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Articolo 105 Codice antimafia

(D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Applicazione di magistrati del pubblico ministero in casi particolari

Dispositivo dell'art. 105 Codice antimafia

1. Per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis e comma 3-quater, del codice di procedura penale, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo può, quando si tratta di procedimenti di particolare complessità o che richiedono specifiche esperienze e competenze professionali, applicare temporaneamente alle procure distrettuali i magistrati appartenenti alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e quelli appartenenti alle direzioni distrettuali antimafia oltre che quelli addetti presso le procure distrettuali alla trattazione di procedimenti in materia di terrorismo anche internazionale nonché, con il loro consenso, magistrati di altre procure della Repubblica presso i tribunali. L'applicazione è disposta anche quando sussistono protratte vacanze di organico, inerzia nella conduzione delle indagini, ovvero specifiche e contingenti esigenze investigative o processuali. L'applicazione è disposta con decreto motivato. Il decreto è emesso sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati. Quando si tratta di applicazioni alla procura distrettuale avente sede nel capoluogo del medesimo distretto, il decreto è emesso dal procuratore generale presso la corte di appello. In tal caso il provvedimento è comunicato al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

2. L'applicazione non può superare la durata di un anno. Nei casi di necessità dell'ufficio al quale il magistrato è applicato, può essere rinnovata per un periodo non superiore a un anno.

3. Il decreto di applicazione è immediatamente esecutivo ed è trasmesso senza ritardo al Consiglio superiore della magistratura per l'approvazione, nonché al Ministro della giustizia.

4. Il capo dell'ufficio al quale il magistrato è applicato non può designare il medesimo per la trattazione di affari diversi da quelli indicati nel decreto di applicazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 105 Codice antimafia

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Claudio I. chiede
martedì 03/12/2019 - Sicilia
“Desidero sapere se nel caso in cui il Procuratore Nazionale Antimafia emetta provvedimento di applicazione di un magistrato della DNA, affinchè lo stesso possa requirere nel dibattimento, per reati non contemplati dall'art. 51 comma 3bis c.p.p., quali sarebbero le conseguenze processuali ovvero se possa configurarsi ipotesi di incapacità funzionale del P.M. che ha rappresentato l'ufficio dell'accusa determinando la nullità di tutti gli atti compiuti. Inoltre nel caso che il periodo di esercizio delle funzioni del P.M. si sia protratto per un periodo superiore ai due anni, nel medesimo dibattimento, o non siano stati emessi ulteriori provvedimenti di applicazione tali da coprire gli anni due previsti dal legislatore, possa configurarsi anche in questi casi incapacità funzionale con conseguente nullità degli atti compiuti”
Consulenza legale i 06/12/2019
Prima di rispondere al parere, occorre prima fare alcune precisazioni sulla partecipazione al procedimento penale da parte dei Sostituti Procuratori della Repubblica.

In seguito al pervenimento di una notizia di reato presso la Procura della Repubblica, il Procuratore capo procede con l’assegnazione del caso ad un Sostituto (in genere, la scelta varia a seconda del luogo: in alcuni Tribunali i PM sono divisi per area di competenza, in altri, invece, la scelta è sostanzialmente casuale).
Dalla designazione del Procuratore Capo, il pubblico ministero diventa l’intestatario del fascicolo e, dunque, il soggetto tenuto allo svolgimento delle indagini.
Può, però, capitare che talune circostanze impongano dei cambiamenti. In particolare, gli artt. 372, 412 e 413 del codice di procedura penale disciplinano i casi di avocazione. In estrema sintesi, laddove si accerti l’inerzia del Pubblico Ministero e/o profili di incompatibilità, il Procuratore presso la Corte d’Appello può decidere di avocare a sé le indagini e/o conferirle ad un diverso magistrato che può essere anche parte della Direzione nazionale antimafia.
Si badi bene, tuttavia, che il tutto avviene nell’ambito dello stesso Distretto di Corte d’Appello.
In esito a tale circostanza, dunque, ben può un magistrato dell’antimafia trattare un procedimento che non nasce come “suo”.

