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Articolo 38 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Obbligazioni

Dispositivo dell'art. 38 Codice Civile

Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente [1292 ss.] le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.

Ratio Legis

La ratio sottesa alla norma in commento consiste nella tutela del terzo che compia attività negoziale con l'associazione non riconosciuta. A controbilanciare la mancanza di pubblicità tanto dei poteri quanto della effettiva consistenza patrimoniale dell'ente, viene previsto dall'ordinamento la facoltà per il terzo di rivolgersi indistintamente ed illimitatamente anche ai soggetti che hanno speso il nome dell'associazione.

Spiegazione dell'art. 38 Codice Civile

Il primo periodo dell'articolo in commento delinea l'autonomia patrimoniale delle associazioni non riconosciute, basata sulla garanzia offerta dal fondo comune per le obbligazioni contratte dagli amministratori nell'esercizio dell'attività sociale. Lo stesso fondo comune, su cui grava un vincolo di destinazione, è indisponibile, distinto ed autonomo rispetto ai patrimoni di coloro che agiscono in rappresentanza dell'ente.

A completamento della prima parte dell'articolo, viene precisato come la ridetta autonomia patrimoniale sia imperfetta, in quanto la garanzia delle obbligazioni di volta in volta assunte viene estesa al patrimonio di coloro che abbiano agito in nome e per conto dell'associazione, intendendosi come tali i soggetti che abbiano concretamente svolto l'attività negoziale, anche se non titolari del potere di rappresentanza. Dell'adempimento di tale obbligazione accessoria, gli amministratori risponderanno personalmente e solidalmente con il fondo comune, alla pari del fideiussore (artt. 1936 ss. c.c.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

61 Relativamente alla responsabilità dei singoli associati, era stato suggerito di affermare il principio che essi dovrebbero rispondere delle obbligazioni dell'associazione entro i limiti del mandato, mentre coloro che hanno agito dovrebbero assumere responsabilità solidale e personale. Non sembra che i soci debbano rispondere secondo le norme del mandato. Se col termine «mandato» si vuol far riferimento agli accordi generali intervenuti fra gli associati al momento della costituzione, sembra più preciso dire che i singoli associati restano obbligati nei limiti del fondo comune. Se invece si intende aver riguardo a un mandato speciale relativo alle singole obbligazioni assunte dall'associazione, è evidente che coloro, i quali hanno dato questo mandato, debbono ritenersi astretti all'adempimento col vincolo solidale, alla pari delle altre persone che hanno agito per conto dell'associazione. Per ciò è stata mantenuta nell'art. 38 la formula del corrispondente art. 43 del progetto.

Massime relative all'art. 38 Codice Civile

Cass. civ. n. 36470/2022

In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità solidale prevista per le persone che hanno agito in nome dell'associazione ex art. 38 c.c. si applica, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, al soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia svolto compiti di amministrazione, consistenti nella direzione della gestione complessiva dell'associazione nel periodo considerato, dovendosi presumere che, quale rappresentante, abbia concorso nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell'associazione stessa, fermo restando che il richiamo all'effettività dell'ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura.

Cass. civ. n. 7107/2022

In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi: peraltro, l'operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d'imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano "ex lege" dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell'associazione nel periodo di relativa investitura.

Cass. civ. n. 6626/2022

La responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione. Chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente.

Cass. civ. n. 25451/2021

È valido l'avviso di accertamento intestato ad un'associazione non riconosciuta, emesso successivamente alla sua estinzione e notificato al legale rappresentante atteso che, non potendosi più esperire l'azione direttamente nei confronti dell'associazione, essa deve essere rivolta nei confronti di coloro che sono succeduti nella posizione che era dell'associazione medesima. Sicché l'atto deve essere notificato all'ultimo legale rappresentante, sia quale responsabile diretto e solidale ex art. 38 c.c., sia quale "successore" dell'associazione, con conseguente irrilevanza dell'intestazione dell'atto all'associazione cessata, ex art. 65, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973.

La pretesa tributaria può essere legittimamente fatta valere, una volta estinta l'associazione non riconosciuta, direttamente nei confronti del legale rappresentante, al quale l'atto, pur intestato all'associazione, deve essere notificato.

Cass. civ. n. 20398/2021

Sussiste la legittimazione passiva dei gruppi parlamentari che si sono costituiti e si sono estinti in coincidenza con la nascita e la fine delle singole legislature, citati in giudizio in persona dei rispettivi presidenti "pro-tempore" che si sono succeduti nelle legislature medesime; tale legittimazione passiva è diversa ed autonoma rispetto a quella dei soggetti che hanno agito in nome e per conto del gruppo parlamentare ai sensi dell'art. 38 c.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 16/04/2015)

Cass. civ. n. 14321/2019

L'associazione professionale costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche autonomo e distinto da quello del singolo associato, con la conseguenza che quest'ultimo non è legittimato a proporre in proprio l'opposizione allo stato passivo contro l'esclusione di un credito di cui è titolare l'associazione. (Rigetta, TRIBUNALE VERONA, 15/05/2014)

Cass. civ. n. 25650/2018

In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi: peraltro, l'operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d'imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano "ex lege" dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell'associazione nel periodo di relativa investitura. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. ROMA, 30/03/2010)

Cass. civ. n. 8752/2017

La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38, comma 2, c.c. per colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la dimostrazione in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente. (Nella specie, la S.C. ha escluso la responsabilità patrimoniale di un soggetto solo perché rappresentante di un’associazione di categoria).

Cass. civ. n. 1451/2015

L'associazione non riconosciuta, ove abbia colpevolmente ingenerato nel terzo di buona fede la ragionevole convinzione in ordine all'esistenza di poteri di rappresentanza non corrispondenti a quelli risultanti statutariamente, risponde con il proprio fondo comune, ai sensi dell'art. 38 cod. civ., delle obbligazioni assunte dall'apparente rappresentante. L'accertamento delle condizioni idonee ad integrare, in tale caso, la cd. apparenza di diritto "colpevole" costituisce apprezzamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in cassazione, se non nei limiti in cui risulta ancora censurabile il difetto di motivazione.

Cass. civ. n. 12817/2014

La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38, secondo comma, cod. civ. a carico di colui che agisce in nome e per conto di un gruppo parlamentare, il quale, a norma dell'art. 14 del regolamento della Camera dei deputati, si costituisce all'inizio di ogni legislatura, cessa al termine della stessa ed ha natura di associazione non riconosciuta ai sensi dell'art. 36 cod. civ., non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi.

Cass. civ. n. 29733/2011

Nell'associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti, che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, attesa l'esigenza di tutela dei terzi che, nell'instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali comportare alcun fenomeno di successione del debito in capo al soggetto subentrante, con l'esclusione di quello che aveva in origine contratto l'obbligazione. Ne consegue che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie "ex lege" assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. 1944 e 1957 c.c..

