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Articolo 5 Legge sul divorzio

(L. 1 dicembre 1970, n. 898)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Dispositivo dell'art. 5 Legge sul divorzio

Il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi di cui all'articolo 3, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza.

La donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio.

Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei Figli meritevole di tutela.

La decisione di cui al comma precedente può essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti.

La sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti. Il pubblico ministero può, ai sensi dell'articolo 72 del codice di procedura civile, proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci.

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.

Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

[I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria](1).

L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia assistito l'altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.

Note

(1) Il comma 9 è stato abrogato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia), il quale ha altresì disposto (con l'art. 35, comma 1, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Massime relative all'art. 5 Legge sul divorzio

Cass. civ. n. 5132/2014

Nella determinazione dell'assegno divorzile, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l'assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutate le migliorie che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del rapporto ed aventi carattere di eccezionalità, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili, quali, ad esempio, le partecipazioni in società, costituite in costanza di matrimonio ma divenute attive dopo la cessazione della convivenza.

Cass. civ. n. 23442/2013

In tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella disciplina dettata dall'art. 5 della legge 1° dicembre 1978, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l'assegno di divorzio deve essere rapportato al tenore di vita goduto durante il matrimonio, che è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, e non già allo stile di vita concretamente condotto in base a scelte di rigore caratterizzate da "self-restrainment".

Cass. civ. n. 16598/2013

Ai sensi dell'art. 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, l'accertamento del diritto all'assegno divorzile deve essere effettuato non limitandosi a prendere in esame le condizioni economiche del coniuge richiedente, essendo necessario mettere a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore, raffrontandole con lo stile di vita mantenuto dai coniugi in costanza di matrimonio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva riconosciuto il diritto all'assegno all'esito di una valutazione incentrata unicamente sull'analisi della situazione economica della richiedente, ritenuta di per sé sufficiente a giustificare l'imposizione di un contributo a carico dell'obbligato).

Cass. civ. n. 8874/2013

La pronuncia sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso integra un capo autonomo della sentenza che, in difetto d'impugnazione, passa in giudicato anche in pendenza di gravame contro le statuizioni sull'attribuzione e sulla quantificazione dell'assegno; il procedimento per la definizione delle questioni di rilevanza patrimoniale, pertanto, non si estingue per cessazione della materia del contendere, ma prosegue, nonostante il decesso di uno dei coniugi, avendo riflessi sulla sfera giuridica delle parti e dei loro eredi.

Cass. civ. n. 7295/2013

In materia di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno previsto dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, ma non anche - salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi - sul riconoscimento dell'assegno stesso, assolvendo quest'ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole.

Cass. civ. n. 3925/2012

Nel giudizio di divorzio, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, quindi dovendo essere necessariamente contenuta nell'atto introduttivo del giudizio ovvero nella comparsa di risposta; tuttavia, deve escludersi la relativa preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all'assegno maturino nel corso del giudizio, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto.

Cass. civ. n. 26380/2011

Nel giudizio di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l'iniziale disponibilità del coniuge a versare l'assegno divorzile all'altro, che non abbia tempestivamente proposto la relativa richiesta, non può considerarsi domanda giudiziale, non essendo questo legittimato a sostituirsi al titolare del diritto alla percezione di detto assegno, con la conseguenza che è illegittimo il relativo riconoscimento giudiziale.

Cass. civ. n. 17195/2011

In tema di diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto; la conseguente cessazione del diritto all'assegno divorzile, a carico dell'altro coniuge, non è però definitiva, potendo la nuova convivenza - nella specie, uno stabile modello di vita in comune, con la nascita di due figli ed il trasferimento del nuovo nucleo in una abitazione messa a disposizione dal convivente - anche interrompersi, con reviviscenza del diritto all'assegno divorzile, nel frattempo rimasto in uno stato di quiescenza.

Cass. civ. n. 8051/2011

In tema di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui il patrimonio immobiliare del coniuge che chiede l'attribuzione dell'assegno divorzile e gli eventuali altri suoi redditi, non siano in grado di assicurargli il mantenimento del pregresso tenore di vita senza dover ricorrere alla, sia pure parziale, alienazione del detto patrimonio, prima di potergli negare il diritto all'assegno il giudice deve esaminare quale sia la posizione economica complessiva del coniuge nei cui confronti l'assegno sia richiesto, per verificare se sia tale da consentire (nel bilanciamento dei rispettivi interessi), attraverso la corresponsione di un assegno divorzile, di conservare ad entrambi i coniugi il pregresso tenore di vita, senza intaccare il patrimonio di nessuno di loro.

Cass. civ. n. 2747/2011

In tema di assegno divorzile, la titolarità, in capo al richiedente, di un reddito che gli consenta di fruire di un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello elevatissimo condotto durante la convivenza matrimoniale, legittima un'integrazione dell'assegno che, pur non consentendo il raggiungimento del medesimo standard di vita goduto in costanza di matrimonio, sia tendenzialmente volto a riequilibrare, sia pure in parte, la situazione economico-sociale dell'ex coniuge. (Nella specie la S.C., in applicazione del riportato principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva determinato l'assegno di divorzio nella stessa misura già erogata dall'onerato come contributo al mantenimento del coniuge sin dall'epoca della separazione).

Cass. civ. n. 2098/2011

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l'esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell'art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970, può disporre - d'ufficio o su istanza di parte - indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova; l'esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del "bagaglio istruttorio" già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati. (Affermando il principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la decisione di merito che aveva negato ingresso alle indagini richieste dalla parte, la quale si era limitata a prospettare un'astratta potenzialità lavorativa del coniuge tenuto al mantenimento, collegandola genericamente alla possibilità del medesimo, dipendente pubblico, a svolgere un secondo lavoro).

Cass. civ. n. 26197/2010

In sede di divorzio, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, occorre tenere conto dell'intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, ricomprendere qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l'uso di una casa di abitazione, valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell'immobile a titolo di locazione.

Cass. civ. n. 25181/2010

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio rilevano non tutte le indennità attribuite al dipendente per il servizio all'estero, ma unicamente quelle atte a determinargli migliori condizioni di vita; pertanto, solo queste devono valutarsi nel giudizio sulle attuali disponibilità dell'obbligato e sull'adeguatezza della situazione economica dell'altro coniuge rispetto alla situazione precedente. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto correttamente esclusi gli incrementi economici, limitati solo ad alcune annualità di trasferimento all'estero, di natura contingente, destinate a fronteggiare i maggiori costi di trasferimento e permanenza nel paese straniero).

Cass. civ. n. 23508/2010

Nella determinazione dell'assegno divorzile, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato.

Cass. civ. n. 20582/2010

In tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il giudice, chiamato a decidere sull'attribuzione dell'assegno di divorzio, è tenuto a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza - all'atto della decisione - dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio; dunque, è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all'epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell'onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva effettuato la valutazione comparativa delle condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi e dell'impossibilità oggettiva, della parte richiedente l'assegno, di procurarsi redditi adeguati, sulla base della situazione esistente al momento della cessazione della convivenza invece che quello della cessazione degli effetti civili del matrimonio).

Cass. civ. n. 13108/2010

In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell'ex coniuge, l'accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all'attribuzione dell'usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell'assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell'art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell'istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall'art. 5 della legge ai fini dell'accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.

Cass. civ. n. 2690/2010

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio, deve essere considerata anche l'indennità di alloggio, riconosciuta al coniuge obbligato dal suo datore di lavoro, poiché tale emolumento, mirando a sollevare il beneficiario da possibili maggiori oneri derivanti dal servizio prestato all'estero, determina migliori condizioni di vita, da cui non può prescindersi nel giudizio sulle attuali disponibilità dell'obbligato e sull'adeguatezza della situazione economica dell'altro coniuge rispetto alla situazione precedente, nel perseguimento del fine di ripristinare per quanto possibile un certo equilibrio.

Cass. civ. n. 16789/2009

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma sesto, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sollevata in relazione agli artt. 29, 3, 31 Cost., nella parte in cui contempla il diritto all'assegno per il coniuge divorziato che non abbia mezzi adeguati; tale diritto trova infatti fondamento nella solidarietà post-coniugale, espressione del più generale dovere di solidarietà economico-sociale sancito all'art. 2 Cost., dalla quale sorge l'obbligo di corrispondere un assegno periodico a favore dell'ex coniuge privo di mezzi adeguati, nonché di riparare allo squilibrio economico derivante dal divorzio, in piena conformità al valore del matrimonio come indicato dall'art. 29 Cost.; neppure può ravvisarsi contrasto nella parte in cui l'articolo richiamato non esclude la permanenza del diritto all'assegno, qualora l'obbligato contragga nuove nozze, non potendo la sussistenza di tale diritto essere fatta dipendere dalla volontà dell'obbligato, e dovendo la costituzione del nuovo nucleo familiare essere valutata ai fini della determinazione dell'importo dell'assegno dovuto all'ex coniuge.

Cass. civ. n. 2709/2009

In tema di divorzio, l'eventuale nascita di un figlio non costituisce elemento di prova di per sè sufficiente e idoneo a dimostrare l'esistenza di una situazione di convivenza "more uxorio" tra il coniuge beneficiario dell'assegno ed un terzo, avente nel tempo i caratteri di stabilità e continuità tali, da far presumere che il beneficiario dell'assegno tragga da tale convivenza vantaggi economici che giustifichino la revisione dell'assegno medesimo.

Cass. civ. n. 28835/2008

In tema di divorzio, la domanda di dichiarazione di "nullità" o inefficacia originaria dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile e di mantenimento per il figlio, comprende quella minore di inefficacia da una certa data o di revoca degli obblighi stessi, in base al principio generale che nega che la decisione, che contiene un "minus" rispetto a quanto domandato, configuri una ultra o extra petizione, essendo implicita in tale domanda la richiesta di un termine da cui far decorrere le nuove statuizioni (in applicazione di questo principio la S.C. non ha ritenuto viziata da ultrapetizione la pronuncia del giudice di merito che, a fronte della domanda dell'attore di dichiarare nullo l'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile all'ex coniuge e quello di mantenimento del figlio, aveva revocato il relativo obbligo dal momento in cui l'ex coniuge era passato a nuove nozze ed il figlio era divenuto economicamente autosufficiente).

Cass. civ. n. 16575/2008

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, l'esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito ; l'eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell'iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti.

Cass. civ. n. 5434/2008

In tema di divorzio, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, sesto comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, nella parte in cui consente di assoggettare all'obbligo di corrispondere l'assegno anche il coniuge che abbia chiesto ed ottenuto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ex art. 3 n. 2 lett. a ) della legge 1º dicembre 1970, n. 898 ; neppure in tale ipotesi, infatti, cessa la funzione assistenziale di detto assegno, non rilevando le ragioni della decisione ai fini dell'accertamento della sussistenza del relativo diritto, ma solo ai fini della determinazione del relativo ammontare, ed essendo riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito la possibilità di considerare decisivo e prevalente, tra tutti i criteri previsti per la quantificazione dell'assegno divorzile, quello della ragione del divorzio e della responsabilità del coniuge convenuto e di pervenire in tal modo all'azzeramento dell'assegno. I profili di responsabilità civile derivanti dalle violazioni del diritto all'unità familiare non sono d'altronde incompatibili con l'obbligo di contribuzione assistenziale, che fonda la sua ragione proprio nel rapporto coniugale che è alla base della famiglia.

Cass. civ. n. 1758/2008

La determinazione dell'assegno divorzile, alla stregua dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, con la conseguenza che il diniego dell'assegno divorzile non può fondarsi sul rilievo che negli accordi di separazione i coniugi pattuirono che nessun assegno fosse versato dal marito per il mantenimento della moglie, dovendo comunque il giudice procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso tenore di vita coniugale.

Cass. civ. n. 22500/2006

In tema di divorzio, la congruità dell'assegno ad assicurare al coniuge il mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio deve essere valutata alla luce dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970 (e succ. modif.); tuttavia, anche l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi. (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte ha cassato la pronuncia del giudice di merito, perché — nel fissare un importo dell'assegno di divorzio complessivamente inferiore a quello risultante dalla regolamentazione dei rapporti stabilita dalle parti in sede di separazione, sul duplice rilievo che non era stata raggiunta la prova che il reddito dell'obbligato fosse rimasto invariato rispetto all'epoca della separazione e che la beneficiaria aveva preferito dedicarsi ad una attività lavorativa part-time — non aveva adeguatamente considerato il fatto che l'obbligato era titolare di un patrimonio immobiliare di rilevante ammontare, né aveva valutato se il ricorso al part-time fosse frutto di una libera scelta o non piuttosto imposto dalle circostanze).

Cass. civ. n. 18241/2006

In tema di divorzio, legittimamente il giudice del merito, nel determinare il reddito dei coniugi ai fini della determinazione dell'assegno divorzile e del contributo di mantenimento in favore dei figli, tiene conto delle potenzialità dell'attività di impresa esercitata dal coniuge obbligato e dell'entità oggettiva degli immobili di cui quest'ultimo risulti proprietario, prescindendo dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi.

