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Articolo 1 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

(D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327)

[Aggiornato al 10/12/2023]

Oggetto

Dispositivo dell'art. 1 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

1. Il presente testo unico disciplina l'espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità.

2. Si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione.

3. [I principi desumibili dalle disposizioni legislative del presente testo unico costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale.](1)

4. Le norme del presente testo unico non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, con specifico riferimento a singole disposizioni.

Note

(1) Comma soppresso dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.

Massime relative all'art. 1 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

Corte cost. n. 158/2018

È ordinata la restituzione degli atti al Consiglio di Stato perché riesamini, alla stregua dello ius superveniens, la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016, censurato - in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, par.1, della CEDU - perché interpreta il comma 3 dell'art. 13 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 nel senso che il divieto di reiterare più di una volta il vincolo espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui progettazione preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali, secondo la normativa vigente. La sopravvenuta Legge reg. Emilia-Romagna n. 18 del 2017, all'art. 7, comma 1, ha abrogato la norma censurata e, con l'art. 5, ha inoltre modificato il citato art. 13 della Legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, inserendovi i commi 3-bis e 3-ter, introducendo una deroga alla regola generale del comma 3 avente un contenuto precettivo identico a quello che il legislatore regionale aveva voluto imporre in via di interpretazione. Tale deroga, ai sensi del successivo art. 6, è dichiarata immediatamente applicabile ai procedimenti espropriativi ancora non definiti alla data di entrata in vigore della medesima Legge regionale, ma tale previsione opera solo per l'avvenire, in ossequio al principio generale di cui all'art. 11 delle preleggi. Spetta pertanto al rimettente valutare se la fattispecie dedotta nel giudizio a quo continui a essere regolata dalla norma che, a suo avviso, gli prescrive di considerare legittima la reiterazione plurima del vincolo espropriativo decaduto. (Precedenti citati: ordinanze n. 266 del 2015, n. 253 del 2014, n. 316 del 2012, n. 268 del 2011, n. 12 del 2011 e n. 458 del 2006).

Cass. civ. n. 21183/2016

Nella valutazione della natura del terreno a fini espropriativi o risarcitori non è sufficiente fare riferimento alla destinazione originaria data dal fondo dal P.R.G. ma occorre tener presente la destinazione che quel terreno abbia assunto per effetto di una destinazione a P.E.E.P, che del P.R.G. costituisce variante con valenza programmatoria e conformativa, ed in base ad esso riconoscerne la natura edificatoria - sia pur nei limiti propri di tale destinazione - e valutarne le caratteristiche.

Corte cost. n. 244/2016

È dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 8, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, impugnato dalle Regioni Lombardia e Veneto - in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo e terzo comma, Cost. - in quanto riduce i termini residui dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, in corso al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge, relativi agli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale. La ridondanza della ipotizzata violazione del principio del legittimo affidamento dei destinatari dei provvedimenti sulla sfera delle competenze regionali non è adeguatamente argomentata dalla Regione Lombardia, mentre la doglianza della Regione Veneto, pur supportata da uno sforzo argomentativo maggiore, non vale tuttavia a dimostrare che la riduzione dei termini di espropriazione leda anche attribuzioni regionali. È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Regione Lombardia in riferimento all'art. 120 Cost.- dell'art. 35, comma 9, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, che disciplina l'applicazione del potere sostitutivo in caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 3, 5 e 8 (relativi all'adeguamento delle autorizzazioni integrate ambientali e ai procedimenti di espropriazione per pubblica utilità degli impianti di smaltimento e recupero energetico da rifiuti). Quanto alla contestata sussistenza dei requisiti costituzionalmente previsti per la sostituzione, la disposizione impugnata richiama l'art. 8 della legge n. 131 del 2003, il quale rinvia ai casi e alle finalità previsti dall'art. 120, secondo comma, Cost.; assegna, inoltre, all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere; prevede, infine, l'audizione dell'ente inadempiente da parte del Consiglio dei ministri, nonché la partecipazione del Presidente della Regione interessata alla riunione del Consiglio dei ministri che adotta i provvedimenti necessari. Quanto al mancato coinvolgimento regionale, la disposizione impugnata è espressione della competenza legislativa dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente", e spetta, dunque, al legislatore statale anche la disciplina di eventuali ipotesi di sostituzione di organi locali. L'art. 120, secondo comma, Cost. non preclude in via di principio la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel disciplinare, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, e dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost., l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali. (Precedente citato: sentenza n. 43 del 2004).

