ininterrotto di un bene immobile o mobile per un periodo temporale di almeno 20 anni. Trascorso questo periodo il giudice adito accerta l'intervenuta usucapione, l'effettivo possesso del bene e decreta il passaggio della proprietà.

Per avere usucapione è irrilevante che il possesso sia di buona o male fede. Questa circostanza può influire solo sulla durata del possesso necessario per l'usucapione. Occorre, però, che il possesso sia goduto alla luce del sole. Se il possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino il tempo per usucapire comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità.

Qualora sussistessero tutti i requisiti suesposti, il diritto di proprietà sarebbe acquisito per usucapione. In assenza, però, di una sentenza che dichiari l'intervenuta usucapione, il pagamento dell'IMU spetterebbe ancora al proprietario. Appare tuttavia evidente che, qualora l'IMU venisse pagata direttamente dal parente possessore dell'immobile, questo andrebbe a sostegno dell'usucapione e ne agevolerebbe la prova in sede di giudizio.


RICCARDO chiede
venerdì 10/06/2011 - Puglia
“Risiedo dal 1989 in un’abitazione costituita dall’unione di due appartamenti che dal 1986 risultano consegnati da una cooperativa edilizia privata uno a mia moglie e uno a mia suocera (subentrata alla morte di mio suocero). Il mutuo bancario di entrambi gli alloggi risulta estinto. Le consegnatarie hanno più volte richiesto alla cooperativa la stipula davanti al notaio dell’atto di compravendita degli appartamenti.
In maniera arbitraria la cooperativa ha prima escluso entrambe le consegnatarie dai soci e poi, nonostante l’estinzione del mutuo, ha chiesto il rilascio degli alloggi ad entrambe. Il sottoscritto, che non è socio e non lo è mai stato della Cooperativa, dal 1989 paga il tributo al Comune per la spazzatura e tutte le utenze elettriche, telefoniche, il canone RAI-TV, mentre l’ICI è corrisposta dalla moglie e dalla suocera. Desidero sapere se ci sono gli estremi per chiedere da parte mia l’usucapione dell’abitazione poiché da circa 22 anni mi comporto da proprietario.”
Consulenza legale i 10/06/2011

Si precisa che affinché possa dirsi compiuta l'usucapione su un bene immobile è necessario non solo che l'usucapente lo abbia posseduto per vent'anni in maniera continua, non interrotta, pacifica e pubblica, ma egli deve anche aver esercitato il potere di fatto sulla cosa uti dominus, ossia comportandosi come proprietario esclusivo della medesima.

Cionondimeno, anche nell’ipotesi di assegnazione degli alloggi, come ne caso di specie, sembra ammissibile l’esercizio della domanda di esecuzione specifica del trasferimento di alloggio prenotato in cooperativa ex art. 2932 del c.c..
Si legge infatti nella sentenza della Cassazione Civile, Sezione III, del 15 febbraio 2006, n. 3279, “La domanda di esecuzione specifica, ai sensi dell’articolo 2932 del c.c., può essere proposta anche nei confronti di una società cooperativa che abbia come oggetto sociale la costruzione di alloggi da assegnare ai soci, di fronte al rifiuto della società di prestarsi all’atto traslativo dell’immobile al socio assegnatario. Il suo accoglimento, tuttavia, è condizionato al compiersi della fattispecie complessa e progressiva, che prevede, oltre all’assunzione, da parte della società, dell’obbligo a prestare il proprio consenso al trasferimento e l’effettuazione della prenotazione dell’alloggio, la realizzazione, altresì, dei presupposti concreti, previsti dalla legge e dall’atto costitutivo della cooperativa per tale assegnazione, consistenti, oltre che nell’individuazione del bene, nella definizione precisa e non contestata del relativo corrispettivo a carico di ciascun socio, così da rendere legittimo, e quindi dovuto, il successivo atto traslativo del diritto di proprietà individuale”.