Cass. civ. n. 15394/2011

L'associazione non riconosciuta è responsabile del fatto illecito commesso da persona del cui operato debba rispondere, ai sensi dell'art. 38 c.c., senza che al terzo danneggiato possano essere opposti eventuali accordi statutari che limitino tale responsabilità. Ne consegue che, se il danno è stato causato da persona appartenente ad una struttura associativa complessa, costituita da un'entità nazionale articolata in varie diramazioni locali, ai fini della responsabilità aquiliana la legittimazione passiva rispetto alla domanda di risarcimento è unica e spetta all'entità nazionale

Cass. civ. n. 16344/2008

In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità dell'ente sussiste, ai sensi dell'art. 38, primo comma, c.c., per le obbligazioni ed i rapporti assunti dai soggetti che ne sono rappresentanti di diritto ed anche di fatto e che, spendendo la ragione sociale, determinano con i loro atti ed in concreto l'oggetto sociale, a prescindere dalle possibili indicazioni formali; ne consegue che tale regola, di carattere generale, si applica anche ai debiti tributari.

Cass. civ. n. 858/2008

In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, prevista dall'art. 38 c.c. in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell'ente con le esigenze di tutela dei creditori e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale, precisandosi, in ogni caso, che detta norma si riferisce ad obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione; ne consegue che l'annunciato è legittimato a proporre azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei responsabili dell'associazione per omessa custodia riconducibile all'art. 2051 c.c. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il motivo proposto dai ricorrenti gestori di una palestra evocati in giudizio da un associato a titolo di responsabilità per omessa custodia cui era conseguito un suo infortunio, sul corretto presupposto indicato nella sentenza impugnata alla stregua del quale il danneggiato aveva agito sulla base di una responsabilità extracontrattuale nei confronti dei predetti gestori quali titolari dell'associazione in relazione all'omesso controllo sulla sicurezza degli attrezzi in uso nella palestra).

Cass. civ. n. 718/2006

La responsabilità personale e solidale, di cui all'art. 38 c.c., delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non grava su tutti coloro che, essendo successivamente a capo di questa, ne assumano la rappresentanza, ma riguarda esclusivamente le persone suddette, a tutela dei terzi che con essi siano venute in rapporto negoziale facendo affidamento sulla loro solvibilità e sul loro patrimonio personale, sicché il semplice avvicendarsi nelle cariche sociali del sodalizio non comporta alcun fenomeno di successione nel debito.

Cass. civ. n. 455/2005

La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta (collegata non alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa, concretantesi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi) non è riferibile, neppure in parte, ad un'obbligazione propria dell'associato, ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilita primaria dell'associazione stessa, di talché detta obbligazione (di natura solidale) è legittimamente inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege assimilabili alla fideiussione. Ne consegue che tale responsabilità grava esclusivamente sui soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, attesa l'esigenza di tutela dei terzi che, nell'instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali del sodalizio comportare alcun fenomeno di successione nel debito in capo al soggetto subentrante, con esclusione di quello (attualmente sostituito) che aveva in origine contratto l'obbligazione. (Nell'affermare il principio di diritto che precedere, e nello specificare, ancora, che, per l'effetto, il presidente di un sodalizio non riconosciuto è passivamente legittimato all'azione del creditore anche dopo la cessazione della carica con riguardo alle obbligazioni risalenti al periodo in cui egli aveva esercitato le funzioni di presidente, la Corte Cass. ha così cassato la sentenza della Corte di merito che aveva invece ritenuto, con riferimento ad un contratto di locazione sottoscritto, illo tempore dall'allora presidente di un'associazione non riconosciuta in nome e per conto di quest'ultima, che tutte le relative obbligazioni, ivi inclusa quella della riconsegna alla scadenza — nonché quella risarcitoria riconnessa all'eventuale ritardo nella consegna — non gravassero su quest'ultimo, bensì sull'attuale legale rappresentante dell'ente).

Cass. civ. n. 8919/2004

Ai sensi dell'art. 38 c.c., non è configurabile responsabilità personale e solidale con l'associazione non riconosciuta, del rappresentante della stessa in ordine agli obblighi retributivi nei confronti dei dipendenti dell'associazione, ove i relativi rapporti di lavoro non siano stati instaurati (mediante stipulazione dei relativi contratti) dal rappresentante predetto, non valendo a fondare la responsabilità del medesimo (ai sensi della citata norma) la prova del rapporto previdenziale instaurato con l'ente assicuratore.

La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38, comma secondo c.c. per colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente.

Cass. civ. n. 11772/2003

Affinché, ai sensi dell'art. 38 c.c., possa operare il rifacimento all'associazione non riconosciuta della dichiarazione negoziale resa da chi abbia agito in nome e per conto della stessa, con conseguente obbligazione principale dell'associazione patrimonialmente responsabile con il fondo comune e obbligazione solidale, senza beneficio di escussione, di chi abbia agito per l'associazione, è necessario che quest'ultimo sia effettivamente abilitato a spendere il nome dell'associazione, o secondo lo schema tipico della rappresentanza, o secondo lo schema dell'immedesimazione organica ex art. 36 c.c., fermo restando che l'associazione può assentirne l'operato anche con comportamenti concludenti, così ratificando l'attività negoziale posta in essere. In mancanza di tali presupposti, il falsus procurator non impegna l'associazione ma è responsabile direttamente nei confronti dell'altro contraente secondo l'art. 1398 c.c., non prevedendo l'art. 38 c.c. alcuna deroga all'art. 1398 cit.

Cass. civ. n. 11759/2002

La responsabilità solidale prevista dall'art. 38 c.c. per colui che ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa; consegue che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione, e che il diritto dei terzo creditore è assoggettate alla decadenza di cui all'art. 1957 c.c. secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale, per cui non si richiede la tempestiva escussione del debitore principale ma, ad impedire l'estinzione della garanzia, è indispensabile che il creditore eserciti tempestivamente l'azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore.

Cass. civ. n. 10213/2001

La responsabilità aquiliana per fatto illecito di un'associazione non riconosciuta chiamata a rispondere con il proprio fondo comune (art. 17 c.c.) si fonda sul rapporto organico e sul generale principio che rende responsabili le persone fisiche e gli enti giuridici per l'operato dannoso di coloro che sono inseriti nell'organizzazione burocratica o aziendale.

Cass. civ. n. 6554/2001

Il creditore — già associato — viene a trovarsi nella stessa posizione di qualsiasi terzo estraneo alla compagine associativa ed è perciò meritevole della garanzia sussidiaria apprestata dall'art. 38 c.c. per chi contratta con un'associazione non riconosciuta; ne consegue che egli può far valere i propri diritti, oltre che sul fondo comune, invocando la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.

Cass. civ. n. 6350/2000

Delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da un associato di un'associazione non riconosciuta il quale, ancorché sfornito dei relativi poteri rappresentativi, abbia agito in nome dell'associazione, rispondono sia il fondo comune dell'associazione sia, personalmente e solidalmente, le singole persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, secondo quanto stabilito dall'art. 38 c.c. Infatti, in mancanza di ogni forma di pubblicità sui poteri di rappresentanza secondo l'ordinamento interno delle associazioni non riconosciute, per i terzi, ai quali sia obiettivamente impossibile verificare i poteri rappresentativi della controparte, non può che operare il principio all'apparenza, in base al quale il convincimento, non derivante da errore colpevole, di trovarsi in presenza di persona legittimata ad impegnare l'associazione è sufficiente alla valida stipulazione del contratto e al sorgere delle conseguenti obbligazioni sia per il terzo stipulante sia per l'associazione non riconosciuta. Ciò non esclude, peraltro, che il suddetto difetto di poteri rappresentativi comporti, sul piano dei rapporti interni, una responsabilità dell'associato medesimo nei confronti degli altri associati e dell'associazione. (Fattispecie relativa ad un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un'associazione sindacale instaurato e gestito da associati privi di poteri rappresentativi).

