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Il giornalista non può scrivere per due testate concorrenti

Lavoro - -
Il giornalista non può scrivere per due testate concorrenti
Legittimo il licenziamento del giornalista che scriveva per due quotidiani concorrenti e distribuiti nella stessa zona.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8131 del 29 marzo 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di diritto del lavoro, affrontando la questione relativa al divieto di concorrenzadel lavoratore.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Campobasso aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare che era stato intimato da una Cooperativa di Giornalisti nei confronti di un soggetto, al quale era stato contestato di aver prestato “in violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà previsti dagli artt. 2104 e 2105 c.c. e in contrasto con gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, attività giornalistica per la testata “(omissis)”.

In sostanza, la società aveva licenziato il dipendente perché questi aveva svolto attività in concorrenza con quella della società stessa.

A seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento, dunque, il Tribunale aveva condannato la Cooperativa a riassumere il dipendente o, in alternativa, a pagargli una somma pari a 4 mensilità dell’ultima retribuzione.

La sentenza di primo grado, tuttavia, era stata completamente ribaltata dalla Corte d’appello, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore.

Il lavoratore, pertanto, aveva deciso di proporre ricorso per Cassazione, osservando come la Corte d’appello avesse sbagliato nel ritenere che il lavoratore avesse svolto la propria attività in favore di un’altra testata giornalistica in concorrenza con quella della Cooperativa, dal momento i due giornali in questione non venivano distribuiti nelle stesse aree geografiche.

Secondo il ricorrente, inoltre, non era stato arrecato nessun danno alla Cooperativa, che, infatti, per due anni non aveva sollevato alcuna contestazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter accogliere il ricorso presentato dal lavoratore, in quanto lo stesso appariva infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva correttamente “considerato valido il licenziamento” del ricorrente, per aver “prestato, senza autorizzazione della società, attività giornalistica per la testata (…), avendo egli assunto ‘incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell’azienda di appartenenza’ (…) per conto di tale testata, considerata concorrente con il quotidiano molisano (…)”.


Osservava la Cassazione, infatti, che, l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 cod. civ., è rappresentato “dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nello svolgimento del rapporto contrattuale” e “deve intendersi come divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi o come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto”.

In altri termini, il lavoratore deve comportarsi in maniera corretta nei confronti della propria datrice di lavoro, senza porre in essere delle condotte che possano andar contro agli interessi della stessa o che possano rovinare il rapporto di fiducia che sussiste tra datore di lavoro e lavoratore.

Nel caso in esame, secondo la Cassazione, il lavoratore aveva proprio violato l’obbligo di fedeltà di cui al sopra citato art. 2105 c.c., prestando la propria opera in favore di una società concorrente con la datrice di lavoro e violando palesemente gli art. 2105, 1175 e 1375 c.c.

A sostegno della propria decisione, la Corte osservava, inoltre, che nel corso del giudizio fosse stata accertato anche che i due giornali erano diffusi in aree geografiche vicine e che il bacino d’utenza era sostanzialmente lo stesso, “considerato altresì che gli articoli dell’odierno ricorrente riguardavano gli stessi eventi sportivi locali oggetto di interesse da parte di entrambi i quotidiani”.

Sulla base di tutte queste considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal giornalista, condannando lo stesso al pagamento delle spese processuali.


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