Matteo chiede
lunedì 30/05/2011 - Veneto

“Volevo chiedere, se io e la mia famiglia trovassimo un immobile abbandonato, e ne prendessimo possesso, pagando le bollette di luce acqua e gas, regolarmente, e ristrutturandolo quel tanto per poterci vivere, posso usare la legge dell'usucapione?
Grazie, e saluto cordialmente.”

Consulenza legale i 03/06/2011

Affinché possa dirsi compiuta l'usucapione su un bene immobile è necessario che l'usucapente lo abbia posseduto per vent'anni in maniera continua, non interrotta, pacifica e pubblica; egli deve aver esercitato il potere di fatto sulla cosa uti dominus, ossia comportandosi come proprietario esclusivo della medesima.

Nel caso di specie, non viene fornita alcuna informazione circa la durata del possesso che si è già realizzato, ma si ricorda che perché l'usucapione si perfezioni tutti i requisiti devono sussistere nella fattispecie concreta. In particolare, il mero pagamento delle utenze domestiche non è di per sé sufficiente a dimostrare l'animus possidendi dell'usucapente o la pubblicità del possesso.

Infine, per poter essere efficacemente dichiarato proprietario dell’immobile, e risultare tale anche presso la locale Conservatoria dei Registri Immobiliari, chi afferma di averlo usucapito deve agire in giudizio dando la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e ottenere una sentenza favorevole che dichiari, accertandolo, il suo diritto di proprietà. Trattasi quindi di una sentenza dichiarativa e non costitutiva. L’usucapione, infatti, è un modo di acquisto della proprietà “a titolo originario”. Chi usucapisce, se ha rispettato le condizioni richieste dalle legge (possesso pacifico e non interrotto uti dominus) diviene automaticamente proprietario allo scadere del ventesimo anno, senza bisogno di atti pubblici. Con un effetto retroattivo: è come se ne fosse stato proprietario da sempre, o meglio dal momento in cui ha iniziato a comportarsi da padrone. L’acquisto si trasmette anche al coniuge in comunione di beni.
La sentenza serve perché occorre un documento, un titolo, da presentare al conservatore dei registri immobiliari per la trascrizione.

La Cassazione ha chiarito (sentenza 8792/2000) che l’usucapione estingue le ipoteche iscritte o rinnovate a nome del precedente proprietario, poiché ha efficacia retroattiva.

Dal punto di vista pratico, l’usucapione, talvolta, finisce per avere effetti “di sanatoria” rispetto a innumerevoli atti illegittimi. Per esempio, una donazione nulla (Cassazione 11203/1995), un’accettazione di donazione senza la necessaria autorizzazione da parte di un Ente benefico (Cassazione 815 e 9632 del 1999), l’imposizione irregolare di una servitù da parte di un ente pubblico (che, in questo caso, non dovrà neppure versare l’indennità prescritta, secondo la sentenza n. 3153/1998 della Cassazione).


Carola chiede
domenica 03/04/2011 - Sardegna

“Salve,
ho notato in un piccolo paesaggio rurale, una piccola casa abbandonata, senza porte e con finestre quasi completamente chiuse da mattoni. La casa è abbandonata da 10 anni, i padroni non si vedono ormai da tanti anni e sicuramente non ne vogliono più sapere nulla visto che l'hanno abbandonata li senza chiudere il cancello del terreno e lasciandola incustodita per così tanto tempo. Posso andare a viverci, migliorarla e renderla mia? So che l'articolo sull'usucapione del codice civile dice che devi occupare un immobile per 20 anni, è già abbandonata da 10 anni e facendo il conto dovrei solamente starci 10 anni? Fatemi sapere, grazie mille.
Colgo l'occasione per porgervi i miei più sentiti saluti.”

Consulenza legale i 04/04/2011

Si precisa che ai fini del perfezionamento della fattispecie acquisitiva dell’usucapione non è sufficiente la mera inerzia nell’esercizio del diritto di proprietà da parte del titolare. Questa, deve essere parallelamente accompagnata dal possesso del bene da parte di un terzo che lo abbia trattato come se fosse di sua proprietà, per tutto il tempo richiesto dalle legge o eventualmente anche per una porzione soltanto, con la possibilità di unire al proprio, il tempo di possesso del suo dante causa o del suo de cuius.