Cass. civ. n. 13961/2006

Quando nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio intervenga il decesso di uno dei coniugi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta cessazione della materia del contendere (essendo venuto meno l'interesse ad una definizione del giudizio e, quindi, ad una pronuncia sul merito dell'impugnazione), con ciò travolgendosi ogni statuizione in precedenza emessa e non ancora passata in giudicato.

Cass. civ. n. 9876/2006

Le dichiarazioni dei redditi dell'obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia concernente l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di divorzio, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie.

Cass. civ. n. 9861/2006

In tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d'ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l'esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella discrezionalità del giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche.

Cass. civ. n. 7117/2006

Ai fini dell'attribuzione dell'assegno di divorzio e della determinazione della sua misura, ai sensi dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74), l'accertamento del giudice del merito in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi deve essere compiuto, non in astratto, bensì in concreto; pertanto, detto giudice non può basare la propria decisione su un mero apprezzamento probabilistico, non fondato su dati realmente esistenti con riferimento alla specifica fattispecie. (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza, la quale si era basata, oltre che sui redditi reali dei coniugi, soprattutto su quelli virtuali, considerando, quale circostanza decisiva, il fatto che «la laurea della donna potrebbe darle un'entrata di due, tre milioni al mese»).

Cass. civ. n. 5302/2006

Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all'assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizione dell'art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 — a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile può avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico —, non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius non possono implicare rinuncia all'assegno di divorzio.

Cass. civ. n. 1546/2006

Il diritto all'assegno di divorzio non viene meno se chi lo chiede abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, rappresentando detta convivenza soltanto un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l'assegno disponga o meno di «mezzi adeguati» rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; la convivenza more uxorio infatti, avendo natura intrinsecamente precaria, non fa sorgere obblighi di mantenimento e non presenta quella stabilità giuridica, propria del matrimonio, che giustifica la definitiva cessazione dell'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile.

Cass. civ. n. 1203/2006

Poiché l'assegno di divorzio è determinato sulla base di criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento economico al coniuge separato, non rappresenta una circostanza decisiva, ai fini della dimostrazione della attuale autosufficienza economica del coniuge richiedente l'assegno di divorzio, la mancata richiesta, in sede di separazione, da parte di questo, di un assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 18116/2005

Nel giudizio di divorzio, il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell'assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all'art. 180 c.p.c.

Cass. civ. n. 10210/2005

Con riguardo alla quantificazione dell'assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per la determinazione dell'importo spettante all'ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno. (Nella specie, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva determinato la misura dell'assegno prendendo in ponderata e bilaterale considerazione i criteri di legge, valorizzando quelli della durata del matrimonio, del contributo personale ed economico dato anche dalla moglie alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché della deteriore condizione reddituale e patrimoniale della moglie rispetto a quella del marito; enunciando il principio di cui in massima, la Corte di cassazione ha ritenuto irrilevante l'omessa considerazione, in un contesto siffatto, del criterio delle «ragioni della decisione», tanto piú che la pronuncia di separazione con addebito ad entrambi i coniugi, in assenza di specifiche deduzioni delle parti relative al comportamento dei coniugi successivo alla separazione, rende il criterio medesimo sostanzialmente privo di valore orientativo ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio).

Cass. civ. n. 1824/2005

La natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l'ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che non solo il giudice d'appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l'evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio, ma che anche il giudice del rinvio, a sua volta nel rispetto dei limiti posti dalla pronuncia rescindente, deve procedere a tale valutazione.

Cass. civ. n. 21080/2004

In materia di assegno di divorzio, che costituisce oggetto di un diritto disponibile, condizionato unicamente dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente per conservare il tenore di vita condotto in costanza di matrimonio, il detto coniuge è gravato dall'onere — non intaccato dai poteri officiosi di indagine spettanti al giudice — di dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova, per ciò che concerne l'an debeatur, quale fosse tale tenore di vita e quale deterioramento ne sia conseguito per effetto del divorzio, e, per quanto concerne il quantum, tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal giudice alla luce dei criteri legislativi per la determinazione dell'assegno, senza che la sussistenza di un deterioramento siffatto possa desumersi dalla mera circostanza di un sensibile divario di condizioni reddituali in danno del coniuge richiedente.

Cass. civ. n. 13169/2004

In tema di attribuzione dell'assegno di divorzio, di cui all'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, l'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive costituisce ipotesi non già alternativa, ma meramente esplicativa rispetto a quella della mancanza assoluta di tali mezzi, dovendosi, pertanto, trattare di impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio, onde l'accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico — sociale, individuale, ambientale, territoriale. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva accolto la domanda di assegno di divorzio sulla base del notevole squilibrio esistente nella capacità di lavoro e di guadagno delle parti essendo il reddito dell'un coniuge pari al triplo di quello dell'altro — così sottintendendo la mancanza di titolarità, da parte del coniuge beneficiario dell'assegno, di mezzi adeguati e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive).

In tema di presunzioni semplici, vige il criterio secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. Il relativo accertamento non è censurabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in tema di diritto del coniuge all'assegno divorzile, aveva desunto da un fatto noto — l'essere il coniuge onerato nel pieno della propria capacità lavorativa — il fatto ignoto, consistente nella possibilità per il coniuge stesso di recuperare in breve, dopo un periodo di disoccupazione, i livelli stipendiali pregressi).

L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente. A tal fine, il giudice del merito può tenere conto della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della cessazione della convivenza, quale elemento induttivo da cui desumere, in via presuntiva, il precedente tenore di vita e può, in particolare, in mancanza di prova da parte del richiedente, fare riferimento, quale parametro di valutazione del pregresso stile di vita, alla documentazione attestante i redditi dell'onerato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda di corresponsione dell'assegno divorzile in ragione dello stesso notevole squilibrio esistente, all'atto della pronuncia di scioglimento del matrimonio, nella capacità di lavoro e di guadagno delle parti, essendo risultato che il reddito del coniuge onerato era pari a circa il triplo di quello fruito dall'ex coniuge).

Cass. civ. n. 12557/2004

In assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell'assegno, secondo il principio generale posto dall'art. 9, primo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell'ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius — pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo — delle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza more uxorio dell'avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l'incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano. Detta dimostrazione del mutamento in melius delle condizioni economiche dell'avente diritto può essere data dall'onerato con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto con riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il titolare dell'assegno convive, i quali possono fare presumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che dalla convivenza more uxorio il titolare dell'assegno tragga benefici economici idonei a giustificare la revisione dell'assegno: benefici che, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell'assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, sono destinati ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9 della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno, finchè questi non contragga un nuovo matrimonio.

Cass. civ. n. 10291/2004

Qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento del diritto alla percezione dell'assegno divorzile (per non avere nella fattispecie concreta quest'ultimo mai svolto funzioni di carattere alimentare), le somme corrisposte al coniuge più debole, in base ad una pronuncia poi rivelatasi ab initio errata, debbono essere restituite, trovando la loro erogazione esclusivo fondamento in un titolo originato dalla infondata domanda del coniuge «debole».

Cass. civ. n. 19527/2003

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio deve essere considerata anche l'indennità di servizio all'estero attribuita ai diplomatici a norma dell'art. 171 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, ancorché non abbia natura retributiva dal punto di vista contributivo e fiscale e sia attribuita per fronteggiare i possibili maggiori oneri derivanti dal servizio prestato all'estero. Infatti assume rilievo ai fini in questione che tale indennità, mirando a far fronte ad esigenze di rappresentanza connaturate alle funzioni esercitate, determini migliori condizioni di vita sul piano economico, da cui non può prescindersi nel giudizio sulla adeguatezza della condizione economica dell'ex coniuge rispetto alla situazione precedente, nel perseguimento del fine di ripristinare per quanto possibile un certo equilibrio.

In materia di famiglia, nella determinazione dell'assegno di mantenimento posto a carico del coniuge obbligato in sede di separazione personale tra coniugi (e del pari nella determinazione dell'ammontare di quello divorzile) non deve tenersi conto (anche) dell'assegno per oneri di rappresentanza introdotto, in tema di trattamento economico per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in servizio all'estero, dall'art. 171 bis D.P.R. n. 18 del 1967 (inserito dall'art. 6 D.L.vo n. 62 del 1998), giacché trattasi (come si desume alla stregua della previsione di cui al comma 6 secondo cui i relativi percettori debbono, al termine di ogni esercizio finanziario, depositare presso l'ufficio di appartenenza la documentazione idonea a giustificare le spese sostenute nonché autocertificazione attestante l'ammontare globale delle spese sostenute e versare sul conto corrente valuta tesoro le somme eventualmente non utilizzate) di emolumento diverso dall'indennità di servizio estero, non costituente reddito e finalizzato a sollevare il diplomatico, nei limiti in cui risultino effettivamente sostenuti, dagli oneri di rappresentanza derivanti dalla carica altrimenti a suo carico, il cui computo ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in questione risulta inconciliabile con l'obbligo di suo riversamento all'erario per la parte non consumata.

Cass. civ. n. 15064/2003

Ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio stesso deve ritenersi nullo; è consentito, invece, che le parti, in sede di divorzio, dichiarino espressamente che, in virtù di una pregressa operazione (ad es. trasferimento immobiliare) tra di esse, l'assegno di divorzio sia già stato corrisposto una tantum, con conseguente richiesta al giudice di stabilire conformemente l'assegno medesimo, ma in assenza di tale inequivoca richiesta è inibito al giudice di determinare l'assegno riconoscendone l'avvenuta corresponsione in unica soluzione. Del tutto diversa è l'ipotesi in cui le parti abbiano già regolato i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti, non necessariamente comporta la corresponsione di un assegno una tantum, potendo le parti avere regolato diversamente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l'accordo è valido per l'attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due parti possa giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell'altra. (Nella fattispecie la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, escluso che i coniugi avessero dichiarato l'avvenuta corresponsione una tantum dell'assegno di divorzio in virtù di una precedente operazione di trasferimento immobiliare, aveva proceduto alla determinazione dell'assegno medesimo su richiesta di modifica delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio presentata da uno degli ex coniugi).

Cass. civ. n. 11975/2003

Il sesto comma dell'art. 5 della legge n. 898/70 non definisce ulteriormente il concetto di “adeguatezza” dei mezzi, in difetto della quale e nel concorso dell'ulteriore requisito dell'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, scattano i presupposti della spettanza dell'assegno divorzile, ma anzi lascia volutamente suscettibili di differenziazione i parametri concreti di valutazione di tale “adeguatezza”, in ragione della variegata possibile evoluzione delle scelte esistenziali degli ex coniugi nella fase successiva alla separazione. Fra i fattori capaci di incidere su tale nozione di “adeguatezza” è suscettibile di acquisire rilievo anche la eventuale convivenza more uxorio, la quale, quando si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità tanto da venire ad assumere i connotati della c.d. “famiglia di fatto” (caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e dei modelli di vita, in essi compresi anche quello economico) fa sì che la valutazione di una tale “adeguatezza” non possa non registrare una tale evoluzione esistenziale, recidendo — finché duri tale convivenza (e ferma rimanendo in questo caso la perdurante rilevanza del solo eventuale stato di bisogno in sé ove “non compensato” all'interno della convivenza) — ogni plausibile connessione con il tenore e con il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza coniugale, ed escludendo — con ciò stesso — ogni presupposto per il riconoscimento, in concreto, dell'assegno divorzile fondato sulla conservazione degli stessi.

Cass. civ. n. 11526/2003

L'art. 5, n. 2, seconda parte, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 — ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804 —, come sostituito dall'art. 5 della Convenzione di Lussemburgo del 9 ottobre 1978 — ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 29 novembre 1980, n. 967 —, il quale, qualora si tratti di una «domanda accessoria ad un'azione di stato delle persone», fissa, in deroga al criterio generale del domicilio del convenuto, la competenza complementare e suppletiva del «giudice competente a conoscerne, secondo la legge nazionale», non è applicabile nel caso di domanda di revisione delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio (ex art. 9 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987), atteso che l'autonomia riconosciuta dal nostro ordinamento a tale domanda di revisione rispetto al precedente giudizio di separazione o di divorzio non consente la sua qualificazione come domanda accessoria ad un'azione di stato delle persone.

Cass. civ. n. 10978/2003

Qualora la regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi sia avvenuta a mezzo di una convenzione accessoria alla sentenza di divorzio, l'interpretazione della convenzione è attività demandata al giudice di merito, (che utilizzerà i criteri dettati dagli artt. 1362 e seguenti c.c.) e non sarà sindacabile in Cassazione se adeguatamente motivata. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto di privilegiare, nell'interpretazione della convenzione accessoria, il criterio del comportamento complessivo delle parti, e la regola finale dettata dall'art. 1371 c.c., consistente nell'equo contemperamento degli interessi delle parti).

