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Articolo 2935 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Decorrenza della prescrizione

Dispositivo dell'art. 2935 Codice Civile

La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere [387, 428, 480, 495, 502, 526, 591, 606, 619, 624, 761, 763, 775, 848, 1073, 1442, 1449, 1495, 1541, 1667, 1669, 1797, 2880, 2903, 2957; l. camb. 94; c. nav. 383, 395, 418, 438, 487, 547, 979, 995](1).

Note

(1) Ai fini del decorso della prescrizione rileva la possibilità legale di esercizio del diritto e non invece quella di fatto, perciò tale decorrenza non comincia dove il diritto risulti soggetto a condizione sospensiva (v. art. 1353) o a termine iniziale, mentre è irrilevante l'eventuale impedimento di mero fatto, come l'ipotesi in cui il titolare del suddetto diritto non sia a conoscenza della sua qualifica o dell'identità del suo debitore.

Ratio Legis

La disposizione in esame è posta, come la precedente, al fine di dettare una disciplina che assicuri certezza e stabilità ai rapporti giuridici.

Brocardi

Actio nondum nata non praescribitur

Spiegazione dell'art. 2935 Codice Civile

Actio nondum nata

Questo articolo segna il termine iniziale della prescrizione. Nel codice del '65 non si conteneva una norma circa il dies a quo: solo nell’art. 2120, accanto a cause propriamente sospensive della prescrizione, se ne enunciavano altre che, in effetti, erano impeditine del sorgere della prescrizione. Tuttavia la dottrina, seguita dalla giurisprudenza, aveva supplito alla lacuna costruendo la teoria dell' actio nondum nata, per la quale si affermava che la prescrizione non poteva iniziarsi tutte le volte in cui non era sorta l'azione per tutelare diritto. Senonché, d'accordo sull’enunciazione astratta di tale principio, disputava la dottrina sulla necessità di precisare, da un lato, in quale momento avrebbe dovuto considerarsi sorta l'azione e, dall'altro, se accanto agli impedimenti legali potevano avere rilevanza per il non iniziarsi della prescrizione, anche i cosiddetti impedimenti di fatto. L'articolo in esame ha risolto ogni con­troversia su tali punti, poiché se la sua ampia terminologia potrebbe consentire all'interprete di comprendere tra le cause preclusive della tu­tela del diritto anche quelle dovute ad impedimento di mero fatto, nella relazione al Re Imperatore si precisa che : « l'espressione deve essere in­tesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto ».


Inizio della prescrizione per determinati diritti

Ma, pur fissato nel giorno in cui il diritto può esser fatto valere il momento iniziale della sua prescrittibilità, si deve, tuttavia, rilevare che vi sono delle ipotesi per le quali la prescrizione di un diritto non si inizie­rebbe mai non giungendo il giorno in cui esso può farsi valere : sono, in sostanza, i casi di prestazioni : a) rimesse alla volontà del debitore e del creditore ; o b) per le quali non sia stato fissato alcun termine. La prima ipotesi è esplicitamente prevista dall'art. 1183, 2 comma, in cui si sup­pone : a1) che il termine per l'adempimento sia rimesso alla volontà del debitore e si dà, al giudice il potere di fissarlo, secondo le circostanze ; a2) che lo stesso termine sia rimesso alla volontà del creditore e si stabi­lisce che può essere fissato su istanza del debitore il quale intenda libe­rarsi dall'obbligazione. Dell'altra ipotesi si occupa lo stesso art. 1183, 1° comma, che dà al creditore la facoltà di esigere la prestazione imme­diatamente, a meno che in virtù degli usi o per la natura delle prestazioni ovvero per il modo dell'esecuzione sia necessario un termine che sarà stabilito o dalle parti, o, in mancanza di loro accordo, dal giudice, il quale deciderà in base a un criterio oggettivo, vale a dire prendendo in considerazione la natura del contratto concluso dalle parti e il fine che con esso queste si sono prefisse di raggiungere.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1198 Mancava nel codice del 1865 una norma generale circa il momento iniziale della prescrizione: nell'art. 2120, promiscuamente con alcune cause sospensive del corso della prescrizione (primo e quarto capoverso), erano enunciate talune cause impeditive dell'inizio di essa (secondo, terzo e quinto capoverso). La lacuna è colmata dall'art. 2935 del c.c., il quale dà formulazione legislativa al principio che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; e l'espressione deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto.

Massime relative all'art. 2935 Codice Civile

Cass. civ. n. 13343/2022

L'impossibilità di far valere il diritto - alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce la rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione - è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto stesso, essendo irrilevanti le incertezze giurisprudenziali circa le modalità di esercizio o la qualificazione dell'azione, le quali non precludono l'esercizio immediato del diritto, ma rappresentano un mero impedimento di fatto.

Cass. civ. n. 28130/2021

In caso di illegittima revoca di mandato di agenzia conferito a società in accomandita semplice, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria promossa dalla socia accomandante per il risarcimento dei danni da perdita di affari vantaggiosi per mancata disponibilità di utili decorre dal momento in cui tale mancata disponibilità si manifesti e determini la mancata conclusione dell'affare, non spiegando incidenza sulla nascita del diritto risarcitorio (e, quindi, sulla decorrenza del termine di prescrizione) il giudicato sulla illegittimità della revoca. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 17/01/2019).

Cass. civ. n. 14193/2021

L'impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli ostacoli di mero fatto (come il ritardo indotto dalle necessità di accertamento del diritto) o gli impedimenti soggettivi, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che la facoltà di sospendere la riscossione prevista dal comma 2 dell'art. 25 del d.lgs. n. 46 del 1999, vigente "ratione temporis", non realizza un'ipotesi di sospensione della prescrizione, poiché la norma citata non contiene siffatta previsione). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 02/07/2015).