Corte cost. n. 100/2016

Sono manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97 e 117, primo comma, Cost., dell'art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che consente all'amministrazione di acquisire al proprio patrimonio indisponibile, non retroattivamente e verso corresponsione di un indennizzo al proprietario, il bene immobile utilizzato senza titolo per scopi di interesse pubblico. Dalla stessa descrizione della fattispecie concreta esposta dal rimettente risulta che nel giudizio a quo non è stato adottato alcun provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni. Pertanto, la relativa emanazione costituisce circostanza solo eventuale, non realizzatasi al momento dell'emissione dell'atto di promovimento. Ciò esclude la necessità di fare applicazione, nel caso in esame, della norma sospettata di incostituzionalità. Sull'inammissibilità dell'intervento nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale di soggetti che non hanno la qualità di parte nel processo a quo, né risultano titolari di un interesse qualificato, v. le citate sentenze nn. 2/2016, 236/2015, 221/2015, 210/2015 e 71/2015. In relazione all'impugnato art. 42-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, v. la citata sentenza n. 71/2015 in cui identiche questioni sono state rigettate o dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.

Corte cost. n. 67/2016

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, terzo comma, e 118, commi primo e secondo, Cost. - dell'art. 17, comma 1, lett. b), del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164), il quale, introducendo l'art. 3-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che lo strumento urbanistico locale individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione, fa salva, nelle more dell'attuazione del piano, la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario. La norma, dettando una prescrizione unitaria ed evidentemente "di principio", consente alle amministrazioni comunali di favorire, quale alternativa, anche economicamente preferibile rispetto all'espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull'area interessata e senza aumento della superficie coperta. Il meccanismo é riconducibile al sistema della "perequazione urbanistica", inteso a combinare, in contesti procedimentali di "urbanistica contrattata", il mancato onere per l'amministrazione comunale, connesso allo svolgersi di procedure ablatorie, con la corrispondente incentivazione al recupero, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente: il tutto in linea con l'esplicito intento legislativo di promuovere la ripresa del settore edilizio senza aumentare, e anzi riducendo, il consumo di suolo. Tale quadro di riferimento è legato alla competenza dello Stato a determinare principi fondamentali di settore, perfettamente rispondenti all'esigenza di salvaguardare le attribuzioni legislative concorrenti delle Regioni e quelle amministrative degli enti territoriali minori, restando inalterata l'attribuzione ai Comuni del compito di pianificazione urbanistica e di individuazione in concreto delle aree interessate da interventi di risanamento, con l'adozione degli appositi strumenti di concertazione perequativa e di assenso alla realizzazione delle opere. La disposizione, in cui si inserisce la contestata previsione, si propone complessivamente di evitare, da un lato, che, relativamente alle attività di risanamento urbanistico su tutto il territorio della Repubblica, possano determinarsi disparità di disciplina tali da vanificare gli scopi perseguiti dallo Stato nell'interesse dell'intera comunità nazionale e, dall'altro, che l'eventuale inerzia delle amministrazioni locali, relativamente all'attuazione di interventi di conservazione del patrimonio edilizio esistente, impedisca agli stessi proprietari degli immobili di esercitare scelte o facoltà inerenti al proprio diritto dominicale. Infine, l'asserito carattere autoapplicativo ed autosufficiente della disposizione impugnata non implica affatto che essa abbia natura "di dettaglio": infatti, la circostanza che, pur nel sistema della legislazione concorrente, una disciplina statale "di principio" non abbisogni, per divenire efficace, di specifiche disposizioni attuative, non può essere considerata come automaticamente produttiva dell'effetto di "espropriare" i legislatori regionali del loro autonomo potere di conformare la regolazione statale alle proprie specifiche esigenze.