Cass. civ. n. 10065/2003

L'art. 110 c.p.c., secondo il quale, in caso di morte di una parte, il processo è proseguito dal successore universale o nei suoi confronti, esaurisce i propri effetti nella sfera processuale e non si estende fino alla creazione di una legittimazione sostanziale esclusa dalla specifica disciplina del rapporto in contestazione. Ne deriva che, in tema di azione di divorzio — dove il decesso di uno dei coniugi, sopravvenuto nel corso del relativo processo, determina lo scioglimento del matrimonio per altra causa, precludendo il diritto ad ottenere il bene della vita richiesto in via giudiziale (cessazione degli effetti civili del matrimonio) —, detta norma non vale a radicare la legitimatio ad processum del successore a titolo universale nei confronti del coniuge superstite, non verificandosi alcuna successione nel diritto e nel rapporto per l'intrinseca intrasmissibilità della situazione soggettiva correlativa.

L'azione di divorzio (ossia il potere di proporre la domanda correlativa e di resistere all'avverso gravame contro la sentenza che l'abbia accolta) ha natura personalissima e non è trasmissibile agli eredi, che restano legittimati a stare nel processo solo in ordine a quel diritto od a quegli obblighi di carattere economico inerenti al patrimonio del loro dante causa, che siano stati dedotti eventualmente in connessione con l'istanza di divorzio e che siano stati, quindi, già acquisiti al suo patrimonio prima della morte. Pertanto — una volta intervenuto, dopo la notifica dell'atto di appello avverso la sentenza parziale di divorzio, il decesso del coniuge, che aveva proposto la relativa domanda — è inammissibile, nel giudizio dinanzi alla Corte d'appello, la costituzione di chi, accampando la propria qualità di erede, miri, non già a far valere diritti, o contestare obbligazioni, di contenuto patrimoniale, già entrati nel patrimonio del de cuius prima del suo decesso (e suscettibili, perciò, di trasmissione iure hereditario), ma a coltivare, con resistenza al gravame interposto dalla controparte, l'azione di divorzio già esercitata dal defunto, ed a far così risalire a tale causa, e non al sopravvenuto decesso, lo scioglimento del di lui matrimonio con l'appellante.

Cass. civ. n. 16066/2002

Nel giudizio di divorzio l'attribuzione dell'assegno divorzile è subordinata, alla domanda di parte, la quale va conseguentemente formulata — conformemente ai principi della domanda e del contraddittorio — nel rispetto degli istituti processuali che ne sono l'espressione, ivi compresi quelli relativi ai modi e tempi della proposizione delle domande riconvenzionali, di tal che, maturata eventualmente la decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c. il convenuto non può più proporre la relativa domanda nel giudizio.

Cass. civ. n. 13863/2002

La previsione dell'art. 5, settimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74), secondo cui la sentenza di scioglimento del matrimonio deve stabilire un criterio di adeguamento automatico, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria, dell'assegno posto a carico di uno degli ex coniugi (salva la possibilità per il tribunale di escludere tale previsione, con motivata decisione, in caso di palese iniquità), applicabile indipendentemente da apposita domanda di parte, deve essere, logicamente, estesa anche al provvedimento in tema di assegno adottato in sede di revisione ai sensi dell'art. 9, primo comma, legge cit. (come modificato dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74), il quale tiene luogo di quanto in proposito disposto dalla sentenza e svolge la medesima funzione.

Cass. civ. n. 13060/2002

In tema di determinazione dell'importo dell'assegno di divorzio, le argomentazioni usate per stabilire la sussistenza del diritto all'assegno, consistenti nell'accertamento del deterioramento del tenore di vita del coniuge richiedente, causato dalla mancanza di mezzi adeguati o dalla oggettiva impossibilità di procurarseli, rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio ovvero a quello ragionevolmente e legittimamente sperabile in base alle aspettative maturate in costanza di matrimonio, non svolgono diretta influenza su quelle utilizzate successivamente dal giudice per stabilirne la misura, né possono essere poste in contrapposizione con queste per arguirne contraddizioni od omissioni di motivazione.

La convivenza more uxorio di un coniuge separato, che abbia acquisito carattere di stabilità, pur se non esclude — di per sé — il diritto dello stesso all'assegno di divorzio, influisce comunque sulla determinazione della sua entità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, aveva attribuito rilievo ad una convivenza more uxorio di durata pari a quella del matrimonio).

In tema di assegno di divorzio, il criterio delle “ragioni della decisione”, previsto dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, postula una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in un prospettiva comprendente l'intero periodo di vita coniugale, e quindi in una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale e alla ricostituzione del consorzio familiare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza impugnata che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, aveva attribuito rilievo alla convivenza more uxorio del coniuge richiedente protrattasi, successivamente alla separazione, per un periodo pari alla durata del matrimonio).

Poiché, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, il criterio del contributo personale o economico dato dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio esige la diretta provenienza del contributo stesso, l'apporto di estranei al nucleo familiare (nella specie, parenti del coniuge richiedente l'assegno di divorzio) non può essere preso in considerazione a quei fini, sia perché caratterizzato da liberalità, sia perché non sarebbe ragionevole né conforme a giustizia, attraverso l'aumento dell'assegno di divorzio, tradurre in effetti vantaggiosi per un solo membro del consorzio familiare l'incremento del patrimonio familiare favorito dall'intervento liberale di terzi.

Cass. civ. n. 7435/2002

In tema di divorzio, l'art. 5, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 non impone al tribunale in via diretta ed automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso giudice la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall'art. 187 c.p.c., che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d'ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza.

Cass. civ. n. 6541/2002

L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Ai fini di tale accertamento, correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto che il forte squilibrio tra l'entità dello stipendio percepito dalla ex moglie e quello dell'ex marito rendevano evidente la non titolarità da parte della prima — una volta venuto meno l'apporto delle entrate del coniuge — di mezzi adeguati, tenuto altresì conto della circostanza dell'attribuzione, ad opera della sentenza di primo grado, non impugnata sul punto, all'ex marito, del gratuito godimento della casa di proprietà della donna, così privata della opportunità di trarre un profitto dalla locazione di detto immobile. Al riguardo la Corte territoriale aveva altresì ritenuto che non potesse avere alcuna incidenza, per converso, l'assegnazione, alla stessa, affidataria del figlio minore, della casa coniugale, di proprietà dell'ex marito).

Cass. civ. n. 11575/2001

La determinazione dell'assegno di divorzio, alla stregua dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione.

Cass. civ. n. 11059/2001

In tema di assegno di divorzio, l'art. 5 della legge n. 898 del 1970, che fa carico al tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, in caso di contestazioni, non impone un adempimento dettato a pena di nullità ma si traduce in una deroga alle regole generali sull'onere della prova, nel senso che la domanda di corresponsione dell'assegno non può essere respinta per la mancata dimostrazione da parte dell'istante delle condizioni economiche dell'altro coniuge; conseguentemente, il giudice può avvalersi di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti, può far uso di presunzioni e ricorrere a nozioni di comune esperienza per l'accertamento delle condizioni economiche delle parti e non è tenuto ad ammettere o disporre ulteriori mezzi di prova quando ricorrano elementi sufficienti per la formazione del suo convincimento, che si sottrae a censura in sede di legittimità quando sia logicamente e congruamente motivato.

Cass. civ. n. 9058/2001

Nel procedimento di divorzio trovano applicazione i principi della domanda e del contraddittorio e l'attribuzione dell'assegno divorzile è subordinata, pertanto, alla domanda di parte; peraltro, tale domanda non necessita di formule particolari e può essere anche implicita nonché ravvisabile in deduzioni inequivocamente rivolte al conseguimento dell'assegno medesimo; per accertare se sia stata o meno proposta, il giudice di merito deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile non solo dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante e dal provvedimento sollecitato in concreto, con il solo limite del rispetto del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. (Nella specie, negli atti introduttivi il ricorrente aveva chiesto l'accertamento negativo del diritto all'assegno divorzile della moglie, la quale si era opposta e, dopo la pronuncia della sentenza non definitiva di divorzio, essendo deceduto l'ex coniuge, aveva riassunto il giudizio nei confronti degli eredi formulando formalmente domanda di assegno; la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la comune volontà delle parti di far accertare il diritto della moglie al mantenimento).

Cass. civ. n. 6660/2001

Nella disciplina dettata dall'art. 5 della legge 898/70, come modificato dall'art. 10 della legge 74/87, l'assegno di divorzio si configura con natura eminentemente assistenziale essendone condizionata l'attribuzione alla specifica circostanza della mancanza di mezzi adeguati o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, mentre gli altri criteri costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico di ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dal reddito di entrambi, valutati unitariamente e confrontati alla luce del paradigma della durata del matrimonio, sono destinati ad operare solo se l'accertamento dell'unico elemento attributivo, si sia risolto positivamente e quindi ad incidere unicamente sulla quantificazione dell'assegno stesso. Nel compimento di tale indagine, il tenore di vita goduto durante il matrimonio al quale rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del soggetto richiedente, è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi non già quello tollerato o subito o anche concordato con l'adozione di particolari criteri di suddivisione delle spese familiari e di disposizioni di redditi personali residui.

Cass. civ. n. 2492/2001

Non viola il principio di indisponibilità preventiva dei diritti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo coniugale (ed è, pertanto, del tutto legittima) l'eventuale compensazione operata tra l'importo del credito vantato dall'ex coniuge in ragione del successivo incremento dell'assegno divorzile disposto dal giudice ed una somma in precedenza corrisposta dall'obbligato all'assegno stesso con funzione integrativa di quest'ultimo, da tenere in conto (come convenzionalmente pattuito tra i coniugi in sede di scioglimento del vincolo matrimoniale) nell'ipotesi, appunto, di verificazione delle condizioni legali per un aumento, somma da considerare, conseguentemente, come una forma di anticipazione del maggior importo eventualmente dovuto in futuro all'ex coniuge. (Nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha ulteriormente precisato che, dal computo aritmetico necessario ai fini della compensazione, vanno esclusi gli interessi corrispettivi di cui all'art. 1282 tutte le volte in cui il tenore dell'accordo intercorso tra i coniugi non consenta di ravvisare, in capo all'obbligato, il permanere della titolarità, in relazione all'importo versato, di un credito liquido ed esigibile).

Cass. civ. n. 126/2001

La corresponsione in unica soluzione dell'assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patrimoniale e non, nei confronti dell'altro coniuge, attesa la cessazione, per effetto del divorzio, di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi, con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può essere legittimamente invocata dal coniuge assegnatario, in base al disposto dell'art. 5, comma ottavo, dalla legge n. 898 del 1970, neanche per la sopravvenienza di quei giustificati motivi cui l'art. 9 della stessa legge subordina l'ammissibilità della istanza di revisione dell'assegno corrisposto periodicamente. Peraltro, la corresponsione in unica soluzione dell'assegno è, a sua volta, assoggettata a determinati presupposti, previsti dal citato ottavo comma dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, la cui sussistenza è oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, impugnabile con i mezzi ordinari, pena la formazione del giudicato sul punto, con conseguente preclusione della proposizione di successive domande di contenuto economico nei confronti dell'ex coniuge.

Cass. civ. n. 15055/2000

In tema di assegno di divorzio, il criterio delle «ragioni della decisione» previsto dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970 se per un verso postula una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in una prospettiva comprendente l'intero periodo della vita coniugale, e quindi in una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale ed alla ricostituzione del consorzio familiare, per altro verso deve essere inteso nel senso che il comportamento dei coniugi anteriore alla separazione resta pur sempre separato ed assorbito dalla valutazione effettuata al riguardo dal giudice della separazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, preso atto che la separazione era stata pronunciata senza addebito, non aveva attribuito rilievo, ai fini dell'assegno di divorzio, alla pregressa relazione extraconiugale di uno dei coniugi).

Cass. civ. n. 13068/2000

In tema di assegno divorzile, la mancata prova, da parte del ricorrente che ne chieda l'attribuzione, delle condizioni richieste dalla legge non comporta quale conseguenza automatica il rigetto della domanda, in quanto nel nostro ordinamento processuale vige il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o per istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice. (Nella specie, alla stregua di tale principio la Suprema Corte, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano riconosciuto la fondatezza della domanda diretta all'attribuzione di assegno divorzile sulla base della documentazione prodotta dalla controparte a dimostrazione dei propri redditi, integrata dalle risposte rese dall'attrice in sede di interrogatorio libero, e dalle cartelle mediche relative ad un ricovero ospedaliero, dalle quali era emerso, quale dato non contestato dalla controparte, che l'attrice stessa non era in grado di sostenere un lavoro continuativo che le consentisse di procurarsi un reddito sufficiente alla propria sopravvivenza).

