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Articolo 533 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 533 Codice Civile

L'erede(1) può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari(2) a titolo di erede o senza titolo alcuno(3), allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi(4) [71, 73, 534, 535, 2652 n. 7 c.c., 22 c.p.c.].

L'azione è imprescrittibile [948, 2934 c.c.], salvi gli effetti dell'usucapione [1158 ss. c.c.] rispetto ai singoli beni(5).

Note

(1) Legittimato attivo alla proposizione dell'azione di petizione di eredità è l'erede, sia legittimo che testamentario. Qualora vi siano più eredi, ciascuno può agire singolarmente, non essendovi litisconsorzio necessario con gli altri eredi. La proposizione di tale azione da parte del chiamato comporta l'accettazione tacita dell'eredità.
Non è legittimato attivo il curatore dell'eredità giacente (v. art. 528 ss. c.c.) o l'acquirente dell'eredità (v. art. 1542 del c.c.).
Chi agisce deve provare la morte del de cuius, la qualità di erede (se la vocazione è legittima basta provare il grado di parentela, se testamentaria è necessario produrre il testamento) e che i beni appartenevano all'asse ereditario al momento dell'apertura della successione.
(2) Oggetto dell'azione possono essere tutti i beni ereditari ma anche una parte o una quota di questi. L'azione è esperibile non solo nei confronti dei beni di cui il defunto era proprietario o possessore, ma anche verso beni che quest'ultimo deteneva soltanto.
(3) Legittimato passivo è:
- chi possiede a titolo di erede (c.d. possessio pro herede), cioè colui che ritiene di essere erede in base ad un titolo che invece non gli spetta;
- chi possiede senza titolo (c.d. possessio pro possessore), ossia colui che possiede senza alcun titolo giustificativo.
Se più persone possiedono i beni ereditari, l'azione deve essere esperita nei confronti di ciascuno di essi.
(4) Oltre alla condanna alla restituzione dei beni nei confronti di chi li possiede senza valido titolo giustificativo, l'azione accerta la qualità di erede in capo all'attore.
(5) L'azione è imprescrittibile perchè mira ad accertare la qualità di erede in capo all'attore, la quale una volta acquistata non viene meno ( v. semel heres semper heres). Il convenuto può, tuttavia, opporre l'intervenuta usucapione sui singoli beni.

Ratio Legis

L'azione di petizione consente all'erede di veder giudizialmente accertata la sua qualità di erede e, di conseguenza, di ottenere tutela nei confronti di terzi che si siano impossessati dei beni del defunto.

Brocardi

Hereditatis petitio
Omnis qui se offert petitioni, quasi possidens tenetur

Spiegazione dell'art. 533 Codice Civile

Questo concetto della hereditatis petitio può essere accolto sebbene non possa dirsi esente da alcuni rilievi, come ad esempio i seguenti: il primo, che la petitio hereditatis non ha come scopo soltanto quello di far conseguire a chi la intenta la restituzione dei beni ereditari, e non lo ha sia perché ben può il chiamato rinunciare alla proprietà dei beni e rivendicare solo il titolo, il purum nomen heredis, e sia perché può anche verificarsi che la restituzione dei beni sia inattuabile, per essere questi stati usucapiti da chi li possedeva; il secondo, che non è esatto qualificare legislativamente petitio l’azione che l’erede intenta contro il possessor pro possessore, contro chi, cioè, possieda i beni senza titolo. Se la petitio hereditatis tende alla tutela del titolo d’erede e se questo manca nel possessore qualunque, è ovvio che si deve parlare non di petitio hereditatis, ma di revindicatio che tutela la qualità di proprietario o, più generalmente, quella di titolare di un diritto. Meglio si potrebbe definire la petitio hereditatis come l’azione che il chiamato all’eredità intenta contro chi gli contesta il suo diritto a succedere oppure il diritto alle cose costituenti l’oggetto dell’eredità.

Premesso ciò, vediamo la sua regolamentazione giuridica.
La petitio hereditatis è un'azione di carattere universale in un duplice senso: primo, perché tende non a tutelare un diritto su di una cosa singola ma a far riconoscere in chi la propone la qualità d’erede, cioè il diritto all'universum ius defuncti; secondo, perché è esperibile erga omnes, cioè contro chiunque contesti al chiamato la qualità d’erede (sotto tale punto di vista alcuni la denominano anche reale, il che può accettarsi a condizione, però, che con tale terminologia non si intenda un’azione relativa ad un diritto reale, non essendo tale il diritto ereditario).