Cass. civ. n. 12182/2021

In tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, che costituisce una ipotesi di danno cd. "lungolatente", in cui il fatto in relazione al quale decorre il termine ex art. 2947, comma 1, c.c., coincide con il momento in cui viene ad emersione il completamento della fattispecie costitutiva del diritto, da accertarsi, rispetto al soggetto danneggiato, secondo un criterio oggettivo di conoscibilità, la parte eccipiente ha l'onere di allegare e provare, ai sensi dell'art.2697, comma 2, c.c., il fatto temporale costitutivo dell'eccezione di prescrizione, ossia la prolungata inerzia dell'esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della etiopatogenesi, mentre non è tenuta ad indicare altresì le norme applicabili, essendo rimessa al giudice la sussunzione di quel fatto nello schema normativo astratto dello specifico tipo di prescrizione applicabile alla fattispecie concreta, il quale può essere anche diverso da quello indicato dalla parte e condurre all'individuazione di un termine di estinzione del diritto maggiore o minore. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 12/04/2017).

Cass. civ. n. 8872/2021

In tema di responsabilità professionale del commercialista per inadempimento all'incarico di tenuta della contabilità da cui siano derivati accertamenti fiscali, la decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento presuppone che il danno si sia verificato e ciò non avviene con il processo verbale di constatazione che è atto meramente interno, non impugnabile e che non incide né sul patrimonio, né su altra situazione giuridica del contribuente, ma si verifica soltanto se il verbale sfoci nell'avviso di accertamento che è l'atto, questo sì impugnabile, con cui il fisco esercita, per la prima volta, il suo diritto verso il contribuente al pagamento del dovuto. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto prescritto il diritto al risarcimento, avendo fatto decorrere il termine decennale dalla notifica dell'atto prodromico, da cui pure emergevano irregolarità nella tenuta della contabilità a carico del professionista, anziché dalla notifica dell'avviso di accertamento). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 30/04/2019).

Cass. civ. n. 2146/2021

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento preteso, nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dai soggetti danneggiati dall'esondazione di un fiume decorre dal giorno in cui gli stessi hanno avuto la conoscenza (o la conoscibilità) tecnico-scientifica dell'incidenza causale delle carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione (e, dunque, nella falsa applicazione dell'art. 2935 c.c.) il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita, da parte del danneggiato, in base alla mera percezione - inidonea a rendere concretamente esercitabile il diritto in mancanza di una specifica indagine tecnico-scientifica volta a identificare il rapporto causale - dell'episodio di natura meteorologica determinante l'esondazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale - affermando che i danneggiati avrebbero potuto immediatamente percepire, con la normale diligenza, i difetti delle opere idrauliche e il nesso di causalità con i danni subiti - aveva fatto coincidere il "dies a quo" del termine di prescrizione con l'evento alluvionale, durato tre giorni). (Cassa con rinvio, TRIB.SUP. DELLE ACQUE PUBBLICH ROMA, 20/06/2019).

Cass. civ. n. 6170/2020

Il termine di prescrizione del credito pignorato non decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., nel periodo che intercorre tra il pignoramento presso terzi e la dichiarazione di quantità positiva del terzo (o l'accertamento giudiziale del suo obbligo) e tra quest'ultimo evento e l'assegnazione, in quanto il diritto non può essere fatto valere né dal creditore procedente, né dal debitore esecutato; la prescrizione ricomincia a decorrere dal momento in cui il diritto di credito può essere esercitato dal creditore assegnatario e, cioè, di regola, dalla pronuncia dell'ordinanza di assegnazione (se emessa in udienza) ovvero dal suo deposito (se resa fuori udienza). (Rigetta, TRIBUNALE ROMA, 13/09/2016).

Cass. civ. n. 20642/2019

L'impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, sicché l'ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni non impedisce il decorso della prescrizione, non essendovi alcun ostacolo per il creditore a formulare nei confronti del debitore ammesso alla detta procedura, istanze, solleciti ed atti cautelativi di costituzione in mora (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato prescritto il credito nei confronti di una società fallita per decorso del termine decennale, in mancanza di atti interruttivi anche durante la procedura di concordato preventivo). (Rigetta, TRIBUNALE VERONA).

Cass. civ. n. 29609/2018

Quando la dichiarazione d'incostituzionalità elimini una situazione di oggettiva incertezza tale da impedire concretamente l'esercizio del diritto, la prescrizione decorre dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Al contrario ove la dichiarazione d'illegittimità costituzionale abbia rimosso l'unico limite all'azionabilità diretta di una pretesa che avrebbe potuto comunque essere fatta valere la prescrizione decorre dalla maturazione del diritto. (La S.C ha indicato come esemplificazione della prima ipotesi la dichiarazione di incostituzionalità da parte della sentenza n. 223 del 1983 in tema di conguaglio dell'indennità di espropriazione e come esemplificazione della seconda, la determinazione di stima di cui agli artt. 15 e 16 della l. n. 865 del 1971, venuta meno per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 470 del 1990).

Cass. civ. n. 22072/2018

L'impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, in relazione ai quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione, tra le quali, salva l'ipotesi di occultamento doloso del debito, non rientra l'ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull'esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto irrilevante, ai fini del decorso della prescrizione per l'azione di annullamento del licenziamento illegittimo, la dedotta impossibilità per il lavoratore di acquisire la documentazione a tal fine necessaria, se non all'esito del procedimento penale promosso nei suoi confronti).

Cass. civ. n. 19897/2018

a prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.); tale momento, nel caso di fatti già sanzionati penalmente e successivamente depenalizzati, non può identificarsi con quello in cui la violazione è stata commessa, bensì con quello nel quale gli atti relativi pervengono alla competente autorità amministrativa, cui sono trasmessi dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 41 della l. n. 689 del 1981, poiché solo dopo tale momento l'amministrazione è in grado di esercitare il diritto di riscuotere la somma stabilita dalla legge a titolo di sanzione amministrativa.

