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Come si interpreta un contratto

Come si interpreta un contratto
La Cassazione interviene in tema di interpretazione e qualificazione del contratto stabilendo che l’effettiva volontà delle parti supera il dato testuale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14432 del 15 luglio 2016, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di interpretazione e qualificazione del contratto (art. 1362 codice civile).

Nel caso esaminato dalla Corte, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti di altri due soggetti al fine di vederli condannati all’immediato rilascio di un bene immobile ad uso abitativo da loro occupato. L’attore chiedeva, inoltre, la condanna dei medesimi al pagamento di un’indennità di occupazione.

I convenuti si costituivano in giudizio contestando la fondatezza della domanda e chiedendo, a loro volta, che fosse accertata e dichiarata la nullità della compravendita del suddetto immobile (che faceva parte del patrimonio di una società fallita), intervenuta mediante un atto di transazione con il Curatore che si occupava del fallimento stesso.

Il Tribunale, in primo grado, rigettava la domanda proposta dall’attore, osservando come l’immobile fosse caduto nell’attivo fallimentare e come l’atto di transazione/vendita dovesse considerarsi nullo, ai sensi dell’art. 108 legge fallimentare, per esser stata la vendita conclusa a seguito di semplice trattativa privata”.

Il fatto, poi, “che il trasferimento fosse avvenuto non con una compravendita, ma per effetto di accordo definito transattivo”, non era rilevante, in quanto, al di là del nome attribuito al contratto, si trattava pur sempre di un atto con cui era stata attuata la cessione del diritto di proprietà sull’immobile.

La Corte d’Appello, pronunciandosi in secondo grado, rigettava l’impugnazione proposta; veniva, pertanto, proposto ricorso in Cassazione.

Secondo i ricorrenti, infatti, la Corte d’Appello avrebbe dato erronea applicazione dell’art. 108 legge fallimentare, “in quanto il contratto con il quale avveniva il trasferimento dell’immobile controverso era non una vendita, bensì una transazione”.

In proposito, osservavano i ricorrenti, che anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25136 del 2008, “aveva affermato l’inapplicabilità dell’art. 108 anzidetto ove il trasferimento avvenga mediante una transazione autorizzata dal giudice delegato, avendo il negozio transattivo un oggetto più ampio della vendita, in quanto destinato, attraverso reciproche concessioni, alla definizione di una oggettiva situazione di litigiosità tra le parti”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dai ricorrenti.

Infatti, secondo la Corte, l’interpretazione e la qualificazione del contratto sono due operazioni distinte, sebbene connesse tra loro, in quanto “volte all’unico fine che è la determinazione dell’effettivo regolamento negoziale”.

In particolare, l’attività interpretativa, precede logicamente quella di qualificazione, essendo finalizzata “alla ricostruzione del significato del contratto in conformità alla comune volontà dei contraenti”.

Secondo la Corte, poi, una volta individuata l’intenzione comune delle parti del contratto, è necessario individuare la disciplina applicabile, riconducendo il contratto ad una delle fattispecie previste e disciplinate dal legislatore.

Osservava la Corte, peraltro, come il contratto possa anche non coincidere con una delle tipologie previste per legge, restando comunque un atto che assume il valore di “legge tra le parti”, purchè “sia diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, cod. civ.”

In altri termini, ciò significa che, nel nostro ordinamento, sono ammessi anche “contratti atipici” (non previsti e disciplinati dal legislatore), purchè realizzino un interesse che possa essere considerato meritevole di tutela giuridica.

Ciò premesso, la Corte precisava che “la qualificazione del contratto ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad esso applicabile, con le relative conseguenze effettuali” e tale attività può essere oggetto di verifica in sede di giudizio di Cassazione, “sia per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico cui si riferisce, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo”.

Precisava la Corte, inoltre, che è lo stesso art. 1362 codice civile, dedicato all’interpretazione del contratto, a stabilire che occorre individuare quella che è stata la comune intenzione dei contraenti, senza limitarsi al dato testuale, che non è decisivo.

L’interprete, infatti, non deve “limitarsi al senso letterale delle parole, ma deve indagare, per l’appunto, quale sia la comune intenzione dei contraenti, anche tramite il loro comportamento complessivo”.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello aveva dato corretta applicazione dei principi sopra enunciati, in materia di interpretazione e qualificazione del contratto, interpretando il negozio transattivo in questione “come una compravendita e non già una vera e propria transazione”, e ciò al di là del nome attribuito al negozio stesso.

Il Giudice d’appello, infatti, ha messo in risalto che “il contenuto contrattuale faceva effettivamente riferimento ad una vendita immobiliare e di essa erano palesati evidenti indici (si indicavano le parti come alienante ed acquirente, ci si riferiva ad una cessione e ad un acquisto, etc.), non risultando, poi, esservi contropartite tipiche della transazione, posto altresì che l’oggetto del trasferimento era esclusivamente limitato all’immobile”.

Secondo la Cassazione, si trattava di “interpretazione congrua e plausibile”, che non poteva, dunque, essere fondatamente contestata.

Alla luce di quanto esposto, la Corte di Cassazione non riteneva di poter censurare l’operato del giudice di secondo grado, confermando la relativa sentenza e rigettando il ricorso proposto.


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