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Il lavoratore ha diritto di consultare la documentazione aziendale relativa ai fatti contestatigli solo se ciņ č indispensabile al fine dell'esercizio del suo diritto di difesa

Lavoro - -
Il lavoratore ha diritto di consultare la documentazione aziendale relativa ai fatti contestatigli solo se ciņ č indispensabile al fine dell'esercizio del suo diritto di difesa
Secondo la Cassazione, la pretesa del lavoratore di consultare i documenti aziendali relativi ai fatti contestati e posti alla base del licenziamento si fonda sui principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto.
In caso di procedimento disciplinare, l’azienda è obbligata a garantire al lavoratore la consultazione dei documenti relativi ai fatti contestati?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15966 del 27 giugno 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Genova aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento disciplinare per giusta causa (art. 2119 c.c.) intimato ad un lavoratore dipendente.

Il dipendente in questione, in particolare, svolgeva le mansioni di “piazzista” ed era stato licenziato in quanto accusato di essersi appropriato di merce aziendale, “mediante falsa indicazione dei ‘resi’”.

Secondo il Tribunale e la Corte d’appello, il licenziamento doveva considerarsi legittimo, essendo stato accertato che i “i resi consegnati al magazziniere e riportati in fattura non corrispondevano per difetto ai dati relativi ai resi contenuti nel palmare”.

Di conseguenza, secondo i giudici dei primi due gradi di giudizio, era plausibile ritenere che il maggior reso rispetto a quanto effettivamente riconsegnato fosse stato oggetto di appropriazione da parte del lavoratore.

Il licenziamento doveva, dunque, considerarsi legittimo, avendo il lavoratore posto in essere una condotta di gravità tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia che deve sussistere tra dipendente e datore di lavoro.

Ritenendo la decisione ingiusta, il lavoratore aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, anche a voler ritenere che la differenza tra i resi risultanti dal palmare e quelli indicati nelle fatture fosse costituita da merci realmente mancanti, non poteva dirsi provato che la merce mancante fosse stata sottratta dal lavoratore.

Osservava il ricorrente, dunque, che la società datrice di lavoro non aveva provato che il lavoratore avesse sottratto merce aziendale mediante la redazione di documentazione falsa e che restava la possibilità per il lavoratore di dimostrare il “carattere ritorsivo del licenziamento in relazione alle rivendicazioni economiche dallo stesso avanzate”.

Evidenziava, inoltre, il ricorrente che, “nonostante le reiterate e formali richieste” di poter visionare la documentazione aziendale riguardante la condotta addebitata, egli aveva dovuto subire un procedimento disciplinare “al buio”, senza alcuna possibilità di difendersi.

Evidenziava il ricorrente, infatti, che, poiché l’addebito si fondava sull’esame e sul confronto di documenti aziendali, stampe dei resi, palmare e fatture, il rifiuto di far visionare la documentazione gli aveva di fatto impedito ogni possibilità difesa.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano adeguatamente e coerentemente motivato la propria decisione di rigettare l’impugnativa del licenziamento.

Quanto, poi, al rifiuto dell’azienda di far visionare la documentazione relativa ai fatti contestati, la Cassazione osservava che l’art. 7 della legge n. 300 del 1970 non prevede, nell'ambito del procedimento disciplinare, l'obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all'esito del procedimento suddetto, l'ordine di esibizione della documentazione stessa”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la pretesa del lavoratore di consultare i documenti aziendali relativi all’addebito non si fondava su una specifica disposizione di legge, bensì sui “principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto”.

Tale pretesa, peraltro, secondo la Cassazione, può essere ritenuta fondata “soltanto laddove l'esame dei documenti sia necessaria al fine di permettere alla controparte un'adeguata difesa”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione evidenziava come la Corte d’appello avesse già precisato che la contestazione disciplinare descriveva in modo dettagliato le condotte addebitate al lavoratore, facendo riferimento ad un allegato “contenente il prospetto analitico degli ammanchi riscontrati sino a quel momento”.

Pertanto, secondo la Cassazione, non poteva ritenersi realizzata alcuna lesione del diritto di difesa del lavoratore.

Ciò considerato, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dal lavoratore, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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