Cass. civ. n. 7111/1998

La responsabilità personale e solidale, ex art. 38 c.c., di colui che agisce in nome per conto dell'associazione non riconosciuta è collegata non alla titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa; ove con tale attività siano stati instaurati rapporti di lavoro subordinato per lo svolgimento di prestazioni in favore dell'associazione, il lavoratore può far valere i corrispondenti crediti direttamente nei confronti di tali soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, senza essere tenuto alla preventiva escussione del fondo comune.

Cass. civ. n. 1933/1997

L'associazione di studi notarili, ai sensi dell'art. 82 legge 16 febbraio 1913, n. 89 (che la limita alla sola comunione e suddivisione dei proventi professionali) e dell'art. 1 legge 23 novembre 1939, n. 1815 (che, con riferimento alle attività professionali esercitabili soltanto col possesso dei relativi titoli di abilitazione o di speciali autorizzazioni, in caso di associazione fra professionisti ne rende inammissibile lo svolgimento impersonale, sotto qualasiasi norma, distinta da quella svolta da ogni singolo associato) non è configurabile né come ente collettivo o centro di imputazione di interessi, fornito di personalità giuridica, né come azienda professionale, che rivesta una sua autonomia strutturale e funzionale, e quindi non può sostituire singoli studi, in persona dei relativi titolari, nei rapporti con i terzi, siano essi i clienti o i lavoratori dipendenti, ma delineandosi soltanto come un patto interno avente a contenuto anche la divisione delle spese, tra cui i compensi personali, non ne assume la titolarità del relativo obbligo, continuante a gravare sui notai associati, anche se tenuti all'apporto contabile relativo. (Nella specie, relativa a prestazioni di lavoro subordinato svolte presso una cassa cambiali gestita da tre notai, la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, ha escluso che la titolarità del rapporto di lavoro possa essere riferita ad un'associazione di studi notarili).

Cass. civ. n. 354/1991

Il principio per cui la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non può giovare agli associati creditori dell'associazione, cessa di essere di ostacolo all'operatività di siffatta forma di garanzia sussidiaria apprestata dall'art. 38, secondo comma c.c. allorché, in relazione ad obblighi assunti dall'associazione nei confronti dell'associato, intervenga, quando questi abbia perduto tale sua qualità, una convenzione che, stipulata con persone agenti in nome e per conto dell'associazione medesima, comporti una novazione di detti obblighi, per effetto della quale il creditore (già associato) viene a trovarsi nella stessa posizione di qualsiasi terzo estraneo alla compagine associativa e perciò meritevole di quella garanzia.

Cass. civ. n. 4084/1978

La responsabilità di colui che abbia agito in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta, di cui all'art. 38 c.c., presuppone nell'agente la veste di rappresentante, ma non è connessa giuridicamente a siffatta qualifica, venendo solamente in rilievo l'attività spiegata in concreto dai singoli agenti, investiti dai relativi poteri, e nei limiti delle obbligazioni da essi assunte in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta; ove tali poteri manchino, la responsabilità di chi abbia agito in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta può derivare eventualmente da un altro titolo, ma non già dal predetto art. 38 c.c.

Cass. civ. n. 4747/1976

La responsabilità personale e solidale per le obbligazioni di una associazione non riconosciuta, prevista dall'art. 38 c.c. a carico di chi abbia agito in rappresentanza dell'associazione medesima, permane anche dopo la perdita del potere di rappresentanza. Ne consegue che il presidente di un'associazione non riconosciuta è passivamente legittimato all'azione del creditore, anche dopo la cessazione dalla carica, con riguardo alle obbligazioni che risalgano al periodo in cui ha esercitato le funzioni di presidente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 38 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. M. chiede
domenica 17/07/2022 - Marche
“Buongiorno,
Vi contatto per il seguente quesito:

- desidererei sapere se l'acquisizione della personalità giuridica da parte di una Associazione non riconosciuta (trasformazione da Associazione non riconosciuta ad Associazione riconosciuta) tutela i soci da eventuali azioni risarcitorie
pervenute dopo la data di acquisizione della personalità giuridica ma riferite a fatti ad essa antecedenti.

Grazie”
Consulenza legale i 21/07/2022
Le associazioni non riconosciute, pur essendo soggetti di diritto, non dispongono della personalità giuridica, concetto connesso a quello di autonomia patrimoniale.

Le associazioni riconosciute, che dispongono di personalità giuridica, godono della c.d. autonomia patrimoniale perfetta, pertanto le vicende dell’organizzazione incidono solo sul patrimonio dell’ente e non su quello delle persone fisiche che lo compongono.

Viceversa, le associazioni prive di personalità giuridica godono di un’autonomia patrimoniale imperfetta, per cui le vicende dell’organizzazione producono effetti anche sul patrimonio delle persone fisiche che ne fanno parte.
Le associazioni non riconosciute sono titolari di un patrimonio detto fondo comune ai sensi dell’art. 37 del c.c.; per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune.
Delle stesse obbligazioni, tuttavia, rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, come disposto dall’art. 38 del c.c..

Ciò significa che i rappresentanti legali dell’associazione rispondono solidalmente delle obbligazioni sociali; tale responsabilità ha carattere accessorio rispetto all’obbligazione principale (Cass. civ., 29733/2011; Cass. civ., 12508/2015).
Al contrario, i creditori del singolo associato non possono aggredire il fondo comune.

Viceversa, per le obbligazioni delle associazioni riconosciute non risponde il singolo associato, ma soltanto l’associazione con il proprio patrimonio.
Inoltre, l’associazione non riconosciuta è responsabile del fatto illecito commesso da persona del cui operato debba rispondere e al terzo non possono essere opposti accordi statutari che limitino la suddetta responsabilità (Cass. 15394/2011).

La trasformazione di un’associazione da non riconosciuta a riconosciuta è regolata dall’art. 42 bis del c.c., il quale afferma che, se non è espressamente escluso dall'atto costitutivo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni.
La norma dispone, altresì, che nelle trasformazioni si applica il principio di continuità dei rapporti giuridici di cui all’art. 2498 del c.c., pertanto l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione.

Va segnalato che, ai sensi dell’art. 2500 quinquies del c.c., la trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti per la trasformazione, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione; detto consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione.

Infine, ai sensi dell’art. 2500 novies del c.c. attribuisce effetto alla trasformazione eterogenea (quale quella del caso di specie) decorsi sessanta giorni dall'ultimo dei dovuti adempimenti pubblicitari, salvo che consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso; nello stesso termine, i creditori possono opporsi.

Tanto premesso in termini generali, per rispondere al quesito occorre precisare che un credito risarcitorio sorge nel momento in cui si verifica la lesione della sfera giuridica del danneggiato, che genera il diritto al risarcimento del danno.
Di conseguenza, se il fatto da cui è scaturita la lesione e il relativo diritto al risarcimento del danno è già avvenuto, il credito risarcitorio può considerarsi già sorto; un eventuale procedimento giudiziale avrebbe esclusivamente funzione dichiarativa del medesimo credito, non costitutiva.
La trasformazione, pertanto, non tutela completamente i soci da eventuali azioni risarcitorie fondate su un fatto antecedente, proprio poiché l’obbligazione risarcitoria, anche se non determinata nel suo esatto ammontare, può dirsi sorta antecedentemente.

