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Operazioni finanziarie rischiose: la banca è tenuta a dare informativa dettagliata

Operazioni finanziarie rischiose: la banca è tenuta a dare informativa dettagliata
La banca deve informare l'investitore dei rischi connessi ad una determinata operazione finanziaria anche se si dichiara esperto.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18702 del 23 settembre 2016, si è occupata di un interessante caso in materia di investimenti rischiosi effettuati dai titolari di un conto corrente bancario.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti di una banca, presso la quale era titolare di conto corrente con annesso deposito titoli, evidenziando che la banca aveva eseguito diverse operazioni in strumenti finanziari derivati, “dalle quali era scaturito un rilevante danno patrimoniale, del quale chiedeva di essere risarcito avendo la banca violato, sotto più profili, le norme di comportamento stabilite a carico degli intermediari finanziari dalla normativa primaria e secondaria in materia”.

La banca, in particolare, “aveva eseguito le operazioni senza fornire adeguate informazioni specifiche, in assenza di copertura finanziaria, in assenza di valutazione circa l'adeguatezza per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione e circa l'adeguatezza alla situazione finanziaria dell'investitore, omettendo anche di fornire informazione scritta delle perdite generate dall'investimento”.

Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, aveva rigettato la domanda del correntista e la sentenza era stata confermata anche in secondo grado.

Secondo la Corte d’appello, infatti, il correntista si era assunto “tutti i possibili rischi evidenziatigli, ed aveva rilasciato informazioni personali dalle quali si evinceva la sua elevata conoscenza degli strumenti negoziati sul mercato dei titoli mobiliari e la sua alta propensione al rischio, mentre aveva rifiutato di fornire informazioni sulla sua situazione finanziaria, così impedendo una valutazione di adeguatezza delle operazioni sotto tale profilo”.

Avverso tale sentenza, il correntista proponeva ricorso per Cassazione, ponendo l'accento su come la corte d’appello avesse errato nel ritenere che “l'affidamento all'intermediario del solo incarico di eseguire gli ordini che l'investitore impartisce nell'ambito delle strategie di investimento che consapevolmente e liberamente ritiene di adottare - senza alcuna consulenza in relazione alla scelta dei prodotti da acquistare, nè affidamento di incarico di gestione di portafoglio - esoneri l'intermediario stesso da ogni valutazione di appropriatezza delle operazioni che l'investitore ordini di eseguire”.

Secondo quanto previsto dal Testo Unico di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, infatti, “deve ritenersi che tale tipologia di rapporto rientra tra quelli ai quali si applicano le norme regolamentari dettate dall'art. 28, comma 2, e art. 29 della Delibera Consob n. 11522/1998”, con i conseguenti obblighi di “di valutazione della adeguatezza delle singole operazioni e di astensione”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, accogliendo il relativo ricorso.

Secondo la Cassazione, infatti, il Testo unico di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998 l’intermediario finanziario ha degli specifici obblighi di diligenza, correttezza, trasparenza, informazione e comunicazione della inadeguatezza delle singole operazioni, che devono essere osservati nello svolgimento dei servizi di investimento, nella ricezione e trasmissione di ordini e nella negoziazione di strumenti finanziari.

Di conseguenza, anche nel caso in esame, la banca intermediaria non poteva sottrarsi a tali obblighi e dovendo la stessa, prima di effettuare operazioni, “fornire all'investitore - fatta eccezione per i soli operatori qualificati di cui all'art.31 del Regolamento - un'informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente”. Inoltre, “a fronte di un'operazione non adeguata”, la banca poteva darvi corso “soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall'investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

Nel caso di specie, invece, il ricorrente aveva evidenziato il “mancato adempimento della banca intermediaria dei predetti obblighi di informazione, di eventuale segnalazione di inadeguatezza e di astensione in relazione alle singole operazioni eseguite” ed era onere della banca “provare il proprio adempimento”.

Dunque, la Corte d’appello aveva errato nel negare “la sussistenza nella specie di quegli obblighi”, evidenziando delle circostanze di fatto “erroneamente ritenute idonee a renderne in sostanza giustificato l'inadempimento”.

Secondo la Cassazione, in particolare, “non può (…) ritenersi sufficiente a giustificare l'omissione di ogni informazione e valutazione di adeguatezza da parte dell'intermediario l'avere l'investitore dichiarato, in sede di stipula del c.d. contratto quadro, di possedere un'esperienza "alta" su tutti i prodotti finanziari indicati nel modulo (titoli di Stato, pronti contro termine, altre obbligazioni, titoli azionari, prodotti derivati, titoli esteri obbligazionari, titoli esteri azionari, fondi comuni) perchè, pur prescindendo da ogni apprezzamento in concreto di tale dichiarazione, la asserita conoscenza non comporta di per sè l'inserimento del dichiarante tra gli investitori qualificati di cui all'art. 31, comma 2, Reg. n. 11522/98 con esonero dell'intermediario dagli obblighi anzidetti”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.


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