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Tentata estorsione: la vittima ha diritto al risarcimento dei danni morali anche se ha collaborato nelle indagini

Tentata estorsione: la vittima ha diritto al risarcimento dei danni morali anche se ha collaborato nelle indagini
Il danno morale non può ritenersi o meno esistente a seconda della maggiore o minore forza d'animo della vittima, in quanto ciò equivarrebbe ad affermare che l'ordinamento tutela in misura diversa la persona a seconda del grado di resistenza che la stessa possiede in presenza di una minaccia.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18327 del 25 luglio 2017 ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di diritto al risarcimento del danno da parte di un soggetto vittima di un reato estorsivo.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti di tre soggetti, al fine di ottenere la condanna degli stessi al risarcimento dei danni subiti a seguito del reato di “tentata estorsione aggravata” (art. 629 cod. pen.), commesso nei suoi confronti, per il quale era già intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda dell’attore, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 58.000 a titolo di “danni morali” (art. 2059 cod. civ.).

La sentenza, tuttavia, era stata riformata in secondo grado, dal momento che, secondo la Corte d’appello, dagli accertamenti effettuati in corso di causa era emerso che l’attore non era stato intimorito dalle minacce che gli erano state rivolte dai convenuti, tanto che lo stesso attore si era rivolto alle Forze dell’Ordine “ed aveva attivamente collaborato nelle indagini”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il danneggiato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che le minacce ricevute non avessero avuto una forza tale “da recarle ingiusto turbamento”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva confuso il “turbamento provocato nella vittima di un episodio di estorsione” con la sua “capacità di non cedere” alla minaccia stessa.

Osservava Cassazione, in proposito, che “se una persona, dotata di maggiore coraggio, resiste alla minaccia, ciò non vuol dire che il turbamento non ci sia stato”.

Del resto, evidenziava la Corte, una minaccia lieve “non spingerebbe mai una persona dotata di normale buon senso a recarsi dalle forze dell'ordine per denunciare l'accaduto”.

Se ciò era avvenuto, dunque, voleva dire che la vittima delle minacce aveva “evidentemente cercato protezione” per un evento che aveva generato in lei proprio quel turbamento ingiusto che la Corte d'appello aveva, invece, ritenuto di escludere.

Rilevava, infine, la Cassazione, che il danno moralenon può essere ritenuto o meno esistente a seconda della maggiore o minore forza d'animo della vittima”, in quanto “ciò equivarrebbe ad affermare che l'ordinamento tutela in misura diversa la persona a seconda del grado di resistenza che la stessa possiede in presenza di una minaccia, determinando un effetto paradossale in danno dei soggetti più coraggiosi”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla vittima del reato di estorsione, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione risarcitoria, tenendo conto dei principi sopra enunciati.


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