Si rammenta, tuttavia, che i responsabili non saranno tutti i soci, bensì i soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’ente.
Per evitare tale responsabilità, il creditore dovrà essere informato della trasformazione mediante raccomandata a/r o altro mezzo che ne garantisca la prova dell'avvenuto ricevimento; se presterà il consenso o non lo negherà espressamente entro 60 giorni, i soggetti illimitatamente responsabili potranno dirsi liberati da detta responsabilità illimitata; entro il medesimo termine il creditore potrà opporsi alla trasformazione stessa.

G. S. chiede
lunedì 14/03/2022 - Sicilia
“Una associazione è debitrice nei confronti di un Ente Nazionale delle somme ricevute a seguito sentenza della Corte di Appello che ha modificato la sentenza del Tribunale
La Corte di Cassazione adita ha dato ragione all'Ente per cui l'associazione è divenuta debitrice dello importo ricevuto. Particolare:
1. l'associazione non ha altri beni
2. Sono trascorsi 5 anni dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione e nonostante la sentenza a lei favorevole non ha richiesto l’importo di cui è divenuta creditrice, somma che l'altro nel tempo è stato parzialmente utilizzata.
Dubbi dei Commissari:
attendere la prescrizione del credito e poi fare il piano di riparto fra gli insinuati oppure restituire quanto rimasto all'Ente indipendentemente dalla sua richiesta.
Grazie”
Consulenza legale i 25/03/2022
Ai sensi dell’art. 2953 del c.c., quale che fosse il diritto fondante la pretesa risarcitoria dell’associazione nei confronti dell’Ente, il termine di prescrizione per il credito da quest’ultimo vantato è decennale e decorre dalla pubblicazione della sentenza di riforma (Cass., sez. lavoro, 11 marzo 2019, ordinanza n. 6942).

Il quesito non chiarisce se si discuta di associazione riconosciuta o non riconosciuta, questione che va preliminarmente affrontata.

Le associazioni non riconosciute hanno un’autonomia patrimoniale imperfetta; ciò significa che, pur esistendo un fondo comune (su cui, in primo luogo, i creditori fanno valere i loro diritti), sono anche responsabili solidalmente e personalmente con i propri beni, coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione medesima, come previsto dall’art. 38 del c.c..
Qualora l’associazione attraverso la liquidazione generale del patrimonio e quindi attraverso anche la devoluzione di beni non riesca a soddisfare i creditori, saranno responsabili personalmente e solidalmente tutti coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa.
I creditori, pertanto, compreso l’Ente Nazionale citato, nell'eventualità in cui non sia possibile soddisfarli per intero, potranno rivalersi sul patrimonio personale degli associati che hanno agito in nome e per conto dell’associazione e che hanno determinato il singolo debito.

Sul punto giova precisare che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per l’associazione è inquadrabile tra le garanzie ex lege assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. 1944 e 1951 (Cass. n. 29733/2011): per l'effetto, la responsabilità dell'associato (fideiussore) viene meno se il creditore non ha proposto la sua azione entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale, ex art. 1957 (Cian, Trabucchi).
La giurisprudenza ha, però, riconosciuto anche dei correttivi a questa rigida disciplina.
In primis, ad esempio, ha affermato che l'efficacia esecutiva del titolo formatosi contro la sola associazione non riconosciuta in un giudizio di cognizione nel quale il creditore non abbia convenuto, in proprio, anche l'eventuale soggetto responsabile in via solidale con questa ai sensi dell'art. 38 del c.c., al fine di ottenere l'accertamento della sua responsabilità solidale e la sua condanna, unitamente a quella dell'ente stesso, non si estende automaticamente al predetto soggetto (Cass. n. 12714/2019); ciò significa che il creditore dell'associazione non riconosciuta, se intende valersi della disposizione di cui all'art. 38 del c.c., può convenire, nel giudizio di cognizione diretto a ottenere il titolo esecutivo, insieme all'associazione, il soggetto che pretende obbligato in solido con la stessa, in proprio, chiedendo accertarsi la sua responsabilità solidale, onde ottenere la condanna sia dell'associazione che del soggetto solidalmente responsabile per la relativa obbligazione, ai sensi dell'art. 38 del c.c. (allegando e provando in giudizio, naturalmente, che sussistono i presupposti per siffatta responsabilità).
Nell’eventualità in cui si discuta di un’associazione non riconosciuta, per valutare l’effettiva responsabilità solidale a norma dell’art. 38 del c.c. si dovrebbero conoscere gli atti di causa, questione ben più complessa e ampia.

Le associazioni riconosciute, al contrario, hanno autonomia patrimoniale perfetta, che comporta la separazione dei patrimoni (dell'ente e degli associati), di modo che il patrimonio del singolo partecipante è insensibile ai debiti dell'ente e il patrimonio dell'ente è parimenti insensibile ai debiti personali del singolo partecipante.
Ne discende che, nel momento in cui viene effettuata la liquidazione del patrimonio dell’associazione, i creditori non possono rivalersi sugli associati, ma dovranno vedere soddisfatti i propri crediti solo con il patrimonio o i beni dell’associazione stessa.

In ogni caso, a prescindere dall'effetto che un'eventuale soddisfazione parziale dei creditori dell'associazione si riverberi sui patrimoni degli associati che in nome e per conto di essa abbiano agito, posto che il credito dell’Ente non è ancora prescritto, questo dovrà essere trattato come qualsiasi altro debito dell’associazione nella redazione del piano di riparto; infatti, la circostanza che l’Ente non abbia dato riscontro non “cancella” il credito vantato.

Chiara D. B. chiede
lunedì 12/04/2021 - Veneto
“buon giorno
vorrei sapere nelle associazioni sportive dilettantistiche chi risponde in caso di azioni maldestre del direttivo che porta la associazione sportiva in una situazione di grave debito verso terzi. In merito si può applicare la legge art.2267 c.c. in cui dovrebbero rispondere anche tutti i soci oppure si deve applicare solo art. 38 c.c. che prevede la responsabilità solo verso il direttivo che ha creato una situazione di forte debito verso terzi, responsabilità che rimane anche a direttivo decaduto.?
Grazie

Consulenza legale i 14/04/2021
La responsabilità per le obbligazioni contratte dall’associazione è definita dall’art. 38 c.c. e non è possibile riferirsi all’art. 2267 c.c., in quanto norma non applicabile analogicamente alle associazioni.

Seguendo l'indirizzo prevalente in giurisprudenza, la responsabilità per tali obbligazioni ai sensi dell’art. 38 c.c. sussisterà soltanto in capo a quei soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'associazione nei confronti dei terzi e solo per le obbligazioni che ciascuno di essi abbia assunto. Diversamente, non può ravvisarsi alcuna obbligazione in capo agli amministratori che abbiano deliberato l'atto da cui sorge un obbligo per l’associazione, ma che non abbiano agito all'esterno in nome dell'associazione (cfr. Cass. Civ., ordinanza n. 25976/2020).