Cass. civ. n. 8233/2000

L'assegno di divorzio, ai sensi dell'articolo 5 legge n. 898 del 1970, ha la finalità di tutelare il coniuge economicamente più debole, ancorché il matrimonio abbia avuto breve durata e la comunione materiale e spirituale non siasi potuta costituire senza sua colpa, influendo tali elementi unicamente sulla misura dell'assegno; esula invece dalla ratio della norma il riconoscimento di un tale assegno ove il rapporto matrimoniale risulti, per volontà e colpa del richiedente l'assegno, solo formalmente istituito e non abbia dato luogo alla formazione di alcuna comunione materiale e spirituale fra i coniugi, sfociando dopo breve tempo in una domanda di divorzio (nella specie, per inconsumazione).

Cass. civ. n. 8225/2000

La misura dell'assegno divorzile ben può ricomprendere tutte le esigenze di vita del beneficiario, e non solo di quelle ordinarie e fondamentali. Ne consegue che legittimamente il giudice di merito ritiene, previa valutazione della sussistenza e dimensione di tali esigenze e delle concrete possibilità economiche dell'obbligato, che l'assegno, come determinato, sia idoneo a soddisfare tutte le necessità del beneficiario.

Il carattere assistenziale dell'assegno divorzile determina l'insorgenza del relativo diritto solo in presenza di una situazione patrimoniale e reddituale tale da non consentire la conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio. Ne consegue che il richiedente ha l'onere di fornire la dimostrazione della fascia socio-economica di appartenenza della coppia all'epoca della convivenza, e del relativo stile di vita adottato «manente matrimonio», nonché l'attuale situazione economica. Correttamente, pertanto, il giudice di merito, in mancanza di prova da parte del richiedente, fa riferimento, quale parametro di valutazione del pregresso tenore di vita, alla documentazione attestante i redditi dell'onerato.

Cass. civ. n. 8109/2000

Il principio secondo il quale gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile — che per la sua natura assistenziale è indisponibile — in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, trova fondamento nella esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole, la cui domanda di assegnazione dell'assegno divorzile potrebbe essere da detti accordi paralizzata o ridimensionata. Il richiamato principio, pertanto, non trova applicazione ove invocato, al fine di ottenere l'accertamento negativo del diritto dell'altro coniuge, da quello che dall'accordo potrebbe ricevere un aggravio dell'onere cui sia tenuto. Né può essere fatta valere, in sede di divorzio, la nullità di un accordo transattivo, ancorché parzialmente trasfuso nella separazione consensuale, già raggiunto tra i coniugi al solo scopo di porre fine ad una controversia di natura patrimoniale, tra gli stessi insorta, senza alcun riferimento, esplicito od implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio. Siffatto accordo, peraltro, acquisterebbe rilievo su detti rapporti, sotto il profilo della necessaria considerazione, da parte del giudice, della complessiva situazione reddituale delle parti, risultante, tra l'altro, dal credito di uno dei coniugi cui corrisponderebbe il debito dell'altro.

Cass. civ. n. 8417/2000

In tema di divorzio, il potere del tribunale di disporre indagini anche d'ufficio ai sensi dell'art. 6, comma nono, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e di avvalersi pure della polizia tributaria, come prevede espressamente l'art. 5, comma nono, della medesima legge con disposizioni applicabili per identità di ratio anche al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli, rientra nella sua discrezionalità e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche. L'unico limite a detto potere, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, è rappresentato dal fatto che il giudice, potendosene avvalere, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione da parte loro degli assunti sui quali le richieste si basano. In tal caso il giudice ha l'obbligo di disporre accertamenti d'ufficio, avvalendosi anche della polizia tributaria.

Cass. civ. n. 5582/2000

Il coniuge che afferma il proprio diritto all'assegno divorzile non deve provare la propria inadeguatezza ad un tenore di vita autonomo e dignitoso, bensì la propria inadeguatezza, per cause oggettive, a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; ne consegue che, ove sia provato che il livello socio-economico della coppia durante la vita comune fu assai modesto, non è sufficiente che l'istante provi il proprio stato di disoccupazione attraverso l'iscrizione alle liste di collocamento, essendo necessaria la prova dell'inesistenza assoluta di possibilità di lavoro, che, pur minime e occasionali, siano tali da garantire i limitati mezzi idonei a conservare il modestissimo tenore di vita goduto in precedenza.

Cass. civ. n. 3101/2000

L'accertamento del diritto all'assegno divorzile (di carattere esclusivamente assistenziale) va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi (o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) del coniuge richiedente, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto, fissate al momento del divorzio. Tale accertamento va compiuto mediante una duplice indagine, attinente all'an ed al quantum, nel senso che il presupposto per la concessione dell'assegno è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre) a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, non essendo necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto (il quale può essere anche economicamente autosufficiente) e rilevando, invece, l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche

Cass. civ. n. 2662/2000

La concessione dell'assegno divorzile trova presupposto nella inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Nella valutazione della sussistenza di tale presupposto, e nella conseguente, concreta liquidazione dell'assegno richiesto, correttamente il giudice di merito tiene conto dei cespiti ereditari pervenuti, in costanza di matrimonio durante il regime matrimoniale al coniuge obbligato, in quanto concorrenti a determinare il tenore di vita della coppia durante il regime matrimoniale.

Cass. civ. n. 13053/1999

In tema di quantificazione dell'assegno divorzile, mentre i vantaggi di ordine economico derivanti al coniuge richiedente l'assegno dalla sua stabile convivenza con altra persona, qualora detto coniuge possa liberamente disporne, vanno valutati al fine di accertare se egli abbia «mezzi adeguati», al contrario, ai fini della determinazione dell'ammontare dell'assegno dovuto, non può darsi rilievo ai redditi della persona che conviva con il coniuge tenuto al pagamento dell'assegno.

Cass. civ. n. 10260/1999

Atteso che la concessione dell'assegno divorzile trova presupposto nella inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi a garantirgli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, correttamente il giudice del merito, cui spetta il relativo accertamento, ravvisa il deterioramento delle precedenti condizioni economiche in dipendenza dal divorzio in caso di assenza di stabili fonti di sostentamento per il coniuge istante, rimanendo ininfluenti al riguardo la generica ed astratta possibilità dello stesso di procurarsi lavori saltuari, l'allegazione di poter ricevere contributi al sostentamento da parte dei figli, il non aver chiesto un assegno in sede di separazione, nonché l'esistenza di trattenute sulla pensione dell'ex coniuge per pregressi inadempimenti all'obbligo di mantenimento di un figlio minore, non incidendo tali circostanze sul diritto all'assegno.

Cass. civ. n. 9792/1999

Nella determinazione della entità dell'assegno di divorzio possono legittimamente spiegare influenza le modificazioni delle condizioni economiche delle parti in corso di giudizio, con la conseguenza che, in sede di giudizio di rinvio instauratosi a seguito di annullamento da parte della S.C., il giudice di merito ha facoltà di acquisire la documentazione fiscale inerente ai redditi delle parti negli anni successivi alla sentenza annullata, nonché di dare ingresso, se del caso, alla richiesta di indagini tributarie sul mutamento di dette condizioni economiche avanzate da una delle parti.

Cass. civ. n. 7672/1999

In tema di assegno divorzile, il criterio di determinazione della relativa entità in funzione «del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» ha riferimento al tenore di vita normalmente godibile in base ai redditi percepiti, sì che la preesistenza del detto tenore di vita deve ritenersi dimostrata, in via presuntiva, sulla base della semplice allegazione di tali redditi da parte del coniuge istante per l'assegnazione.

Cass. civ. n. 10803/1998

Nel procedimento di divorzio fra coniugi con figli minori o incapaci, a norma degli artt. 4 e 5 L. n. 898 del 1970 (come novellati dalla L. n. 74 del 1987), il pubblico ministero è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private ed è titolare di un autonomo potere d'impugnazione in relazione agli interessi dei suddetti figli, con la conseguenza che, ove uno dei coniugi abbia proposto appello avverso un capo della sentenza di primo grado riguardante i predetti interessi, il relativo atto d'appello deve essere notificato anche al P.M. presso il tribunale e, in difetto di notifica, il giudice di secondo grado deve disporre l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti a norma dell'art. 331 c.p.c.; tale integrazione è necessaria anche quando nel giudizio di secondo grado sia ritualmente intervenuto il procuratore generale presso la Corte d'appello, atteso che il pubblico ministero presso il giudice ad quem non ha il potere di impugnare la sentenza di primo grado e pertanto dal suo intervento non possono conseguire gli effetti cui è intesa l'integrazione del contraddittorio ai sensi del citato art. 331 c.p.c.

Cass. civ. n. 6468/1998

l'indagine del giudice di merito circa la capacità lavorativa del coniuge istante va condotta secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo un'attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l'affermazione della «esistenza di una fonte adeguata di reddito» — onde negare il diritto all'assegno divorzile in capo all'istante —, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, sic et simpliciter, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato. Tale conclusione, condivisibile, in ipotesi, in un regime economico di piena occupazione, si appalesa del tutto astratta ed inappagante sul piano della congruenza logica in relazione all'attuale contesto sociale, alla luce del quale si rende, invece, necessaria un'indagine compiuta con riferimento alle concrete possibilità lavorative del soggetto, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell'attribuzione dell'assegno, vale a dire se il coniuge possieda effettivamente, o sia concretamente in grado di procurarsi, redditi adeguati nel significato sopra specificato.

Cass. civ. n. 4809/1998

Nell'ambito del sistema normativo introdotto con la legge n. 74 del 1987, l'attribuzione dell'assegno di divorzio è indefettibilmente subordinata alla specifica circostanza di fatto della mancanza di mezzi adeguati o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, essendo gli altri criteri (condizioni dei coniugi; ragioni della decisione; contributo personale ed economico di ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio nel periodo matrimoniale; reddito di entrambi; durata del rapporto di coniugio) destinati ad operare solo se l'accertamento della predetta (ed unica) circostanza attributiva risulti di segno positivo. Il giudizio relativo a detto accertamento, articolandosi in due fasi (quella del riconoscimento del diritto in astratto e quella della determinazione in concreto dell'assegno), vede il giudice, nella prima di esse, chiamato a verificare l'esistenza del diritto in relazione all'inadeguatezza dei mezzi (raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio, onde procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare detta inadeguatezza, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno), e, nella seconda (dovendosi procedere alla determinazione in concreto dell'ammontare dell'assegno stesso), chiamato, poi, alla valutazione ponderata e bilaterale dei vari criteri normativamente stabiliti, che operano come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono, se del caso, addirittura azzerarla in ipotesi estreme, quando, cioè, la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione.

Cass. civ. n. 4615/1998

Nel procedimento per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, la domanda per l'attribuzione dell'assegno divorzile (art. 5, quarto comma, legge 898/70) ne presuppone la tempestiva proposizione secondo le ordinarie norme processuali, così che il giudice di appello deve rigettare la richiesta avanzata per la prima volta dinanzi a lui dal coniuge avente diritto, a nulla rilevando che questi sia rimasto contumace in primo grado.

Cass. civ. n. 2955/1998

Nella disciplina introdotta dall'art. 10 legge 6 marzo 1987, n. 74 il divario delle condizioni economiche dei coniugi al momento della pronuncia di divorzio non è di per sé solo presupposto sufficiente per l'attribuzione dell'assegno divorzile, atteso che questo è diretto ad assicurare la possibilità di partecipare agli eventuali miglioramenti della situazione economica dell'ex coniuge successivi alla cassazione della convivenza soltanto nel caso in cui tali miglioramenti costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio.

A seguito della disciplina introdotta dall'art. 10 legge 6 marzo 1987, n. 74, che ha innovato la normativa di cui all'art. 5 legge 1 dicembre 1970, n. 898, attribuendo all'assegno di divorzio natura esclusivamente assistenziale, il richiedente deve fornire la prova della mancanza di mezzi economici che gli permettano di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza che a tale fine possano supplire i poteri officiosi di indagine spettanti al giudice.

Cass. civ. n. 1031/1998

La richiesta di corresponsione dell'assegno periodico di divorzio di cui all'art. 5 della legge n. 898 del 1970 si configura come domanda (connessa ma) autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l'abbia ritualmente avanzata ben può proporla successivamente, senza che, a ciò, sia di ostacolo la (ormai intervenuta) pronuncia di scioglimento del vincolo del coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi (come appunto, quella di riconoscimento dell'assegno rispetto a quella di divorzio), che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio.

Cass. civ. n. 317/1998

L'assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dall'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74, modificativo dell'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, ha carattere esclusivamente assistenziale (di modo che deve essere negato se richiesto solo sulla base di premesse diverse, quale il contributo personale ed economico dato da un coniuge al patrimonio dell'altro), atteso che la sua concessione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. A quest'ultimo fine, peraltro, il giudice del merito, purché ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alla deduzione e richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno stesso.

Cass. civ. n. 8190/1997

Nel giudizio diretto allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'omessa produzione, all'atto del deposito del ricorso, dei documenti riguardanti il reddito indicati dall'art. 5 comma nono legge n. 898 del 1970, come modificato dalla legge n. 74 del 1987, non determina l'inesistenza o la nullità della conseguente pronuncia, rispetto alla quale le questioni di natura patrimoniale assumono carattere accessorio ed eventuale.

