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Commette reato chi intona cori razzisti allo stadio

Commette reato chi intona cori razzisti allo stadio
La Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui era stato impedito ad un soggetto di accedere allo stadio in occasione delle partite di una determinata squadra, in quanto il medesimo aveva intonato cori razzisti, preceduti da una ripetuta esibizione di saluti romani.
Cosa rischia chi intona cori razzisti allo stadio? La condotta può assumere rilevanza penale?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31975 del 4 luglio 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Livorno aveva imposto ad un soggetto di presentarsi presso la Questura di Lucca in occasione di ogni incontro di una squadra di calcio, in quanto egli aveva intonato, nel corso di una partita della squadra stessa, un coro razzista, esclamando “livornese ebreo”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il soggetto in questione aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento del provvedimento sfavorevole.

Secondo il ricorrente, infatti, il provvedimento doveva considerarsi ingiusto e contrario a quanto previsto dall’art. 3 della legge n. 654 del 1975 (ratifica della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale), dal momento che il coro intonato non poteva essere considerato idoneo ad “incitare alla violenza ed alla discriminazione, nonché a propagandare idee fondate sulla superiorità di una razza”.

Evidenziava il ricorrente, inoltre, come, dal suddetto coro, non si potessero individuare i destinatari precisi della presunta propaganda razzista.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando la relativa impugnazione, in quanto infondata.

Osservava la Cassazione, in proposito, che l’art. 3 della legge n. 654 del 1975 prevede che venga punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a Euro 6.000, “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Inoltre, proseguiva la Corte, l’art. 2 del decreto legge n. 122 del 1993 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa), prevede che, in caso di denuncia o condanna di un soggetto per uno dei reati previsti dall’art. 3 della legge n. 654 del 1975, si applica l’art. 6 della legge 401 del 1989, il quale, a sua volta, prevede che il questore possa disporre “il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime”.

Ciò premesso, la Cassazione osservava, altresì, che commette il reato di “minaccia aggravato dalla circostanza della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso” chi “manifesti odio nei confronti del popolo ebraico ed esultanza per le persecuzioni di cui è stato vittima, considerato che la finalità di odio razziale e religioso – integrante l’aggravante in questione - sussiste non solo quando il reato sia rivolto ad un appartenente al popolo ebraico, in quanto tale, ma anche quando sia indirizzato a coloro che, per le più diverse ragioni, siano accomunati dall’agente alla essenza e ai destini del detto popolo”.

Ebbene, secondo la Cassazione, nel caso di specie, il provvedimento emesso nei confronti del ricorrente doveva considerarsi pienamente giustificato, tenuto conto del contesto in cui era avvenuto il coro razzista, che era seguito “ad una ripetuta esibizione di saluti romani”.

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione, rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, condannando il medesimo anche al pagamento delle spese processuali.


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