Tale azione spetta a colui che, chiamato per legge o per testamento, o abbia già adito l’eredità, sia puramente e semplicemente, sia col beneficio d’inventario (poiché questo non priva il chiamato della qualità d’erede ma solo limita le sue responsabilità), oppure intenda accettarla. Essa può venir proposta non solo dal primo chiamato, ma anche dai successibili invece di lui, dai suoi successori a titolo universale; può spettare anche al successore a titolo particolare, però solo nel caso in cui tenda a rivendicare le cose ereditarie e non il titolo d’erede, poiché questo deve essere stato già acquistato dall’alienante.

Analoga distinzione va fatta per decidere se la petitio possa essere proposta dai creditori di un erede inattivo, a norma dell’art. 2900 c.c. che, com’è noto, legittima i creditori ad esercitare i diritti e le azioni del loro debitore allo scopo di conservare il patrimonio di costui, garanzia delle loro ragioni oppure di soddisfarsi addirittura, potendolo, sul risultato dell’azione. La petitio sarà esercitata dai creditori, al posto del debitore, quando questi avrà già assunto la qualità d’erede per aver adito l’eredità; nell’ipotesi contraria, quell’esercizio, in via surrogatoria, non può essere ammesso perché la rivendica della qualità d’erede è un diritto di contenuto squisitamente personale, sottratto alla surrogatoria dallo stesso art. 2900.

Legittimato passivamente alla petitio hereditatis è chiunque si trovi nel possesso, totale o parziale, o del titolo d’erede o delle cose ereditarie; qualunque sia la causa per cui possiede, tanto, cioè, se possiede pro herede, pretendendo un diritto all’eredità, quanto se possiede pro possessore, vale a dire senza titolo d’erede, solo in base al possideo quia possideo. Ma deve trattarsi sempre di un possessore di beni ereditari, per cui l'azione non sarebbe proponibile contro un possessore in senso generico o possessore improprio, qual è, appunto, un debitore dell'eredità che si rifiuta di pagare il suo debito asserendo d’essere egli l’erede; in questo caso, non solo non si ha un possesso di beni ereditari, richiesto dall'art. 533, ma bisogna escludere che si tratti di un possesso, poiché oggetto di questo non possono essere i diritti d’obbligazione.
Va, però, rilevato che, pur ponendosi a fondamento della legittimazione passiva un possesso, non si esclude che la petitio possa essere proposta contro chi, già possessore, abbia cessato dolosamente di esserlo (dolo malo desiit possidere) perché costui è tenuto, per l'art. 948, a recuperare le cose a proprie spese o, non potendolo, a risarcire il rivendicante del loro valore; però la petitio non sarà proponibile contro qui liti se opulit, poiché essendo, in sostanza, la petitio hereditatis una revindicatio, la medesima è ammessa solo contro chi è in effetti possessore e non pure contro chi si finge di esser tale.

L'art. 533 in esame nulla dice circa l’onere della prova e l'autorità competente a conoscere della petitio hereditatis. Al silenzio della legge può supplirvi il dottrinario. Sul primo punto: anche per la petitio hereditatis ha vigore il comune principio di diritto probatorio onus probandi incumbit ei qui dicit; l’attore, quindi, dovrà provare la sua pretesa, cioè i fatti sui quali questa viene fondata. Tra tali fatti sta, innanzitutto, la qualità di erede, quindi il testamento o il grado di parentela che lo legittima a succedere; ma se gli si oppone che, pur successibile, egli è, però, preceduto da un altro di grado prossimiore, spetta a lui rimuovere tale eccezione, perché ove non facesse ciò, verrebbe meno ogni base alla sua pretesa. Oltre la qualità d’erede, desunta dal titolo della vocazione, egli non deve dimostrare nient'altro e, precisamente, non è tenuto a provare né la capacità a testare del de cuius, né la sua capacità a succedere, né di aver accettato, innanzitutto perché ciò non è richiesto dalla legge e, in secondo luogo, perché il proporre la petitio è un atto che importa, di per sé stesso, accettazione dell'eredità; questo come regola, poiché nel caso in cui a lui sia stato imposto un termine per l'accettazione, oppure gli si eccepisca il decorso del periodo entro cui poteva accettare, in entrambe tali ipotesi il suo onere probatorio non sarà esaurito se non dopo aver dimostrato l’infondatezza delle eccezioni.