Al limite, di fronte ad un oggetto ormai inservibile rispetto alla sua funzione originaria, dismesso o destinato a essere dismesso da colui che lo detiene, potrebbe parlarsi di una res derelicta, disponibile cioè all'apprensione di chiunque, che si acquista con l’occupazione (art. 923 del c.c.). Tuttavia, questo modo di acquisto della proprietà non si applica ai beni immobili che, se abbandonati, entrano automaticamente a far parte del patrimonio dello Stato (disciplina degli immobili vacanti ex art. 827 del c.c.). Si consiglia, pertanto, di verificare che tale procedimento di acquisizione, non sia già in atto, prima di procedere all'insediamento.


Franco chiede
martedì 01/03/2011 - Campania

Salve,
sono 22 anni che vivo in una casa dove non si sa chi sia il proprietario e sono 22 anni che pago puntualmente luce e acqua con relativa certificazione di residenza. Ora vorrei sapere se sono diventato proprietario e, in caso affermativo, cosa dovrei fare?”

Consulenza legale i 02/03/2011

Nella fattispecie descritta sembra essersi compiutamente realizzata l’usucapione del bene.

Per poter essere dichiarato proprietario dell’immobile, chi afferma di averlo usucapito deve agire in giudizio dando la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva. Si dovranno, pertanto, provare il “corpus”, consistente nell’apprensione materiale del bene sotto forma di possesso ininterrotto, continuato, pacifico e non clandestino, ed anche “l'animus”, ovverosia l’intenzione di comportarsi come proprietario; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà. Sarà, dunque, necessario produrre tutti i documenti contabili, le bollette, ogni quietanza di pagamento, cioè prove di atti che attestino l’intento di utilizzare il bene come proprietario. Sarà utile anche la testimonianza orale di parenti e persone vicine che possano riferire come nel periodo di tempo indicato si sia realizzato il possessio uti dominus. È d’uopo una precisazione: l’atto di citazione che il legale di fiducia redigerà dovrà essere diretto nei confronti del proprietario (o dei suoi eredi o aventi causa); qualora essi risultino assolutamente sconosciuti, dovrà farsi luogo alla notificazione per pubblici proclami ex art. 150 del c.c..


Francesca G. chiede
lunedì 24/01/2011

“Buongiorno,
durante gli anni (7) di pignoramento di un immobile e relativo terreno di pertinenza da parte del tribunale, è sussistito secondo la legge il possesso sul bene ai fini dell'usucapione?
Grazie!”

Consulenza legale i 28/01/2011

La procedura esecutiva intrapresa dai creditori dell’intestatario del bene non ha effetto interruttivo del termine per maturare l’usucapione perché è principio consolidato in giurisprudenza che il rinvio dell'art. 1165 del c.c. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a quelle relative alle cause di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell'usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali, siccome diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (Cass., 18 ottobre 2004, n. 20397; Cass., 7 settembre 2004, n. 18004; Cass., 19 giugno 2003, n. 9845; Cass., 23 novembre 2001, n. 14917, in Riv. giur. edil. 2002, I, 586).


Massimo chiede
lunedì 10/01/2011

“Salve, sono possessore di un piccolo locale ad uso deposito da circa 30 anni con allaccio enel a mio nome, vorrei sapere se ci siano gli estremi per far valere il diritto di usucapione. Grazie”

Consulenza legale i 10/01/2011

Affinché si possa dire compiuta l'usucapione su un bene immobile è necessario che l'usucapente lo abbia posseduto per vent'anni in maniera continua, non interrotta, pacifica e pubblica; nondimeno, egli deve aver esercitato il potere di fatto sulla cosa uti dominus, ossia comportandosi come proprietario esclusivo della medesima.