Cass. civ. n. 7629/1997

La pensione di invalidità e gli assegni ad essa connessi, inclusa la indennità di accompagno e di superinvalidità, avendo natura di reddito imponibile vanno compresi nel reddito utile per la determinazione dell'importo dell'assegno di divorzio, atteso che per espressa previsione del legislatore (art. 46, n. 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) costituiscono redditi da lavoro dipendente anche le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati e non è possibile alcuna estensione del beneficio della esclusione, contemplato per le pensioni di guerra, dal calcolo del reddito di coloro che ne fruiscono, godendo queste di una disciplina particolare in considerazione della natura risarcitoria che le caratterizza e che non può essere invece attribuita alle pensioni di invalidità concesse agli invalidi di servizio.

Cass. civ. n. 7199/1997

A seguito della disciplina introdotta dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, modificativo dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, che ha attribuito all'assegno di divorzio natura esclusivamente assistenziale, condizioni indispensabili per il suo riconoscimento sono la mancanza da parte del coniuge che lo pretende di mezzi adeguati o l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive e l'inferiorità della sua posizione economica rispetto all'altro coniuge. Ne consegue che, non avendo rilievo il riferimento ai criteri indennitario o risarcitorio (caratterizzanti invece l'assegno prima delle sopraindicate modifiche normative, ed utilizzabili eventualmente per la sua determinazione) l'accoglimento della domanda di attribuzione di un assegno divorzile presuppone da parte dell'attore la prova della propria impossidenza o della mancanza di mezzi economici e altresì la prova dell'ammontare dei redditi e delle sostanze dell'obbligato, oltreché del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Pertanto nel giudizio di appello contro la sentenza che abbia negato l'assegno, per indimostrata inadeguatezza dei mezzi del richiedente, quest'ultimo ha l'onere di contestare specificamente tale negativa valutazione, deducendo circostanze idonee a dimostrarne l'erroneità in riferimento ai sopraindicati presupposti, mentre la mera proposizione del gravame non può di per se esser considerata come implicita deduzione della ridetta inadeguatezza economica, con l'ulteriore conseguenza che la sentenza d'appello non è viziata in procedendo qualora confermi il rigetto della domanda sul rilievo della mancata allegazione dei fatti costitutivi del diritto azionato.

Cass. civ. n. 5986/1997

Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, nel testo introdotto dalla legge n. 74 del 1987, l'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge trova presupposto nell'inadeguatezza dei suoi mezzi economici a consentirgli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, avendo il fine di porre in adeguata misura rimedio al deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, la cui valutazione va fatta con riferimento al momento della pronunzia di divorzio. Sicché, l'emanazione della sentenza non definitiva prevista dall'art. 4, comma nono, della legge n. 898 del 1970, nel testo modificato dalla legge n. 74 del 1987, comporta che l'assegno di divorzio debba essere successivamente quantificato con riferimento al momento di tale decisione, che la sentenza definitiva è destinata ad integrare con la liquidazione dell'assegno, salve da un lato (ove ne sussistano valide ragioni) l'eventuale pronuncia della sua retroattività dal momento della domanda e, dall'altro, le eventuali modifiche dell'assegno a far tempo dai documentati mutamenti delle condizioni economiche delle parti sopraggiunti in corso di causa.

Cass. civ. n. 5244/1997

Gli accordi economici intervenuti fra i coniugi al momento della separazione non possono spiegare efficacia preclusiva alla determinazione giudiziale dell'assegno di divorzio, atteso che, ove la causa di tali accordi fosse la liquidazione preventiva e forfettaria dell'assegno di divorzio, essi sarebbero nulli, sia per l'indisponibilità dell'assegno di divorzio (rafforzata dalla legge n. 74 del 1987 che ha conferito al suddetto assegno natura eminentemente assistenziale), sia per illiceità della causa (avendo tali accordi sempre l'effetto di condizionare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status); diverso è il caso delle intese economiche prospettate dalle parti con la domanda congiunta di divorzio ai sensi dell'art. 4 legge n. 74 del 1987, poiché tali intese (che vanno pur sempre sottoposte ad una valutazione giudiziale) si riferiscono ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato.

Cass. civ. n. 4067/1997

L'art. 5, ultimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74), il quale impone, alle parti, di presentare la dichiarazione dei redditi all'udienza di comparizione presidenziale, non fa obbligo al giudice delle successive fasi di merito, di far ricorso a simile documento. Esso costituisce, infatti, solo uno dei mezzi — sia pure privilegiato dalla legge — attraverso il quale il giudice può prendere conoscenza delle condizioni patrimoniali della parte, e del quale egli può, pertanto, motivatamente, fare a meno.

Cass. civ. n. 3676/1997

Ove la sentenza di divorzio venga impugnata in relazione all'ammontare dell'assegno divorzile, il giudice d'appello, al fine di stabilire l'entità dell'assegno in favore del coniuge che, in conseguenza del divorzio, è venuto a subire un deterioramento delle sue condizioni economiche, deve fare riferimento non agli attuali redditi dei coniugi, bensì a quelli risultanti al momento della sentenza impugnata. Ove, pertanto, dopo la sentenza di divorzio in primo grado, sopravvengano mutamenti della situazione economica dei coniugi grava sulla parte interessata l'onere di chiedere la riduzione dell'assegno e di fornire la relativa prova.

Cass. civ. n. 11340/1996

In tema di assegno divorzile, l'art. 5 settimo comma della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, nell'affidare al giudice del merito il potere di escludere l'aggiornamento automatico dell'assegno medesimo, ove comporti risultati di evidente iniquità, non elenca ipotesi tassative e tipiche, né consente di circoscrivere la situazione d'iniquità al solo caso in cui le entrate del soggetto obbligato abbiano carattere di rigidità. Detta facoltà di deroga deve pertanto ritenersi esercitabile pure in presenza di redditi di lavoro, verosimilmente incrementabili in futuro, se le peculiarità della concreta vicenda rendano ingiusto un prefissato aumento periodico dell'ammontare dell'assegno.

Cass. civ. n. 9756/1996

In tema di assegno di divorzio, il potere concesso al tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita dei coniugi, valendosi, se del caso, della polizia tributaria (art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987) è subordinato alla disponibilità delle parti, ossia alla contestazione mossa da un coniuge circa la sufficienza e la veridicità, ai fini della decisione, della documentazione depositata dall'altro coniuge. Ne consegue che l'acquiescenza della parte interessata, che non contesti le risultanze e la completezza di detta documentazione, preclude alla medesima di dedurre in sede d'impugnazione il mancato uso di tali poteri da parte del tribunale e, in caso di contestazione, ove il giudice non faccia uso di essi, incombe sulla parte l'onere di dedurre in sede d'impugnazione l'uso mancato, insistendo per il suo esercizio.

Cass. civ. n. 9238/1996

Quando nel corso di una fase di impugnazione di capo della sentenza di divorzio — passata in giudicato quanto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio — relativo alla quantificazione della misura dell'assegno stabilito, per il mantenimento di un figlio, a favore di uno degli ex coniugi (il quale può vantare un diritto iure proprio per il contributo dell'altro genitore anche quando il figlio sia divenuto maggiorenne, se lo stesso non sia autosufficiente) si verifica la morte della parte beneficiaria dell'assegno, non si determina la cessazione della materia del contendere, perché il principio della irrinunciabilità e intrasmissibilità del diritto al mantenimento non trova applicazione, una volta proposta la relativa domanda giudiziale, per le rate scadute.

Cass. civ. n. 8057/1996

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio a favore dell'ex coniuge — che è il risultato di un apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione, ove immune da vizi di motivazione — i redditi dei coniugi non devono essere accertati nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle rispettive posizioni patrimoniali complessive, dal rapporto delle quali risulti l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.

Cass. civ. n. 6087/1996

L'art. 5, comma 9, L. n. 898 del 1970 — il quale stabilisce che, in caso di contestazioni, il tribunale «dispone» indagini sui redditi e patrimoni delle parti, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria — ed il successivo art. 6, comma 9 — il quale dispone che i provvedimenti in materia di contributo per il mantenimento dei figli minori debbono essere emessi «dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice» — introducendo il potere di disporre indagini ed assumere mezzi di prova d'ufficio, hanno operato una deroga alle regole generali sull'onere della prova, deroga comportante che le istanze delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell'istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate. Dette norme, intese a sancire poteri istruttori d'ufficio per finalità di natura pubblicistica, stante l'identità della ratio, sono applicabili anche al procedimento di revisione delle disposizioni concernenti l'assegno di divorzio e il contributo di mantenimento dei figli minori, disciplinato dall'art. 9 della L. n. 898 del 1970.

Cass. civ. n. 5664/1996

Quando oggetto della controversia sia lo scioglimento del matrimonio per divorzio, la morte di uno dei coniugi, sopravvenuta dopo la notificazione della sentenza di primo grado e durante la decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., non dà luogo al fenomeno processuale della interruzione di tale termine, ma, determinando lo scioglimento del matrimonio per altra causa, preclude il passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio (ancorché emessa, nell'ipotesi, su domanda congiunta dei coniugi), fa cessare la materia del contendere e rende inammissibile il gravame eventualmente proposto. Pertanto, qualora venga in contestazione che il matrimonio non si sia sciolto per divorzio, ma per la morte di uno dei coniugi intervenuta prima del passaggio in giudicato della decisione giudiziale, dovrà essere proposta apposita domanda, in primo grado, per l'accertamento della situazione controversa, non potendo la stessa essere formulata in un atto d'impugnazione proposto nei confronti degli eredi del coniuge defunto.

Cass. civ. n. 2273/1996

In tema di adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, poiché l'art. 5, comma 7, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dall'art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74, dispone che l'adeguamento deve essere stabilito «almeno» con riferimento agli indici ufficiali di svalutazione monetaria (salvo il caso di palese iniquità, che richiede specifica motivazione), il potere discrezionale del giudice di scegliere, in relazione alla peculiarità della fattispecie, altri possibili criteri di adeguamento — per rapportare l'interesse del beneficiario ad una totale conservazione del potere di acquisto dell'assegno al grado di elasticità dei redditi del soggetto obbligato — è subordinato alla verifica che tali criteri non comportino un adeguamento inferiore a quello conseguibile attraverso l'applicazione degli indici Istat.

Cass. civ. n. 496/1996

Ai fini dell'art. 5, comma 9, L. 1° dicembre 1970, n. 898, come integrata dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, la prova del reddito può essere data, oltre che con la documentazione prevista dalla norma stessa, con qualsiasi mezzo, compresa la presunzione. Di conseguenza, per «contestazione» — prevista dalla norma citata quale condizione per l'esperimento di ulteriori indagini — deve intendersi non la mera la negazione delle prove fornite da controparte, bensì la stessa negazione quando sia supportata da sufficienti elementi di ragionevolezza.

Cass. civ. n. 13131/1995

La disposizione dell'art. 5, settimo comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo novellato dall'art. 10 legge 6 marzo 1987, n. 74, relativa all'adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, va applicata analogicamente all'assegno di mantenimento previsto in materia di separazione personale dei coniugi.

Cass. civ. n. 13017/1995

Nella disciplina introdotta con l'art. 10 della legge n. 74 del 1987, modificativo dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, l'assegno periodico di divorzio ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua concessione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi (comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre) a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Detto assegno, pertanto, è diretto ad evitare il deterioramento delle condizioni economiche esistenti in costanza di matrimonio, non già ad assicurare i vantaggi derivanti dalla possibilità di partecipare agli eventuali miglioramenti della situazione economica dell'ex coniuge, successivi alla cessazione della convivenza.

Cass. civ. n. 6787/1995

L'obbligo del giudice del rinvio di attenersi al principio enunciato dalla Corte di cassazione, a norma dell'art. 384 c.p.c., viene meno nel caso in cui, dopo la riassunzione del giudizio di rinvio, muti la norma dalla quale il principio di diritto è stato dedotto (nella specie, erano cambiati i criteri per l'attribuzione dell'assegno di divorzio a seguito della L. 6 marzo 1987, n. 74, il cui art. 19, quarto comma, aveva modificato l'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898).

Cass. civ. n. 6737/1995

Nelle obbligazioni relative al pagamento dell'assegno divorzile e del contributo per il mantenimento dei figli, come in quelle alimentari, la determinazione monetaria della prestazione non è fine a se stessa, ma è legata ad un determinato potere di acquisto, che deve essere salvaguardato nonostante il variare del valore intrinseco della moneta, per non compromettere la funzione delle suddette obbligazioni, che consiste nell'attribuire al beneficiario un apporto periodico incidente “in misura reale” sulle sue condizioni di vita. Pertanto, nei confronti di tali obbligazioni — che si differenziano dalle obbligazioni cosiddette di valuta, assoggettate al principio nominalistico — si deve tener conto del variare del potere di acquisto della moneta sia ai fini del loro aggiornamento periodico, sia anche ai fini della loro stessa liquidazione, specialmente quando intercorre un notevole lasso di tempo tra il momento della liquidazione e l'epoca alla quale le prestazioni sono riferite.