Corte cost. n. 90/2016

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 (come sostituito dall'art. 38, comma 7, della legge provinciale n. 4 del 2008), sollevata in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost. La norma determina l'indennità di espropriazione per le aree non edificabili in base ai valori minimi e massimi stabiliti dalla commissione provinciale estimatrice, nonché in base alla coltura in atto al momento dell'emanazione del decreto che determina l'importo indennitario, costituente il giusto prezzo da attribuire all'espropriato. Esso, così determinato, è privo di quel carattere astratto e automatico riscontrato dalla giurisprudenza costituzionale in riferimento ad altre fattispecie, aventi ad oggetto il valore agricolo medio. Nel caso in esame, al contrario, il giusto prezzo dell'indennizzo evoca l'idea di un corrispettivo commisurato al valore effettivo del bene espropriato, e dunque conferisce all'organo competente alla determinazione dell'indennità un margine di apprezzamento che va esercitato avendo come riferimento le caratteristiche effettive del bene espropriando. L'analisi sistematica della legge impugnata, infatti, evidenzia che la citata commissione deve prendere in considerazione le caratteristiche effettive dello specifico terreno da espropriare, nonché le altre possibili sue caratteristiche, per cui oltre al tipo di coltura si deve considerare, ad esempio, anche la posizione del terreno o la sua esposizione. In tal modo risulta rispettato il principio costituzionale e convenzionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che, esclusa la necessaria coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa, prescrive che il ristoro economico debba avere un ragionevole legame con il valore di mercato (o venale) del bene ablato. Infine, nell'ipotesi in cui le tabelle recanti i valori minimi e massimi predisposte dalla commissione non garantiscano ugualmente un serio ristoro all'espropriato, resta ferma la sindacabilità delle stesse nel giudizio di opposizione alla stima, ai fini di un'eventuale disapplicazione dell'atto amministrativo che le ha approvate. Sul significato intrinseco di giusto prezzo, e sulla necessità che esso vada interpretato in modo conforme ai principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale, v. le citate sentt., nn. 181/2011 e 335/1985. Sulla necessità che l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita, non sia però fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma rappresenti un serio ristoro, v, ex multis, le citate sentì, nn. 181/2011 e 187/2014. Sulla necessità che il valore dell'indennizzo espropriativo tenga conto del valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge, v. la citata sent. n. 5/1980. Sulla necessità che, esclusa la coincidenza tra valore di mercato e indennità espropriativa, il punto di riferimento per determinare l'indennità di espropriazione sia il valore di mercato (o venale) del bene ablato, v, le citate sent., nn. 338/2011, 348/2007, 216/1990 e 231/1984.

Corte cost. n. 88/2016

Sono manifestamente inammissibili - per carente descrizione delle fattispecie concrete, difetto di motivazione sulla rilevanza e omessa individuazione delle disposizioni sottoposte a scrutinio - le questioni di legittimità costituzionale degli artt. da 124 a 137 del d.l. 19 agosto 1917, n. 1399 (Approvazione del Testo Unico delle disposizioni di legge emanate in conseguenza del terremoto del 28 dicembre 1908), censurati per violazione degli artt. 3 Cost. e 14, primo comma, lett. f) ed s), dello statuto siciliano, e 1, comma 2, del D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), denunciato in riferimento all'art. 76 Cost. Le ordinanze di rimessione elencano una serie di provvedimenti amministrativi impugnati, senza illustrarne lo specifico contenuto e senza indicare il titolo di legittimazione che fonda l'interesse dei privati ad impugnarli. I censurati articoli da 124 a 137 recano norme speciali per i comparti del piano regolatore di Messina e delineano una complessa procedura volta a facilitare la ricostruzione delle aree distrutte dal terremoto del 1908. Tale procedura è scandita in fasi e ricomprende specifiche disposizioni dedicate all'espropriazione e alla riassegnazione dei beni compresi nel comparto, ma nessuna delle ordinanze di rimessione chiarisce in quale fase ha origine il rispettivo contenzioso. Le evidenziate lacune rendono perciò impossibile verificare se le contestate disposizioni debbano essere effettivamente applicate per definire i giudizi principali e se le ragioni esposte a sostegno del dubbio di costituzionalità abbiano attinenza con l'oggetto di ciascuno dei medesimi giudizi. In secondo luogo, tutti gli atti di promovimento censurano in blocco un consistente gruppo di disposizioni senza una distinta disamina dei loro rispettivi contenuti: in tal modo, i rimettenti utilizzano i giudizi a quibus come mere occasioni per contestare la legittimità costituzionale di un intero settore della normativa recata dal menzionato d.l. , ma, così facendo, omettono del tutto di individuare le singole disposizioni, o parti di esse, la cui presenza nell'ordinamento determinerebbe la lamentata violazione degli evocati parametri. Sull'inammissibilità, specialmente manifesta, di questioni per carente descrizione delle fattispecie concrete e/o per difetto di motivazione sulla rilevanza, v., ex plurimis, le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 241/2015, 185/2015 e 98/2014; ordinanze nn. 25/2016, 270/2015, 209/2015, 207/2015, 162/2015, 161/2015, 147/2015, 104/2015, 90/2015 e 36/2015. Sull'onere per il rimettente di individuare le singole disposizioni, o parti di esse, la cui presenza nell'ordinamento determinerebbe la lamentata violazione degli evocati parametri, v., ex plurimis, le seguenti citate decisioni: sentenza n. 218/2014; ordinanze nn. 101/2015, 21/2003, 337/2002 e 97/2000.

