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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Lavoro - -
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
La Cassazione precisa che tale licenziamento è considerato legittimo se dovuto ad un effettivo mutamento nell'organizzazione tecnico-produttiva dell'azienda.
La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15082 del 21 luglio 2016, si è occupata di un interessante caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 3, legge n. 604 del 1966), fornendo alcune interessanti precisazioni sulla legittimità del medesimo.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, intimato ad una lavoratrice con lettera raccomandata.

Il giudice di secondo grado, dunque, aveva disposto, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, la reintegrazione (vale a dire, la riassunzione) della lavoratrice medesima o, in mancanza, il pagamento di un indennizzo pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La società datrice di lavoro, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso in Cassazione.

In particolare, secondo la società, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avrebbero errato nel non ritenere sussistente un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in quanto “a monte del recesso, vi era stata un’effettiva necessità di contenimento dei costi del personale dovuta all’accertato decremento del numero di associati alla società consortile” ricorrente.

La Cassazione, riteneva, in effetti, fondato il ricorso.

Ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, infatti, secondo la Corte, “ciò che conta è che vi sia un genuino ed effettivo mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva (non contingente e transeunte, ma destinato a protrarsi stabilmente nel tempo) all’esito del quale risulti in esubero una data posizione lavorativa”.

La Corte di Cassazione, infatti, già con la sentenza n. 21121 del 4 novembre 2004, aveva precisato che “nel concetto di giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva rientra la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, senza che sia necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere anche solo diversamente ripartite”.

In linea di massima, secondo la Cassazione, “la soppressione d’una data posizione lavorativa può conseguire:

a) o ad una diversa organizzazione tecnico-produttiva che abbia reso determinate mansioni obsolete o comunque non più necessarie o, ad ogni modo, da abbandonarsi in virtù di pura e semplice insindacabile scelta aziendale;

b) oppure all’esternalizzazione di determinate mansioni (che, pur reputate ancora necessarie, vengano però lasciate a personale di imprese esterne);

c) o alla soppressione d’un intero reparto o alla riduzione del numero dei suoi addetti, rivelatosi sovrabbondante per l’impegno richiesto;

d) o – ancora – ad una diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in servizio attuata a fini di più economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che, invece di essere assegnate ad un solo dipendente, esse possono suddividersi fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate: il risultato finale può legittimamente far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente
”.

In tutti i casi, comunque, il fine dell’azienda deve essere sempre quello di migliorare la produttività, vale a dire il rapporto tra “la quantità di prodotto (o di servizi) ottenuta in un certo periodo di tempo e quella dei fattori impiegati nello specifico processo produttivo e in quel medesimo arco temporale”.

Quello che è vietato, invece, precisava la Corte, è “il perseguire il profitto soltanto mediante un abbattimento del costo del lavoro realizzato con il puro e semplice licenziamento d’un dipendente che, a sua volta, non sia dovuto ad un effettivo mutamento dell’organizzazione tecnico-produttiva, ma esclusivamente al bisogno di sostituirlo con un altro da retribuire di meno, malgrado l’identità (o la sostanziale equivalenza) delle mansioni”.

Così, ad esempio, “il licenziamento d’un lavoratore anziano, che abbia un elevato livello di inquadramento contrattuale e che abbia maturato tutti gli scatti di anzianità non è giustificabile ove la sua posizione lavorativa permanga immutata in azienda e sia semplicemente attribuita ad un nuovo assunto, magari più giovane e/o più disponibile ad accettare peggiori condizioni retributive e di inquadramento contrattuale”.

In quest’ultimo caso, infatti, “la ricerca d’un incremento di produttività in termini di contrazione del costo del lavoro non si accompagna ad un mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva, solo in presenza del quale ricorre il giustificato motivo oggettivo così come descritto dall’art. 3 legge n. 604/66 (che lo individua in “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”)”.

Nel caso di specie, osservava la Cassazione, la lavoratrice “era adibita, nel nucleo amministrativo-contabile della società, a mansioni di carico e scarico fiscale della merce e registrazione delle fatture relative alle imprese di pesca conferenti, mansioni poi ripartite fra altre due dipendenti”.

Di conseguenza, doveva concludersi che la sentenza impugnata avesse erroneamente “ritenuto che non costituisca giustificato motivo oggettivo la ripartizione delle mansioni del lavoratore licenziato fra altri dipendenti già in servizio” e che la situazione di insostenibilità dei costi del personale, dovuta al decremento del numero di associati alla società ricorrente, non giustificasse il licenziamento e che non fosse provata la possibilità di rimediare in altro modo.

Alla luce di tali circostanze, la Cassazione accoglieva il ricorso, annullando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Corte d’Appello, affinchè la medesima decidesse in base al principio di diritto secondo cui il giustificato motivo oggettivo di licenziamentopuò consistere anche soltanto in una diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in servizio attuata a fini di una più economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che, invece di essere assegnate ad un solo dipendente, esse possono suddividersi fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate”.


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