Si noti, in ogni caso, che, prescindendo da queste circostanze, spessissimo accade che nelle Procure particolarmente estese, pur senza alcun provvedimento di avocazione, il magistrato antimafia si trovi a trattare procedimenti per reati che non hanno nulla a che vedere con reati connessi alla mafia stessa. Volendo fare un esempio, spesso tale circostanza consegue in automatico al fatto che il magistrato X, originariamente addetto alla trattazione dei reati predatori, compie uno scatto di carriera passando all’antimafia ma decide, comunque, di “portarsi dietro” i fascicoli precedentemente gestiti.
In questi casi, non v’è alcuna nullità conseguente a questa “ultrattività” del magistrato antimafia, atteso che si tratta di vicende interne della Procura, di natura organizzativa, che comunque non toccano la “capacità” del magistrato a trattare il procedimento.

Altro discorso è, invece, quello relativo all’applicazione di un magistrato dell’antimafia in assonanza alle disposizioni codicistiche e, soprattutto, a quelle del codice antimafia.
In tal caso, invero, il magistrato applicato può provenire da altro distretto e, conseguentemente, non rispettare le regole di competenza per territorio.

Epperò, anche in questo caso, la giurisprudenza si è pronunciata affermando l’insussistenza di qualsiasi ipotesi di nullità.
Si veda, ad esempio, Cass. pen. Sez. II, 28/01/2004 secondo la quale “la direzione distrettuale antimafia è una "organizzazione interna" della procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo distrettuale, priva di rilevanza esterna o processuale ai fini dell'attribuzione dei poteri del pubblico ministero di iniziativa e di partecipazione al procedimento, tanto meno con conseguenze in termini di nullità in caso di espletamento delle relative funzioni da parte di magistrati dell'ufficio diversi da quelli designati per la direzione distrettuale antimafia; e ciò, del resto, anche in ragione del carattere tassativo dell'elenco delle nullità processuali”.

Richiamando tale sentenza, possiamo passare al tema delle nullità.

Al riguardo, evidenziamo subito che nel nostro sistema processualpenalistico, la nullità degli atti compiuti dal Pubblico Ministero nell’espletamento delle sue funzioni è tassativo e, generalmente, è connesso all’erroneo svolgimento delle formalità previste per l’assunzione di quel determinato atto. Ad esempio, sarà nullo (rectius inutilizzabile) l’interrogatorio dell’indagato senza la presenza del suo difensore giacché il codice prevede che in tal caso la presenza dell’avvocato sia obbligatoria.
Da ciò consegue, dunque, che nessuna nullità degli atti compiuti dal PM si verificherebbe allorché alla requisitoria finale del processo vi partecipi un PM dell’antimafia. Questa partecipazione, pur irrituale, non avrebbe nessun effetto su atti regolari compiuti in passato da chi aveva i poteri e le facoltà di compierli.

Discorso diverso potrebbe esser fatto allorché il PM applicato illegittimamente abbia compiuto tali atti in prima persona. Ebbene, sul punto potrebbe azzardarsi l’applicazione dell’art. 178 del codice di rito, stando al quale è sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al procedimento”.
In altre parole, si potrebbe sostenere che la partecipazione illegittima di un PM applicato incida sulle regole connesse alla partecipazione al procedimento del pubblico ministero e, dunque, conduca ad una nullità ex art. 178 c.p.p.

Si fa presente in ogni caso che, sul punto specifico, non v’è giurisprudenza e che l’eccezione in questione presterebbe il fianco al fatto che l’articolo sopra menzionato, quando parla di partecipazione al procedimento, lo fa con riferimento alla presenza fisica dell’accusa alle fasi processuali in cui tale presenza è dovuta, senza alcun riferimento alla tipologia di magistrato.

Al fine di sviluppare l’eventuale eccezione, stante la estrema complessità del tema che coinvolge disposizioni codicistiche e principi costituzionali, si consiglia di rivolgersi ad un eccellente avvocato che sviluppi la tesi correttamente calata nel caso di specie.