Cass. civ. n. 3584/2012

L'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che, nel dichiarare parzialmente prescritto il diritto alla pensione sociale sostitutiva, non aveva attribuito rilievo ai tempi di accertamento giudiziale del diritto alla pensione di invalidità civile, oggetto di sostituzione).

Cass. civ. n. 14345/2009

La prescrizione del credito decorre anche quando il relativo diritto non sia ancora esigibile per la mancata fissazione del tempo dell'adempimento, da stabilirsi per accordo delle parti, potendo in tal caso il creditore comunque ricorrere al giudice per la fissazione del termine, ai sensi dell'art. 1183, comma terzo, c.c., con la conseguenza che in tal caso è impossibile configurare un impedimento giuridico all'esercizio del diritto, il quale soltanto impedisce il decorso della prescrizione. (In applicazione del principio anzidetto la S.C. ha ritenuto che, stipulato un contratto di mutuo senza fissazione del termine per la restituzione, la prescrizione del diritto del mutuante decorreva dalla data stessa dalla stipula, perché a partire da tale data il mutuante aveva la facoltà di richiedere la fissazione del termine di adempimento con la speciale azione di cui all'art. 1817 c.c.).

Cass. civ. n. 17985/2007

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre; nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica.

Cass. civ. n. 26755/2006

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre; nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica.

La pendenza di una controversia avente ad oggetto l'accertamento del diritto, la cui lesione venga dedotta come titolo di una pretesa risarcitoria, non vale a precludere alla vittima un immediato esercizio dell'azione risarcitoria e, quindi, non è suscettibile di configurarsi come causa impeditiva del decorso della relativa prescrizione. Ove, però, il risarcimento sia richiesto nei confronti di una P.A., con riferimento a procedura concorsuale, la natura di interesse legittimo della pretesa, nella specie, alla regolare compilazione della graduatoria, comporta che il termine prescrizionale inizia a decorrere solo dopo l'accertamento, in via definitiva, dell'illegittimità della graduatoria. (Nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio, ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza che aveva accolto il ricorso proposto nei confronti delle Poste Italiane Spa, quale successore dell'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, per il risarcimento dei danni, lamentando il mancato riconoscimento dello status di disoccupata e la collocazione in graduatoria in posizione non utile all'assunzione, graduatoria poi rettificata all'esito del ricorso straordinario al Capo dello Stato. La S.C. ha corretto la motivazione del giudice di merito risultando, nella specie, errata l'affermazione secondo cui l'azione risarcitoria sia di natura contrattuale che extracontrattuale, non poteva essere esercitata prima dell'accertamento della responsabilità del danneggiante, formulando il principio di cui in massima).

Cass. civ. n. 5100/2006

Ai sensi dell'art. 2935 c.c., il termine di prescrizione, in relazione al risarcimento di ogni danno da inadempimento, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, indipendentemente dalla data della pronuncia risolutiva.

Cass. civ. n. 2287/2004

Il momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione va individuato in quello in cui, a seguito dell'altrui condotta, si verifica la lesione concreta della sfera giuridica. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito avesse fatto corretta applicazione di tale principio, estendendolo anche in tema di azione di ripetizione di indebito, fissando la decorrenza della prescrizione dell'azione di ripetizione di una somma versata al mandatario per l'acquisto in comunione di una porzione immobiliare, nel momento in cui, in violazione del mandato ricevuto, il mandatario provvedeva ad intestare a sé stesso l'intera porzione immobiliare acquistata).

Cass. civ. n. 11640/2003

In tema di prescrizione del diritto potestativo alla risoluzione del contratto per inadempimento il termine decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., non dal momento in cui si verifica un qualunque inadempimento ma soltanto da quello in cui si realizza un inadempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all'interesse della controparte, sicché nell'ipotesi di obbligazioni a termine incerto e non immediatamente eseguibili tale momento coincide con quello in cui il ritardo nell'adempimento eccede ogni limite di tolleranza. (La Corte nel formulare il principio sopra richiamato, ha confermato la decisione dei giudici di appello che avevano individuato l'inizio di decorrenza del termine di prescrizione del diritto del compratore alla risoluzione per inadempimento del contratto di vendita, nella scadenza del termine con cui il medesimo aveva diffidato il venditore all'adempimento delle obbligazioni a termine incerto derivanti dal contratto).

Cass. civ. n. 7289/2000

Il vizio di legittimità costituzionale di una norma di legge non ancora dichiarato non costituisce impedimento legale all'esercizio del diritto disconosciuto dalla norma, successivamente dichiarata incostituzionale, ma pone in essere solo una mera difficoltà di fatto a tale esercizio. Con la conseguenza che, una volta dichiarata l'illegittimità della medesima, l'efficacia retroattiva della pronuncia della Corte costituzionale inficia fin dall'origine la disposizione colpita, consentendo il decorso della prescrizione del diritto conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità anche durante il periodo anteriore alla pronuncia stessa. (Fattispecie relativa alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale degli artt. 3, 134, 211 e 254 del D.P.R. n. 1124 del 1965 in materia di malattie professionali).

Cass. civ. n. 9291/1997

L'art. 2935 c.c., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di: far valere il diritto, quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto. Tra gli impedimenti di mero fatto rientra l'ignoranza del titolare del diritto, anche quando essa è incolpevole. Solo in caso di dolo da parte del debitore, la prescrizione rimarrà sospesa ai sensi dell'art. 2941 n. 8 c.c.

Cass. civ. n. 3824/1995

Quando il termine per l'adempimento della obbligazione sia previsto a favore del creditore, che ha così facoltà di esigere la prestazione anche prima della scadenza, la prescrizione decorre solo dalla data di scadenza del termine, in pendenza del quale l'inerzia del creditore costituisce solo esercizio di una facoltà, come tale non prescrittibile. (Nella specie, si trattava del diritto, contrattualmente previsto, di adeguamento automatico del canone locativo, da far valere al termine della locazione, salvo il diritto del locatore di pretendere il pagamento di conguagli o acconti nel corso del rapporto).

