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Figli di papà: è finita la pacchia

Famiglia - -
Figli di papà: è finita la pacchia
Non è tutelabile la “colpevole inerzia” del figlio maggiorenne nel ricercare un’occupazione adeguata al percorso di studi già terminato

E’ del 22 giugno 2016, una recente sentenza della Corte di Cassazione che interesserà tutti i figli maggiorenni che vivono ancora in casa di mamma e papà, aspettando di trovare il lavoro dei sogni (Corte di Cassazione, sent. n. 22546 del 22 giugno 2016).

Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale di Bari aveva revocato l’assegno mensile di euro 929,62, che, in sede di divorzio, era stato posto a carico del padre, in favore dei due figli maggiorenni.

La decisione veniva ribaltata in grado d’appello, in quanto la Corte non riteneva provata la raggiunta indipendenza economica da parte dei figli.

Va ricordato, infatti, che, in base a quanto previsto dagli artt. 147 e 148 codice civile, i genitori hanno l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli, non solo fino a quando gli stessi raggiungano la maggiore età, ma fino a quando i medesimi abbiano raggiunto l’indipendenza economica, divenendo economicamente autosufficienti.

Il padre, ritenendo la decisione di secondo grado ingiusta, proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, il quale trovava accoglimento.

In particolare, il ricorrente osservava come l’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti del figlio maggiorenne permane fino a quando “il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica (da intendersi quale reperimento di uno stabile lavoro che gli consenta un tenore di vita adeguato e dignitoso), ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per essere autosufficiente”.

Nel caso di specie, invece, secondo il ricorrente, la figlia, trentenne, aveva conseguito la laurea in medicina e l’abilitazione professionale e aveva, successivamente, svolto una serie di corsi di perfezionamento, maturando esperienze lavorative presso degli studi dentistici.

Pertanto, secondo il padre, la stessa doveva ritenersi “in grado di reperire un lavoro qualificato confacente al titolo di studio e alle specializzazioni conseguite o intraprese”.

Per quanto riguarda l’altro figlio, invece, egli, parimenti trentenne, aveva, prima, cambiato corso di laurea e, poi, si era iscritto ad un corso di formazione professionale in osteopatia, con la conseguenza che egli non aveva ancora trovato un lavoro solo a causa della sua “colpevole inerzia”.

La Corte di Cassazione ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dal padre, ricordando come “il genitore che agisca nei confronti dell’altro per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore dei figli maggiorenni, deve allegare il fatto costitutivo della mancanza di indipendenza economica”.

Con “analoghe modalità”, inoltre, secondo la Corte, “può essere accertato il venir meno del diritto al mantenimento, qualora il figlio, abusando di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia e di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica”.

Pertanto, “la situazione soggettiva del figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo e negli studi, comporti il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, o di uno di essi, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali delle persone, anche tenuto conto dei doveri gravanti sui figli adulti”.

Nel caso di specie, dunque, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente valutato quanto dedotto dal ricorrente, il quale aveva ampiamente dimostrato la “colpevole inerzia dei figli nel ricercare una stabile attività lavorativa coerente con il percorso degli studi svolto (…) il relazione al dato obiettivo dell’età dei figli medesimi (entrambi ormai ultratrentenni)”.

Pertanto, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal padre, annullando la sentenza di secondo grado che aveva confermato il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni del ricorrente, rinviando la causa alla Corte d’Appello, affinché la stessa decidesse nuovamente sulla questione, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati.


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