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Se il venditore conosceva i vizi della cosa venduta l'eventuale patto di esclusione della garanzia è nullo

Se il venditore conosceva i vizi della cosa venduta l'eventuale patto di esclusione della garanzia è nullo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9651 dell’11 maggio 2016, è tornata su un argomento di grande interesse per tutti coloro che hanno acquistato un bene che presenti dei difetti.

Va osservato, infatti, che, in base a quanto previsto dall’art. 1476 del codice civile, il venditore ha l’obbligo di garantire il compratore da eventuali “vizi della cosa”: ciò significa che il compratore ha la possibilità di denunciare al venditore i vizi stessi e che il venditore dovrà procedere alla riparazione o alla sostituzione del bene o, se ciò non è possibile, alla restituzione del prezzo pagato dal compratore.

Occorre precisare, tuttavia, che compratore e venditore potrebbero anche accordarsi per escludere tale garanzia: in questo caso, quindi, il compratore acquista il bene “a suo rischio e pericolo”, nel senso che, se dovessero presentarsi dei vizi, egli non potrà avanzare alcuna pretesa nei confronti del venditore.

Ma questo è sempre vero? Se le parti escludono la garanzia, il venditore va davvero sempre esente da responsaibilità?

Ebbene, la Cassazione, con la sentenza sopra citata, ha fornito una risposta a questo quesito.

Nel caso esaminato dalla Corte, un soggetto aveva acquistato un’autovettura da una società e, successivamente, aveva agito in giudizio “chiedendo l’accertamento dei vizi, difetti e mancanza di qualità dell’autovettura usata che egli aveva acquistato dalla società convenuta, la riduzione del prezzo, la condanna dei convenuti a restituirgli la differenza tra il prezzo versato e quello riconosciuto congruo dal giudice e, infine, la condanna dei medesimi a risarcirgli i danni materiali e morali”.
La società si difendeva proprio rilevando come le parti avessero “convenuto un patto di esclusione della garanzia”.

In primo grado, il Tribunale riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’acquirente, ritenendo nullo il patto di esclusione della garanzia stipulato tra le parti “per essere stato il comportamento del venditore improntato a mala fede e colpa grave”, ma la sentenza veniva ribaltata in secondo grado, in quanto la Corte d’Appello riteneva “valido il patto di esclusione della garanzia per i vizi della cosa venduta stipulato inter partes, escludendo la sussistenza della mala fede del venditore in ordine ai vizi che presentava l’autovettura”.

Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione conferma la sentenza di secondo grado, dal momento che nel caso di specie il venditore non conosceva i vizi della cosa venduta e, quindi, non poteva ritenersi in “mala fede”.

La Corte, in primo luogo, fornisce alcune precisazioni in merito al concetto di “buona fede” e “mala fede”, chiarendo come “si può parlare di “buona fede” e di “mala fede” in un duplice senso: in senso soggettivo, osservando cioè lo stato psicologico del soggetto considerato, ovvero in senso oggettivo, osservando la condotta tenuta da un determinato soggetto nei rapporti giuridici.
In senso soggettivo, per “buona fede” si intende lo stato di ignoranza o l’erronea conoscenza circa una data situazione giuridica o di fatto; per contro, per “mala fede” si intende la scienza, la consapevolezza, l’esatta conoscenza, di un fatto o di una data situazione giuridica. In senso oggettivo, invece, la “buona fede” consiste in una regola di condotta da tenersi nei rapporti giuridici, una regola improntata alla lealtà nei confronti delle altre parti: è in buona fede chi si comporta con lealtà nei rapporti giuridici. Per contro, per “mala fede” si intende la slealtà di condotta nell’agire giuridico”.

In altri termini, quando si parla di “buona fede” si può far riferimento al fatto che il venditore non conosceva i vizi della cosa venduta (buona fede “in senso soggettivo”), oppure si può far riferimento alla modalità di comportamento che deve essere tenuta nei rapporti contrattuali con le altre persone (buona fede “in senso oggettivo”), nel senso che “ci si deve comportare secondo buona fede”, vale a dire con lealtà e correttezza.

Con specifico riferimento al patto di esclusione della garanzia per i vizi della cosa venduta, la Corte osserva come “l’art. 1490 primo comma cod. civ., nel prevedere a carico del venditore la garanzia per i vizi della cosa venduta che rendano la stessa inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (c.d. vizi redibitori) e nel consentire che tale garanzia sia esclusa a mezzo di apposita deroga pattizia, stabilisce tuttavia al secondo comma che “Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”.

Quindi, se il venditore conosceva i vizi della cosa venduta e li ha taciuti al compratore, l’eventuale patto di esclusione della garanzia deve ritenersi radicalmente nullo.

Nel caso di specie, tuttavia, il venditore non era a conoscenza del vizio, con la conseguenza che il patto di esclusione della garanzia doveva ritenersi perfettamente valido e operante.

Precisa la Corte, infatti, come “nel quadro della norma in esame, non possa trovare spazio – come pretende il ricorrente – il caso in cui il venditore non sia a conoscenza, sia pure per colpa grave, dei vizi della cosa venduta. In questo caso, infatti, la condotta del tacere sarebbe conseguenza della ignoranza (sia pure colposa) dei vizi, e non della consapevole condotta decettiva richiesta dalla legge


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