Nel caso di specie, stante la sussistenza del requisito temporale (30 anni), l'usucapione potrebbe essersi perfezionata. Andrà verificato se anche tutti gli altri requisiti sussistano nella fattispecie concreta. In particolare, il mero pagamento del servizio di energia elettrica non è di per sé sufficiente a dimostrare l'animus possidendi dell'usucapente o la pubblicità del possesso: ad esempio, il conduttore di un immobile non è possessore, bensì detentore, eppure accade nella prassi che lo stesso concluda un contratto con Enel per la fornitura del servizio elettrico presso l'abitazione presa in locazione.


Claudio chiede
domenica 02/01/2011

“Da 22 anni mantengo un terreno con annesso box, con fornitura luce e acqua, bollette pagate dal proprietario del terreno. Posso chiedere l'usucapione?”

Consulenza legale i 19/01/2011

Si ritiene che l'usucapiente acquisti il diritto in maniera automatica, per effetto della semplice congiunzione tra possesso e decorso del tempo ed al di fuori di qualsivoglia nesso con la situazione giuridica del precedente titolare, la quale si estingue o risulta limitata solo di riflesso.
Il possesso richiesto ai fini dell'usucapione, oltre alla continuazione per venti anni, è un possesso continuo, non interrotto, e non viziato da violenza o clandestinità. Possesso continuo non significa un possesso esercitato mediante un'ingerenza assidua sul bene: necessaria è piuttosto una situazione in cui il possessore conservi la possibilità di esperire, quando lo voglia, atti di signoria relativamente alla cosa (così anche Cass. 80/1300).
Usucapibili sono tutti i beni, mobili ed immobili, che possono formare oggetto di proprietà o di altro diritto reale. E quando poi si chieda quali siano i beni su cui si può appuntare un diritto reale, sembra corretto rispondere che essi si identificano con le sole res corporales, intese come parti o porzioni della materia. Sussistendo tali requisiti il bene posseduto da 22 anni potrà essere usucapito.


Luciano L. chiede
lunedì 01/11/2010
“Abito con la mia famiglia in una casa, con annesso terreno che coltivo ad orto e giardino, da oltre 20 anni in modo ininterrotto e palese, senza mai pagare nessuna pigione né ICI. So che i suddetti immobili sono passati recentemente dalla proprietà di una società ad un'altra (pro forma). Vorrei sapere se esistono i presupposti per usufruire dell'usucapione sui beni suddetti. Grazie e distinti saluti.”
Consulenza legale i 03/11/2010

Secondo l'opinione comune l'usucapiente acquista il diritto in maniera automatica, per effetto della semplice congiunzione tra possesso e decorso del tempo ed al di fuori di qualsivoglia nesso con la situazione giuridica del precedente titolare, la quale si estingue o risulta limitata solo di riflesso; di conseguenza non trovano applicazione i due principi che comunemente si ritengono caratterizzare i modi di acquisto derivativi, e cioè il principio nemo plus iuris e l'altro secondo cui resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis.

Il dies a quo del termine per l'usucapione si fissa in relazione al momento in cui è acquistato il potere di fatto sulla cosa con tutti i requisiti del possesso ad usucapionem.

La continuità e l'interruzione sono da considerare in modo congiunto, quali concetti correlati. La continuità del possesso consiste nella permanente manifestazione della signoria sulla cosa (a prescindere dalla volontà contraria del proprietario). Nel caso di specie, avendo posseduto l'immobile in maniera ininterrotta e palese, sussistono i requisiti per l'acquisto della proprietà per usucapione, fermo restando l'interesse per l'acquirente ad ottenere una sentenza di accertamento del proprio diritto.


F. R. chiede
giovedì 14/03/2024
“Buonasera.
Il problema è che una assemblea condominiale del 2016 ha concesso IN COMODATO D'USO A DUE CONDOMINI DEL PIANO TERRA IL GIARDINO CONDOMINIALE, A PATTO CHE ESSEI PROCEDESSERO ALLA MANUTENZIONE E POTATURA DEI 4 ALBERI CHE CVI SUSSISTONO, MA CON SPECIFICA SCDENZA DOPO 2 ANNI.
in una successiva assemblea del 2022 si menziona il fatto (senza specificare chi ha votato a favore e chi no) che dal momento di questa assemblea 'CONSIDERA INTERROTTO IL PERIODO DAL QUALE CONSIDERARE IL DECORSO PER L'USUFRUTTO' (cosa significa?)
vorrei anche la composizione dei partecipanti con relativi millesimi, visto che il punto 3 non è approvato all'unanimità.