La competenza è del tribunale che, ratione loci, è quello non del luogo in cui si trovano i beni, ma del luogo in cui si è aperta la successione (art. 22 c.p.c.); se questa si è aperta fuori della Repubblica, allora competente sarà l’autorità giudiziaria del luogo in cui è posta la maggior parte dei beni ereditari immobili o mobili da dividersi e, in difetto, il tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza. Ma poiché la petitio può essere fatta valere sia in via principale che in via riconvenzionale o incidentale in un altro giudizio, la competenza in questi ultimi casi sarà dell’autorità giudiziaria presso cui pende la causa principale, sempre che l’autorità adita sia competente, dovendo quella, nella contraria ipotesi, sospendere la causa principale e rinviare le parti innanzi al giudice competente a conoscere della petitio.

Circa il termine entro cui può proporsi la petitio, è noto come, in passato, si disputasse in dottrina se esso dovesse ammettersi o meno. Al secondo comma è stato espressamente previsto che tale azione è imprescrittibile, in ragione della sua indole, che è universale e tende all’accertamento della qualità di erede, e da questo angolo visuale è analoga ad una questione di stato.
L'usucapione però, mantiene i suoi effetti, ma solo per le singole cose ereditarie. Siffatta conclusione non è contraddetta né dalla necessità che per l’acquisto della qualità d’erede occorra aver accettato, né dal rilievo che al chiamato sia assegnato un termine entro cui decidersi; non contrasta con la prima perché il proporre la petitio hereditatis presuppone la volontà di accettare, ed anzi, è atto che manifesta, in re ipsa, tale volontà; ma non contrasta neppure col secondo, perché si tratta di due concetti diversi: uno, infatti, è la facoltà di far valere il titolo d’erede quando lo si è acquistato, l’altro è la facoltà di acquistare quel titolo; ora l’imprescrittibilità riflette soltanto il primo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

258 Nell'art. 533 del c.c. ho modificato la definizione della petizione di eredità, allo scopo di mettere in rilievo che il carattere universale della petitio non consiste nel fatto che il convenuto possiede l'eredità o parte di essa, come appariva dalla vecchia formula che impropriamente parlava di un possesso dell'eredità (si possiedono in realtà beni singoli e non l'eredità come universitas), ma è riposto invece nel riconoscimento della qualità di erede, presupposto essenziale per la condanna del possessore alla restituzione. L'art. 532 del c.c. configura la petitio come un'azione di condanna, perché questo è l'atteggiamento tipico di tale azione, ma è chiaro che ciò non può menomamente pregiudicare l'ammissibilità di una pura azione di accertamento della qualità di erede, la quale discende dai principii generali del nostro diritto processuale.

Massime relative all'art. 533 Codice Civile

Cass. civ. n. 7871/2021

La "petitio hereditatis" si differenzia dalla "rei vindicatio", malgrado l'affinità del "petitum", in quanto si fonda sull'allegazione dello stato di erede, ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell'"universum ius" o di una quota parte di esso. Ne consegue, quanto all'onere probatorio, che, mentre l'attore in "rei vindicatio" deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all'usucapione, nella "hereditatis petitio" può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell'apertura della successione, fossero compresi nell'asse ereditario; pertanto, deve ritenersi inammissibile il mutamento in corso di causa dell'azione di petizione ereditaria in azione di rivendicazione, anche quando non sia contestata dal convenuto la qualità di erede dell'attore, in quanto tale mancata contestazione non fa venire meno la funzione prevalentemente recuperatoria dell'azione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, senza incidere sulla radicale diversità - per natura, presupposti, oggetto e onere della prova - tra le due azioni.

Cass. civ. n. 28665/2020

Nell'ipotesi di "petitio hereditatis" proposta dal successore "ex lege", la domanda di nullità del testamento formulata dall'attore alla prima udienza dopo la produzione in giudizio della scheda testamentaria da parte del convenuto, ponendosi in nesso di consequenzialità con la relativa difesa, è ammissibile ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 183, comma 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 20024/2020

In tema di divisione dell'asse ereditario, qualora l'erede convenuto, in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del "de cuius", chieda l'adempimento dei diritti di credito da questo vantati nei confronti di altro coerede, può esperire l'azione di petizione dell'eredità che, ai sensi dell'art. 533 c.c., consente di chiedere sia la quota dell'asse ereditario sia il suo valore, assumendo natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria. (Nella specie, è stato ritenuto che la domanda riconvenzionale con cui si rivendicava la qualità di unico erede, per rappresentazione, della madre del "de cuius", deceduta dopo questo, postulasse l'accertamento, fra l'attivo ereditario, anche di crediti allo stesso appartenuti, giacenti su conti correnti intestati alla ascendente, nei confronti di altro coerede per le somme di cui quest'ultimo si era illegittimamente appropriato prima della sua morte).