Cass. civ. n. 10937/1993

Il mutamento del soggetto tenuto al pagamento è privo di influenza sulla decorrenza del termine di prescrizione del credito, incidendo sulla titolarità passiva del rapporto e non sulla possibilità di esercizio del diritto (fattispecie concernente il subingresso di una Usl in una obbligazione dell'Inps, verificatosi per effetto dell'introduzione del Servizio Sanitario Nazionale).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2935 Codice Civile

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F.D. chiede
giovedì 25/03/2021 - Campania
“PREMESSA
Nel 1997 RP fece un testamento olografo lasciando beni a DF e DA unici eredi e successivamente nel 2004 dopo aver permutato un terreno in cambio di due fabbricati nel 2006 morì
Avendo la ditta completato un solo fabbricato , gli eredi ottennero la sentenza di scioglimento della permuta col ritorno del terreno e del fabbricato nella loro proprietà.
DF citò DA per la divisione dell’asse ereditario (compreso il nuovo fabbricato non presente nel testamento) che si concluse con sentenza di rigetto del 3/12/2018 (passata in giudicato), rigetto causato da presunta negligenza dell’avvocato per ritardo nella presentazione dei certificati di proprietà di RP che tuttavia gli erano stati inviati nei termini da DF.
Sembra che la causa di divisione non sia più proponibile come da sentenze della Cassazione.
Nonostante che la sentenza avesse stabilito che il fabbricato e il terreno ritornavano in comproprietà ai sensi dell’art. 686 cc, DA si è attribuita la esclusiva proprietà del fabbricato perché ricadente nella porzione di terreno a Lui attribuita nel testamento.
DF intende proporre nuova causa di indebito arricchimento c/ DA solo per il nuovo fabbricato chiedendo la metà del suo valore in danaro.
QUESITO
E’ possibile iniziare la causa di risarcimento danni di DF contro l’avvocato contestualmente alla causa di indebito arricchimento contro DA o solo al termine di essa ?
In tale caso è sufficiente solo l’invio all’avvocato di una raccomandata RR di messa in mora e interruzione dei termini per la prescrizione ?
Quanto inizia e quanto è la durata della prescrizione ?”
Consulenza legale i 01/04/2021
Chiaramente, in questa sede ci limiteremo a rispondere sulla questione della prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dell’avvocato e del relativo dies a quo: non siamo, infatti, in possesso di elementi per entrare nel merito della fondatezza di tale azione, oltre che della domanda di ingiustificato arricchimento che si intende proporre contro il coerede.
Iniziamo con la durata del termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale (art. 2946 c.c.), trattandosi di responsabilità contrattuale.
Quanto alla decorrenza del termine, l'art. 2935 c.c. stabilisce che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Sul punto, soccorre una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Sez. III, ordinanza 03/11/2020, n. 24270): “in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per inadempimento al mandato difensivo in ambito giudiziario, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l'evento dannoso, bensì da quello nel quale essa è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla formazione del giudicato; al contrario, tale decorrenza non è prospettabile nel diverso caso di inadempimento del mandato professionale in ambito stragiudiziale”.
Quindi, nel nostro caso, il termine di dieci anni inizia a decorrere dal passaggio in giudicato (se già avvenuto: ma nel quesito non si fa riferimento ad eventuali impugnazioni) della sentenza, emessa nel giudizio in cui l’avvocato non avrebbe correttamente adempiuto al mandato di difesa assunto nei confronti del cliente.
Il termine prescrizionale può essere interrotto, ai sensi dell’art. 2943 c.c, non solo dalla domanda introduttiva di un giudizio (o dalla domanda giudiziale proposta in corso di causa), ma anche “da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.
In tal caso, ai fini dell’interruzione della prescrizione, occorre prestare attenzione non solo alla modalità di trasmissione dell’atto, di cui si deve provare la conoscenza o conoscibilità da parte del destinatario (quindi la comunicazione va effettuata preferibilmente con raccomandata A.R. o posta elettronica certificata), ma anche al suo contenuto; infatti, pur non richiedendo l’utilizzo di “formule” solenni, esso deve possedere una serie di requisiti.
In proposito, la giurisprudenza ha precisato che “un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest'ultimo requisito non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto. Ne consegue che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore e che è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento” (così Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 3371 del 12 febbraio 2010).

Marco R. chiede
venerdì 27/03/2020 - Puglia
“Buonasera redazione,
nel corso di una causa di lavoro contro la mia ex casa mandante, come già avvenuto in primo grado - che mi ha visto totalmente soccombente - la sentenza della Corte d'appello rigettava le mie richieste delle dovute differenze provvigionali in quanto prescritte.
Ma sbaglio o trattandosi di eccezione in senso stretto, il convenuto debitore che l'ha sollevata (in realtà solo in primo grado, mentre in appello si è limitato a chiedere la conferma del rigetto delle domande di primo grado) era tenuto ad allegare e provare il fatto che avesse permesso l'esercizio del diritto, in modo da determinare l'inizio della decorrenza del termine ai sensi dell'art.2935 c.c. e, pertanto, avrebbe dovuto provare la consegna dei dovuti estratti conto provvigionali (mai avvenuta ed infatti fatta oggetto di richiesta di esibizione, disattesa in ambo i casi dai giudici)?
Se così fosse, come hanno potuto accogliere l'eccezione questi ultimi? Grazie.”
Consulenza legale i 02/04/2020
Ai sensi dell’art. 2935 c.c. “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Per quanto riguarda il contratto di agenzia, secondo la giurisprudenza, il diritto al pagamento delle provvigioni (il quale si prescrive nel termine di cinque anni, come previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c.) decorre dalla scadenza del termine ultimo per il pagamento delle provvigioni da parte della preponente (Cass. civ., sez. lav., 894/2013).

