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Limiti di utilizzabilità della denuncia anonima

Limiti di utilizzabilità della denuncia anonima
Le indagini della polizia giudiziaria possono essere avviate anche sulla base di una denuncia anonima ma perquisizioni e sequestri devo fondarsi unicamente su indizi concreti di reità.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 34450 del 4 agosto 2016, si è pronunciata in merito ad un interessante caso di sequestro di un cellulare, collegato ad alcune figure di reato a carattere diffamatorio nei confronti del Presidente della Repubblica.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, l'imputato aveva proposto ricorso avverso l'ordinanza con cui era stato rigettato l'appello proposto contro il provvedimento del Tribunale che aveva disposto la perquisizione e il sequestro di un cellulare, di una chiavetta USB e di due hard disk.

In particolare, la perquisizione e il sequestro erano stati disposti in relazione al reato ex art. 278 del c.p. (offesa all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica), art. 291 del c.p. (vilipendio alla nazione italiana) e art. 314 del c.p. (peculato).

Secondo il Tribunale, infatti, tali provvedimenti potevano dirsi giustificati, in presenza di una denuncia anonima presentata contro l'imputato, dal momento che tale denuncia rappresenta una "fonte volta a stimolare l’attività di indagine d’iniziativa della polizia giudiziaria. Ne discende che, entro tali limiti, una volta acquisita la notizia di reato, all’esito delle indagine svolta dagli inquirenti, perquisizione e sequestro sono utilizzati quali mezzi di accertamento della prova e non della notizia di reato".

Secondo il ricorrente, invece, il giudice del riesame avrebbe "erroneamente ritenuto legittimo il decreto di perquisizione e sequestro a fondamento dei quale è stata posta una denuncia anonima, della quale non può essere fatto alcun uso tranne che le notizie costituiscano “corpo del reato” ex art. 240 del c.p.p.".

Di conseguenza, secondo il ricorrente, "non avrebbe potuto essere operato alcun sequestro e quanto oggetto dello stesso avrebbe dovuto essere restituito".

Giunti dinanzi alla Corte di Cassazione, i giudici osservavano come "il tema posto dalla vicenda processuale implica l’approfondimento dei limiti di utilizzabilità di un 'anonimo'", dal momento che le indagini avevano "avuto impulso da un anonimo" ed erano state sviluppate "sull’analisi di “numerosi post a contenuto diffamatorio, anche nei confronti del Presidente della, Repubblica”, pubblicati mediante l’account “A M.”, attuale indagato".

In sostanza, l'imputato era stato indagato in quanto aveva pubblicato su Facebook una serie di post a contenuto diffamatorio nei confronti del Presidente della Repubblica, con la conseguenza che era stato disposto il sequestro del proprio cellulare.

In proposito la Corte precisava che "una “denuncia anonima” non può essere posta a fondamento di atti “tipici di indagine” e, quindi, non e possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità".

Tuttavia, osservava la Cassazione, "gli elementi contenuti nelle “denunce anonime” possono stimolare l’attività di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis"

Ebbene, secondo la Corte, anche nel caso di specie, la denuncia anonima era stata utilizzata "come mero atto di impulso investigativo per verificare l’esistenza di una notitia criminis e poi, altrettanto legittimamente, in base a quanto emerso dalla doverosa investigazione, si è proceduto a perquisizione e sequestro".

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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