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Articolo 1038 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Indennità per l'imposizione della servitù

Dispositivo dell'art. 1038 Codice Civile

Prima d'imprendere la costruzione dell'acquedotto, chi vuol condurre acqua per il fondo altrui deve pagare il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare, senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti al fondo, oltre l'indennità per i danni, ivi compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento [1032 comma 3, 1039] del fondo da intersecare(1)(2).

Per i terreni, però, che sono occupati soltanto per il deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo non si deve pagare che la metà del valore del suolo, e sempre senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti; ma nei terreni medesimi il proprietario del fondo servente può fare piantagioni e rimuovere e trasportare le materie ammucchiate, purché tutto segua senza danno dell'acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione.

Note

(1) L'obbligo di versare l'indennità deriva dalla sentenza che ha stabilito il venire in essere della servitù di acquedotto coattivo e, al contempo, rappresenta un onere al fine di esercitare la servitù medesima.
(2) Il titolare del fondo dominante, oltre a versare il valore dei terreni da occupare, deve pagare un'indennità atta a bilanciare il sacrificio che il proprietario del fondo servente viene a subire al momento della realizzazione dell'acquedotto.
In essa non sono compresi i danni futuri, passibili di misurazione volta per volta.
Se la costituzione della servitù riguarda un tempo fino ai nove anni (art. 1039 del c.c.), l'indennità spettante al proprietario del fondo dominante corrisponde alla metà di quanto previsto per quella ultranovennale o perpetua ed è accompagnata, dall'obbligo, una volta scaduto il termine, di restituire il suolo occupato e quello circostante nelle stesse condizioni in cui era precedentemente alla costituzione della servitù.

Ratio Legis

La norma si applica sia alla servitù di acquedotto temporanea per la quale sia stata pattuita una durata ultranovennale, sia alla servitù perpetua.

Spiegazione dell'art. 1038 Codice Civile

Pagamento dell'indennità

Conformemente alla norma generale posta per tutte le servitù coattive (art. 1032 del c.c.), secondo cui prima del pagamento dell'indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all'esercizio della servitù, nella disposizione che prendiamo in esame è stabilito che il pagamento dell'indennità deve avvenire prima che si imprenda la costruzione dell'acquedotto. Tale costruzione, rappresenta, infatti, il primo atto di esercizio della servita di acquedotto: il pati del proprietario del fondo servente ha, appunto, per contenuto il dover subire la costruzione dell'acquedotto, e poi l'insistenza di questo sul suolo ed il decorso delle acque attraverso il medesimo.


Ammontare

Quanto all'ammontare dell'indennità, una notevole innovazione è fissata nella disciplina del nuovo codice rispetto a quella del vecchio. L'art. 603 del codice del 1865 fissava, come somma da pagare, il valore del terreno da occuparsi col sovrappiù del quinto, oltre il risarcimento dei danni immediati. Tale sovrappiù è stato abolito, in base alla considerazione che esso non è giustificato, in quanto si paga già il valore del terreno occupato senza detrazione delle imposte, ed inoltre si risarciscono tutti i danni.

Perciò, oggi, l'ammontare dell'indennità è commisurato al valore del terreno da occuparsi. Nella determinazione di tale valore non vanno detratte le imposte ne gli altri carichi inerenti al fondo. La ragione è evidente: poiché il proprietario del fondo rimane proprietario del suolo occupato, come sostenuto precedentemente, è lui ad essere sempre tenuto a pagare le imposte ecc. È discutibile se per oneri si intendano anche le prestazioni di indole privata, come censi, canoni, ecc., ma pare preferibile la soluzione positiva.

Oltre il valore del terreno, sono da calcolare, ai fini della determinazione dell'indennità, i danni. Quali sono i danni? Nel vecchio codice si parlava di danni immediati, nel nuovo si fa menzione di danni in genere. È da notare, però, che anche in base alla disposizione del codice del 1865 si ammetteva che tutti i danni, anche i mediati, dovessero risarcirsi, non senza avvertire giustamente che questi saranno dovuti quando si verificheranno, e quindi non possono calcolarsi ai fini della determinazione dell'indennità da pagarsi prima dell'inizio della costruzione dell'acquedotto. Tale soluzione rimane ferma anche per il nuovo codice, che parla di danni in genere, venendo imposta dalla logica.

