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Crediti di natura previdenziale e contributiva: dopo 5 anni non sono pił dovuti

Crediti di natura previdenziale e contributiva: dopo 5 anni non sono pił dovuti
Il Tribunale di Trento, con sentenza dell’8 marzo 2016, n. 39, ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui i crediti di natura previdenziale e contributiva si prescrivono nel termine breve di cinque anni e non in quello ordinario decennale, con la conseguenza che, dopo questo termine, nessuna pretesa può essere fatta valere dagli enti.

Nel caso di specie, I.N.P.S. e I.N.A.I.L. avevano proceduto, nel periodo relativo agli anni 2000-2003 a notificare ad un contribuente 8 cartelle esattoriali.

Tuttavia, solo nel 2012, Equitalia aveva notificato la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria su una quota di un immobile di proprietà, comprensivo dell’avvertimento per cui, in caso di mancato pagamento, si sarebbe proceduto ad iscrivere ipoteca per un importo pari al doppio del debito.

Il contribuente proponeva ricorso in opposizione all’esecuzione, ex art. 615 del c.p.c., rilevando come il primo atto interruttivo della prescrizione era stato la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria da parte di Equitalia, intervenuta ben oltre il termine di prescrizione quinquennale dei crediti, previsto dall’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995.

Il Tribunale, ritenendo di dover aderire a quanto già in precedenza affermato dal Tribunale di Roma (in particolare, nella sentenza del 6 maggio 2015), decideva di accogliere l’eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente, dichiarando la fondatezza dell’opposizione all’esecuzione promossa e la conseguente estinzione per prescrizione di tutti i crediti portati dalle 8 cartelle esattoriali.

Tale conclusione (nella motivazione del giudice), trova fondamento nella circostanza per cui la cartella esattoriale notificata e non opposta, essendo di formazione unilaterale da parte dell’ente previdenziale, non può essere assimilata ad un titolo giudiziale (quale, ad esempio, una sentenza passata in giudicato), con la conseguenza che alla stessa non può applicarsi l’art. 2953 del c.c., in base al quale “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
La mera non opposizione della cartella di pagamento, non può determinare”, infatti, “una modificazione del regime prescrizionale quinquennale dei crediti previdenziali”, dal momento che “solo l’accertamento giudiziale può determinare l’allungamento del periodo prescrizionale di un credito (in ipotesi più breve), e ciò, per effetto dell’intervento del sindacato del giudice che ha verificato la fondatezza della pretesa azionata”.

Il Tribunale, peraltro, si sofferma anche ad analizzare quella che è la ratio sottesa alla disposizione di cui all’art. 2953 del c.c., evidenziando come tale norma debba essere interpretata “attraverso l’analisi delle ragioni che inducono il legislatore ad abbreviare i termini di prescrizione di alcuni diritti”, il che “solitamente avviene o per la necessità di assicurare stabilità e certezza alle situazioni di fatto che, prolungandosi nel tempo, richiedono una rapida definizione; ovvero per l’esigenza di tutelare l’interesse del debitore, quando vi è un elevato rischio di deperibilità o alterabilità della prova”.
Pertanto, prosegue il giudice, “nel momento in cui il rapporto obbligatorio dedotto in causa viene definito con una sentenza di condanna irrevocabile, esso si consolida e, poiché non può più essere fatto oggetto di discussione, acquisisce certezza e stabilità nuove, in forza delle quali vengono meno quelle esigenze che avevano originariamente giustificato la previsione di termini prescrizionali brevi”.

Si osservi, peraltro, come - poiché sussiste un contrasto tra le diverse sentenze che si sono occupate dell’argomento relativo al termine prescrizionale da applicare a casi simili a quello esaminato - la Corte di Cassazione, ritenendo che la questione, fosse “di particolare importanza” (in quanto sono molte le controversie in corso davanti ai Tribunali per questo motivo), con ordinanza n. 1799/2016, ha sottoposto la questione al Primo Presidente del Corte, in modo che il medesimo possa valutare se far decidere sulla stessa le Sezioni Unite, le cui sentenze sono ritenute molto autorevoli e vengono seguite anche dagli altri giudici che, successivamente, si trovano a dover decidere casi simili.


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