Cass. civ. n. 18236/2015

In caso d'irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio, il soggetto delegato al compimento dell'opera pubblica risponde - unitamente alla R.A. committente e delegante - del danno da occupazione appropriativa, nel caso in cui la delega fosse estesa al compimento delle procedure amministrative preordinate all'esproprio, poiché l'onere di promuovere e sollecitare la tempestiva emissione del decreto di esproprio da parte del titolare del potere espropriativo rientra tra i compiti del delegato.

Cons. Stato n. 3303/2008

Argomentando dagli artt. 1, comma 1, e 3, comma 1 lett. c), del D.P.R. n. 327 del 2001, si deduce agevolmente come il provvedimento ablatorio e, dunque, anche il provvedimento di acquisizione sanante di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, può indirizzare l'effetto acquisitivo a favore del patrimonio di un soggetto diverso dall'autorità emanante, ivi compreso un soggetto privato.

Cons. Stato n. 795/2008

Le norme dettate dal R.D. n. 1473 del 1938 in tema di espropriazione c.d. alberghiera sono state abrogate dal sopravenuto T.U. sugli espropri, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, limitatamente agli aspetti procedimentali e non anche a quelli sostanziali, risultando confermata dagli art. 1, 6, 10 e 16 del suddetto testo unico la possibilità che l'istanza di espropriazione sia presentata anche in favore di privati per l'attivazione o la valorizzazione di un’attività imprenditoriale.

Cons. Stato n. 4847/2003

Le infrastrutture di telecomunicazione e quelle ad esse accessorie, sono opere private di pubblica utilità e ciò implica: a) la possibilità di utilizzare lo strumento espropriativo, che riguarda sia le opere pubbliche che quelle private di pubblica utilità (come ora confermato dall'art. 1, co.1, D.Lgs. 2001, n. 327, Testo Unico delle espropriazioni immobiliari); b) la sottoposizione dell'espropriazione finalizzata a opere private di pubblica utilità a regole parzialmente difformi rispetto a quelle dettate per le opere pubbliche in quanto l'indennità va commisurata al valore venale (come ora confermato dall'art. 36 T.U. espropriazioni) ed è inapplicabile l'art. 1, I. n. 1/1978, che riguarda solo le opere pubbliche, o quelle di pubblica utilità che fruiscono di finanziamento pubblico.

Corte cost. n. 126/1988

Il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento cagionata da espropriazione per p.u. di immobile adibito ad attività commerciale o artigiana non determina una decurtazione della indennità spettante al proprietario e può essere soddisfatto se e nella misura in cui il valore dell'avviamento può essere calcolato come posta aggiuntiva dell'indennità di espropriazione.

Cons. Stato n. 37/1985

Nel sistema normativo dell'espropriazione per p.u., tutte le disposizioni derogatorie alle leggi più generali vanno interpretate in senso restrittivo, sia perché sono leggi dichiaratamente eccezionali, sia perché tale eccezionalità consiste normalmente in semplificazioni procedurali che si risolvono in significative limitazioni delle garanzie spettanti ai privati colpiti dall'espropriazione.

Cons. Stato n. 21/1983

Le norme sull'espropriazione, quando fanno riferimento, nel disciplinare il procedimento, al diritto del proprietario, intendono soltanto indicare la posizione giuridica soggettiva che, nell'ordinamento, implica il più ampio potere di godimento del bene; peraltro, non è in alcun modo escluso dalla legge che il provvedimento ablatorio possa colpire, sia congiuntamente alla proprietà, sia in modo autonomo, altri diritti di godimento del bene, ed è certo che, quanto conduttore sia l'unico soggetto interessato, debba riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica del procedimento.

