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Il nuovo reato di autoriciclaggio: requisiti

Il nuovo reato di autoriciclaggio: requisiti
Non è configurabile l’autoriciclaggio se il profitto dell’attività illecita viene depositato in una carta prepagata.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33074 del 28 luglio 2016, si è occupata di un interessante caso di “autoriciclaggio”, reato previsto e disciplinato dall’art. 648 ter del c.p., introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale del Riesame aveva respinto l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari che aveva applicato, nei confronti di due imputati, le misure cautelari della custodia in carcere e l’obbligo di presentazione in ordine ai reati di furto ed utilizzo abusivo di carta bancomat, mentre aveva rigettato la richiesta in relazione al delitto di autoriclaggio, di cui all’art. 648 ter del c.p.”.

Il Procuratore della Repubblica decideva, quindi, di proporre ricorso in Cassazione, chiedendo l’annullamento del provvedimento “per errata qualificazione dei fatti costituenti, invece, il delitto di autoriciclaggio, perché tipica attività economica o finanziaria, senza che rilevasse l’entità della somma impiegata ovvero l’assenza del fine di lucro”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, oltre a ritenere infondato il ricorso, non riteneva sussistente il reato di cui all’art. 648 ter del c.p. per ben due motivi.

Quanto al primo motivo, la Cassazione evidenziava che “non costituisce né attività economica né attività finanziaria il mero deposito di una somma su una carta prepagata poiché (…) è economica soltanto quella attività finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi ed in essa non rientra certamente la condotta contestata”.

Allo stesso moto, il suddetto deposito non può nemmeno essere considerato attività “finanziaria”, con ciò intendendosi “ogni attività rientrante nell’ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo”.

Quanto al secondo motivo, la Corte precisava che “la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano però la caratteristica specifica di essere idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Dunque, secondo la Cassazione, con l’introduzione dell’art. 648 ter del c.p., il legislatore ha richiesto che la condotta fosse dotata “di particolare capacità dissimulatoria”, dovendo la medesima essere “idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto”.

Nel caso di specie, invece, secondo la Corte, tale ipotesi non era ravvisabile, dal momento che gli imputati si erano limitati a versare “una somma in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito”.

Specificava la Corte, in proposito, che la norma in esame limita la rilevanza penale alle condotte che comportino una “re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio (…) che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito, (e perciò punibile)”.

Poiché, dunque, nel caso in esame, l’effetto dissimulatorio e di nascondimento non appariva ravvisabile nella condotta contestata agli imputati, l’impugnazione doveva ritenersi infondata.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica.


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