Sostanzialmente, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, la responsabilità in materia di associazioni non è legata al mero dato della titolarità della rappresentanza dell'associazione, "bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 18188/2014; nel medesimo senso, Corte di Cassazione, ordinanza n. 8752/2017).

Pertanto, al fine di poter sostenere una responsabilità personale di un singolo associato o più associati occorre che questi ultimi abbiano concretamente posto in essere l’attività per conto dell’associazione da cui è poi derivata la nascita di una obbligazione.

CARMELO D. chiede
martedì 16/03/2021 - Sicilia
“Buongiorno
Ho avuto la disavventura di Presiedere una ASD non riconosciuta, ed a seguito di tutta una serie di traversie mi sono trovato ad avere in pendenza un atto esecutivo per il risarcimento di danno derivato da morosità nel pagamento dei canoni di locazione (nel periodo comunque in cui io avevo lasciato la presidenza ed ero stato sostituito).
L'associazione è stata costituita il giorno due di Settembre e nello statuto, a firma di tutti i soci, veniva stabilita la sede legale e quella operativa (con tanto di indirizzo). Il giorno successivo (il 3 di Settembre) mi sono recato a firmare (nella qualità) il contratto di affitto della sede operativa e quello delle attrezzature ( che erano già in quel luogo). Ripeto, in ossequio a quanto stabilito nello statuto!!
Adesso invocando l'Art. 38 del c.c. i soci (tutti abbienti) si dissociano da qualsiasi responsabilità.
Ma Le chiedo è possibile che nonostante siamo stati tutti a decidere quale dovesse essere la sede operativa, e che tutti abbiamo ritenuto di inserirla nello statuto, io non abbia alcuna azione di regresso nei loro confronti e questi possano disinteressarsi allegramente di tutte le spese legali e le tribolazioni che sto subendo a causa di una azione intrapresa di comunissimo accordo?
Nel sottoscrivere il contratto di locazione non ho solo eseguito ciò che era stato disposto dallo stesso statuto sottoscritto da tutti appena un giorno prima della firma?
Il rapporto fra il Presidente di ASD ed il Consiglio direttivo è inquadrabile come mandato? Se si posso rivalermi sui soci del Consiglio utilizzando le norme che regolano il mandato?
La ringrazio per il tempo che vorrà dedicarmi, ed in attesa di un Suo graditissimo riscontro. Le invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 27/03/2021
La risposta al quesito richiede di condurre una analisi preliminare sulla natura giuridica della responsabilità degli amministratori di una associazione la cui disciplina si rinviene nell’art. 38 c.c.

Le tesi che si rinvengono sulla natura giuridica di tale responsabilità sono due: la tesi della responsabilità per debito proprio e quella della responsabilità per debito altrui.

Tralasciando la tesi sulla responsabilità per debito proprio, che non ha ricevuto seguito nella giurisprudenza dominante, occorre concentrare l’analisi sulla tesi della responsabilità per debito altrui. Tale tesi afferma la natura aggiuntiva della responsabilità di chi ha agito per l'associazione, quale responsabilità concorrente con quella dell'ente, ma per debito altrui.

Nello specifico, la responsabilità per debito altrui viene intesa come una fideiussione ex lege a favore del terzo creditore (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 12473 del 17.06.2015).

Da ciò derivano dunque le seguenti conclusioni: 1) applicazione dell’art. 1944 c.c., con esclusione del beneficio della preventiva escussione; 2) applicazione dell' art. 1957 c.c. (la responsabilità in capo a chi ha agito per l'ente viene meno se il creditore non ha proposto le sua istanze entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale); 4) diritto di regresso a favore di colui che ha pagato i creditori dell'ente; 5) la notifica della sentenza ad istanza dell'associazione non riconosciuta fa decorrere il termine di impugnazione anche nei confronti di coloro che hanno agito in nome e per conto di essa, che con questa stanno in giudizio.

La riconduzione della responsabilità dell’amministratore di una associazione non riconosciuta nell’alveo dell’obbligazione fideiussoria ha un importante corollario, che riveste una particolare importante per la risposta al quesito formulato: il fideiussore (presidente) che paga il debito dell’obbligato principale (associazione) ha diritto di regresso nei confronti dell’associazione ai sensi dell’art. 1950 c.c.

Dunque, il pagamento da parte del Presidente dei debiti dell’associazione fa nascere il diritto di regresso del primo nei confronti della seconda. Tuttavia, al fine di poter estendere la responsabilità solidale degli altri membri dell’associazione, da cui possa derivare un relativo diritto di regresso per l’amministratore verso tali soggetti, così da poter invocare l’applicazione dell’art. 1954 c.c., occorre che questi ultimi, di fronte al terzo creditore, abbiano in qualche modo compiuto una concreta attività negoziale per conto dell’associazione (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 16344/08). Diversamente, tali altri membri non possono essere chiamati a rispondere solidalmente con l’associazione e con l’amministratore che ha concretamente firmato il contratto di locazione.

Nei rapporti interni, tuttavia, potrebbe affermarsi che sussista un diritto di regresso del Presidente verso gli altri membri dell’associazione, qualora sussista una delibera o altro atto dell’associazione con cui detti membri hanno conferito il potere di sottoscrivere il contratto di locazione al Presidente (il semplice inserimento nello Statuto della sede sociale presso quello che poi sarebbe stato l’immobile locato potrebbe non essere sufficiente a ritenere che vi sia una responsabilità solidale degli altri membri dell’associazione e un conseguente diritto di regresso in capo al Presidente).

Riguardo alla possibilità di richiamare le norme del mandato per estendere la responsabilità solidale agli altri membri dell’associazione non riconosciuta, non sembra una strada percorribile. Infatti, il rapporto di mandato intercorre tuttalpiù tra l’associazione, quale soggetto autonomo di diritto distinto dagli associati, e il Presidente.

Vincenzo G. chiede
martedì 19/11/2019 - Basilicata
“1)sono un professionista che svolto prestazioni professionali per conto di un consorzio urbanistico, tra proprietari di aree fabbricabili, per la realizzazione di opere di urbanizzazione da cedere ancora al comune;
2)ho emesso regolare fattura per le mie prestazioni e il presidente pro tempore ha provveduto a versare soltanto i 2/3 dell'importo;
3)l'attuale nuovo presidente pro tempore non ha intenzione di pagare in quanto non ha il relativo importo in cassa;
4)il mio legale ha ottenuto atto di pignoramento presso la banca del consorzio, ma ha trovato sul conto soltanto pochi euro;
5)posso chiedere l'estendimento dell'atto di pignoramento sia all'attuale presidente pro tempore che al socio o ai soci?
grazie”
Consulenza legale i 25/11/2019
Per rispondere al quesito è necessario individuare, innanzitutto, quale sia l’inquadramento giuridico dei consorzi di urbanizzazione, ossia delle aggregazioni di persone fisiche o giuridiche preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi.
Contrariamente a quanto il nome lascia intendere, si tratta di organizzazioni atipiche, che non trovano la propria disciplina nella norme dedicate ai consorzi, ma che vengono ricondotte dalla prevalente giurisprudenza alla normativa in tema di associazioni non riconosciute e di comunione e condominio, in quanto associazioni prive di riconoscimento giuridico e connotate da forti caratteri di realità (Cassazione civile, sez. VI, 09 ottobre 2019, n.25394)
Pertanto, le regole di funzionamento e la disciplina di questi consorzi, sia per i rapporti interni e sia per i rapporti con i terzi, vanno ricercate in primo luogo nello statuto e, in mancanza, vanno dedotte in via interpretativa dalle norme del codice civile relative ai suddetti istituti (Cassazione civile sez. I, 20 giugno 2018, n.16197; Cassazione civile sez. I, 20 giugno 2018, n.16197; Cassazione civile sez. I, 13 aprile 2017, n.9568).

