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Addestrare il cane col collare elettrico

Addestrare il cane col collare elettrico
Addestrare il cane da caccia con il collare elettrico integra il reato punito all'art. 727 del c.p. e non rientra nel delitto di "maltrattamento di animali".
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza n. 21932 del 25 maggio 2016 si è occupata di “maltrattamento di animali” (art. 544 ter del c.p.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato l'imputato per aver utilizzato un collare elettrico munito di comando a distanza, poichè, tale condotta, integrava il reato di “maltrattamento di animali”.
Il ricorrente proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, sostenendo di aver usato il collare solo a fini di addestramento per la caccia.

La Corte di Cassazione evidenziava, innanzitutto, come il reato dovesse essere derubricato nella contravvenzione di cui all’art. 727 del c.p. (abbandono di animali) e come il medesimo fosse, comunque, prescritto.

In proposito, la Cassazione sottolineava come il ricorrente avesse utilizzato i collari elettrici per due cani di sua proprietà, utilizzati per l'attività venatoria.

Tali collari, in particolare, impartiscono delle scariche elettriche agli animali (il cui livello di stimolazione può essere regolato con telecomando), al fine di addestrarli e richiamarli al proprietario.

La Cassazione precisava che dalla consulenza tecnica espletata fosse emerso che dovesse essere escluso qualsiasi rischio per la salute dell’animale, “in quanto gli impulsi hanno durata molto limitata (ordine dei microsecondi) e quindi l'energia trasmessa è trascurabile, inoltre la corrente attraversa una zona limitata del corpo senza interessare gli organi vitali”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, il tipo di collare in questione non poteva ritenersi un “collare antiabbaio, ma un collare per l'addestramento”.

La distinzione è rilevante, in quanto la Cassazione ha ritenuto che “per il collare antiabbaio si configura il reato, delitto, dell'art. 544 ter del c.p., mentre per il collare per addestramento si configura la semplice contravvenzione dell'art. 727 del c.p..

In caso di “collare antiabbaio”, infatti, si configura “il reato di maltrattamento di animali, di cui all'art. 544 ter del c.p., atteso che ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del citato delitto contro il sentimento per gli animali”.

Nel caso di collare per l’addestramento, invece, vi è la semplice contravvenzione di cui all’art. 727 del c.p., in quanto lo stesso integra “una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale”.

Precisa la Cassazione come la differenza tra le due fattispecie sia evidente, in quanto “con il delitto di cui all'art. 544 ter del c.p. si punisce chi con dolo, ‘con crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale o lo sottopone a sevizie o comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche’”, mentre “con la contravvenzione dell'art. 727 del c.p. si punisce, invece, chiunque ‘detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze’".

Nel caso di specie, secondo la Corte, non poteva “certamente riconoscersi una crudeltà o lesioni ai cani, ma solo sofferenze, per altro limitate solo ai momenti di uso dei collari”, le quali, comunque, apparivano “gravi, e incompatibili con la natura dei cani”.

Tuttavia, poiché il reato di cui all’art. 727 del c.p. doveva ritenersi prescritto, la Cassazione procedeva al semplice annullamento della sentenza, senza rinvio alla Corte d’appello.


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