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Canna fumaria pericolante? Legittima la delibera assembleare di demolizione se la canna fumaria non può dirsi di proprietà comune

Canna fumaria pericolante? Legittima la delibera assembleare di demolizione se la canna fumaria non può dirsi di proprietà comune
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24296 del 2015, è intervenuta ancora una volta in tema di condominio e di "parti comuni" dell'edificio condominiale.

In primo luogo, va osservato che l'art. 1117 codice civile, contiene un'elencazione delle parti del condominio che si presumono "comuni", ma tale elencazione non è assolutamente esaustiva, potendovi essere delle integrazioni o delle eccezioni.

Nel caso all'esame della Corte, un condomino aveva agito in giudizio nei confronti del condominio, al fine di ottenere la dichiarazione di nullità della delibera assembleare che aveva disposto la demolizione di una parte della canna fumaria del condominio e la chiusura della stessa, che avrebbe pregiudicato i suoi diritti di utilizzo dell'impianto di scarico fumi, dal momento che la canna fumaria era collegata al camino di un locale di sua proprietà, e si sarebbe trattato pertanto di un uso frazionato della cosa comune.

Il condominio si difendeva opponendo che la demolizione era stata deliberata in quanto era stato accertato il pericolo di crollo della canna fumaria stessa, che, peraltro, non veniva utilizzata dai condomini fin dal 1985, quando l'impianto di riscaldamento centralizzato era stato trasformato in autonomo.
La domanda del condomino veniva accolta in primo grado, mentre la Corte d'Appello riteneva di doverla riformare, aderendo alle argomentazioni svolte dal condominio.

In particolare, la Corte d'Appello aveva motivato questa sua decisione in considerazione del fatto che i condomini i quali "per ragioni di conformazione dell'edificio non sono mai stati serviti dell'impianto termico centralizzato, di cui faceva parte la canna fumaria oggetto di causa, non sono titolari del diritto di comproprietà sul l'impianto medesimo, perché esso non è legato alle unità immobiliari dalla relazione di accessorietà, ovvero dal collegamento strumentale, materiale e funzionale, consistente nella destinazione all'uso e al servizio".

Il condomino, dunque, procedeva a ricorrere in Cassazione, la quale, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni dal medesimo svolte, rigettando, dunque, il suo ricorso.

Nello specifico, secondo la Corte, il condomino proprietario dell'unità immobiliare che non aveva mai fatto uso dalla canna fumaria in relazione all'impianto di riscaldamento centralizzato, "non può legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, perché questo non è legato alla detta unità immobiliari da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione allusione al servizio della medesima". Il condomino, infatti, dopo la cessazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato, aveva iniziato ad utilizzare la canna per espellere i fumi di un suo caminetto, ma prima di detta cessazione non era collegato all'impianto stesso.

Di conseguenza, nel caso di specie, la Cassazione ritiene che la Corre d'appello abbia del tutto correttamente "escluso che l'utilizzazione della canna fumaria, per lo scarico dei fumi dal camino realizzato nel magazzino a piano terra, rientrasse in un'ipotesi di uso frazionato della cosa comune, non essendo l'impianto termico e la canna fumaria, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, a servizio di quel locale".

In altri termini, secondo la Corte, nel caso di specie, la canna fumaria non poteva ritenersi di proprietà comune del condomino in questione, dal momento che non aveva mai servito la sua unità immobiliare secondo modalità corrispondenti ad un uso condominiale.
Pertanto, l'assemblea condominiale , avendone tutti i poteri, aveva del tutto legittimamente deliberato la demolizione della stessa, la quale, tra l'altro era pericolante.

In conclusione, quindi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso promosso dal condomino e confermava la sentenza della Corte d'appello, la quale,a sua volta, aveva riformato la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda del condomino stesso.


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