Cosa dice l'articolo 1136 del codice civile?


Quando la delibera è valida?
La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.

Inoltre si è fatta confusione TRA LE DUE COSE... IN SEDE DI ASSEMBLEA 2016 si è concesso il diritto di comodato gratuito e NON l'usufrutto.. che deve avere una forma scritta come un vero e proprio contratto. Riporto per l'ennesima volta quel verbale: dove si parla di comodato d'uso temporaneo in cambio della manutenzione del verde ivi contenuto. La invito a venire a vedere i due elci del giardino concesso se sono stati manutenuti o meno disattendendo quindi completamente il patto sottoscritto !


Le chiedo quindi il dettaglio di chi ha votato a favore di tale 'confusione' in modo da poter presentare il tutto ad un Avvocato.

Grazi (estratto della mail inviata all'amministratore)

mi riservo di produrre i verbali assemblee per ottenere un giudizio da parte vostra. cordiali saluti

Consulenza legale i 22/03/2024
In effetti è necessario fare un po' di chiarezza. L’usucapione è un modo di acquisto del diritto di proprietà a titolo originario, in forza del quale un soggetto acquista la proprietà di un determinato bene immobile quando lo possiede in modo pacifico e non clandestino per un periodo prestabilito dalla legge, il quale, come dispone l’art. 1158 del c.c., è solitamente pari a 20 anni. Esemplificando molto le cose, si può dire che ai sensi dell’art. 1140 del c.c. si possiede un bene immobile quando ci si comporta nei suoi confronti come se si fosse proprietari, pur non avendo alcun titolo che ci attribuisca ufficialmente la proprietà di quel bene, come, ad esempio, un rogito notarile. L’ usufrutto però non può essere concesso da qualcuno: esso si realizza automaticamente per il semplice decorso del periodo indicato dalla legge.

Il comodato è un contratto previsto dal codice civile agli artt. 1803 e ss. del c.c., il quale ha la stessa dignità di qualsiasi altro contratto. Con esso, una parte (solitamente il proprietario) consegna ad un'altra detta comodataria un bene immobile affinché se ne serva per un tempo prestabilito. Il contratto di comodato è solitamente gratuito, diversamente si avrebbe un contratto di locazione.
Il comodatario non può mai usucapire il bene immobile che gli è stato concesso in uso: questo per il semplice motivo che l’esistenza di un comodato fa sì che il comodatario nell’ usare il bene oggetto del contratto riconosca implicitamente la proprietà del comodante.

È sicuramente possibile per i condomini concedere in comodato ad un singolo proprietario (o anche in teoria ad un estraneo) l’uso di un determinato bene comune, a condizione che tale delibera sia adottata con l’unanimità dei consensi. L’art. art. 1103 del c.c. del c.c. dispone che ciascun partecipante alla comunione può cedere a terzi il godimento della cosa comune nei limiti della sua quota: per tale motivo se i condomini desiderano dare interamente l’utilizzo di un bene comune in comodato è necessario che l’unanimità dei proprietari si esprima in tal senso in assemblea, o anche firmando direttamente il contratto di comodato medesimo, se si vuole dare ad esso la forma scritta.

È quasi improbabile che questo sia avvenuto nel caso descritto: pertanto, con ogni probabilità quanto deliberato nel 2016 è invalido, tuttavia, anche se priva di valore, l’esistenza di tale delibera impedisce che chi sta utilizzando il giardino condominiale possa sostenere di averlo in qualche modo usucapito, anche perché il periodo di possesso ventennale previsto dall’art. 1158 del c.c. non è ancora decorso nella sua interezza. Ovviamente il condominio, se lo desidera, ha anche pieno titolo per pretendere che l’occupante restituisca il giardino alla collettività dei proprietari.


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