In mancanza di riferimenti nel quesito a particolari disposizioni dello statuto del consorzio, è necessario considerare il disposto dell’art. 38 del c.c., ai sensi del quale Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione”.
La Suprema Corte si è ripetutamente occupata di definire la portata di tale norma, chiarendo anzitutto che gli associati, in quanto tali, rispondono delle obbligazioni dell'associazione non riconosciuta esclusivamente nei limiti del fondo comune, mentre solo chi ha agito in nome e per conto dell’ente risponde personalmente (cioè con il proprio patrimonio) verso i terzi.

Va sottolineato che la responsabilità personale di chi agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'ente, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di esso e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra l’associazione ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione.
Tale responsabilità solidale è disposta a tutela dei terzi e non concerne un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, costituendo una sorta di garanzia ex lege assimilabile alla fideiussione.
In virtù della distinzione soggettiva tra l'ente ed i suoi organi ed in considerazione dei presupposti della eventuale responsabilità accessoria di detti organi, quindi, il titolo esecutivo ottenuto nei confronti dell'associazione non riconosciuta, a differenza di quanto accade ad es. per le società di persone, non può consentire al creditore di procedere ad esecuzione forzata direttamente nei confronti dei soggetti solidalmente obbligati con la stessa, senza la previa formazione di un distinto titolo esecutivo nei confronti di questi ultimi (per tutte, la recente Cassazione civile sez. III, 14 maggio 2019, n.12714, che riepiloga i numerosi precedenti giurisprudenziali in materia).

Da quanto detto discende che se il titolo esecutivo già ottenuto per il pagamento del residuo del compenso riguarda soltanto il consorzio di urbanizzazione sarà necessario munirsi di un ulteriore titolo nei confronti del soggetto che ha conferito l’incarico professionale e, dunque, non del nuovo Presidente pro tempore, ma dei precedenti rappresentanti dell'Ente.
La possibilità di ottenere più titoli esecutivi per lo stesso credito è ammessa dalla giurisprudenza e trova soltanto tre limiti derivanti da altri ed espliciti principi dell'ordinamento, e cioè:
a) il principio di consumazione dell'azione ed il divieto del bis in idem, i quali impediscono al creditore di iniziare un secondo giudizio di accertamento dell'esistenza del medesimo credito già dedotto in giudizio;
b) il principio dell'interesse, che non consente l'introduzione di giudizi dai quali il creditore non possa trarre alcun vantaggio giuridico concreto;
c) il principio che vieta l'abuso del diritto (Cassazione civile sez. III, 28 agosto 2019, n.21768).
Nel caso di specie, tali limiti non sembrano violati, in quanto lo specifico vantaggio perseguito dal professionista sarebbe quello di aumentare legittimamente le proprie chance di recuperare quanto gli è dovuto di fronte all’incapienza del consorzio.

Qualora l’azione sia stata, invece, già proposta sia contro il consorzio e sia personalmente contro il rappresentante dell’ente che aveva attribuito l'incarico professionale, non sarà necessario ottenere un nuovo titolo e sarà possibile avviare l’esecuzione direttamente contro quest'ultimo con la notificazione del precetto.

Per completezza, comunque, va evidenziato anche che nel patrimonio del consorzio rientrano non solo la liquidità depositata sul conto corrente, ma altresì eventuali crediti vantati nei confronti dei consorziati, che potrebbero essere pignorati, analogamente a quanto avviene in caso di condominio (Cassazione civile sez. III, 14 maggio 2019, n.12715), utilizzando il titolo esecutivo già in possesso del professionista.

Infine, va segnalata anche una decisione relativa ad un caso simile a quello di specie, che ha giudicato ammissibile l'azione di condanna contro tutti i consorziati a titolo di arricchimento senza causa (art. 2041 del c.c.) proposta dal creditore (si trattava dell'appaltatore che aveva realizzato le opere di urbanizzazione) che non era riuscito ad ottenere in via esecutiva il pagamento di quanto gli era dovuto per insufficienza del patrimonio consortile (Cassazione civile sez. II, 07 marzo 2012, n.3602).
Tale ultima strada è, però, lunga e dispendiosa, posto che presuppone la proposizione di un’azione ordinaria nei confronti di tutti i partecipanti al consorzio, e potrebbe essere percorsa soltanto in caso di fallimento di tutti i tentativi di recuperare il credito sopra prospettati.

Giuseppe R. chiede
lunedì 31/07/2017 - Campania
“L’associazione XYZ è un’associazione no-profit di tipo ludico-culturale, registrata ma non riconosciuta. Le domande sono le seguenti.

1) Quali sono i riferimenti legislativi applicabili alle associazioni no profit?

2) All’interno di una comunità di gioco l’associazione riceve donazioni di piccola entità (a partire da 5 euro), e l’utente-donante riceve come “riconoscimento” alcuni punti donazione spendibili in “potenziamenti” ottenibili all’interno del gioco stesso. Il negozio può comunque essere qualificato come una donazione oppure si tratta di fatto di una compravendita (con relativa normativa applicabile)? Per esempio, è applicabile la disciplina dell’aliud pro alio, oppure, dato che il negozio è qualificato espressamente come donazione, l’utente non può avere le stesse pretese che avrebbe se fosse un acquirente? E’ in sostanza sufficiente che sul sito l’operazione sia qualificata come “donazione” per renderla tale?

3) Esiste un qualche limite alle donazioni? Come detto sopra, al momento i donanti sono centinaia di utenti, non tesserati, che contribuiscono con piccole e saltuarie donazioni. E’ invece necessario essere anche membri dell’associazione? Attualmente infatti non esistono membri tesserati che contribuiscano con una quota annuale fissa.

4) La donazione ricevuta dall’associazione è in qualche misura vincolata agli scopi espressi dell’associazione? Se per esempio il denaro venisse speso, invece che in scopi ludico-culturali, in beneficenza per le zone terremotate, il donante potrebbe opporsi?

5) Qual è il tipo di responsabilità degli associati? Ipotizziamo che l’associazione sia chiamata a pagare dei danni ad un soggetto terzo. Risponderebbe l’associazione con il suo patrimonio attuale, oppure anche gli associati? E inoltre, è associato solo chi espressamente tesserato, oppure (per esempio) tutti i membri dello “staff” che gestisce la comunità di utenti sono anche essi associati e, quindi, potenzialmente corresponsabili patrimonialmente?”
Consulenza legale i 02/09/2017
Nell’ordinamento italiano siamo in presenza di enti no profit (altrimenti detti enti senza scopo di lucro o anche, utilizzando un termine di natura fiscale, enti non commerciali), quando ricorrono i seguenti elementi:
  1. organizzazione di uomini e/o di cose per perseguire uno scopo di natura ideale in assenza di finalità lucrative, ossia senza voler realizzare un profitto personale;
  2. divieto di distribuzione di utili: è fondamentale che un ente no profit utilizzi i propri fondi per il perseguimento dei fini previsti nello statuto.

