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Articolo 6 Norme sui licenziamenti individuali

(L. 15 luglio 1966, n. 604)

[Aggiornato al 30/03/2023]

Dispositivo dell'art. 6 Norme sui licenziamenti individuali

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo(1).

A conoscere delle controversie derivanti dall'applicazione della presente legge è competente il pretore.

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 22 settembre - 14 ottobre 2020, n. 212 ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), come sostituito dall'art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nella parte in cui non prevede che l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, oltre che dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, anche dal deposito del ricorso cautelare anteriore alla causa ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 del codice di procedura civile".

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Giuseppe S. chiede
martedģ 08/08/2017 - Estero
“Ho lavorato presso l'azienda X da Aprile 2001 sino a Novembre 2010 quasi ininterrottamente. Quindi quotidianamente mi recavo presso l'ufficio a me assegnato per svolgere l'attivita di consulenza tecnica (sono un ingegnere laureato nel 2000) per diversi progetti sviluppati dall'azienda X per i suoi clienti. Per la mia attività di consulenza presso X ero retribuito mensilmente dall'azienda Y, con sede nella stessa citta', con il quale avevo un contratto di lavoro come dipendente inquadrato come impiegato tecnico al 6 (successivamente 7) livello industria metalmeccanica privata. L'azienda Y vendeva servizi informatici e generici servizi per uffici a diversi clienti ed non mi risulta avesse servizi lavoro interinali.
Durante il periodo di lavoro presso X non svolgevo nessun lavoro presso Y ed i miei orari d'ufficio presso X erano gli stessi degli impiegati assunti presso X. Il mio lavoro era totalmente integrato nel lavoro quotidiano del team di progetto coordinato/gestito da X. Le mie attivita' erano decise da X ed assegnate direttamente su base periodica settimanale o mensile e rimodulate in funzione delle esigenze del progetto. Se un progetto al quale ero assegnato prevedeva fasi di sviluppo presso clienti o fornitori di X, avevo spesso o quasi sempre l'incarico di seguire da solo o con altri colleghi queste fasi di sviluppo. L'azienda Y non mi risulta avesse alcun tipo di collaborazione aziendale tale da prevedere un impegno economico-finanziario nel progetto sviluppato da X. Dalla fine del 2010 l'azienda X non ha rinnovato la richiesto della mia attivita' ed l'azienda Y mi assegnava incarichi presso clienti in diverse regioni d'Iitalia. Nel 2012 ho spontaneamente rassegnato le dimissioni da Y per andare a lavorare all'estero, con l'obiettivo di avere una maggiore stabilita lavorativa.
E' possibile, dato il tempo intercorso, richiedere un'assunzione diretta presso X ed/o richiedere un risarcimento ad X per il lavoro svolto in assenza di un contratto di lavoro diretto?”
Consulenza legale i 15/08/2017
Nel caso di specie parrebbe integrata, sulla base degli elementi forniti dal quesito, la fattispecie della somministrazione illecita di manodopera.
La somministrazione di lavoro è una fattispecie complessa di rapporto di lavoro, mediante il quale una parte (somministratore/Agenzia per il lavoro) si obbliga, dietro corrispettivo di un prezzo, a fornire ad un'altra (utilizzatore/Azienda) prestazioni periodiche o continuative rese da terzi (lavoratore/i), senza che tra i lavoratori "forniti" e l'utilizzatore si instauri un contratto di lavoro subordinato.

Nel nostro ordinamento, secondo quanto previsto e disciplinato dal Capo IV del D.Lgs n. 81/2015, la somministrazione di manodopera può essere effettuata solamente da alcuni soggetti debitamente autorizzati, le cosiddette Agenzie per il lavoro.
L’art. 30 del citato decreto specifica, infatti, che: “Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore”.

La somministrazione di lavoro deve poi essere formalizzata con un vero e proprio contratto scritto, tra il fornitore e l’utilizzatore, il cui contenuto è predeterminato per legge (art. 33 D.lgs. 81/2015).

Nella fattispecie in esame, Y ha fornito il lavoratore (consulente tecnico) ad X, che l’ha utilizzato come un proprio dipendente, impartendogli direttive su orario, contenuto e modalità della prestazione lavorativa: ciò in effetti è conforme alla disciplina sulla somministrazione, perché quest’ultima richiede che nel corso e per tutta la durata del rapporto di lavoro, il lavoratore somministrato svolga la propria prestazione sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore. Le direttive, quindi, su come e quando svolgere la prestazione lavorativa nonché l’esercizio del potere disciplinare sono di competenza del datore di lavoro che utilizza effettivamente il lavoratore somministrato, ovvero dell’utilizzatore.
Tuttavia, in questo caso non è stato sottoscritto tra Y ed X un contratto di somministrazione quanto piuttosto un contratto di lavoro subordinato – per così dire – “standard” tra il lavoratore ed Y.

Due sono, quindi, gli elementi che depongono per l’illiceità della fattispecie in questione: l’assenza, in capo ad Y, dei requisiti di legge per potersi definire “agenzia autorizzata” alla somministrazione di lavoratori a terzi e la mancanza di un vero e proprio contratto scritto di somministrazione tra X e Y a regolamentare il rapporto.

Il decreto sopra richiamato prevede (art. 38), in caso di somministrazione irregolare, l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo all’utilizzatore.
Più precisamente: “In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. 2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione”.
Nel caso di specie, quindi, il lavoratore avrebbe senz’altro potuto agire nei confronti di X, avanti al Giudice del Lavoro, per chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo sin dal 2001 - con le conseguenti, connesse, istanze risarcitorie - ed il rischio per X ed Y di incorrere nelle sanzioni di cui all’art. 40 del citato decreto n. 81/2015, ovvero “la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250”.

Tuttavia, purtroppo, nella fattispecie concreta al nostro esame è già ampiamente decorso il termine per far valere l’illiceità della somministrazione. Quest’ultima, infatti, deve essere denunciata (art. 39 del decreto n. 81/2015, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 6 della Legge n. 604/1966) entro 60 giorni dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore. Quand’anche, poi, la denuncia fosse intervenuta in termini, avrebbe comunque dovuto essere seguita “entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato” (art. 6 L. 604/1966).
Se non si è provveduto tempestivamente ai due adempimenti sopra descritti (denuncia e successivo ricorso giudiziale), oggi – trascorsi ormai sette anni - non sarà più possibile trovare tutela per intervenuta decadenza.