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Articolo 1112 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Cose non soggette a divisione

Dispositivo dell'art. 1112 Codice Civile

Lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate(1).

Note

(1) L'articolo non fa riferimento alle cose indivisibili (posto che anche per esse è possibile chiedere lo scioglimento della comunione), ma solo alle cose la cui divisione implicherebbe la cessazione dell'uso cui sono destinate. Ciò si ha quando:
- la cosa sia utile solo in relazione ad altre cose e non in se stessa (es. scale comuni nel condominio di case);
- la cosa fornisca utilità personali ai soli comunisti e non avrebbe alcun valore per un estraneo (es. una raccolta di documenti familiari).

Ratio Legis

La disposizione rappresenta un limite eccezionale al più generale principio della divisibilità della cosa comune (v. art. 1111 del c.c.).
L'indivisibilità della stessa assume importanza esclusivamente al momento della divisione; con essa cessa, infatti, la possibilità di servirsi della cosa comune per l'utilizzo cui è deputata.

Brocardi

Res quae sine interitu vel sine damno dividi possunt

Spiegazione dell'art. 1112 Codice Civile

Cose comuni indivisibili

Per quanto le parti possano di pieno accordo derogarvi è naturale che lo scioglimento della comunione non possa essere chiesto quando si tratta di cose che divise cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate.

Si disputa, però, se tale divieto si riferisca all'indivisibilità soltanto per la destinazione della cosa, conforme alla sua intrinseca natura, oppure anche per l'uso, cui i partecipanti d'accordo hanno destinata la cosa. Per la tesi più larga si è pronunciata la Cassazione, purché la destinazione data alla cosa dalla volontà dei condomini abbia carattere oggettivo e sia permanente e non contingente.

L' indivisibilità, non è, però, da confondere con la comoda divisibilità per una equiparazione della mancanza della seconda alla prima.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

521 L'art. 1111 del c.c., primo comma, pone una limitazione al diritto di ciascun partecipante di chiedere lo scioglimento della comunione, attribuendo all'autorità giudiziaria il potere di stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l'immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri partecipanti. Disposizione analoga è inserita in tema di divisione ereditaria (art. 717 del c.c.). Si è poi chiarito (art. 1111, secondo comma) che il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti, e che, se è stipulato per un termine maggiore, si riduce al termine anzidetto. In conformità del codice del 1865 (art. 681, terzo comma), lo scioglimento della comunione può essere ordinato dall'autorità giudiziaria prima del tempo convenuto, se gravi circostanze lo richiedono (art. 1111, terzo comma). E' del pari riprodotta (art. 1112 del c.c.) la norma dell'art. 683 del codice precedente, che vieta di chiedere lo scioglimento della comunione quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate.

Massime relative all'art. 1112 Codice Civile

Cass. civ. n. 4014/2020

In tema di divisione di beni comuni, gli artt. 1119 e 1112 c.c. hanno una "ratio" diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor "favor" del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell'unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un'eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall'art. 1111 c.c., tutela la destinazione d'uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l'idoneità all'uso cui è stato destinato.

Cass. civ. n. 2983/2019

Al fine di stabilire la divisibilità o meno di un'area comune a due fabbricati appartenenti a diversi proprietari e destinata all'accesso ai fabbricati stessi in due porzioni distinte da attribuire in proprietà esclusiva a ciascuna delle parti, il giudice del merito deve tenere conto della diminuzione del valore complessivo dell'area a seguito della divisione, nonché degli effetti di tale divisione sulla efficienza, funzionalità e comodità dell'accesso ai fabbricati, non potendosi mai imporre a carico di uno o di entrambi i condividenti l'obbligo di procedere a modifiche o variazioni della consistenza, ubicazione o conformazione dei fabbricati in esame, trattandosi di beni non compresi (ed insuscettibili di essere attratti) nell'oggetto della divisione, circoscritta alla sola area comune, che non può incidere sulla struttura dei menzionati fabbricati né comportare l'imposizione di oneri o limitazioni al contenuto dei diritti precedentemente esercitati o comunque spettanti sui medesimi.

Cass. civ. n. 5261/2011

In tema di scioglimento della comunione, la disposizione dell'art. 1111, secondo comma, c.c. - in base alla quale il patto di rimanere in comunione non può, comunque, avere una durata superiore ai dieci anni - benché sia analogicamente applicabile anche alle disposizioni testamentarie a titolo particolare, trova un limite implicito nella regola dettata dal successivo art. 1112 c.c., secondo cui lo scioglimento non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso cui sono destinate; l'accertamento in fatto sulla concreta divisibilità del bene è devoluto all'esame del giudice di merito.

Cass. civ. n. 7274/2006

In tema di scioglimento della comunione, la disposizione di cui all'art. 1112 c.c., che stabilisce l'indivisibilità del bene nel caso in cui la sua assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei condividendi ne comporti la cessazione dall'uso cui esso è destinato, trova applicazione esclusivamente nel caso in cui allo scioglimento della comunione si pervenga per via giudiziale, in quanto, nello scioglimento convenzionale, il potere dei comproprietari di addivenire allo scioglimento e di disporre dei beni implica anche il potere di mutarne l'uso e la destinazione originaria, sicché la possibilità di divisione del bene non trova altri impedimenti se non quelli derivanti da ragioni fisiche o da vincoli posti da leggi speciali.

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