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Saldi: il negozio non può indicare un prezzo di listino più alto di quello effettivo

Saldi: il negozio non può indicare un prezzo di listino più alto di quello effettivo
La Corte di Cassazione ha inibito alla società titolare di una catena di negozi di abbigliamento di continuare a esporre dei cartellini di vendita che indicavano un prezzo di listino superiore a quello reale, in quanto tale condotta è idonea a disorientare e trarre in inganno il consumatore.
In materia di saldi, appare di notevole interesse una pronuncia del Tribunale di Milano, datata 03 luglio 2017.

Nel caso esaminato dal Tribunale, l’associazione a tutela dei consumatori “Codacons” aveva agito nei confronti di una società (titolare di una catena di negozi di abbigliamento), “per il comportamento ingannevole che quest’ultima avrebbe tenuto in danno dei consumatori nei suoi punti vendita di capi di abbigliamento”.

Nello specifico, secondo il Codacons, la società, durante il periodo di saldi, avrebbe indicato nei cartellini dei capi di abbigliamento un prezzo di listino più alto di quello effettivo (riportato in un cartellino sottostante), falsando, in tal modo, la scelta di acquisto dei consumatori, i quali erano convinti di “conseguire un vantaggio in termini economici sulla base di un presupposto errato (il costo originario del capo)”.

Secondo l’associazione, dunque, tale condotta rientrava nell’ambito delle “pratiche commerciali scorrette, ed in particolare tra le condotte ingannevoli di cui all’art. 21, lett. d) d. lgs.vo 206/05”,

Pertanto, il Codacons aveva chiesto che il Tribunale proibisse alla società convenuta la prosecuzione di tale attività lesiva, condannando la stessa al risarcimento dei danniper gli importi indebitamente pagati dai consumatori”.

La società convenuta si era costituita in giudizio, affermando che, in realtà, il prezzo riportato nel cartellino nascosto era quello applicato in territorio spagnolo e, dunque, non era quello applicabile in Italia, in considerazione dei maggiori costi di spedizione e assicurativi che gravavano sulla merce a seguito dell’esportazione dalla Spagna.

Ebbene, la Cassazione, nel decidere sul ricorso, evidenziava come apparisse pacifico che, nel caso di specie, la società avesse indicato il prezzo di listino (non scontati) dei capi di abbigliamento su di un cartellino applicato al capo di abbigliamento che copriva la menzione di un prezzo più basso “di quello apparentemente indicato come prezzo normale di vendita del prodotto”.

A prescindere dalle giustificazioni addotte dalla società convenuta in giudizio, la Cassazione osservava che, ciò che rileva, è che il consumatore, di fronte ad una tale condotta dei negozi, “non potrebbe essere in grado di percepire quale sia effettivamente il prezzo normale del capo di abbigliamento e conseguentemente di valutare se lo sconto proposto sia corretto o di fatto del tutto minore di quanto apparentemente indicato, in quanto applicato in realtà su di un prezzo maggiorato”.

In sostanza, secondo la Corte, “ciò che rileva è in definitiva l’idoneità del complesso della presentazione del procedimento di formazione del prezzo di saldo ad essere difficilmente percepibile ed a disorientare dunque il consumatore stesso”.

Tale condotta, secondo la corte, era, dunque, secondo la Cassazione, “potenzialmente idonea ad incidere sulle scelte di acquisto del consumatore, il quale ove fosse in grado di rilevare la differente indicazione del prezzo normale di vendita orienterebbe diversamente il proprio comportamento commerciale per l’incertezza sulla reale entità dello sconto praticato dalla convenuta”.

Pertanto, la Cassazione riteneva di dover vietare alla società, ai sensi dell’art. 140 decreto legislativo n. 206/2005 (Codice del Consumo) di continuare a mettere in vendita capi di abbigliamento con cartellini dai quali non potesse comprendersi con certezza il prezzo normale di vendita.

La Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter accogliere la domanda risarcitoria avanzata dal Codacons, dal momento che tale misura non rientra tra quelle “che il giudice potrebbe pronunciare al fine di correggere od eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate”.

La domanda risarcitoria, dunque, secondo la Corte, avrebbe potuto, eventualmente, essere formulata dai singoli consumatori, mediante delle azioni individuali o collettive.

Ciò considerato, la Cassazione, in parziale accoglimento delle domande avanzate dal Codacons, inibiva alla società convenuta l’ulteriore prosecuzione della condotta oggetto di contestazione, condannando la società stessa anche al pagamento delle spese processuali.


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