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Detenzione di animali pericolosi: c'่ se tengo dei canguri sulla mia isola privata?

Detenzione di animali pericolosi: c'่ se tengo dei canguri sulla mia isola privata?
La Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato di "detenzione di animali selvatici pericolosi", è irrilevante che gli animali si trovino liberi e non in cattività, essendo sufficiente che l'imputato abbia la disponibilità giuridica e materiale degli animali stessi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45748 del 5 ottobre 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni circa il reato di “detenzione di animali selvatici pericolosi”, di cui all’art. 6 della legge n. 150 del 1992.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, Il Tribunale di Como aveva condannato un soggetto per la detenzione di animali selvatici pericolosi (art. 6 legge n. 150/1992), in quanto questi aveva detenuto sette esemplari di canguri “wallaby”.

Il condannato, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto perfezionata la fattispecie della “[def ref=detenzione (diritto civile)detenzione[/def]”, in quanto gli animali in questione vivevano su un’isola di proprietà dell’imputato ma si trovavano “in condizione di totale libertà”, con la conseguenza che non poteva parlarsi, appunto, di “detenzione”.

Evidenziava il ricorrente, infatti, che “i canguri, assolutamente liberi e privi di restrizioni e riprodottisi altrettanto liberamente, sono divenuti ormai parte dell'ecosistema nazionale e dunque non detenuti da alcuno”.

Secondo il ricorrente, inoltre, non poteva nemmeno affermarsi che gli animali in questione si trovassero in “cattività”, come richiesto ai fini della configurabilità del reato, dal momento che l’isola in questione era divenuta “l'habitat naturale” dei canguri, nel quale gli stessi vivevano, si nutrivano e si riproducevano.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza impugnata aveva, del tutto correttamente, precisato che “il concetto di detenzione deve identificarsi anche solo nella generica disponibilità della cosa”, con la conseguenza ch, nel caso di specie, la “detenzione” doveva dirsi sussistente, “risultando dai dati fattuali illustrati ed incontestati anche in ricorso, che l'imputato, legittimo proprietario degli animali, ha da sempre esercitato, abitando sull'isola di sua proprietà ove gli animali, per sua decisione, sono stati collocati, la disponibilità giuridica e di fatto degli stessi”.

Osservava la Cassazione, inoltre, che, ai fini della configurabilità del reato oggetto di contestazione, è del tutto irrilevantela sussistenza o meno, nella specie, della condizione di cattività (chiaramente richiesta dall'art. 6 cit. solo in via alternativa rispetto a quella di "selvaticità")”, essendo essenziale solo “la natura selvatica” degli animali detenuti, i quali possono anche non trovarsi in condizione di “cattività”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal detentore degli animali, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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