Cass. civ. n. 4456/1995

Le cause concernenti l'assegno di divorzio non sono riconducibili alle cause “relative ad alimenti” — che vanno identificate nelle liti aventi ad oggetto l'obbligo legale di prestare gli alimenti ai sensi degli artt. 433 e ss. c.c. — stante la chiara diversità tra le finalità dei due istituti e tra i presupposti per il sorgere dell'una e dell'altra obbligazione. Di conseguenza alle cause predette si applica la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale di cui all'art. 1 della L. 7 ottobre 1969, n. 742.

Cass. civ. n. 1616/1995

La disposizione dell'art. 5, sesto comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 — come modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74 — sulla quantificazione dell'assegno divorzile, imponendo che tutte le condizioni concorrenti alla stessa devono essere valutate anche «in rapporto alla durata del matrimonio», comporta una diversa rilevanza dei due periodi matrimoniali — quello che decorre dalla stipulazione alla separazione e quello successivo alla separazione — sotto il profilo probatorio. Infatti, solo il periodo che arriva alla separazione corrisponde alla effettiva comunione materiale e spirituale dei coniugi e può fungere, quindi, da parametro «presuntivo» di valutazione delle altre menzionate condizioni, laddove il periodo successivo alla separazione, essendo venuta meno detta comunione, assurge a parametro solo ove si dimostri la sua effettiva rilevanza rispetto alle singole condizioni.

Cass. civ. n. 8081/1994

In caso di violazione da parte della moglie divorziata del divieto di uso del cognome del marito (art. 5, comma 2, L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo sostituito dall'art. 9, L. 6 marzo 1987, n. 74) da quest'ultimo può, ai sensi dell'art. 7 c.c., chiedere la cessazione del fatto lesivo ed altresì agire per il risarcimento del danno. Tuttavia, mentre per l'inibitoria è sufficiente che l'attore dimostri, oltre all'uso illegittimo del proprio nome, la possibilità che da ciò gli derivi pregiudizio — il quale può essere, quindi, meramente potenziale ovvero di ordine soltanto morale — ai fini dell'azione risarcitoria, devono sussistere i requisiti soggettivi ed oggettivi dell'illecito aquiliano, ex artt. 2043 e seguenti c.c., sicché non solo è necessaria l'esistenza di un pregiudizio effettivo, ma questo, se non ha carattere patrimoniale, è risarcibile, ai sensi dell'art. 2059 c.c., soltanto ove nella condotta dell'indebito utilizzatore sia configurabile un illecito penalmente sanzionato.

Cass. civ. n. 3429/1994

Al fine del disconoscimento del diritto all'assegno di divorzio (art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74), quando la possibilità di procurarsi mezzi adeguati viene ravvisata nella possibilità di tornare a svolgere una attività lavorativa (come durante il matrimonio), pur non richiedendosi che l'ex coniuge debba necessariamente svolgere lo stesso tipo di lavoro, occorre tuttavia che la possibilità di lavorare sia rapportata, sotto l'aspetto economico-sociale, a quella svolta durante il matrimonio, non potendo ritenersi adeguata qualsiasi attività lavorativa, a prescindere da ogni rapporto con quella svolta in precedenza.

Cass. civ. n. 3153/1994

L'indicizzazione dell'assegno di divorzio è stata specificamente prevista dal legislatore (art. 5, settimo comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dall'art. 10, L. 6 marzo 1987, n. 74) ed il giudice deve provvedere al riguardo indipendentemente da apposita domanda, ma tale potere-dovere è assolto con l'indicazione del criterio di adeguamento, senza che sia necessario prevedere criteri alternativi al fine di assicurare il risultato più favorevole per il coniuge destinatario dell'assegno.

Cass. civ. n. 3049/1994

L'assegno divorzile — nella disciplina introdotta dall'art. 10, L. 6 marzo 1987, n. 74, modificativo dell'art. 5, L. 1 dicembre 1970, n. 898 — ha carattere esclusivamente assistenziale, sicché deve essere negato se richiesto solo sulla base di premesse diverse, legate alla invocata applicazione del criterio compensativo e/o del criterio risarcitorio e/o della durata del matrimonio, essendo tutti questi criteri applicabili soltanto per quantificare l'assegno dovuto al coniuge privo di mezzi adeguati, cioè che non disponga di mezzi idonei a conservare un tenore di vita simile a quello avuto in costanza di matrimonio.

Cass. civ. n. 2982/1994

In tema di divorzio, il coniuge che richiede l'assegno di cui al sesto comma dell'art. 5, L. 1 dicembre 1970, n. 898, mentre può limitarsi a dedurre di non avere i mezzi adeguati, trasferendo così sulla controparte l'onere probatorio della contraria verità, allorché deduce invece la impossibilità per ragioni obiettive di procurarsi quei mezzi ha l'onere di provare il fondamento di tale situazione.

Cass. civ. n. 2872/1994

In tema di determinazione dell'assegno di divorzio, le «ragioni della decisione» — intese con riguardo ai comportamenti che hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia — possono essere prese in considerazione dal giudice, unitamente a tutti gli altri elementi indicati nell'art. 5, sesto comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898, soltanto nella fase della concreta determinazione dell'assegno, come criterio di moderazione dell'ammontare del medesimo, e postulano quindi il previo accertamento della sussistenza del diritto del richiedente sulla base del solo «criterio assistenziale». Ne consegue che è del tutto superflua l'indagine sugli anzidetti comportamenti dei coniugi e sulla ricorrenza del cosiddetto «presupposto risarcitorio», quando il giudice del merito, in esito alla globale valutazione delle circostanze del caso concreto, abbia stabilito che l'ex coniuge richiedente dispone di «mezzi adeguati», ovvero che il coniuge sul quale dovrebbe gravare l'assegno è privo delle necessarie risorse economiche.

Cass. civ. n. 9560/1993

A norma dell'art. 5, sesto comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 10, L. n. 74 del 1987, l'obbligo di corresponsione dell'assegno di divorzio non è condizionato all'opposizione, da parte del beneficiario di tale assegno, alla pronuncia di divorzio, senza per ciò comportare violazioni dell'art. 3 della Costituzione, in riferimento all'art. 156 c.c., in quanto l'addebitabilità della separazione, quale condizione ostativa all'attribuzione dell'assegno di mantenimento, non è assolutamente equiparabile alla mancata opposizione alla domanda di divorzio.

Cass. civ. n. 9494/1992

Gli accordi preventivi tra coniugi sul regime economico del divorzio sono affetti da radicale nullità, per illiceità della causa, avendo sempre l'effetto, se non anche lo scopo, di condizionare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, in un campo, cioè, in cui la libertà di scelta ed il diritto di difesa esigono invece di essere indeclinabilmente garantiti; né a diverso avviso può indurre la possibilità — innovativamente introdotta dall'art. 4 della L. 6 marzo 1987, n. 74 — di proporre congiuntamente la domanda di divorzio, poiché in questa evenienza le intese raggiunte dalle parti sul relativo assetto economico attengono ad un divorzio che esse hanno già deciso di conseguire, e quindi non semplicemente prefigurato.

Cass. civ. n. 6857/1992

A norma della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (sia nella originaria formulazione, che a seguito della legge di riforma 6 marzo 1987, n. 74), l'accordo con il quale i coniugi fissano, in costanza di matrimonio, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, deve considerarsi invalido, oltre che nella parte riguardante i figli, anche nella parte concernente l'assegno spettante al coniuge ai sensi dell'art. 5, in forza della radicale indisponibilità preventiva dei diritti patrimoniali conseguenti allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Infatti, un siffatto accordo non solo contrasta con l'art. 9 della medesima legge, il quale consente la revisione in ogni tempo delle disposizioni concernenti la misura e la modalità di versamento dell'assegno, ma anche, e soprattutto, ha causa illecita, in quanto appare sempre connesso, esplicitamente o implicitamente, alla finalità di viziare o limitare la libertà di difendersi nel successivo giudizio di divorzio, sia in relazione agli aspetti economici, sia in relazione alla stessa dichiarazione di divorzio, in contrasto anche con la nuova disciplina della L. n. 74 del 1987, che, configurando detto assegno con natura eminentemente assistenziale, ne si pone in evidenza il carattere di indisponibilità in correlazione con il principio generale dell'ordinamento secondo cui gli emolumenti di varia natura correlati alle esigenze di vita (pensioni, alimenti, retribuzioni ecc.) sono indisponibili.

Cass. civ. n. 2932/1991

In tema di assegno di divorzio e di contributo per il mantenimento del figlio è legittima la statuizione del giudice del merito che disponga a carico dell'ex coniuge obbligato il pagamento del canone di locazione e degli oneri accessori relativi alla casa familiare a titolo di contributo per il mantenimento del figlio ed a titolo di assegno divorzile, in quanto il sistema di individuazione e di aggiornamento dell'equo canone rende certa e facilmente valutabile monetariamente l'obbligazione.

Cass. civ. n. 2799/1990

In tema di assegno di divorzio, nella disciplina introdotta dall'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74 (sostitutivo dell'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898), l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, la quale costituisce presupposto per il riconoscimento dell'assegno stesso, va riscontrata tenendo conto non soltanto dei redditi, ma anche dei cespiti patrimoniali (atti a soddisfare, tramite alienazione, i bisogni del proprietario), e valutando se gli uni e gli altri siano o meno idonei alla conservazione di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che assuma rilievo lo stato di bisogno dell'avente diritto — il quale può essere economicamente autosufficiente — rilevando solo l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo, che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio.

Cass. civ. n. 6558/1988

In tema di assegno di divorzio, l'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74, il quale, integrando l'art. 5 della L. 1° dicembre 1970, n. 898, contempla l'adeguamento automatico di tale assegno almeno in relazione agli indici di svalutazione monetaria (salvo il caso di palese iniquità), trova immediata applicazione, quale ius superveniens di natura sostanziale, nei giudizi in corso, e, quindi, anche in sede di legittimità, ove il ricorso investa la questione cui si riferisce detta innovazione.

Cass. civ. n. 8502/1987

In sede di determinazione dell'assegno di divorzio previsto dall'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, il giudice con riguardo alle condizioni economiche delle parti non deve limitarsi ad accertare se il coniuge richiedente disponga di mezzi sufficienti per le ordinarie esigenze di vita, ma deve comparare le situazioni economiche e ricercare un ragionevole equilibrio con la finalità di tutelare il coniuge che, a causa dello scioglimento del vincolo, patisce un apprezzabile deterioramento di vita. A tal fine è irrilevante la situazione che regolava il precedente regime di separazione — concretandosi nella dichiarazione dello stesso coniuge richiedente di essere autosufficiente e nella rinuncia all'assegno alimentare — perché la regolamentazione dei rapporti economici all'atto della cessazione degli effetti civili del matrimonio ha finalità del tutto autonome e prescinde sia dalle convenzioni anteriori, sia da situazioni precedentemente accertate.

Cass. civ. n. 72/1986

Ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio, l'applicazione del criterio cosiddetto compensativo (la cui finalità è appunto quella di compensare il coniuge dei sacrifici affrontati per il benessere generale della famiglia) conduce a prendere in considerazione ogni contributo fornito dal coniuge stesso alla conduzione della famiglia, sia sotto il profilo etico (cure dedicate alla persona del coniuge, alla casa ecc.), sia sotto il profilo più propriamente economico, per la formazione e conservazione del patrimonio domestico.

Cass. civ. n. 5717/1985

La disposizione dell'art. 5 penultimo comma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, secondo la quale l'obbligo alla corresponsione dell'assegno di divorzio cessa con il nuovo matrimonio del coniuge creditore, trova giustificazione nel sorgere del diritto di quest'ultimo a conseguire il mantenimento dal nuovo coniuge. Detta norma, pertanto, non può essere invocata nel diverso caso di relazione extraconiugale del divorziato, ancorché con connotati di continuità, non implicando essa alcun diritto al mantenimento nei confronti del convivente.

Cass. civ. n. 3552/1985

Nelle cause di divorzio fra coniugi che non abbiano figli, o non abbiano figli minori od incapaci, deve escludersi, in sede di legittimità, l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti del pubblico ministero presso il giudice a quo, tenuto conto che questi assume la veste di parte necessaria solo nel diverso caso in cui, essendovi figli minori od incapaci, è titolare di autonomo potere d'impugnazione a tutela dei loro interessi (art. 5 terzo comma della L. 1 dicembre 1970, n. 898), e che inoltre, nelle predette cause, le facoltà spettanti all'ufficio del pubblico ministero, in qualità di interventore, restano assicurate dalla partecipazione al procedimento di cassazione del procuratore generale presso la Suprema Corte.

Cass. civ. n. 3390/1985

Costituisce contributo alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi i coniugi, e come tale è rilevante al fine del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno di divorzio secondo il criterio cosiddetto compensativo, anche l'apporto personale nel soddisfacimento delle esigenze domestiche, in quanto idoneo a liberare l'altro coniuge da compiti familiari ed a consentirgli di dedicarsi esclusivamente alla produzione di reddito.