E legittimo il provvedimento ablatorio (e "a fortiori" quello di occupazione d'urgenza) che abbia ad oggetto, sia congiuntamente alla proprietà sia in modo autonomo, altri diritti personali di godimento di beni immobili; pertanto, qualora il conduttore di un rapporto di locazione sia l'unico soggetto interessato, è da riconoscersi a lui la posizione che generalmente spetta al proprietario, in applicazione analogica delle norme sul procedimento di espropriazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

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Mariateresa D. chiede
martedì 09/03/2021 - Lombardia
“La mia richiesta è la seguente:
Al fine di realizzare la costruzione di una centralina idroelettrica, che sarà proprietà di una società privata, si procede all'esproprio di un terreno di 2000 metri quadri. La società è disponibile a una contrattazione economica.
Tuttavia, la medesima società ha già realizzato anni addietro un'opera simile sempre insistendo su terreni del medesimo proprietario.
È lecito insistere sullo stesso proprietario? È legittimo e sensato opporsi o in nome della pubblica utilità non c è nulla da fare?
Grazie!”
Consulenza legale i 15/03/2021
La norma che consente di attuare l’espropriazione delle aree destinate ad ospitare gli impianti di energia da fonti rinnovabili è l’art. 12, D.Lgs. n. 387/2003, ai sensi del quale tali opere “sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”.
Il D.M. 10.09.2010 (All. 1, punto 13.1, lettera d)), recanteLinee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” a tal fine dispone che la richiesta di autorizzazione unica del promotore dell’impianto debba contenere o la documentazione da cui risulti la disponibilità dell'area interessata, “ovvero, nel caso in cui sia necessaria la procedura di esproprio, la richiesta di dichiarazione di pubblica utilità dei lavori e delle opere e di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio corredata dalla documentazione riportante l'estensione, i confini ed i dati catastali delle aree interessate ed il piano particellare”.
Gli stessi principi sono ribaditi sostanzialmente anche nelle Linee Guida approvate dalla Lombardia con D.g.r. 18 aprile 2012 - n. IX/3298.
La normativa sopra menzionata, quindi, non pare porre alcun particolare ordine di preferenza rispetto alle modalità di reperimento dei terreni destinati alla realizzazione degli impianti de quibus, la cui disponibilità può essere acquisita indifferentemente o tramite strumenti di tipo privatistico (es. compravendita o istituzione di servitù) o mediante un procedimento espropriativo.
La giurisprudenza ha, altresì, evidenziato come la legislazione nazionale in materia di fonti rinnovabili rifletta il favor del legislatore europeo per tali tipi di impianti nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, anche in considerazione della necessità di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati nel cosiddetto "Protocollo di Kyoto" (T.A.R. Firenze, sez. II, 07 aprile 2011, n.629; T.A.R. Catanzaro, sez. I, 12 gennaio 2011, n. 32)
Pertanto, è stato evidenziato che dal combinato disposto dell'art. 12, comma 1, d. lgs. n. 387/2003 e dell'art. 1, d.P.R. 327/2001, discende che il legislatore statale, nell'attribuire alle opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili la qualifica di "opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti", ha inteso consentire la loro realizzazione anche oltre la limitazione costituita dalla attuale disponibilità dell'area in capo al richiedente l'autorizzazione (T.A.R. Palermo, sez. II, 09 febbraio 2010, n. 1775).
Ancora, in generale si afferma che la scelta circa la localizzazione di un'opera pubblica è rimessa a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, come tale censurabile in sede giurisdizionale solo per palesi errori di fatto o totale e manifesta illogicità ed irrazionalità (Consiglio di Stato, sez. IV, 07 novembre 2014, n. 5484).
Va, comunque, chiarito che la pubblica utilità si estende soltanto alle opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e alle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti (T.A.R. Bolzano, sez. I, 13 settembre 2016, n. 261).
Inoltre, rimane fermo il principio secondo cui al privato proprietario di un'area destinata all'espropriazione deve essere garantita, mediante la formale comunicazione di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (T.A.R. Salerno, sez. II, 01 agosto 2020, n. 981).
Pertanto, nella fattispecie non è possibile dedurre dalla legislazione sopra menzionata un principio generale per cui una proprietà già una volta incisa dall’espropriazione non possa essere di nuovo individuata come luogo idoneo ad ospitare un impianto di energia da fonti rinnovabili, con la conseguenza che un eventuale ricorso non avrebbe purtroppo basi molto solide.
In ogni caso, ai fini della fattibilità di un’azione innanzi al TAR, è consigliabile verificare anche che il procedimento seguito sia conforme anche agli ultimi principi citati, avendo riguardo alla natura delle opere dichiarate di pubblica utilità e alle garanzie partecipative che hanno coinvolto il proprietario espropriato.
La norma che consente di attuare l’espropriazione delle aree destinate ad ospitare gli impianti di energia da fonti rinnovabili è l’art. 12, D.Lgs. n. 387/2003, ai sensi del quale tali opere “sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”.
Il D.M. 10.09.2010 (All. 1, punto 13.1, lettera d)), recanteLinee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” a tal fine dispone che la richiesta di autorizzazione unica del promotore dell’impianto debba contenere o la documentazione da cui risulti la disponibilità dell'area interessata, “ovvero, nel caso in cui sia necessaria la procedura di esproprio, la richiesta di dichiarazione di pubblica utilità dei lavori e delle opere e di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio corredata dalla documentazione riportante l'estensione, i confini ed i dati catastali delle aree interessate ed il piano particellare”.
Gli stessi principi sono ribaditi sostanzialmente anche nelle Linee Guida approvate dalla Lombardia con D.g.r. 18 aprile 2012 - n. IX/3298.
La normativa sopra menzionata, quindi, non pare porre alcun particolare ordine di preferenza rispetto alle modalità di reperimento dei terreni destinati alla realizzazione degli impianti de quibus, la cui disponibilità può essere acquisita indifferentemente o tramite strumenti di tipo privatistico (es. compravendita o istituzione di servitù) o mediante un procedimento espropriativo.