Peraltro, l’art. 1749 c.c., 2° comma, prevede il diritto dell’agente a ricevere trimestralmente gli estratti conto provvigionali ove sono indicati tutti gli affari eseguiti dalla mandante (nominativo del cliente, sede, numero fattura, importo pattuito, misura ed entità della provvigione), mentre al successivo 3° comma, stabilisce altresì il diritto di esigere un estratto dei libri contabili “per verificare l’importo delle provvigioni liquidate”.

L’agente è quindi titolare di un vero e proprio diritto finalizzato all’accesso di tutta la documentazione, in possesso della mandante, necessaria all’esatta ricostruzione contabile dei propri compensi provvigionali da liquidare.

È necessario quindi stabilire se la mancata consegna di tale documentazione sia qualificabile come causa sospensiva della prescrizione.

Secondo la giurisprudenza, l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (ex multis, Cass. 10828/15, Cass. 14163/11, Cass. 15991/09).
In particolare, la causa di sospensione di cui all’art. 2941, n. 8, c.c. ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione, consistente in una condotta ingannatrice e fraudolenta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, non una mera difficoltà di accertamento del credito (cfr. ex multis, Cass. 21567/14).
L’operatività della causa di sospensione della prescrizione presuppone che risulti la prova che il debitore abbia dolosamente occultato l’esistenza del debito del creditore. Secondo la giurisprudenza, detta prova si concreta nell’accertamento che il debitore abbia creato una situazione del tutto non corrispondente alla realtà al fine di superare la normale diligenza del creditore (Cass. 10383/02).
Inoltre, tale causa di sospensione viene meno nel momento della mera scoperta del dolo da parte del creditore (Cass. 12422/95).

Stando a quanto riferito, non si rinvengono nel caso di specie elementi da far rientrare il comportamento della mandante nell’ipotesi di cui all’art. 2941, n. 8, c.c.
L’agente avrebbe potuto comunque richiedere l’adempimento entro il termine di prescrizione, nonostante la mancata consegna degli estratti conto non consentisse un’esatta quantificazione delle provvigioni.
Sul punto, una sentenza della Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo il quale “A fronte del mancato assolvimento da parte del preponente dell’obbligo contrattuale concernente l’invio degli estratti conto provvigionali, deve ritenersi che non è imputabile all’agente la carenza di indicazione dei dati relativi alla quantificazione del proprio credito, derivando dall’inadempimento del non contestato obbligo contrattuale d’informazione posto a carico del preponente” (Cass. Sez. Lav., n. 21219/2015).

Per quanto riguarda l’ammissibilità dell’ordine di esibizione e/o della consulenza tecnica è necessario che l’agente indichi gli affari promossi nonché quelli in relazione ai quali non dispone delle informazioni necessarie e dimostri di aver chiesto invano gli estratti conto analitici e/o comunque richiesto le informazioni utili alla verifica delle provvigioni adduca il motivo per il quale l’acquisizione di tali informazioni non è possibile mediante l’utilizzo di altri mezzi di prova.

Premesso tutto quanto sopra, si ritiene che per superare l’eccezione di prescrizione l’agente debba dimostrare di aver chiesto invano gli estratti conto e di aver comunque diffidato ad adempiere la mandante anche senza quantificare esattamente il proprio credito entro il termine prescrizionale di 5 anni.
Diversamente, è improbabile che l’eccezione di prescrizione venga rigettata.

Roberto O. chiede
giovedì 27/02/2020 - Liguria
“Ho contratto un debito come sas, del quale ero socio accomandatario, nel 2006 con S. Italia. Causa problemi derivanti da una successiva truffa subita, il contratto è andato in contenzioso e non sono stati più pagati i canoni dal gennaio 2008. Nel dicembre del 2010 la società è stata posta in liquidazione e nell’agosto del 2015 cancellata.
Tra le varie clausole del contratto, dove vengono precisati motivi di risoluzione del contratto, ci sono i seguenti:
art i) non paghi puntualmente ed esattamente anche una sola rata del finanziamento agevolato (ACCADUTO NEL GENNAIO 2008), ovvero
art j) sia posta in liquidazione (ACCADUTO NEL DICEMBRE 2010), o sia ammessa o sottoposta a procedure concorsuali prima che siano trascorsi 5 (cinque) anni dalla data della deliberazione della concessione delle agevolazioni da parte di Sviluppo Italia.
Nel Novembre del 2019 S.Italia tramite cartella Agenzia delle riscossioni ha attivato procedura per il recupero del credito. La cartella al momento è stata sospesa dal Giudice per difetto di notifica dell'atto prodromico e ci sono i presupposti perchè venga annullata
DOMANDA:
Escludendo come motivo di interruzione dei termini la data della notifica della cartella, ipotizzando che venga dichiarata nulla, da quale data decorrono i termini di prescrizione sulla base di quanto previsto dal C.C. ed in considerazione dei due articoli del contratto suddetti?

Grazie per l'attenzione
Roberto O.”
Consulenza legale i 10/03/2020
Dalla ricostruzione dei fatti, e dalla lettura degli atti trasmessi, pare che la creditrice non abbia mai fatto valere la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, la quale garantiva al suddetto creditore di poter chiedere la risoluzione del contratto di diritto anche laddove il debitore fosse stato inadempiente - o avesse ritardo l’adempimento – al pagamento di una sola rata.

In relazione a tale circostanza, si evidenzia come il creditore sia sempre legittimato a rinunciare ad avvalersi della clausola risolutiva posta in suo favore in un determinato contratto; tale rinuncia può essere, peraltro, oltre che espressa, anche tacita (potendosi desumere, ad esempio, da una tardiva richiesta di adempimento).

Pertanto, anche a fronte di un inadempimento del debitore, il creditore ha sempre la facoltà di tollerare il ritardo o l’inadempimento legittimante l’invocazione della clausola risolutiva espressa.

IL creditore potrebbe, infatti, decidere di azionare detto rimedio tardivamente rispetto al verificarsi dell’evento che, in ipotesi, permetterebbe al medesimo creditore di avvalersi di detta clausola.

