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Scatta una foto di nascosto al vicino al fine di documentare una violazione del regolamento condominiale

Scatta una foto di nascosto al vicino al fine di documentare una violazione del regolamento condominiale
Non commette il reato di molestia il condomino che scatta una foto di nascosto al vicino al fine di documentare una violazione del regolamento condominiale.
E’ del 13 aprile scorso una interessante pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale è stato risolto un caso di molestie (art. 660 cod. pen.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale aveva condannato un imputato per tale reato, in quanto questi avrebbe molestato due vicine di casa, “fotografandole mentre transitavano nei pressi dello stabile condominiale”.

Nello specifico, il Giudice si era convinto della colpevolezza dell’imputato sulla base delle dichiarazioni rese dalle persone offese, che avevano trovato conferma anche nelle testimonianze rese da altre persone, che avevano riferito “di come l’imputato fosse ossessionato dal rispetto delle regole condominiali e solito scattare foto con lo scopo di cogliere e documentare eventuali infrazioni al regolamento condominiale”.

Il Tribunale, inoltre, aveva ritenuto “ritenuto che i continui appostamenti sul balcone della propria abitazione, con il fine di cogliere in fallo condomini e visitatori, costituissero condotta connotata dal requisito della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, insistente, indiscreto, sicuramente idoneo ad interferire, ledendola, nella sfera della quiete e della libertà delle persone, mentre era del tutto irrilevante il fine che l’imputato si era prefisso e cioè di documentare le violazioni al regolamento condominiale”.

Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, infatti, non sussistevano i presupposti per la condanna, dal momento che l’imputato aveva fotografato le vicine non allo scopo di arrecare disturbo alle stesse, ma al solo fine di “acquisire prove delle violazioni del regolamento di condominio, agendo per la tutela dei propri diritti e non per malanimo o altro biasimevole motivo”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputato, annullando la sentenza di condanna emanata dal Tribunale.

Osservava la Cassazione, infatti, che all’imputato era stato contestato di “avere per petulanza arrecato molestia e disturbo alle parti lese, S. e P. , sue vicine di casa, fotografandole”, sulla base delle dichiarazioni delle persone offese, le quali avevano riferito di due episodi che si erano verificati in loro danno.

Nel corso del primo, l’imputato si era affacciato all’improvviso sul balcone della propria abitazione e aveva scattato una foto ad una delle persone offese, mentre nel secondo caso la persona offesa aveva dichiarato di essersi accorta che l’imputato si era nascosto dietro una finestra del proprio appartamento e, all’improvviso, si era affacciato con una macchina fotografica in mano.

Evidenziava la Cassazione, tuttavia, che tali due singoli episodi non integravano una condotta tale da giustificare una condanna per molestie, essendo, a tal fine, è necessario che le condotte poste in essere siano caratterizzate dalla “petulanza” e dalla abitualità.

Nel caso di specie, invece, poiché gli episodi contestati erano solamente due e non potevano essere considerati di per sé stessi idonei ad integrare distinti fatti di molestia, la Cassazione riteneva che l’imputato fosse stato ingiustamente condannato, dal momento che “non può certamente ritenersi abituale una condotta che si è realizzata in danno delle singole parti lese una sola volta, in disparte dall’ulteriore rilievo che quella riferita dalla S. non sarebbe nemmeno attuativa della contestata azione molesta, avendo la teste riferito che l’imputato si era affacciato con la macchina fotografica in mano, ma non anche che le aveva scattato una fotografia”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, “perché il fatto non sussiste”.


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