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Non commette resistenza a pubblico ufficiale il soggetto che si limita a scappare

Non commette resistenza a pubblico ufficiale il soggetto che si limita a scappare
Il delitto non è configurabile nel caso in cui l’agente ponga in essere una condotta di mera resistenza passiva, come nel caso egli si dia semplicemente alla fuga.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 17061 del 5 aprile 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di “resistenza a pubblico ufficiale” (art. 337 cod. pen.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Messina aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato un imputato per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 d.p.r. n. 309/1990) e per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.).

Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Con particolare riferimento al reato di cui all’art. 337 c.p., il ricorrente osservava come la condanna fosse stata ingiusta, dal momento che l’imputato si era limitato “a darsi alla fuga e dunque a tenere un comportamento meramente passivo”.

La Corte di Cassazione, riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputato, accogliendo il relativo ricorso.

Secondo la Cassazione, infatti, il reato di resistenza a pubblico ufficiale presuppone una condotta di “violenza” o di “minaccia” del soggetto che si oppone all’atto del pubblico ufficiale stesso.

Di conseguenza, per ritenere configurabile questo reato, è necessario che l’imputato impieghi la forza nei confronti del pubblico ufficiale, tenendo un comportamento “percepibile come minaccioso” e “volto a contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale”.

Pertanto, secondo la Cassazione, “il delitto non è configurabile nel caso in cui l’agente ponga in essere una condotta di mera resistenza passiva, come nel caso egli si dia semplicemente alla fuga, ovvero (ma si tratta di fattispecie che non viene in rilievo nel caso di specie) quando si limiti a divincolarsi come una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale”.

In tal senso, peraltro, si è espressa la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35448 del 08 luglio 2002, con la quale è stato precisato che “nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza o minaccia deve consistere in un comportamento idoneo ad opporsi all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, in grado di ostacolarne la realizzazione; sicché, in mancanza di elementi che rendano evidente la messa in pericolo per la pubblica incolumità e l’indiretta coartazione psicologica dei pubblici ufficiali, l’agente non deve rispondere di tale reato”.
Alla luce di tali considerazione, la Corte di Cassazione riteneva che il reato di “resistenza a pubblico ufficiale” non fosse sussistente, non essendo stato provato che l’imputato fosse fuggito agli agenti “tenendo una condotta di guida tale da porre deliberatamente in pericolo l’incolumità personale degli agenti inseguitori e della collettività e, dunque, da integrare la contestata resistenza”.

La Corte, pertanto, accoglieva il ricorso presentato dall’imputato, annullando la sentenza impugnata relativamente al reato di cui all’art. 337 c.p., “perché il fatto non sussiste”, eliminando la relativa pena che era stata comminata (due mesi di reclusione e 667 Euro di multa).


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