Fatta questa brevissima premessa di carattere generale, cercheremo adesso di rispondere alle singole domande nell’ordine in cui sono state poste.

(I)

La disciplina degli organismi sociali attualmente noti come enti non profit trova intanto le sue fondamenta nella Carta Costituzionale del 1948, che tutela esplicitamente il diritto di associarsi sancendo, da un lato, l’impegno della Repubblica a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 cost.).
Le disposizioni costituzionali coesistono però tuttora con l’antecedente disciplina in materia contenuta nel codice civile del 1942 e composta da pochi articoli del libro I, oggi peraltro in parte abrogati, che formano il solo impianto civilistico di riferimento.
Per questo, a partire dagli anni novanta, il legislatore, in attuazione del dettato costituzionale e nel tentativo di colmare le lacune del codice civile, ha approvato una serie di disposizioni di carattere speciale volte a disciplinare le principali tipologie di enti non profit presenti nel tessuto sociale.
Tali interventi legislativi, effettuati senza coordinamento e a distanza di anni, hanno generato un insieme di disposizioni incoerenti, che rendono estremamente confuso il quadro della legislazione nazionale e regionale in materia di enti non profit.
Per tale ragione si ritiene opportuno effettuare una distinzione tra disciplina di carattere generale e disciplina di carattere speciale:
1) La disciplina generale, oltre alle disposizioni di cui agli articoli 2 e 18 della Costituzione, comprende gli articoli da 12 a 42 del codice civile con le successive modificazioni e integrazioni, delle quali la più rilevante è quella che concerne il procedimento per il riconoscimento giuridico ora previsto dal DPR 361/2000;
2) la disciplina c.d. speciale comprende invece le leggi approvate per disciplinare determinate tipologie di enti non profit tra le quali ricordiamo:
a) la Legge 49 del 1987, “Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo”;
b) la Legge 266/91, “Legge quadro sul Volontariato”
c) il Decreto Legislativo n.460 del 1997, “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”
d) la Legge 383 del 2000 “ Disciplina delle associazioni di promozione sociale”
e) il Decreto Legislativo 155 del 2006 “ Disciplina dell’impresa sociale”
f) l’articolo 73 comma 1, lett. c) del DPR n. 917 del 1986 (Testo Unico Imposte Sui Redditi), nel quale ritroviamo la definizione di ente non commerciale e che si riferisce a “…Enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.
A tale normativa occorre aggiungere:
  • il Decreto 8 ottobre 1997 del Ministero del Tesoro, contenente “Modalità per la costituzione dei fondi speciali per il volontariato presso le regioni” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 15 ottobre 1997)
  • il Decreto 14 febbraio 1992 del Ministero Industria, Commercio e Artigianato, contenente "Obbligo alle organizzazioni di volontariato ad assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi dall'esercizio dell'attività medesima" (pubblicato in G. U. 22 febbraio 1992, n. 44).

(II)

Il riconoscimento di quelli che nel quesito vengono definiti come “punti donazione spendibili in “potenziamenti” ottenibili all’interno del gioco a favore del donatario” non snaturano il carattere del negozio di donazione, potendo il contratto di donazione essere gravato da un onere, ossia prevedere a carico del donatario una prestazione:
  • a favore dello stesso donante;
  • a favore di terzi estranei al contratto;
  • a favore della comunità o della collettività.
L’unica regola che occorre rispettare è quella secondo cui il donatario è comunque tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata, problema che nel nostro caso non può senza dubbio sussistere.
In conseguenza di ciò può chiaramente affermarsi che il donante non può vantare alcuna pretesa a carico del donatario al pari della parte di un contratto di compravendita.

(III)
Non esiste un limite alle donazioni né occorre che i donanti entrino a far parte dell’associazione quali associati.
Generalmente gli statuti delle associazioni, infatti, prevedono che le risorse economiche dell'Associazione siano costituite da:
a) beni, immobili e mobili, donazioni e lasciti;
b) quote sociali e contributi degli aderenti;
c) contributi di privati o di enti pubblici;
d) rimborsi derivanti da convenzioni;
e) entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.
E’ proprio sotto le voci "donazioni" e “contributi di privati o di enti pubblici” che dovranno farsi rientrare le singole donazioni.
Sembra opportuno ricordare che quando una associazione riceve soldi (quote e contributi associativi, donazioni, corrispettivi per attività non commerciali), dovrà rilasciare, se richiesta, una ricevuta.

(IV)

E’ naturale che le donazioni ricevute dall’associazione siano vincolate a quello che risulta essere il suo scopo sociale, quale risulta dal relativo statuto.
Normalmente, una clausola statutaria tipo prevista in materia di scopo sociale, risulta così formulata:
Art…. (Scopi)
1. L'Associazione di volontariato ".........." persegue esclusivamente fini di solidarietà sociale, e non persegue scopi di lucro.
2. Le specifiche finalità dell'Associazione di volontariato sono:
a)
b)
c)
d)
3. Per raggiungere gli scopi suddetti l’Associazione potrà svolgere le seguenti attività:
…………….
Se, pertanto, lo statuto dell’associazione di cui si discute prevede quale finalità generale quella di perseguire fini di solidarietà sociale, nulla esclude che una parte delle somme raccolte a seguito delle varie donazioni possano essere destinate in beneficenza per le zone terremotate.
Per una maggiore certezza di quanto sopra asserito, comunque, sarebbe opportuno conoscere quanto dispone lo Statuto sociale al riguardo.

(V)

Per quanto concerne le domande poste al n. 5), premesso che può considerarsi associato soltanto chi risulta avere versato la quota associativa e, quindi, acquisito la posizione di c.d. tesserato, va poi chiarito che nel linguaggio del codice civile del 1942 sono da intendersi come “enti non profit”:
1) le “persone giuridiche private” di cui all’articolo 12 e 14, cioè le associazioni riconosciute e le fondazioni;
2) i c.d. “enti di fatto” di cui agli articoli 36 e 39, cioè le associazioni non riconosciute e i comitati.
Questa suddivisione è ancora valida in quanto l’articolo 12 c.c. è stato abrogato dal D.P.R. 361/2000 che ha semplificato il procedimento per l’acquisto della personalità giuridica, mantenendo però l’originaria distinzione terminologica secondo cui: “... le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture”.
Sul punto va così chiarito che quando si parla di “associazioni riconosciute” e “associazioni non riconosciute” in entrambi in casi ci si riferisce allo stesso tipo di organizzazione, a base democratica e priva di scopo di lucro, in cui l’elemento della partecipazione personale è prevalente; l’unica differenza è data dall’avere o no il riconoscimento da parte dello Stato.
Il riconoscimento della personalità giuridica fa sì che per le obbligazioni assunte verso terzi risponda solo l’associazione con il suo patrimonio, rimanendo esclusa la responsabilità personale di coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa.
Nell’associazione non riconosciuta invece i componenti dell’organo direttivo rimangono personalmente e solidalmente responsabili per le obbligazioni assunte in suo nome una volta che il fondo comune risulti insufficiente a soddisfare le esigenze creditizie dei terzi (art. 38 c.c.).
Poiché nel nostro caso siamo in presenza di una associazione non riconosciuta, sarà a quest’ultima norma che occorrerà fare riferimento per quanto concerne il regime della responsabilità per le obbligazioni sociali.
In termini pratici, e così rispondendo alla domanda posta, se l’associazione viene chiamata a pagare dei danni ad un terzo, ne risponderà l’associazione con il suo patrimonio e, nel caso in cui questo risulti insufficiente, saranno personalmente responsabili i componenti dell’organo direttivo, ossia coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.