Per fare degli esempi, danni immediati sono quelli che derivano dalla costruzione dell'acquedotto, come abbattimento di piante. Danni mediati quelli provenienti dai sortemi, dalle frane ecc.

Fra i danni da risarcire la legge pone espressamente pure quelli derivanti dalla separazione in due o più parti del fondo: essi non esauriscono i danni dovuti, come si ricava dalla chiara dizione legislativa (« ivi compresi »). La separazione è sempre un danno, perché rompe l’ unità o continuità del fondo. Essa può produrre anche difficoltà di accesso da una parte all'altra del fondo e difficoltà di irrigazione. In conclusione, devono calcolarsi anche tali difficoltà.


Suolo occupato per il deposito

Per l'esercizio dell'acquedotto, non basta di regola lo spazio da esso occupato, ma è necessario servirsi di un'altra striscia, metà per lato, per il getto degli spurghi. Anche il valore di questa si deve calcolare, poiché il proprietario del terreno non ne perde del tutto la disponibilità, potendo piantarvi ed allevarvi alberi od altri vegetali (purché ciò segua senza danno dell'acquedotto, del suo spurgo e della riparazione). Giustamente si è statuito che si deve pagare la metà del valore del suolo: anche qui non si detraggono le imposte nè gli altri carichi. Nessun sovrappiù è dovuto sul valore cosi determinato: esso era dovuto invece sotto la vigenza del vecchio codice (art. 603 capov.).

Il proprietario, sul suolo occupato soltanto ai fini del deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo, può, come dicevamo, piantare ed allevare alberi o altri vegetali. Può rimuovere, inoltre, e trasportare le materie ammucchiate. Però egli non deve produrre danno all'acquedotto o allo spurgo o alla riparazione, altrimenti non solo deve risarcire il danno, ma la sua attività può farsi cessare dal titolare della servitù.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

493 Gli articoli 1033-1046 riproducono, variatone l'ordine, gli articoli 598-611 del codice del 1865. Alla riproduzione dei citati articoli del codice anteriore, a prescindere dagli emendamenti di forma, sui quali ritengo inutile soffermarmi, si accompagnano alcune sostanziali innovazioni. Una prima innovazione concerne l'ammontare dell'indennità che deve essere corrisposta da chi voglia condurre acque per il fondo altrui. L'art. 603 del codice del 1865 stabiliva l'obbligo di pagare il valore dei terreni da occuparsi (o la metà del valore, se l'occupazione fosse limitata alla riposta delle materie estratte e al getto dello spurgo), col sovrappiù del quinto, oltre il risarcimento dei danni immediati, compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento del fondo da intersecarsi. Nel riprodurre nell'art. 1038 del c.c. la norma accennata, ho soppresso l'obbligo della corresponsione del sovrappiù del quinto del valore dei terreni, sembrandomi che tale sovrappiù, sancito da antiche legislazioni e mantenuto per tradizione nel codice del 1865, non abbia giustificazione alcuna, dato che al proprietario del fondo servente non solo deve essere pagato il valore (o, secondo i casi, la metà del valore) dei terreni da occuparsi, ma devono altresì essere risarciti tutti i danni che derivano dalla costituzione e dall'esercizio della servitù. Se sotto l'impero di precedenti legislazioni il sovrappiù di cui trattasi poté considerarsi quale indennità dovuta al proprietario del fondo servente per l'imposta fondiaria che grava sui terreni occupati e che rimane a suo carico, simile giustificazione non era più ammissibile di fronte al testo dell'art. 603 del codice del 1865, il quale disponeva (e la disposizione rimane immutata nel nuovo codice) che dal valore di stima dei terreni da occuparsi non fossero da detrarsi le imposte e gli altri carichi inerenti al fondo, di guisa che nell'indennità dovuta al proprietario del fondo servente veniva ad essere compreso il compenso di quanto questi avrebbe annualmente pagato per l'imposta fondiaria. Una seconda innovazione è nel comma aggiunto alla disposizione dell'art. 609 del codice del 1865 (art. 1044 del c.c.), in tema di bonifica di un fondo paludoso. L'art. 612 del codice precedente stabiliva che, se al prosciugamento di un fondo paludoso si fosse opposto alcuno avente diritto sulle acque derivanti dal fondo medesimo e se con opportune cautele non fosse stato possibile conciliare gli opposti interessi, si sarebbe fatto luogo al prosciugamento mediante congrua indennità all'opponente. Ho modificato tale norma, dando ad. essa un diverso orientamento e facendone un secondo comma dell'art. 1044. 11 nuovo comma stabilisce che, se il prosciugamento risulta in contrasto con gli interessi di coloro che utilizzano le acque provenienti dal fondo paludoso, e se gli opposti interessi non si possono conciliare con opportune opere che importino una spesa proporzionata allo scopo, l'autorità giudiziaria dà le opportune disposizioni per assicurare l'interesse prevalente, "avuto in ogni caso riguardo alle esigenze generali della produzione". La norma è così orientata verso il principio della subordinazione degli interessi individuali all'interesse generale dell'economia nazionale, in conformità della funzione sociale della proprietà privata. Agli opponenti che dal prosciugamento risentono danno è naturalmente dovuta una congrua indennità.

