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Interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico: le precisazioni della Corte di Cassazione

Interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico: le precisazioni della Corte di Cassazione
In caso di intervento edilizio eseguito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, la demolizione e la ricostruzione di un edificio sono consentiti a condizione che venga rispettata la sagoma del preesistente edificio.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32899 del 6 luglio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia urbanistica.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trento aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale era stato condannato un imputato per i reati di cui agli artt. 44, lettera c) e 72 del D.P.R. n. 380 del 2001 (“lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio” e “omessa denuncia dei lavori”).

Nello specifico, l’imputato era stato condannato in quanto egli, in assenza di concessione edilizia, aveva proceduto a demolire completamente un edificio esistente su un area soggetta a vincolo paesaggistico ambientale, “ricostruendolo con nuove fondazioni e sottostante intercapedine aerata, con realizzazione di opere in cemento armato in difetto di denuncia presso il competente ufficio”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il condannato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’edificio ricostruito fosse del tutto diverso a quello preesistente, dal momento che, invece, dalla documentazione prodotta in corso di causa, era emerso che vi era stata una “minima variazione del sedime, pienamente compatibile con una ristrutturazione edilizia”.

Evidenziava il ricorrente, inoltre, che la Corte d’appello non aveva tenuto conto del fatto che “sia la normativa nazionale che quella provinciale configurano come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con il medesimo ingombro plano volumetrico preesistente”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto “manifestamente infondato”.

Osservava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva “adeguatamente e logicamente argomentato” la propria decisione, ritenendo, sulla base delle indagini effettuate, che vi era stata la “totale demolizione dell’edificio preesistente con ricostruzione di un nuovo edificio”.

Poiché, inoltre, l’intervento era stato eseguito in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, la Cassazione evidenziava che era consentita “la demolizione e ricostruzione a condizione che venisse rispettata anche la sagoma del preesistente edificio”.

Nel caso di specie, invece, non solo non era stato possibile accertare la consistenza e le caratteristiche dell’edificio preesistente, ma era risultato diverso anche il sedime occupato dal nuovo edificio.

Il ricorrente, infatti, non aveva fornito nessuna prova circa la preesistente consistenza dell’immobile e circa il rispetto della sagoma della precedente struttura, limitandosi egli ad affermare che “l’intervento era consistito nel rinnovo delle relative strutture murarie perimetrali con la metodica del c.d. ‘cuci e scuci’”.

Le affermazioni del ricorrente, tuttavia, erano state smentite dalla documentazione allegata agli atti di causa, in cui si dava atto che si era riscontrata “la totale demolizione dell’edificio preesistente con realizzazione di un nuovo edificio con realizzazione di nuove fondazioni continue e sottostante intercapedine areata”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente ritenuto che, per poter eseguire l’intervento oggetto di contestazione, occorreva il permesso di costruire.

Ciò considerato, la Cassazione rigettava il ricorso, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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