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Il ritardo nel versamento dell'indennità di maternità provoca un danno esistenziale?

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Il ritardo nel versamento dell'indennità di maternità provoca un danno esistenziale?
E' esclusa la risarcibilità del danno esistenziale nel caso di ritardo nel versamento dell'indennità di maternità da parte dell'INPS che non comporti una intollerabile lesione della dignità umana.
Nel caso esaminato dalla Cassazione con sentenza n. 2217 del 4 febbraio 2016, una donna aveva agito in giudizio nei confronti dell’INPS, chiedendo la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno esistenziale subito per effetto della ritardata corresponsione dell’indennità di maternità, poiché tale ritardo aveva causato alla neo mamma delle difficoltà di carattere economico.

La domanda veniva accolta in primo grado ma la Corte d’appello, pronunciatasi nel secondo grado di giudizio, riteneva di dover riformare la sentenza, rigettando la domanda proposta dalla donna.

La donna, dunque, riteneva opportuno proporre ricorso in Cassazione, evidenziando come il ritardo nella corresponsione avesse determinato “un danno esistenziale risarcibile per la lesione dei diritti inviolabili della persona”, di cui agli artt. 2, 3, 36, 37 e 38 Costituzione.

Il motivo del ricorso, tuttavia, appariva infondato anche alla Corte di Cassazione.

Quanto all’asserito “danno esistenziale”, la Cassazione precisava che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972 del 2008, avevano avuto modo di precisare che nel nostro ordinamento non poteva ritenersi sussistente l’autonoma categoria di "danno esistenziale” come “pregiudizio alle attività non remunerative della persona”.

Osservava la Corte, infatti, che il danno derivante dalla lesione di interessi costituzionalmente garantiti è già risarcibile ai sensi dell’art. 2059 del c.c., “con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria”.

In proposito, va ricordato, che l’art. 2059 c.c. prevede la risarcibilità del “danno non patrimoniale”, nei casi stabiliti dalla legge; ebbene, la categoria del “danno non patrimoniale”, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, rappresenta una categoria unitaria, che comprende anche il danno esistenziale.

Peraltro, la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, chiariva che, ai fini della riconoscibilità del “danno esistenziale”, è necessario che si sia verificata una grave violazione di un diritto inviolabile della persona e che tale danno “non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità”.

Nel caso di specie, dunque, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto adeguatamente escluso la risarcibilità del danno esistenziale lamentato, in quanto la medesima aveva correttamente escluso “che il mero pregiudizio alla qualità della vita (…) sia risarcibile e che possa considerarsi grave o intollerabile il danno (sempre non patrimoniale) conseguente al mero ritardo nell’adempimento d’una prestazione previdenziale”.

Nello specifico, la Corte rilevava che “le difficoltà economiche allegate dalla ricorrente quale effetto del ritardo nel percepire la prestazione previdenziale, possono astrattamente determinare negative ricadute di ordine patrimoniale (…) e/o incidere sulla qualità della vita” ma le medesime non comportano una “intollerabile lesione della dignità umana (…), tranne nell’ipotesi in cui risulti provato che le stesse abbiano “impedito il soddisfacimento di interessi primari”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, condannando la medesima al pagamento delle spese processuali.


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