Massime relative all'art. 1038 Codice Civile

Cass. civ. n. 16495/2019

L'indennità di asservimento, prevista dall'art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001, deve essere determinata riducendo proporzionalmente l'indennità corrispondente al valore venale del bene, in ragione della minore compressione del diritto reale determinata dall'asservimento rispetto all'espropriazione; ne consegue l'inapplicabilità dell'art. 1038, comma 1, c.c. che, in riferimento alla diversa fattispecie delle servitù di acquedotto e scarico coattivo, commisura l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente all'intero valore venale del terreno occupato, in quanto, da un lato, la sua applicabilità in materia di opere pubbliche è preclusa dall'operatività della disciplina speciale dettata in materia di espropriazione e, dall'altro, essa presuppone che il proprietario del fondo servente perda la disponibilità della parte di terreno da occupare per la costruzione dell'acquedotto.

Cass. civ. n. 51/2001

In materia di imposizione di fatto di servitù pubblica di acquedotto, a seguito di realizzazione dell'opera idraulica senza una regolare procedura ablatoria, trova applicazione analogica l'art. 1038 c.c., che distingue, ai fini della determinazione dell'indennità, tra le parti fisicamente occupate dall'opera idraulica e quelle costituenti le cosiddette fasce di rispetto necessarie per lo spurgo e per la manutenzione delle condotte, stabilendo che per le prime sia corrisposto al proprietario l'intero valore e per le altre soltanto la metà di tale valore, tenuto conto della possibilità, espressamente riconosciuta al proprietario stesso dal secondo comma, di continuare a sfruttarle economicamente e di rimuovere e trasportare il materiale ammucchiato «purché senza danno dell'acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione». Pertanto, il giudice adito con azione di risarcimento non può, senza incorrere in violazione della norma in parola, adottare per le fasce laterali di rispetto, lo stesso criterio indennitario prescritto dal primo comma per la superficie direttamente interessata dalla condotta, salvo che non ricorrano particolari circostanze in forza delle quali sia totalmente esclusa per esse quella utilizzabilità, sia pure limitata, prevista e consentita dal secondo comma dell'art. citato.

Cass. civ. n. 5421/1977

Alla fine della liquidazione delle indennità spettanti al proprietario di un immobile, per effetto dell'assoggettamento del bene a più servitù coattive (nella specie, di elettrodotto e di acquedotto), in forza di unico provvedimento prefettizio, il calcolo del pregiudizio subito deve essere effettuato non prendendo a base, per ciascun asservimento, il valore originario dell'immobile, in quanto ciò si tradurrebbe in un arricchimento per l'indennizzato, ma bensì stabilendo una graduazione temporale fra gli asservimenti medesimi, con la conseguente determinazione del danno provocato da ciascuna servitù in relazione al valore del bene risultante dalla precedente servitù, ovvero, qualora tale graduazione non sia possibile, alla stregua dell'oggettivo contenuto del provvedimento impositivo e delle procedure adottate, mediante un'equa valutazione dell'impoverimento complessivamente subito dal proprietario stesso.

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