Ignazio B. chiede
venerdì 05/08/2016 - Piemonte
“Buongiorno
sono firmatario di una delibera di un'associazione non riconosciuta (sindacato di lavoratori) con la quale la Segreteria ed il Direttivo davano mandato ad un Avvocato per intentare una causa nei confronti di altra associazione sindacale.
A risultato finale, terzo grado, la mia associazione è stata dichiarata soccombente e condannata a pagare le spese legali e processuali.
Il nostro legale è sempre stato, nel tempo, regolarmente pagato e rimborsato, mente la mia associazione, esecutata dal vincitore della causa, è risultata non avere fondi sufficienti per pagare le spese processuali agli avversai, alle quali è stata condannata in Cassazione.
Quindi ora essi si accingono ad inviare un precetto, per ottenere il pagamento di quelle stesse spese SOLTANTO al sottoscritto, co-firmatario di quella delibera (la cui assemblea era stata da me presieduta per attribuire il mandato al nostro legale ), invocando l'applicazione dell'art.38 cc.
La mia domanda è: la delibera assembleare da me firmata come Presidente della stessa, su carta intestata dell'associazione, regolarmente prodotta in causa, con la quale si incaricava il legale di agire per l'associazione, è documento sufficiente agli avversari per richiedere contro di me un'ingiunzione per il pagamento delle spese processuali e legali sentenziate nei confronti del sindacato? La sentenza della Cassazione può essere, assieme alla delibera legittimamente prodotta in Tribunale contro di me per ottenere ingiunzione, esecuzione e successivo pignoramento della pensione?
Attendo vostra cortese risposta, grazie.
Cordialità.

Consulenza legale i 08/08/2016
I sindacati dei lavoratori, essendo inattuato l’art. [[n39 Cost]] Cost., trovano la loro disciplina giuridica nel novero delle associazioni non riconosciute previste dal Codice Civile.
In particolare, patrimonio dell’associazione non riconosciuta è, ai sensi dell’art. 37. c.c., il fondo comune, una forma di comunione atipica poiché i comunisti (vale a dire, gli associati) non possono richiederne la divisione finchè l’associazione non riconosciuta resta in vita.
L’art. 38 c.c. precisa che i creditori non possono far valere i loro diritti sul patrimonio dei singoli associati, bensì sul fondo comune. Sussiste però una responsabilità personale e solidale di chi abbia agito in nome e per conto dell’ente ai sensi del medesimo articolo e anche se questi sia un semplice associato (così C. Cass., sent. 18188/2014). In altre parole, il Presidente dell’Assemblea sarà responsabile solidalmente e personalmente con il fondo comune. Si legge però che il Presidente era “co-firmatario” della delibera: la responsabilità riguarderà pertanto anche gli altri soggetti coinvolti nell’adozione della delibera, anch’essi responsabili in via personale e solidale.
Si sottolinea altresì come non sussista il beneficio di preventiva escussione nei confronti del fondo comune, posto che la responsabilità di cui all’art. 38 c.c. assume le vesti di una obbligazione fideiussoria di garanzia (così C. Cass., sent. 11759/2002).

Carlo D. chiede
lunedì 29/06/2015 - Sicilia
“Nella qualità di presidente pro tempore di ASD ho stipulato a Settembre contratto di subaffitto relativo ai locali nei quali avrebbe operato l'associazione. In data 30 marzo per motivi di salute che mi impedivano di affrontare tutti i problemi di inadempimento degli affittanti (certificati anche da CTU) mi sono regolarmente dimesso dopo essermi accertato della regolarità dell'affitto ed altro . Il mio successore ha ritenuto opportuno sospendere il canone in attesa del riconoscimento dei danni che non ci hanno mai permesso di fruire completamente del bene. A questo punto vengo anche io citato in Tribunale per il risarcimento dei danni sostenuti da questi signori e derivanti dallo sfratto dagli stessi ricevuti dai proprietari del bene. Ma io che obblighi ho se durante la mia permanenza come presidente ho adempiuto a tutto. E' giusto che io venga chiamato in causa ? Rimango in attesa di Vostra cortese risposta.”
Consulenza legale i 06/07/2015
Per dare una risposta precisa al quesito si dovrebbe innanzitutto sapere se l'associazione in esame è persona giuridica riconosciuta oppure opera come associazione non riconosciuta.

Nel primo caso, la responsabilità dell'associazione è limitata al patrimonio sociale, quindi non si pongono particolari problemi (i rappresentanti dell'associazione non rispondono in prima persona con il proprio patrimonio, salvo siano rilevate responsabilità di natura personale, naturalmente).

Nel secondo caso, invece, la responsabilità di tipo contrattuale è regolata dall'art. 38 del c.c., che sancisce: "per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione".
Questa, quindi, la regola da applicarsi nel caso di specie.

In particolare, poiché il contratto di subaffitto è stato stipulato dal presidente dell'epoca, la controparte ha legittimamente convocato in giudizio anche quest'ultimo, in quanto la legge, del tutto astrattamente (indipendentemente da responsabilità personali), afferma che colui che ha assunto delle obbligazioni per l'associazione sia tenuto a rispondere anche personalmente nei confronti dei terzi.
Secondo la giurisprudenza, la responsabilità permane anche in caso di cessazione della carica, per le obbligazioni sorte anteriormente a tale cessazione: il fatto che le cariche sociali vengano trasmesse a persone diverse non determina una c.d. "successione nel debito", ma solo che a rispondere di fronte ai terzi saranno più soggetti.
In tal senso possiamo leggere la sentenza della Cass. Civ., sez. III, 12 gennaio 2005 n. 455: "la detta responsabilità permane in capo a chi ha agito anche dopo la perdita del potere di rappresentanza, onde il presidente di un'associazione non riconosciuta é passivamente legittimato all'azione del creditore anche dopo la cessazione dalla carica, con riguardo alle obbligazioni che risalgano al periodo in cui ha esercitato le funzioni di presidente".

Anche il presidente non più in carica, quindi, risponde personalmente e solidalmente, dell'inadempimento imputabile all'associazione, come fosse un inadempimento proprio. Si tratta di una garanzia predisposta dalla legge a tutela dei terzi.

Naturalmente, il fatto che esista effettivamente un danno da risarcire e che esso sia imputabile all'associazione è tutto da provare in sede giudiziale, non basta affermarlo. Pertanto, nel processo si potranno adottare tutte le opportune difese atte a dimostrare l'assenza di responsabilità contrattuale dell'associazione, in tal modo liberando da ogni responsabilità anche chi rivestiva cariche sociali all'epoca della sottoscrizione del contratto di locazione.

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