Detta facoltà, tuttavia, incontra un duplice limite:
i) l’esercizio di tale facoltà non deve aver ingenerato nel debitore il convincimento giustificato che il creditore intenda rinunciare alla risoluzione stragiudiziale;
ii) non deve essere prescritta la possibilità di avvalersi di tale rimedio ai sensi dell’art. 2934 del cod. civ. (Cass. Sez. III, 15.3.2018 n. 6386).

Se, dunque, la prescrizione decorre dal momento in cui il credito è sorto ed è esigibile, conformemente al disposto di cui all’art. 2935 del c.c., nel caso di un finanziamento, fintanto che il creditore non comunichi la decadenza dal beneficio del termine e si avvalga della clausola risolutiva espressa, non può ritenersi che il credito derivante da tale finanziamento sia ancora esigibile, con la conseguenza che il termine di prescrizione non può ancora decorrere.

Il silenzio, peraltro, manifestato per anni (da quanto rappresentato e dalla documentazione prodotta non si evince il contrario) dal creditore va proprio nella direzione di ritenere che quest’ultimo non intendeva avvalersi di detta clausola risolutiva espressa, con la conseguenza che il credito portato dal finanziamento ancora non poteva ritenersi esigibile e, pertanto, che il termine di prescrizione incominciasse a decorrere già dal 2008 (momento in cui si è verificato il primo inadempimento).

Ciò premesso, sembra allora che, solo con la liquidazione della società e la sua cancellazione dal registro delle imprese (nel giugno del 2015, come si evince dai documenti trasmessi), certamente il credito sia divenuto esigibile, atteso che da quel momento in poi il debitore, soggetto estinto in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese, non avrebbe più potuto adempiere al pagamento di quanto dovuto verso il proprio creditore, con il conseguente cristallizzarsi del credito e l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione decennale.

Alla luce di tutte le ragioni sopra esposte, pare possa sostenersi che il termine di prescrizione decennale potrebbe essere fatto risalire al momento in cui la società debitrice è stata cancellata dal registro delle imprese (giugno 2015).

Michele L. chiede
venerdì 06/12/2019 - Calabria
“Salve, con la presente chiedo, se possibile, una vostra consulenza riguardante interpretazione dell’art. 2935 del Codice Civile (Decorrenza della prescrizione) ed inerente un caso concreto che mi è capitato.
Nel 2006, a seguito di un trasferimento per motivi di lavoro, ho venduto un immobile in diritto di superficie al prezzo di € 205.000. Lo stesso era stato acquistato nel 2004.
Nel 2018 il Comune in cui era ubicato l’immobile mi ha sanzionato (ingiunzione di pagamento) per non aver rispettato i vincoli previsti da una convenzione (citata negli atti di compravendita ma mai allegata agli stessi e pertanto sconosciuta alle parti tutte ossia acquirente, venditore, notaio, agenzia immobiliare e banca).
La sanzione prevista dalla convenzione stipulata tra costruttore e Comune nel 1992, il triplo della differenza tra prezzo di vendita e prezzo di massima cessione, ammonta ad euro € 320.000 circa.
Ovviamente non condividendo i motivi della sanzione e non potendo pagare quanto richiesto i miei (amici) avvocati hanno presentato un ricorso al competente Tar (rigettato con condanna alle di spese di giudizio) ed un altro al Consiglio di Stato (pendente ma con sospensiva già respinta).
Tra gli innumerevoli motivi del ricorso c’è quello della prescrizione in quanto dalla data della vendita dell’immobile alla data di ricezione della sanzione (ma già all’inizio del procedimento amministrativo) era già trascorso un periodo superiore ai 10 anni.
A tal proposito il citato Tribunale nel rigetto precisa che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” ossia, nello specifico, con la ricezione da parte dell’Amministrazione comunale, degli atti di trasferimento in proprietà a seguito di una domanda di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà presentata dal mio acquirente nel 2017.
In realtà, contestualmente alla vendita del 2006 allo stesso ente era stata inviata una Comunicazione di cessione di fabbricato ma la stessa non è stata considerata dal Tar in quanto rispondente esclusivamente ad esigenze di P.S..
Quindi, a parere del Tar, solo dal 2017 può iniziare a decorrere il termine prescrizionale per l’esercizio del potere sanzionatorio!
Questo vuol dire che si fossero accorti dell’illecito tra 30 anni, comunque mi avrebbero potuto sanzionare!
Ora, dopo 12 anni dall’illecito reperire documentazione idonea alla difesa, per me, è stato difficilissimo. Immaginate dopo 42 anni…
In pratica, se la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere senza tenere conto del momento in cui è stata commessa la violazione gli illeciti amministrativi non possono prescriversi finché non vengono scoperti!?

Il quesito quindi è questo: Anche a vostro parere l’illecito amministrativo descritto non è prescritto?

Ringrazio anticipatamente.”
Consulenza legale i 13/12/2019
Al fine di inquadrare la questione del momento a partire dal quale decorre il termine di prescrizione di cui all’art. 2935 c.c., si chiarisce in primo luogo che l’obbligazione ritenuta ancora vincolante dal TAR riguarda la compravendita di un immobile costruito nell’ambito di un P.E.E.P..

I Piani di Edilizia Economica Popolare sono stati introdotti con la Legge n.167/1962, e consentivano ai Comuni di ricorrere allo strumento espropriativo per programmare ed armonizzare gli interventi nel settore della casa e al contempo per arginare il fenomeno della speculazione fondiaria e immobiliare.
In forza di tale Legge, i Comuni potevano acquisire in modo coattivo ed a costi contenuti aree da destinare ad uso residenziale e da dotare dei necessari servizi pubblici, quali parcheggi, zone verdi ecc., e tale sviluppo urbanistico veniva realizzato in concreto tramite lo strumento delle convenzioni coi privati previste dall'art. 35, L. n. 865/1971.
In sintesi, i Comuni cedevano a titolo oneroso ai privati per un periodo compreso tra 60 e 99 anni il diritto di superficie sulle aree comprese nel P.E.E.P., mentre i concessionari a loro volta si impegnavano, a determinate condizioni previste dalla Legge ed inserite nelle dette convenzioni, alla costruzione di case di tipo economico o popolare e dei relativi servizi urbani e sociali.

