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Licenziato il dipendente che rubava

Lavoro - -
Licenziato il dipendente che rubava
E' stato considerato legittimo il licenziamento del lavoratore che sottraeva ripetutamente nel tempo beni aziendali.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17914 del 12 settembre 2016, si è occupata di un interessante caso in materia di diritto del lavoro e di “licenziamento per giusta causa” (art. 2119 del c.c.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un lavoratore dipendente aveva impugnato il licenziamento disciplinare che gli era stato intimato dalla società datrice di lavoro, “contestando la sussistenza dell'addebito e deducendo, comunque, la mancanza di proporzionalità tra i fatti contestati - consistenti nella sottrazione indebita, quale addetto alla portineria dell'Hotel St. Regis Grand in Roma, di copie di quotidiani destinati alla clientela - e la sanzione”.

Il lavoratore, infatti, evidenziava di “non avere sottratto i quotidiani ma di aver consegnato all'edicola sita nei pressi dell'hotel, prima dell'inizio del turno della mattina, alcune copie del quotidiano "Il Corriere della Sera" per scambiarle, seppure in un momento diverso, con altrettante copie di altre testate giornalistiche, onde garantire maggiore varietà del servizio alberghiero”.

Il Tribunale, pronunciandosi in primo grado, aveva respinto il ricorso e la decisione veniva confermata in sede di appello, in quanto la Corte rilevava come il lavoratore non avesse “contestato di avere consegnato presso l'edicola le copie dei quotidiani di proprietà dell'albergo, rientrando poi in hotel senza alcun giornale, sicchè i fatti materiali (relativi alle date dell'1, 5, 9 luglio 2005, 26 agosto 2005, 23 settembre 2005) erano pacifici nonchè documentati dalla registrazione delle videocamere e, per un episodio (in data 23 settembre 2005), constatati dalla polizia”.

Ritenendo la sentenza ingiusta, il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando che “lo scambio di quotidiani di diverse testate è in uso presso molti alberghi, nella utilità esclusiva del datore di lavoro e che la prassi era stata confermata da tutti i testi - anche nel processo penale - e contestata soltanto dal direttore e vice direttore generale, che non avevano conoscenza diretta dei fatti”.

Secondo il ricorrente, inoltre, doveva ritenersi violato l’art. 2119 del c.c. e l’art. 7 della legge n. 300 del 1970, in quanto i fatti contestati non erano idonei a integrare gli estremi della “giusta causa di licenziamento, in ragione del lungo periodo di servizio e della finalizzazione della condotta ad un interesse esclusivo del datore di lavoro”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, evidenziando come, ai sensi dell’art. 2119 del c.c., “il giudizio di diritto circa la integrazione della giusta causa di licenziamento, quale concretizzazione della norma elastica, va ancorato ai fatti accertati in sentenza”.

Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva accertato che “non esisteva alcuna prassi di cambio in edicola dei quotidiani acquistati dell'albergo” e che “il dipendente, volutamente, ripetutamente ed in assenza di qualsiasi autorizzazione, in violazione delle proprie competenze e delle procedure stabilite dal datore di lavoro aveva sottratto i giornali quotidiani di proprietà della azienda”.

Di conseguenza, la Corte aveva, del tutto correttamente, ritenuta integrata la fattispecie della “giusta causa di licenziamento”, di cui all’art. 2119 del c.c., in quanto “al riguardo è decisivo il rilievo del carattere altamente fiduciario del rapporto tra la società di servizi alberghieri e gli addetti alla portineria, delegati dal datore di lavoro all'accoglienza della clientela ed al soddisfacimento delle sue prime esigenze”.

Evidenzia la Cassazione, in particolare, come “la sottrazione di beni aziendali, ripetuta nel tempo, mina in radice l'affidamento del datore di lavoro, in quanto oltre a rilevare sul piano degli obblighi fondamentali del rapporto si riflette negativamente, per quanto si è detto, sull'immagine del datore di lavoro, appartenente ad un gruppo societario che gestisce alberghi di lusso”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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