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Il titolare di un locale che non vigili sulla condotta degli avventori risponde del reato di cui all’art. 659 del Codice Penale

Il titolare di un locale che non vigili sulla condotta degli avventori risponde del reato di cui all’art. 659 del Codice Penale
La qualità di titolare della gestione dell’esercizio comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di vigilare affinché i comportamenti dei clienti non sfocino in condotte illecite violatrici della quiete pubblica.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28570 del 2 luglio 2019, si è occupata del caso della responsabilità del gestore di un locale per i rumori provocati dagli avventori al di fuori dello stesso.
All’origine del caso, la vicenda di un locale condannato dal tribunale di Firenze per il reato di disturbo alla quiete pubblica previsto dall'art. 659 del c.p. ("disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone").
All’esterno del bar, infatti, i frequentatori dello stesso si intrattenevano, come spesso capita, con conversazioni e schiamazzi che disturbavano la quiete pubblica e il riposo dei vicini abitanti.
I giudici del tribunale di merito avevano giustificato la condanna sulla base dell’osservazione per cui sussisterebbe in capo al titolare dell’esercizio un preciso obbligo di controllo e sorveglianza sulle condotte tenute dai clienti del locale.
Il gestore del locale si difendeva in giudizio affermando che il disturbo provocato dai clienti del suo bar non fosse di un livello tale da provocare la rottura della quiete pubblica. In ogni caso, aggiungeva poi il legale del titolare, non emerge dalla normativa alcun obbligo in capo al gestore di sorveglianza e controllo sui comportamenti tenuti all’esterno del locale.
Effettivamente, secondo la stessa ammissione degli ermellini, la giurisprudenza sul punto si era da tempo trovata concorde sul fatto che nessun obbligo di sorveglianza gravasse in capo al gestore di un esercizio pubblico per i comportamenti tenuti dai clienti.
Tuttavia, discostandosi da tale opinione seppur consolidata, i giudici della Cassazione hanno ritenuto, in primo luogo, che per la configurazione dell'illecito sia sufficiente la semplice potenzialità del rumore e la sua idoneità a molestare la collettività valutata in astratto.
Più precisamente, i giudici hanno affermato che "la contravvenzione di cui all'articolo 659 c.p., comma 1, è reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un'unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l'idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui.
Inoltre, in secondo luogo, sussisterebbe ad avviso della Cassazione un preciso obbligo giuridico in capo al gestore di un esercizio pubblico: quello di vigilare affinché sia preservata la quiete pubblica di coloro che vivono nelle vicinanze dell'esercizio, senza che le loro abitudini di vita debbano essere stravolte dalla presenza del locale in tale area.
A tal riguardo, precisano i giudici, risponde del reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone “il gestore di un pubblico esercizio (in specie, un locale di intrattenimento) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l'obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all'autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica."


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