Cass. civ. n. 3183/1985

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio e del contributo per il mantenimento dei figli è consentita al giudice di merito l'utilizzazione dei fatti notori (art. 115, comma secondo, c.p.c.) quando sia diretta non alla stima precisa del reddito dei due coniugi, ma alla individuazione di un livello medio di reddito, che, in mancanza di elementi di prova contrari, deve presumersi conseguito.

Cass. civ. n. 4093/1982

L'obbligatorietà dell'intervento del pubblico ministero nelle cause di divorzio, come negli altri casi previsti dalla legge, non richiede che un rappresentante di detto ufficio partecipi alle udienze istruttorie, o renda conclusioni in occasione della rimessione della causa al collegio, ma postula soltanto che l'ufficio medesimo sia informato del processo, per poter in esso esercitare i poteri attribuiti dall'ordinamento, ivi compreso quello di presentare conclusioni con comparsa scritta davanti al collegio.

Cass. civ. n. 3993/1982

Al fine del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno di divorzio, è irrilevante la circostanza che il coniuge istante abbia un figlio soggetto ad obbligo alimentare verso di lui, atteso che tale obbligo del figlio è di grado posteriore rispetto all'obbligo alimentare dell'altro coniuge (art. 433 c.c.), il quale permane anche dopo lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, sia pure con particolare disciplina.

Cass. civ. n. 1757/1982

La morte di uno dei coniugi, quale evento che travolge ope legis il rapporto matrimoniale, e quindi rimuove i presupposti per la prosecuzione della causa di divorzio (tenendo conto dell'operatività ex nunc della relativa pronuncia), determina la cessazione della materia del contendere in detta causa, con la caducazione della sentenza che sia stata in precedenza resa e non abbia ancora acquisito definitività, anche quando si verifichi in pendenza del termine d'impugnazione, potendo in tale ipotesi essere fatta valere anche dal coniuge superstite, con atto d'impugnazione proposto nei confronti degli eredi del coniuge defunto, indipendentemente dalla posizione che lo stesso coniuge superstite abbia assunto nella pregressa fase processuale.

Cass. civ. n. 1477/1982

Al fine del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno di divorzio, l'indagine sulle rispettive condizioni economiche dei coniugi deve tenere conto degli aiuti e delle erogazioni che il coniuge istante per l'assegno riceva da un terzo, ancorché si tratti di convivente more uxorio, qualora tali elargizioni presentino carattere di continuità, regolarità e sicurezza.

Cass. civ. n. 270/1982

Le «ragioni della decisione», in relazione alle quali, in conseguenza dello scioglimento del matrimonio, viene riconosciuto e quantificato l'assegno previsto dall'art. 5, quarto comma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, comprendono anche fatti o comportamenti non colposi o dolosi, ma obiettivamente riferibili a l'uno o l'altro dei coniugi, quali cause di disgregazione del matrimonio, secondo un criterio di collegamento puramente fenomenico, e non a titolo di imputabilità soggettiva. Pertanto, qualora tale scioglimento consegua a dispensa pontificia per matrimonio rato e non consumato (resa esecutiva nell'Ordinamento statale), la quale si basi sulla prova certa della mancata consumazione del matrimonio, e sull'esclusione, allo stato, della dimostrazione di un'impotenza assoluta o relativa anteriore al matrimonio stesso (la quale implicherebbe motivo di nullità del vincolo), il giudice del merito, chiamato a liquidare il suddetto assegno, può e deve valutare, fra le indicate ragioni, se vi sia incapacità al congiungimento carnale di un coniuge, e se essa, in relazione al comportamento dell'altro, sia o meno al medesimo coniuge oggettivamente riferibile, atteso che, in caso positivo, e pur in difetto di colpa, (cioè di conoscenza anteriore dello stato di incapacità), trattasi di circostanza che spiega rilievo causale sulla disgregazione del rapporto coniugale.

Qualora il vincolo coniugale si disgreghi immediatamente, per effetto di mancata consumazione, e venga poi sciolto con dispensa pontificia, resa esecutiva nell'Ordinamento statale, l'indagine diretta al riconoscimento ed alla liquidazione dell'assegno previsto dall'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, anche per quanto riguarda la lesione delle legittime aspettative patrimoniali del coniuge economicamente più debole, va condotta con riferimento a quel fatto, subito incidente sul rapporto coniugale, ed alla data del suo verificarsi, mentre resta a tal fine irrilevante ogni valutazione del momento e dei patti della separazione consensuale, che sia intervenuta in esclusiva correlazione all'impossibilità di continuare la vita in comune per difetto di consumazione del matrimonio.

Cass. civ. n. 268/1982

Qualora l'assegno di divorzio sia stato fissato, con sentenza passata in giudicato, non in una somma da corrispondersi in unica soluzione, ma bensì in una somma periodica, a carico direttamente del coniuge obbligato, la sopravvenienza del fallimento di questo ultimo comporta che al coniuge beneficiario, salva restando la possibilità di richiedere il sussidio alimentare di cui all'art. 47 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non è consentito di far valere, nei confronti della massa, le rate posteriori alla dichiarazione del fallimento stesso, tenuto conto dell'inapplicabilità del sistema di capitalizzazione contemplato dall'art. 60 del citato decreto, il quale si riferisce ai crediti certi ed insuscettibili di variazioni nel tempo, e non può quindi operare per il credito in questione, sempre modificabile (quali siano stati i criteri seguiti per la sua attribuzione) in relazione alla diminuzione ed al venir meno delle risorse del debitore, e che inoltre, anche limitatamente alle rate maturate nel corso della procedura concorsuale, la suddetta insinuazione al passivo trova ostacolo tanto nel fatto che le rate stesse configurano prestazioni autonome, venute ad esistenza dopo il fallimento, quanto nella facoltà degli organi della procedura di opporre al coniuge creditore l'intervenuta modifica della situazione patrimoniale del coniuge obbligato.

Cass. civ. n. 5874/1981

I criteri previsti dall'art. 5 comma quarto legge 1 dicembre 1970, n. 898, per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno di divorzio, vanno riscontrati con riferimento ai fatti verificatisi per tutta la durata del vincolo matrimoniale e non nel solo periodo della convivenza fra i coniugi. Pertanto, nella nozione di contributo dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi deve comprendersi non solo quello fornito nel periodo di convivenza coniugale, ma anche quello prestato in regime di separazione, specie per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione dei figli.

Cass. civ. n. 5447/1981

Ai fini dell'individuazione del coniuge a favore del quale deve essere fatta l'attribuzione dell'assegno di divorzio, il giudice non può trarre argomento dalla circostanza che in sede di separazione consensuale un coniuge si sia impegnato a corrispondere all'altro un assegno di mantenimento, in quanto tale pattuizione non costituisce da sola indice dello stato di bisogno del coniuge beneficiario, potendo la stessa essere stata motivata dalla necessità di conseguire un diverso vantaggio quale quello di non indurre il coniuge a promuovere un'azione giudiziale di separazione con addebito, con la conseguenza che il giudice del merito può tenere conto di tale pattuizione ai predetti fini solo ove accerti che la stessa sia stata determinata da un effettivo stato di bisogno del coniuge beneficiario.

Allorquando il coniuge divorziato si sia formato una nuova famiglia, nei cui confronti è pur sempre legato da impegni riconosciuti dalla legge, occorre temperare la misura dell'assegno di divorzio a favore dei membri della prima famiglia nei limiti in cui questo temperamento non si risolva in una situazione deteriore rispetto a quella goduta dai componenti della seconda famiglia.

In sede di individuazione delle ragioni della decisione, ossia quando si debba applicare il criterio risarcitorio che attribuisce rilievo, agli effetti patrimoniali, alla responsabilità per il fallimento del matrimonio, il giudice, quando il divorzio sia chiesto sulla base della separazione personale, non può arrestarsi alla mera constatazione che quest'ultima sia stata pronunziata per colpa o che nessun addebito sia stato accertato in sede di giudizio o, infine, che la separazione predetta sia avvenuta consensualmente, in quanto, in tema di divorzio, la legge attribuisce rilievo — sia pure ai fini meramente patrimoniali — alla responsabilità per il fallimento del matrimonio in una prospettiva che comprende tutto l'arco della vita coniugale e la relativa indagine deve avere riguardo soprattutto alle cause dell'irreversibilità della disgregazione della comunione materiale e spirituale della famiglia, che costituisce il più diretto presupposto della pronunzia di divorzio, con la conseguenza che, ai predetti fini, rileva non tanto che uno dei coniugi abbia compiuto fatti che hanno dato inizio alla disgregazione materiale della famiglia, quanto, piuttosto, che alcuno di essi abbia compiuto fatti che impediscono la ricostituzione del predetto vincolo materiale e spirituale.

Cass. civ. n. 3777/1981

In tema di divorzio, il preventivo accordo con cui gli interessati stabiliscono, in costanza di matrimonio, il relativo regime giuridico, anche in riferimento ai figli minori, convenendone l'immodificabilità per un dato periodo di tempo, è invalido, nella parte riguardante i figli, per l'indisponibilità dell'assegno dovuto ai sensi dell'art. 6 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, e, nella parte riflettente l'assegno spettante all'ex coniuge a norma del precedente art. 5, per contrasto sia con l'art. 9 della stessa legge, che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del suindicato regime, sia con l'art. 5 citato, che, fissando i criteri per il riconoscimento e la determinazione di un assegno all'ex coniuge, configura un diritto insuscettibile, anteriormente al giudizio di divorzio, di rinunzia o transazione, attesa l'illiceità della causa di un negozio siffatto, perché sempre connessa, esplicitamente o implicitamente, all'intento di viziare, o quanto meno di circoscrivere, la libertà di difendersi in detto giudizio, con irreparabile compromissione di un obiettivo d'ordine pubblico come la tutela dell'istituto della famiglia. Pertanto, in tale giudizio, non può una delle parti impedire all'altra di provare la verità delle condizioni di fatto alle quali la legge subordina e commisura l'assegno di divorzio e quello di mantenimento per i figli, eccependo l'intangibilità dell'accordo intervenuto in merito prima dell'inizio del giudizio medesimo.

Cass. civ. n. 3549/1981

In caso di scioglimento del matrimonio, in base a pregressa separazione dei coniugi, il criterio del riferimento alle ragioni della decisione va inteso con riferimento al comportamento dei coniugi successivo alla separazione, poiché il comportamento anteriore resta superato ed assorbito dalla valutazione fatta al riguardo dal giudice della separazione, ovvero da quella delle stesse parti nel caso di separazione consensuale omologata.

Cass. civ. n. 358/1978

Nell'indagine sulle condizioni economiche dei coniugi, al fine del riconoscimento e della determinazione dell'assegno di divorzio, le capacità di guadagno dei coniugi medesimi vanno riscontrate non in base alla generica ed ipotetica attitudine al lavoro, ma in relazione alle effettive possibilità di svolgimento di attività lavorativa, alla stregua di ogni concreto fattore, sia individuale, sia ambientale ed economico-sociale.

Cass. civ. n. 4470/1977

La contumacia di una delle parti in causa rappresenta l'esercizio di un suo potere processuale, garantito e disciplinato da precise disposizioni del c.p.c. (artt. 290 e 294), e non può essere trasformata in elemento di prova circa la fondatezza delle tesi della controparte; essa, come il silenzio nella dogmatica dei rapporti giuridici sostanziali, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà e lascia inalterata la naturale contrapposizione delle situazioni giuridiche tra attore e convenuto. Conseguentemente, nessun significato di rinunzia all'assegno di divorzio può desumersi dalla contumacia del coniuge convenuto nel giudizio proposto per lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

Cass. civ. n. 4489/1976

Ai fini della determinazione dell'ammontare dell'assegno spettante alla moglie divorziata, il giudice, nell'accertare la condizione economica del marito a norma dell'art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, può legittimamente tener conto anche delle spese gravanti sul medesimo per il mantenimento di una donna con lui convivente more uxorio. Tale convivenza, infatti, una volta cessati gli effetti civili del matrimonio, non costituisce illecito e soddisfa una normale esigenza di assistenza morale e materiale e, perciò, deve essere presa in considerazione ai fini del calcolo del reddito effettivo del marito.

Cass. civ. n. 3330/1976

Il giudice non può concedere l'assegno di divorzio senza che vi sia stata domanda della parte interessata. Tuttavia, se nel giudizio di scioglimento di matrimonio il convenuto, opponendosi, insista per il mantenimento del vincolo e dei relativi obblighi, patrimoniali e non, l'eventuale domanda subordinata — formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni — avente ad oggetto la statuizione dell'assegno patrimoniale in caso di accoglimento della domanda attrice, non può ritenersi una domanda «nuova», ma solo una modificazione, consentita dall'art. 184 c.p.c., delle conclusioni precedentemente assunte.

