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Il Comune può ordinare la demolizione di un’opera abusiva anche a distanza di molti anni?

Il Comune può ordinare la demolizione di un’opera abusiva anche a distanza di molti anni?
L’ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, non è assoggettata ad alcun termine decadenziale e, quindi, è adottabile anche a notevole intervallo temporale dall’abuso edilizio.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 04243 del 6 settembre 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di abusi edilizi e termini per l’emissione dell’ordinanza di demolizione (art. 31, D.P.R. n. 380 del 2001).

Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, un soggetto, nel 1966, aveva realizzato una veranda sul proprio terrazzo e aveva provveduto anche ad accatastarla.

Alla morte di tale soggetto, gli eredi avevano proceduto alla divisione dell’asse ereditario e l’appartamento del defunto era stato assegnato alla figlia.

Successivamente, su segnalazione dei vicini di casa, era intervenuta la Polizia Municipale, la quale aveva accertato al sussistenza di un abuso edilizio, in quanto la veranda risultava essere stata coperta con dei vetri.

La figlia, attuale proprietaria dell’appartamento, aveva rilasciato ai Vigili una dichiarazione, nella quale spiegava che il suddetto abuso edilizio risaliva ancora al 1966 ed era stato realizzato dal padre, all’epoca ancora in vita.

Il Comune, tuttavia, aveva ordinato alla proprietaria dell’appartamento in questione di rimuovere le opere abusivamente realizzate.

La donna, dunque, decideva di impugnare davanti al TAR tale provvedimento, evidenziando come il Comune avesse erroneamente ritenuto che fosse lei la responsabile dell’abuso, senza tener presente che la veranda era stata realizzata dal defunto padre.

Secondo la ricorrente, inoltre, il diritto del Comune di ordinare la demolizione si sarebbe prescritto, essendo trascorsi ben 44 anni dalla costruzione del manufatto.

La ricorrente rilevava, infine, che la demolizione dell’opera avrebbe comportato un grave ed irreparabile pregiudizio per il figlio, che abitava l’appartamento in questione assieme alla propria famiglia, in quanto tale demolizione avrebbe sconvolto “in maniera irreversibile, l’assetto attuale della casa” ed avrebbe inciso “pesantemente sulle abitudini di vita dell’intero nucleo famigliare”.

Il TAR, pronunciatosi in primo grado, riteneva che fosse del tutto irrilevante il tempo trascorso dalla costruzione del manufatto e i danni che ne sarebbero potuti derivare al figlio, precisando che “per costante giurisprudenza (…) l’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all’accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire”.

Di conseguenza, secondo il TAR, “l’ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, non è assoggettata ad alcun termine decadenziale e, quindi, è adottabile anche a notevole intervallo temporale dall’abuso edilizio, costituendo atto dovuto e vincolato alla ricognizione dei suoi presupposti”.

Ritenendo la decisione ingiusta, la proprietaria dell’appartamento in questione decideva di rivolgersi al Consiglio di Stato, nella speranza che questo riformasse la sentenza a lei sfavorevole.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, riteneva di dover confermare quanto evidenziato dal TAR in primo grado, ribadendo che l’attività sanzionatoria della Pubblica Amministrazione ha carattere vincolato e non discrezionale e che, pertanto, “l’ordine di demolizione di opere abusive non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione”.

Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato rigettava l’impugnazione proposta dalla proprietaria dell’appartamento, confermando integralmente la sentenza resa in primo grado dal TAR.


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