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Telecamere di sorveglianza in azienda e licenziamento di un lavoratore

Lavoro - -
Telecamere di sorveglianza in azienda e licenziamento di un lavoratore
Le registrazioni con telecamere di sorveglianza non sono utilizzabili a fini di prova della legittimità del licenziamento di un lavoratore.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13019 del 24 maggio 2017, si è occupata di un altro interessante caso in materia di diritto del lavoro.

In particolare, se il datore di lavoro ci contesta una condotta che ha scoperto mediante l’utilizzo di una telecamera di sorveglianza, l’eventuale licenziamento disciplinare può considerarsi legittimo?

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di primo grado, resa dal Tribunale della medesima città, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento che era stato intimato per motivi disciplinari ad un soggetto, in quanto questi, avrebbe incassato, senza versarlo alla società, il corrispettivo dei prodotti venduti quale banconista a bordo di una nave traghetto.

Secondo la Corte d’appello, in particolare, il licenziamento doveva considerarsi illegittimo, per le illegittime modalità del controllo operato dalla Società sul lavoratore in questione, che era stato effettuato a mezzo telecamere di sorveglianza, installate proprio al fine di controllare i lavoratori dipendenti.

Ritenendo la decisione ingiusta, la società datrice di lavoro aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Osservava la ricorrente, in particolare, che la Corte d’appello non avrebbe correttamente applicato gli artt. [[n2119cc] c.c. e gli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966, in quanto la stessa non avrebbe valutato adeguatamente la sussistenza di una “giusta causa di recesso”, rappresentata dal fatto che il lavoratore, più volte, aveva fatto a meno di rilasciare lo scontrino al momento della vendita della merce e dell’incasso del corrispettivo.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dare ragione alla società ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Precisava la Cassazione, infatti, che la società datrice di lavoro aveva installato una telecamera di sorveglianza, al fine di controllare costantemente il comportamento in servizio dei lavoratori addetti alla vendita e che le relative registrazioni erano state acquisite illegittimamente e, dunque non potevano essere utilizzate a fini di prova.

Osservava la Corte, infatti, che le telecamere erano state installate al fine di verificare l’attività lavorativa e non allo scopo di salvaguardare il patrimonio dell’azienda, con la conseguenza che dovevano essere rispettate le norme di legge relative al controllo a distanza dei lavoratori.

Secondo la Cassazione, dunque, la Corte d’appello aveva del tutto adeguatamente ritenuto che il licenziamento fosse stato illegittimo, sia perché mancava la prova della condotta contestata (non essendo utilizzabili le videoregistrazioni a fini di prova), sia perché, in ogni caso, la sanzione espulsiva sarebbe stata sproporzionata rispetto alla condotta stessa, in quanto era stato accertato che il lavoratore in questione, a fine turno, contabilizzava correttamente la merce venduta, consentendo alla società di verificare la corrispondenza tra l’incassato e il venduto.

Ciò considerato, la Corte d’appello rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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