Cass. civ. n. 2657/1976

L'attribuzione di un assegno ai sensi del quarto comma dell'art. 5 della L. 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio, non può essere disposta d'ufficio, ma deve essere oggetto di specifica domanda. A tal fine non è sufficiente la richiesta di regolamento dei reciproci rapporti patrimoniali rivolta da uno dei coniugi al presidente del tribunale, nella fase preliminare, dopo il vano esito del tentativo di conciliazione.

Cass. civ. n. 2018/1976

Dall'art. 5 L. n. 898 del 1970, il quale stabilisce l'obbligo di intervento del P.M. nelle cause di divorzio ed il suo potere di proporre impugnazioni limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci, s'inferisce che, riguardo a questi interessi, il P.M. può proporre nel corso del giudizio di divorzio, domande autonome, ossia non vincolate a quelle delle parti private.

Cass. civ. n. 1828/1976

Nella determinazione quantitativa dell'assegno di divorzio, il giudice può tenere conto, tra i redditi del coniuge obbligato, dei proventi pensionistici di guerra, poiché la loro non computabilità tra i redditi del beneficiario, stabilita dall'art. 27 della L. n. 313 del 1968, non riguarda il caso in cui essi debbano essere destinati alle necessità della moglie e dei figli del beneficiario stesso; tanto è vero che l'art. 24 della stessa legge dispone l'aumento dei detti proventi se il beneficiario abbia moglie e figli, anche maggiorenni e non conviventi. Né, nella destinazione parziale dei detti proventi all'assegno di divorzio, valgono i limiti quantitativi stabiliti dall'art. 2 D.P.R. n. 180 del 1950 in materia di sequestrabilità e pignorabilità delle pensioni.

Cass. civ. n. 4598/1976

Qualora nel grado d'appello di un giudizio di divorzio uno dei coniugi muoia, la Corte deve dichiarare d'ufficio la cessazione della materia del contendere, con la caducazione della sentenza del grado precedente. L'erede del defunto può peraltro chiedere la prosecuzione del giudizio, per ottenere una pronuncia favorevole sulle spese di lite, pronuncia che verrà emessa secondo il principio della soccombenza virtuale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 5 Legge sul divorzio

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. P. C. chiede
sabato 21/01/2023 - Lazio
“Sono separato con separazione giudiziale dal marzo 2018 (sentenza provvisoria presidenziale), lo status legale di separazione e stato riconosciuto con sentenza a marzo 2021 e la sentenza conclusiva di separazione é del luglio 2022. Il giudice, a fronte di un mio reddito di 3500 €/mese e di un reddito della mia ex coniuge di 1200 €/mese, ha fissato in udienza presidenziale confermata in udienza conclusiva un mantenimento per i 2 figli di 1200 €/mese e per la coniuge di 650 €/mese (Quest’ultimo composto da 250 per il mantenimento e 400 per partecipare alle spese di affitto dell’appartamento dove vive).
I figli sono affidati ad entrambi e collocati presso la madre con i convenzionali giorni di collocazione presso di me (weekend alternati e due giorni infrasettimanali).
Vorrei sapere se, procedendo con il divorzio giudiziale, il giudice stabilirà di eliminare o meno il mantenimento in favore dell’ex coniuge.
Al momento la rivalutazione istat ha portato il mantenimento complessivo ad oltre 2000 €/mese e diventerà 2200 €/mese da marzo. La situazione è diventata per me non sostenibile. è possibile fare qualcosa?
Grazie”
Consulenza legale i 27/01/2023
Occorre premettere che non è possibile formulare previsioni su quella che sarà la decisione del giudice in sede di divorzio. Possiamo però fornire alcune precisazioni sui presupposti dell’assegno divorzile, come individuati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018.
La norma di riferimento è senz’altro l’art. 5 della legge n. 898/1970, il quale prevede, al comma 6, che il tribunale possa disporre la corresponsione dell’assegno in favore del coniuge “debole”, che cioè non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive. A tal fine, il giudice dovrà tenere conto di una serie di criteri: condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, e valutare tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.


Ora, la cit. sentenza delle Sezioni Unite afferma che “all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Ai fini del riconoscimento dell'assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l'unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell'unione matrimoniale".
Ed ancora, secondo la recentissima Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 18/01/2023, n. 1482, “in tema di assegno divorzile, la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.


Quanto alla seconda domanda che viene posta, riguardante la possibilità di intervenire in merito all’importo dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione (stando a quanto riferito nel quesito, il procedimento di divorzio non risulta essere stato iniziato), l’art. 156 del c.c. prevede la possibilità di revoca o modifica dei provvedimenti già adottati, ma subordina entrambe al sopraggiungere di “giustificati motivi”. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che deve trattarsi di “sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali le parti avevano stabilito le condizioni della separazione. Del tutto estranei a tale ambito sono dunque i fatti preesistenti alla regolamentazione pattizia della separazione, non presi in considerazione, per qualsiasi motivo, in quella sede” (Cass. Civ., Sez. I, 08/05/2008, n. 11488).

R. C. chiede
domenica 08/05/2022 - Marche
“In data 13.05.2020 il Tribunale ha emesso una sentenza (che allego) adeguando il mantenimento per i figli e disponendo una somma di € 350 per mia figlia e € 300 per mio figlio più il relativo aumento ISTAT annuale che cade ogni mese di giugno. Infatti dallo scorso giugno (2021), come da tabelle ISTAT, per entrambi i figli, sono passato a versare € 658,26 al mese al posto di € 650,00.
In data 24.11.2021 il Tribunale ha emesso la sentenza di divorzio (che allego) che conferma quanto stabilito con la sentenza del 13.05.2020.
La domanda è: prendendo alla “lettera” le due sentenze di cui sopra, sono in torto se riparto con € 650 al mese (350+300) e calcolo gli aumenti ISTAT a far data dal 24.11.2021 (e quindi prossimo adeguamento dal novembre 2022) e non dalla tempistica della sentenza del 13 maggio 2020?”
Consulenza legale i 17/05/2022
La soluzione prospettata potrebbe a prima vista sollevare qualche perplessità.
Infatti, dopo aver corrisposto per quasi un anno l’importo rivalutato, il coniuge obbligato al versamento dell’assegno “ripartirebbe” dall’importo iniziale, azzerando in tal modo l’adeguamento ISTAT già maturato rispetto all’assegno come modificato in sede di revisione delle condizioni di separazione.
Peraltro, la sentenza di divorzio ha confermato il medesimo importo dell’assegno di mantenimento per i figli precedentemente fissato in sede di procedimento ex art. 710 c.p.c.
Tuttavia, la statuizione sul mantenimento dei figli contenuta nella sentenza di divorzio sostituisce quanto stabilito al riguardo in sede di separazione; si veda, sul punto, Cass. Civ., Sez. I, sent. 27/03/2020, n. 7547: “il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria (Cass. n. 27205 del 2019), i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza. Di conseguenza, i provvedimenti economici adottati nel giudizio di separazione anteriormente iniziato sono destinati ad una perdurante vigenza fino all'introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto delle statuizioni (definitive o provvisorie) rese in sede divorzile”. Ancora, secondo Cass. Civ., Sez. I, sentenza 08/02/2012, n. 1779, “in materia di assegno di mantenimento, i mutamenti reddituali verificatisi in pendenza del giudizio di divorzio restano oggetto di valutazione del giudice investito della domanda di modifica delle condizioni di separazione, essendo queste ultime destinate alla perdurante vigenza fino all'introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto della sentenza di divorzio”.
Dunque, se la sentenza di divorzio introduce “un nuovo regolamento patrimoniale”, il quale va a sostituire quanto deciso nel giudizio di revisione delle condizioni di separazione, appare corretta la soluzione “formale” secondo cui, a decorrere dalla sentenza di divorzio, andrebbe corrisposto l’importo stabilito in tale sede, e la rivalutazione calcolata in base a tale ultimo provvedimento.

Claudio M. chiede
giovedì 11/01/2018 - Toscana
“Circa 3 anni fa ho ottenuto sentenza di separazione con assegno da dover dare di quasi 500 euro,che ho regolarmente pagato fino ad ora. Viene poi inoltrata richiesta di divorzio giudiziale anche con richiesta contemporanea di revisione dell'assegno; la revisione non viene accolta perché non c'erano i motivi di urgenza secondo il giudice, ma viene istruita la causa che porta alla sentenza di divorzio senza obbligo di pagamento, rifacendosi anche alla legge del maggio 2017.
La mia domanda è la seguente: posso richiedere indietro i pagamenti effettuati almeno dall'inizio della causa, naturalmente intentando causa perché tanto so che la mia ex non vuole pagare ? e ,se sì, che possibilità posso avere di vittoria.
Se è necessario per voi, posso spedire la sentenza.
Grazie.”
Consulenza legale i 28/02/2018
Nel caso in esame ci si chiede se, a seguito di una sentenza con la quale il giudice ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ha disposto la revoca dell’assegno di mantenimento, possa trovare accoglimento la domanda finalizzata ad ottenere la restituzione delle somme versate dalla data della domanda alla sentenza.

La soluzione al caso in esame impone un richiamo ad un principio vigente in materia, ossia quello della c.d irripetibilità dell’assegno di mantenimento.

Sul punto la Cassazione afferma che “in tema di separazione personale, la decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento o ne riduce la misura non comporta la ripetibilità delle maggiori somme corrisposte in forza di precedenti provvedimenti non definitivi qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all’eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare e debba presumersi, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di mantenimento”.

Il citato orientamento giurisprudenziale, dunque, in presenza di una decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento, ovvero ne riduce la misura, sostiene che non sono ripetibili (cioè da restituire) le somme maggiori corrisposte a tale titolo sino al formarsi del giudicato.

Ciò in considerazione della natura solidaristica ed assistenziale dell’assegno di mantenimento, destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario. Il quale ultimo, proprio per questo, non è tenuto ad accantonare una parte di quanto percepito in funzione della eventuale riduzione dell’assegno.

La condizione è che deve trattarsi di somme non elevate, dato che una tale misura fa presumere che siano state consumate proprio per il sostentamento del medesimo (v. in questo senso anche Cass. 4198/1998; Cass. 28987/2008, Cass. 6864/2009; Cass. 23441/2013; Cass. 21675/2012; Cass. 15186/2015).

La irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento derivano, ad avviso della giurisprudenza, dall’art. 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile che prevede la conservazione dell’efficacia dei provvedimenti provvisori, sia in ragione della natura alimentare dell’assegno di mantenimento che, proprio per tale natura, non sarebbe ripetibile.

Lo stesso principio vale per l’assegno divorzile allorché sia destinato nei fatti a soddisfare, per la sua non elevata entità, esigenze di carattere alimentare, non differenziandosi dall’assegno di mantenimento corrisposto in sede di separazione.

Da ultimo, inoltre, la Giurisprudenza ricollega la irripetibilità alla modestia dell’importo del mantenimento corrisposto affermando che: “ Quando l’entità dell’assegno di divorzio sia modesta, bastevole a soddisfare solo esigenze di carattere alimentare, le somme percepite, a titolo di assegno di divorzio, non sono ripetibili”. (Cassa. 9 .09.2002, n. 13060).

Anche una recente ordinanza n. 23409/15 in ordine alla ripetibilità o meno delle somme percepite dalla ex moglie dalla sentenza di separazione a quella di divorzio, ribadisce che “ la decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento o ne riduce la misura non comporta la ripetibilità (restituzione) delle maggiori somme corrisposte in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all’eventuale esclusione del diritto stesso, e debba presumersi, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personali”.

Dunque la Cassazione conclude per la irripetibilità delle somme corrisposte al coniuge dalla sentenza di separazione fino alla successiva pronuncia di divorzio.

Alla luce, pertanto, dei citati orientamenti giurisprudenziali riteniamo non facilmente accoglibile, nel caso di specie, la domanda volta ad ottenere la restituzione delle somme.

Ciò sia in considerazione del modesto importo corrisposto, sia perché in sentenza il giudice non ha disposto la revoca dell’assegno di mantenimento con effetto retroattivo.

E’ pur vero che, negli ultimi tempi, alla luce del nuovo orientamento che nega l’assegno in presenza di mezzi adeguati dell’ex coniuge richiedente, si stanno intentando cause volte alla restituzione di somme versate a titolo di mantenimento, ma si tratta di casi in cui le somme corrisposte erano piuttosto elevate, così come consistenti erano i patrimoni posseduti da ambedue i coniugi.

Dunque, a nostro avviso, potrebbe comunque instaurare un giudizio in tal senso pur, si ripete, ritenendo che non ci siano buone possibilità di accoglimento della domanda di restituzione delle somme versate all’ex coniuge.

Sarà, in ogni caso, compito del Giudice valutare di dover o meno applicare, nel caso concreto, il principio della irripetibilità delle somme, in ragione di un particolare status del soggetto beneficiario o della esistenza di circostanze di fatto incompatibili con la funzione dell’assegno di mantenimento.