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Nipoti risarciti per la morte della nonna in un incidente stradale

Nipoti risarciti per la morte della nonna in un incidente stradale
La Cassazione riconosce ai nipoti il diritto ad essere risarciti per la perdita dei nonni a seguito di un sinistro stradale anche se non conviventi con loro.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21230 del 20 ottobre 2016, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni.

Nel caso esaminato, tre nipoti avevano agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso della nonna a causa di un sinistro stradale.

Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, rigettava la domanda e la sentenza veniva confermata anche in secondo grado dalla Corte d’appello; pertanto i tre nipoti decidevano di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Secondo i ricorrenti, infatti, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazioni agli artt. 2043 e 2059 cod. civ., in materia risarcitoria poichè aveva escluso il risarcimento da fatto illecito “a soggetti estranei al ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora)”, essendo, a tal fine, necessarioche sussista una situazione di convivenza”.

Al contrario, evidenziavano i ricorrenti come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15019 del 15 luglio 2005, avesse stabilito che “la morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, quali la perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale".

In tale pronuncia, inoltre, la Cassazione aveva precisato che “il legame familiare - tutelato a livello costituzionale - non possa legarsi necessariamente alla convivenza, quasi che in assenza di questa se ne possa negare il valore", e che "anzi, proprio la sussistenza di frequentazione e di normali rapporti, anche in assenza di coabitazione, lascia intendere come sia rimasto intatto, e come si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra i prossimi congiunti".

La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dai ricorrenti, accogliendo il relativo ricorso.

Secondo la Corte, infatti, pur essendo vero che “occorre conciliare il diritto del superstite alla tutela del rapporto parentale con l'esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari", non si può ritenere che “il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa (…) essere elemento idoneo "a bilanciare" le evidenziate contrapposte esigenze e che, quindi, nell'ambito del danno non patrimoniale per la morte di un congiunto, il rapporto nonni-nipoti debba essere ancorato alla convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, con esclusione nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.

In particolare, secondo la Cassazione, “la "società naturale" della famiglia cui fa riferimento l'art. 29 Cost.non poteva essere ridotta “all'ambito ristretto della sola cd. "famiglia nucleare", incentrata su coniuge, genitori e figli”, dal momento che “il nostro ordinamento non solo include i discendenti in linea retta tra i parenti (art. 75 del c.c.) e riconosce tra nonni e nipoti uno stretto vincolo di parentela (v. art. 76 del c.c. c.c., quanto al computo dei gradi) ma prevede nei confronti dei discendenti e viceversa una serie di diritti, doveri e facoltà (…), salvo a richiamare (…) l'art. 317 bis del c.c., secondo cui gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, con la possibilità per i predetti di ricorrere al giudice nel caso in cui l'esercizio di tale diritto sia impedito - da cui risulta l'innegabile rilevanza anche giuridica, oltre che affettiva e morale, di tale rapporto”.

Peraltro, secondo la Corte, non poteva nemmeno ritenersi che “solo in caso di convivenza il rapporto assuma rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno".

Evidenziava la Corte, infatti, come sussistano delle “convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinate da necessità economiche, egoismi o altro e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura ma che non implicano, di per sè, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà”.

In ogni caso, secondo la Corte, anche se “la convivenza non può assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola, la stessa costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dai nipoti, rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.


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