Cass. civ. n. 16409/2017

L’azione di petizione dell’eredità è intesa, innanzitutto, al riconoscimento della qualità di erede, la quale, costituendo un “prius” autonomo facente parte del “petitum” dell’azione rispetto al diritto all'acquisto dell’universalità dei beni del “de cuius” o di una quota di essi, importa, come conseguenza, che, ove sia proposta domanda di petizione di eredità, oltre che nei confronti di chi sia nel possesso dei beni ereditari dei quali si chiede la restituzione (e sia, perciò, passivamente legittimato rispetto ad essa), anche di altro soggetto che si dichiari erede, e formuli domanda riconvenzionale in tal senso, si dà luogo ad una situazione di cause scindibili ed autonome.

Cass. civ. n. 22005/2016

L'accoglimento dell'azione di petizione ereditaria comporta non già la semplice restituzione alla massa dei beni oggetto della domanda, ma la reintegrazione delle quote lese, sicché, ove sia ordinata la restituzione di somme di denaro, sul relativo importo deve essere riconosciuta la rivalutazione, trattandosi di credito di valore. (Nella specie, il principio è stato affermato con riguardo al "quantum" in denaro, corrispondente alle somme portate da buoni fruttiferi incassati dal soggetto passivo della domanda di petizione ereditaria, del quale era stata ordinata la restituzione).

Cass. civ. n. 22100/2015

L'imprescrittibilità della petizione di eredità, sancita dall'art. 533 c.c., non altera l'ordinario regime di prescrizione dei singoli diritti compresi nell'asse ereditario. (Principio affermato riguardo alla prescrizione di un credito ereditario).

Cass. civ. n. 2148/2014

La petizione di eredità e l'azione di accertamento della qualità di erede differiscono tra loro in quanto, pur condividendo l'accertamento della qualità ereditaria, la prima è azione necessariamente recuperatoria, volta ad ottenere la restituzione dei beni ereditari da chi li possegga a titolo di erede o senza titolo, mentre l'altra è azione essenzialmente dichiarativa, eventualmente corredata da domanda accessoria di condanna non attinente alla restituzione dei beni ereditari. Pertanto, l'azione di accertamento della qualità di coerede, proposta nei confronti di chi possegga i beni ereditari a titolo di erede, corredata dalla domanda di rendiconto della gestione e corresponsione dei relativi frutti, non integra "petitio hereditatis", ma costituisce azione di accertamento con domanda accessoria di condanna.

Cass. civ. n. 22915/2013

La petizione di eredità ha come presupposto indefettibile che la qualità di erede, al cui riconoscimento è preordinata, sia oggetto di contestazione da parte di chi detiene i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, poiché, ove tale contestazione manchi, vengono meno le ragioni di specificità dell'azione di petizione rispetto alla comune rivendicazione, che ha, invero, lo stesso "petitum".

Cass. civ. n. 14182/2011

L'azione di petizione di eredità non esige l'integrale contraddittorio di tutti i coeredi, sicché il possessore dei beni ereditari, convenuto in giudizio da uno solo degli eredi, nulla può opporre al riguardo, essendo sempre tenuto alla restituzione dei beni per intero, in quanto appartenenti all'eredità, mentre nei rapporti interni tra i coeredi la rivendicazione vale per la quota spettante a ciascuno di essi; con la conseguenza che, ove uno dei coeredi sia rimasto contumace nel giudizio di primo grado promosso dall'altro coerede, gli eredi di entrambi hanno facoltà di intervenire, anche in appello, nel relativo giudizio, chiedendo l'estensione degli effetti della domanda originaria, senza che possa configurarsi novità della domanda.

Cass. civ. n. 3181/2011

Con l'azione di petizione ereditaria l'erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto "mortis causa" al defunto, ossia i beni che, al tempo dell'apertura della successione, erano compresi nell'asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il "de cuius" abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un'apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del "de cuius".