La giurisprudenza ha, altresì, evidenziato come la legislazione nazionale in materia di fonti rinnovabili rifletta il favor del legislatore europeo per tali tipi di impianti nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, anche in considerazione della necessità di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati nel cosiddetto "Protocollo di Kyoto" (T.A.R. Firenze, sez. II, 07 aprile 2011, n.629; T.A.R. Catanzaro, sez. I, 12 gennaio 2011, n. 32)
Pertanto, è stato evidenziato che dal combinato disposto dell'art. 12, comma 1, d. lgs. n. 387/2003 e dell'art. 1, d.P.R. 327/2001, discende che il legislatore statale, nell'attribuire alle opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili la qualifica di "opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti", ha inteso consentire la loro realizzazione anche oltre la limitazione costituita dalla attuale disponibilità dell'area in capo al richiedente l'autorizzazione (T.A.R. Palermo, sez. II, 09 febbraio 2010, n. 1775).
Ancora, in generale si afferma che la scelta circa la localizzazione di un'opera pubblica è rimessa a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, come tale censurabile in sede giurisdizionale solo per palesi errori di fatto o totale e manifesta illogicità ed irrazionalità (Consiglio di Stato, sez. IV, 07 novembre 2014, n. 5484).

Va, comunque, chiarito che la pubblica utilità si estende soltanto alle opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e alle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti (T.A.R. Bolzano, sez. I, 13 settembre 2016, n. 261).
Inoltre, rimane fermo il principio secondo cui al privato proprietario di un'area destinata all'espropriazione deve essere garantita, mediante la formale comunicazione di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (T.A.R. Salerno, sez. II, 01 agosto 2020, n. 981).

Pertanto, nella fattispecie non è possibile dedurre dalla legislazione sopra menzionata un principio generale per cui una proprietà già una volta incisa dall’espropriazione non possa essere di nuovo individuata come luogo idoneo ad ospitare un impianto di energia da fonti rinnovabili, con la conseguenza che un eventuale ricorso non avrebbe purtroppo basi molto solide.
In ogni caso, ai fini della fattibilità di un’azione innanzi al TAR, è consigliabile verificare anche che il procedimento seguito sia conforme anche agli ultimi principi citati, avendo riguardo alla natura delle opere dichiarate di pubblica utilità e alla partecipazione al procedimento del proprietario espropriato.