La richiesta avanzata dal Comune citata nel quesito è fondata, in particolare, sull’art. 35, c.17, L. n. 865/1971, che, tra le varie limitazioni al trasferimento degli alloggi compresi nel P.E.E.P., stabilisce che “dopo 20 anni dal rilascio della licenza di abitabilità, il proprietario dell'alloggio può trasferire la proprietà a chiunque o costituire su di essa diritto reale di godimento, con l'obbligo di pagamento a favore del comune o consorzio di comuni, che a suo tempo ha ceduto l'area, della somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell'area al momento dell'alienazione ed il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell'indice dei prezzi all'ingrosso calcolato dall'Istituto centrale di statistica. Detta differenza è valutata dall'ufficio tecnico erariale ed è riscossa all'atto della registrazione del contratto dal competente ufficio del registro, che provvede a versarla al comune o consorzio di comuni. La somma è destinata all'acquisto di aree per la costruzione di case economiche e popolari”.
La norma è stata abrogata dalla L. n. 179/1992, ma nonostante ciò gli obblighi ed i limiti in essa previsti sono sopravvissuti anche in seguito, in quanto in molti casi i Comuni hanno continuato ad inserirli pure nelle convenzioni stipulate dopo il 1992 (Cass. civ, SS.UU., 16 settembre 2015, n.18135; Corte dei conti, sezione di controllo della Regione Friuli Venezia Giulia, 21 settembre 2017, n.58).

Tanto premesso, si osserva che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Il testo dell’articolo è molto chiaro e lineare, ma la stessa semplicità purtroppo non si ritrova quando si tratta di calare la norma nella realtà concreta, che può presentare quasi infinite variabili e fattispecie.
In generale, però, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 del c.c., prevede specifiche e tassative ipotesi di sospensione (ex multis, Cassazione civile, sez. I, 31/07/2019, n.20642; Cassazione civile, sez. lav., 11/09/2018, n.22072; Cassazione civile sez. lav., 26/05/2015, n.10828).
Più chiaramente, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui la parte acquisisce la possibilità legale, obiettivamente percepibile e riconoscibile, di realizzare il proprio diritto (Cassazione civile sez. II, 25 gennaio 2018, n.1889).
Pertanto, la prescrizione non inizia il proprio corso fino a che l’evento dal quale traggono la propria origine le pretese si manifesta all’esterno e diventa conoscibile oggettivamente dalla parte (Cassazione civile, sez. III, 22 settembre 2016, n.18606).
Se non operasse tale principio, infatti, un soggetto rischierebbe di vedersi dichiarare prescritto un diritto che nemmeno era a conoscenza di poter esercitare.

Nella fattispecie, quindi, la decisione del TAR sembrerebbe essere stata assunta nel rispetto della giurisprudenza sopra riportata, posto che soltanto quando ha ricevuto l’atto di trasferimento dell’immobile il Comune ha appreso che era maturato il diritto di esigere il pagamento delle somme previste dall’art. 35, L. n. 865/1971.
L’unica possibilità di poter ribaltare la decisione su questo punto potrebbe essere quella di dimostrare, sulla base di idonei documenti, che l’Ente è venuto a conoscenza delle vicende relative all’immobile in un momento precedente.
Adatta alla scopo potrebbe essere ad esempio eventuale documentazione relativa a istanze per il rilascio di titoli edilizi o richieste di cambio o fissazione di residenza e simili, cioè atti emessi o ricevuti dal Comune che indicano chiaramente che è cambiato il soggetto titolare del diritto di godimento relativo all’immobile in questione.
Nonostante il lungo lasso di tempo trascorso, tali documenti dovrebbero essere resi disponibili da parte del Comune dietro specifica richiesta di accesso agli atti, posto che si tratta di atti pubblici e come tali soggetti all’applicazione della Legge sul procedimento amministrativo n.241/1990.

Alessandra F. chiede
sabato 19/11/2016 - Piemonte
“Il mancato adempimento dell'obbligo di comunicare alla Cassa Nazionale Ragionieri con raccomandata A/R entro il 10 settembre di ogni anno, ex art. 43 del Regolamento, integra la clausola di DOLOSITA' agli effetti della prescrizione ex art. 2941, n. 8, del c.c., ovvero tale mancato adempimento debba ritenersi ATTO DOVUTO per cui, indipendentemente dalla DOLOSITA', produce la sospensione dei termini di prescrizione ex art, 2935 del c.c.?
Resto in attesa e saluto cordialmente.

Consulenza legale i 23/11/2016
L’art. 43 del regolamento di esecuzione del d.lgs. 30/6/1994, n. 509 prescrive una serie di sanzioni per il caso di omessa e/o infedele comunicazione obbligatoria alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Ragionieri. In particolare, al comma 8 si afferma come “l'omissione e l'infedeltà della comunicazione non seguita da rettifica, costituiscono, se ripetute, infrazione disciplinare agli effetti delle norme dell'ordinamento professionale della categoria”.

Stando alle scarne informazioni del quesito e alla lettera della normativa citata, non è possibile affermare se tale mancato adempimento costituisca dolo tra le parti, tale da sospendere il termine di prescrizione.
Ciò che è certo è che colui che ha omesso di fornire le informazioni relative al volume di affari andrà certamente incontro ad una sanzione e che tale sanzione diventerà di tipo disciplinare ove il comportamento sia reiterato.