Cass. civ. n. 24034/2004

Qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell'attore, la petizione dell'eredità che, ai sensi dell'art. 533 c.c.,consente di chiedere sia la quota dell'asse ereditario sia il suo valore, può assumere natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria. (Nella specie, è stato ritenuto che la domanda di divisione dell'asse ereditario, configurando l'azione di cui all'art. 533 c.c., postulava l'accertamento, fra l'attivo ereditario,anche del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede perle somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte).

Cass. civ. n. 10557/2001

La petitio hereditatis ha natura di azione reale, volta a conseguire il rilascio dei beni ereditari da colui che li possegga, vantando un titolo successorio che non gli compete, ovvero senza alcun titolo, e presuppone l'accertamento della sola qualità ereditaria dell'attore o di diritti che a costui spettano iure hereditatis, qualora siano contestati dalla controparte; la petitio hereditatis, pertanto, si differenzia dalla rei vindicatio malgrado l'affinità del petitum, in quanto si fonda sull'allegazione dello stato di erede ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell'universum ius o di una quota parte di esso. Ne consegue, quanto all'onere probatorio che, mentre l'attore in rei vindicatio deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all'usucapione, nella petizione di eredità può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell'apertura della successione, fossero compresi nell'asse ereditario.

Cass. civ. n. 954/1986

La petitio hereditatis è diretta all'accertamento della qualità di erede allo scopo di acquisire l'universum ius del defunto il quale è comprensivo anche dei diritti personali di godimento e delle detenzioni qualificate corrispondenti all'esercizio di essi. Conseguentemente deve ritenersi che detta azione possa proporsi contro il terzo sfornito di titolo per ottenere la consegna di beni detenuti in vita dal de cuius a titolo di locazione.

Cass. civ. n. 1979/1974

Il criterio differenziatore tra l'azione di petizione di eredità e quella di rivendica consiste nella posizione del convenuto possessore, che — nel primo caso — non è in grado di opporre alcun titolo giustificativo, ovvero ne oppone uno che comporta l'attribuzione della qualità di erede, mentre — nell'altro — vanta un titolo diverso e specifico di legittimazione del proprio possesso.

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FEDERICO D. chiede
lunedì 12/04/2021 - Campania
“PREMESSA
Nel 1997 RP fece un testamento olografo lasciando beni ai figli DF e DA unici eredi e successivamente nel 2004 dopo aver permutato un terreno in cambio di due fabbricati al rustico nel 2006 morì.
Avendo la ditta completato un solo fabbricato al rustico , gli eredi iniziarono causa di scioglimento della permuta e ottennero con la sentenza del 2014 il ritorno del terreno e del fabbricato nella proprietà di RP e quindi agli eredi.
Il sottoscritto DF citò DA per la divisione dell’asse ereditario (compreso il nuovo fabbricato non indicato nel testamento) che si concluse con sentenza di rigetto del 3/12/2018 (passata in giudicato), rigetto causato da presunta negligenza dell’avvocato di DF per ritardo nella presentazione dei certificati di proprietà di RP che tuttavia gli erano stati inviati nei termini (Q202127838 a cui è già seguita la risposta in data 1/04/21)
Sembra che la causa di divisione non sia più proponibile come da sentenze della Cassazione.
Nonostante che tale sentenza avesse stabilito che il fabbricato e il terreno ritornassero in comproprietà ai sensi dell’art. 686 cc, DA si è attribuita la esclusiva proprietà del fabbricato perché ricadente nella porzione di terreno a Lui attribuita nel testamento e dopo aver fatto la successione a suo nome l’ha trascritta nei RR.II. con ripetuti tentativi di vendita.
DF non avendo altra possibilità di riproporre la divisione, intende proporre nuova causa di indebito arricchimento c/ DA solo per il fabbricato chiedendo la metà del suo valore in danaro.
QUESITO
1) E’ giustificata la proposizione della causa di indebito arricchimento.
2) E’ possibile iniziare la causa di risarcimento danni di DF contro l’avvocato contestualmente alla causa di indebito arricchimento contro DA ?
Distinti saluti