Stefano T. chiede
domenica 03/12/2017 - Lazio
“Spett.le Brocardi inizio il quesito premettendo che sono proprietario di 6 particelle di terreno in parte edificabili site nel comune di ...omissis....Nel lato nord questi terreni risultano confinare con un area dove sorge una stazione di servizio carburanti che in queso periodo e' in fase di rinnovamento.
Per rinnovamento si intende che la società' proprietaria vuole integrare oltre alle benzine con la fornitura di gas metano per autotrazione.
Per fare questo detta societa' ha effettuato una richiesta alla ...omissis... rete gas di fornitura del metano.
Si deve considerare che per fornire questo distributore la ...omissis.... rete gas dovrà costruire un metanodotto della lunghezza di 613 metri ad una pressione di 64 bar.
Quindi in data 15/11/2017 mi e' arrivata dal comune una raccomandata contenente l'avvio di un procedimento di esproprio inteso come apposizione di vincolo su alcune delle mie particelle con la motivazione della pubblica utilità' indetta dalla ...omissis... rete gas per la costruzione del metanodotto di cui sopra che anche nel progetto viene denominato ALLACCIAMENTO ....omissis...
Poiche nella raccomandata si da la possibilità' unica di produrre delle osservazioni ai sensi dell'art 10 della legge 241/90 con il termine ultimo entro il 14/12/2017,nel redigere tali osservazioni avrei bisogno di questa consulenza per chiarire alcuni aspetti.
Chiaramente la costruzione come da progetto ...omissis... rete gas di questo metanodotto mi causerebbe alcuni danni che nel dettaglio sono:su questi terreni nell'anno 2013 la mia ex moglie allora proprietaria ha presentato un progetto che il comune ha bocciato per una questione di interpretazione del PRG che prontamente e' stato impugnato al TAR ... e che e' in attesa dell'udienza di merito e che se fosse costruito il metanodotto come da progetto con i suoi vincoli andrebbe ad inficiare sulla realizzazione di tale progettazione tanto che gia' questo e' un punto che osserverò' al comune.
Il secondo danno è che avendo un lotto a servizi privati dove si possono realizzare locali di pubblica collettività',il vincolo del metanodotto dice che per questi locali bisogna osservare una distanza minima di 100 metri dal metanodotto e quindi decadrebbe la possibilità' di costruire tali locali e quindi altro punto di osservazione.
In questi giorni ho incaricato un ingegnere e un architetto che mi relazionino eventuali criticità' di progetto sia a livello tecnico che a livello urbanistico che possano portare ad altri punti da osservare.
Quindi con questa consulenza volevo chiedervi dato che ho trovato solo una pubblicazione sui distributori di carburanti che sottolinea il fatto che tale attività' anche se effettua vendita al pubblico non rientra tra i benefici della attività' di pubblica utilità'.
Su tale punto chiedo che sia concentrata questa consulenza in quanto il metanodotto e' stato giustificato in progetto solo per fornire l'impianto di carburanti e non altri citando il D.P.R. del 08/06/2001 n 327 articoli 52 quater e sexies.
Vi chiedo se ci siano sentenze che chiariscano tale aspetto e se tale costruzione di metanodotto che va a servire un distributore a gestione comunque privata possa essere considerata pubblica utilità'.Nell'attesa di vostra risposta si porgono cordiali saluti.”
Consulenza legale i 08/12/2017
La risposta ai dubbi prospettati si trova in parte nello stesso D.P.R. n 327/2001, c.d. Testo unico sulla espropriazione per pubblica utilità, ed in parte nel programma sulla c.d. mobilità sostenibile, che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare già da qualche anno promuove e realizza.

Dispone intanto l’art. 1 del D.P.R. n. 327/2001, inserito nel titolo dedicato all’oggetto ed all’ambito di applicazione del medesimo T.U., che la normativa ivi contenuta disciplina l’espropriazione, anche a favore di privati, di beni immobili o diritti relativi a beni immobili, volta all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità.

Il successivo art. 3 comma 1 stabilisce che può diventare proprietario del bene espropriato anche un soggetto privato (beneficiario dell’esproprio), e laddove il beneficiario dell’esproprio compare nel T.U., non viene fatta alcuna differenza in ordine alla tipologia di opera per la quale si procede all’esproprio (es. art. 20 comma 2, art. 21 comma 6 lett.b), o, per meglio dire, quando compare il beneficiario dell'esproprio, non viene precisato se esso è un soggetto pubblico o privato.

