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Pertinenza ed abuso edilizio

Pertinenza ed abuso edilizio
Commette abuso edilizio chi esegue l’ampliamento di un vano esistente senza le prescritte autorizzazioni.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 3389 del 5 maggio 2016, si è pronunciata in tema di “abuso edilizio”, di cui all’art. 44 lett b), 94 e 95 D.P.R. n. 380/2001.

Nel caso esaminato dalla Corte un imputato era stato condannato per tale reato, in quanto aveva realizzato, su un’area di sua proprietà, l’ampliamento di un vano esistente, mediante posta in opera di blocchi di cemento, senza le prescritte autorizzazioni.

Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, aveva ritenuto “raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato”, in quanto, a seguito di un accertamento svolto dalla polizia municipale, era stato accertato che l’esecuzione delle opere in contestazione era avvenuta “nonostante il provvedimento di sospensione dei lavori emesso dal comune del luogo il 21/8/2009 ed il successivo diniego della concessione in sanatoria”.

La ripresa dei lavori, in particolare, era stata denunciata dal confinante, il quale aveva addotto di essere “titolare dell'area adiacente il fabbricato da cui i lavori erano sconfinati”.

Avverso tale sentenza, l’imputato proponeva appello, rilevando che si trattava di “lavori di manutenzione ordinaria”, concernenti “l'ampliamento di una rimessa già esistente”.

Secondo l’appellante, infatti, il Tribunale aveva errato nel non accertare “se la superficie in ampliamento fosse o meno superiore al 20% del fabbricato preesistente”, dal momento che in questo caso, “doveva ritenersi non solo la natura pertinenziale dell'opera, ma anche la sua autorizzabilità con la semplice DIA”.

La Corte d’appello, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dall’appellante.

Secondo la Corte, infatti, andava “esclusa la natura pertinenziale dell'intervento edilizio in questione”, essendo “numerose le caratteristiche del manufatto che non consentono di valutare l'intervento come pertinenziale, a partire dalla pregressa esistenza della rimessa, e dalla zonizzazione dell'area di intervento come agricola”.

Inoltre, il giudice di secondo grado evidenziava che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25669 del 30.5.2012, aveva precisato che “affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti".

Nel caso di specie, invece, non ricorreva nessuno di questi elementi, in quanto non risultava in alcun modo provato “nè il legame funzionale con le legittime preesistenze, nè la insuscettibilità di autonoma destinazione”.

Peraltro, la Corte osservava come fosse “pacificamente esclusa la compatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti, sia per la qualificazione agricola dell'area, sia per il certificato diniego di concessione in sanatoria”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte d’appello riteneva che la sanzione irrogata dal giudice di primo grado fosse “proporzionata e congrua”, dovendosi rigettare i motivi di impugnazioni proposti, con conseguente conferma della sentenza di primo grado e condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali.


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