Non si comprende il motivo per cui la prescrizione dovrebbe essere sospesa: la prescrizione in relazione a quale diritto? La Cassa di Previdenza – fatti i dovuti controlli – procederà senz’altro al recupero di quanto dovuto, salvo rettifica da presentare ai sensi del comma 5 dell’art. 43 citato (“si intende ritardata la comunicazione presentata o spedita a mezzo di lettera raccomandata entro il novantesimo giorno dal termine di cui al comma 1”, ovvero il 10 settembre). Pertanto, ove un ragioniere abbia omesso tale informazione, è ancora nei termini per adempiere con una comunicazione “ritardata”.
Inoltre, laddove il ritardo della comunicazione non dipenda da causa imputabile al professionista, è bene inviare comunicazione sottoscritta in cui si ribadisce la propria estraneità al mancato rispetto dell’obbligo di informativa del volume di affari.

Anonimo chiede
mercoledì 09/11/2016 - Lazio
“Ho acquistato un appartamento nel 2003, cui compete l'assegnazione di un posto auto (non di proprietà) in area condominiale, in base a delibera assembleare del 1985, con relativa estrazione dei posti stessi, uno per ogni appartamento. Il precedente proprietario aveva effettuato uno "scambio", pare nel 1989 (solo verbale e con il convincimento che valesse comunque l'assegnazione a suo tempo stabilita) con un altro posto auto. Io, subentrando nel 2003, ho trovato tale situazione, che ho tollerato fino ad ora, sia pure lamentandomene verbalmente dopo pochi anni con l’amministratore di condominio e nel 2013 gli ho inviato un fax chiedendo di fare chiarezza sull’assegnazione dei posti auto. Ora intendo riprendere possesso del posto auto assegnato al mio appartamento nel 1985, sia perché ritengo che la semplice tolleranza non consenta l'usucapione, ma soprattutto perché ritengo che il decorso del termine ventennale non sia opponibile nei miei confronti, in quanto debba essere calcolato SOLO a decorrere dal mio acquisto dell'appartamento (2003), momento a decorrere dal quale potevo esercitare il mio diritto, trovando applicazione il principio di cui all’art. 2935 c.c. in tema di prescrizione. Grazie. Cordialità
Consulenza legale i 14/11/2016
Per quel che riguarda la prima osservazione, ovvero che la tolleranza “non consentirebbe l’usucapione”, è certamente vero che gli atti di tolleranza non equivalgono ad inerzia nel far valere i propri diritti.
E’ pacifico, infatti, sia per gli studiosi di diritto che per la giurisprudenza, che l’usucapione non può validamente maturare laddove il legittimo titolare del diritto abbia semplicemente tollerato l’esercizio del possesso da parte del terzo che intende usucapire.
Tuttavia, va altresì evidenziato che – sempre in forza della giurisprudenza in materia - se questo è certamente vero per quel che i riguarda i rapporti di parentela, lo stesso non si può affermare con riguardo ai rapporti di vicinato quando l’atteggiamento di tolleranza si prolunghi nel tempo.
In altre parole: la tolleranza del possesso altrui sul bene non consente l’acquisto dell’usucapione quando a tollerare siano la moglie, il marito, un fratello, ecc., insomma un parente, e ciò sia nel caso in cui il periodo di tolleranza sia breve, sia quando invece si stia protraendo da anni.
Diverso, invece, è il caso tra vicini di casa (oppure tra condomini, come nel caso di specie), perché si ritiene che nei rapporti di vicinato – proprio per la mancanza di vincoli di affettività – difficilmente un soggetto possa acconsentire alla turbativa dei propri diritti da parte di un terzo per lungo tempo.

Afferma in proposito la giurisprudenza: “In tema di usucapione, per stabilire se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e sia quindi inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell'esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo.” (Cassazione civile, sez. II, 29/05/2015, n. 11277) ed ancora: “In tema usucapione, nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo.” (Tribunale Salerno, sez. II, 22/11/2014, n. 5530).
“Presumere” che dopo un certo tempo la tolleranza sia esclusa non significa però, si noti bene, negarla in assoluto, ma solamente che chi contesta il possesso altrui e intende evitare la possibile usucapione avrà l’onere di provare che il proprio atteggiamento di apparente inerzia derivava da mera tolleranza nei confronti del terzo possessore.
La tolleranza, insomma, dopo tanto tempo, non può più darsi per scontata.

Per quanto riguarda, invece, l’opponibilità del possesso al legittimo titolare del diritto di godimento su quest’ultimo – diritto acquisito in forza di delibera assembleare – ad avviso di chi scrive, è corretto richiamare l’art. 2935 cod. civ., ma non nel senso che i vent’anni dell’usucapione ricomincerebbero a decorrere, nel nostro caso, dal 2003.
Ciò che rileva, infatti, ai fini dell’acquisto di un diritto per usucapione, è solamente il decorso del tempo: sono quindi necessari atti interruttivi della prescrizione al fine di evitare il maturare del ventennio.
Pertanto, chi ha acquistato il bene immobile o un diritto sul medesimo in forza di valido titolo (come nella fattispecie al nostro esame) dovrà, dal momento in cui può farlo, impedire l’esercizio del possesso nei confronti dell’altro, compiendo validi atti interruttivi della prescrizione, altrimenti rischierà la perdita del suo diritto.

Concretamente, gli atti interruttivi considerati validi ad interrompere la prescrizione – anche in base alla giurisprudenza in materia – sono:
a) la notifica di una domanda giudiziale (atto di citazione), anche se poi non necessariamente seguita dallo svolgimento effettivo della causa; la domanda, però, trattandosi di diritti reali su bene immobile dovrà essere trascritta;
b) un atto che materialmente privi la controparte del possesso per oltre un anno (art. 1167 cod. civ., 1°comma).
Secondo i Giudici non è invece sufficiente una mera diffida a mezzo raccomandata, né qualsiasi altro atto che abbia effetti sul piano meramente obbligatorio (messa in mora, ecc.) e non reale (come, appunto, la privazione materiale del possesso).

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