Accertato, dunque, che già secondo la fonte normativa principale in materia il procedimento espropriativo può essere avviato anche in favore di privati, si tratta adesso di vedere se la realizzazione del metanodotto a servizio di una stazione di servizio possa considerarsi quale opera di pubblica utilità.

In senso purtroppo positivo può intanto argomentarsi da quel programma di mobilità sostenibile condotto dal Ministero dell’ambiente cui prima si accennava, nell’ambito del quale si inseriscono l’Iniziativa per il Car sharing (I.C.S.), l’iniziativa carburanti a basso impatto ambientale (I.C.B.I.A.) e l’Iniziativa progetto metano, quest’ultima quella che qui proprio ci interessa.

Trattasi di una iniziativa avviata in attuazione delle disposizioni di cui al decreto del Ministero dell’ambiente DEC/GAB/0099/2000 del 21 settembre 2000, per la quale è stato siglato un Accordo di Programma il 5 dicembre 2001 con Fiat Spa ed Unione Petrolifera.

Tale iniziativa si propone la finalità di sviluppare la diffusione del metano per autotrazione, sia attraverso l’introduzione sul mercato di nuove autovetture alimentate a metano, sia attraverso il potenziamento della rete di distribuzione.
Per tale finalità è stata peraltro costituita nel maggio del 2002 una Convenzione di Comuni, con capofila il Comune di Torino, per rapportarsi con il Ministero in qualità di soggetto referente; a seguito di ciò è stato acquistato un elevato numero di veicoli alimentati a metano e finanziati diversi impianti del tipo di quello che si sta realizzando nel caso in esame.

A ciò va aggiunto che una esplicita qualificazione della natura di pubblica utilità degli impianti di distribuzione di carburanti si rinviene nelle seguenti altri fonti normative:

1. art. 1 della L.R. Sicilia n. 97 del 5.8.1982, ai sensi del quale la distribuzione stradale di carburanti per autotrazione costituisce pubblico servizio ai sensi dell'art. 16 del decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034.

2. L’art. 16 del D.L.26 ottobre 1970 n. 745, convertito con modificazioni dalla Legge 18.12.1970 n. 1034, in cui è detto che l'attività inerente alla installazione ed all'esercizio degli impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione, eccettuati quelli utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprietà di amministrazioni pubbliche, costituisce pubblico servizio ed è soggetta a concessione.

3. L’ art. 19 della Legge Regione Campania n. 8 del 30 luglio 2013, nella quale è detto che è considerato di pubblica utilità l’impianto che costituisce l’unico punto di rifornimento esistente nel Comune e l’impianto più vicino la cui distanza è maggiore di sette chilometri.

Sicuramente la presenza di questi chiari e ben definiti indici normativi spiega la difficoltà di rinvenire giurisprudenza su tale specifica materia.

Pertanto, dovendosi considerare la costruzione di quel metanodotto quale opera di pubblica utilità, la relativa procedura messa in atto dall’ente interessato, quale disciplinata dal T.U. sulle espropriazioni, comporterà indubbiamente un affievolimento del diritto di proprietà privata.

Ciò non esclude il diritto di avvalersi comunque della facoltà prevista dall’art. 7 Legge 241/1990, ritenendosi opportuno formulare delle osservazioni in relazione ai danni che il passaggio di quel metanodotto arrecherebbe ai terreni di sua proprietà, in particolare con riferimento alla progettazione delle opere che ivi si intendono realizzare e per le quali, oltretutto, risulta anche pendente un giudizio amministrativo innanzi al TAR.
Su tali osservazioni l’amministrazione procedente si dovrà motivatamente pronunciare.

E’ indiscutibile che la relazione dialettica con gli interessati potrà condurre ad un miglioramento della qualità della scelta, consentendo l’effettuazione di scelte urbanistiche e amministrative più consapevoli e controllabili, anche in sede giurisdizionale.

Infine, potrebbe anche valutarsi l’utilità di richiamare nelle osservazioni che si andranno a formulare il principio espresso dall’art. 1051 c.c., in materia di passaggio coattivo, secondo cui il passaggio si deve stabilire in quella parte in cui riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito (questo, ovviamente, per il caso in cui uno spostamento del tracciato del metanodotto potrebbe rivelarsi utile per realizzare ciò che si è programmato su quel terreno).