Consulenza legale i 22/04/2021
Occorre premettere che l’azione di arricchimento senza causa, di cui all’art. 2041 c.c., è un rimedio a carattere residuale, che cioè trova applicazione solo nel caso in cui un soggetto, per “correggere” uno squilibrio patrimoniale che lo vede svantaggiato, non abbia a disposizione altri strumenti giuridici previsti dall’ordinamento.
Si veda, tra le più recenti, Cass. Civ., Sez. II, 30/08/2017, n. 20528: “tenuto conto del principio di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa, ai sensi degli artt. 2041 e 2042 c.c., essa è disponibile solo allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, non possa esercitare un'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito”.
Pertanto, anche nel nostro caso è necessario verificare che chi pone il quesito non possa effettivamente esercitare altra azione per far valere la propria presunta diminuzione patrimoniale.
Ora, dalla lettura della sentenza emessa nel pregresso giudizio di divisione, sentenza peraltro dalla motivazione piuttosto articolata e, ad avviso di chi scrive, ben argomentata, è emerso che, in tale procedimento, parte attrice aveva proposto, in un primo momento, domanda di divisione parziale, avente ad oggetto il fondo su cui sorge il fabbricato conteso. La domanda venne, successivamente, ampliata estendendo la richiesta di divisione all’intero compendio ereditario.
Motivando in maniera piuttosto dettagliata il proprio convincimento, il giudice arriva a qualificare la disposizione testamentaria che aveva attribuito ai due fratelli i due terreni come prelegato (ovvero legato a favore di uno dei coeredi e a carico di tutta l'eredità, art. 661 c.c.).
Inoltre, sempre secondo la sentenza esaminata, troverebbe applicazione l’art. 686 c.c., secondo cui l'alienazione della cosa legata, o di parte di essa, da parte del testatore, comporta la revoca del legato riguardo a ciò che è stato alienato, anche quando l'alienazione sia annullabile per cause diverse dai vizi del consenso, ovvero la cosa ritorni in proprietà del testatore.
Seguendo tale ragionamento, il bene conteso dovrebbe intendersi ricompreso nell’asse ereditario e, pertanto, nella domanda di divisione dell’intero patrimonio della de cuius.
A questo punto, però, il giudice si ferma, poiché ritiene che la domanda di divisione non risulti sufficientemente provata a causa della mancata produzione della necessaria documentazione. Per questo la domanda, com’è noto, viene rigettata.
Alla luce di tali considerazioni, non è affatto scontato che la domanda di divisione non possa essere riproposta.
Tuttavia, nel nostro caso, poiché risulta che il fratello si sarebbe attribuito la proprietà esclusiva del fabbricato, in quanto ricadente nella porzione di terreno a lui assegnata nella disposizione testamentaria (da ritenersi però revocata, come si è visto), ad avviso di chi scrive vale la pena verificare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di petizione di eredità, di cui all’art. 533 c.c.
In particolare, ai sensi della norma appena citata, l'erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. L'azione è imprescrittibile , salvi gli effetti dell'usucapione rispetto ai singoli beni.
In proposito la giurisprudenza ha precisato che “l’azione di petizione ereditaria, prevista dall'art. 533 c. c. ha natura prevalentemente recuperatoria, essendo il riconoscimento della qualità di erede, cui essa tende, strumentalmente diretto all'ottenimento dei beni ereditari, con la conseguenza che, qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell'attore, ma si limiti a negare l'appartenenza del bene all'asse ereditario, l'azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione, in quanto la mancata contestazione della detta qualità di erede non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, esonerando l'attore dalla prova della sua qualità fermo restando l'onere della dimostrazione, nei limiti relativi alla difesa della controparte, dell'appartenenza del bene all'asse ereditario al momento dell'apertura della successione” (Cass. Civ., 20/10/1984, n. 5304).
Quanto all’azione risarcitoria che si intende proporre nei confronti dell’avvocato, il quale avrebbe colpevolmente omesso il deposito della documentazione nella causa di divisione, la domanda di risarcimento presuppone che sia preventivamente individuato il “danno” di cui si chiede ristoro: il mancato conseguimento di una quota del valore dell’immobile conteso? Abbiamo visto, tuttavia, come sia in astratto possibile agire per “recuperare” il bene conteso; oppure le maggiori spese sostenute per effetto della negligenza del professionista (necessità di proporre ulteriori giudizi)?
Inoltre, come la Suprema Corte ha costantemente ricordato, ai fini della dimostrazione della responsabilità professionale dell’avvocato e del conseguente obbligo risarcitorio è indispensabile provare il nesso di causalità tra la condotta del legale e il presunto danno. In proposito la recentissima Cass. Civ., Sez. III, ord.11/02/2021, n. 3566, ha ribadito il principio consolidato, secondo cui la responsabilità dell'avvocato “non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone”.