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Articolo 95 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Progetto di stato passivo e udienza di discussione

Dispositivo dell'art. 95 Legge fallimentare

(1) Il curatore esamina le domande di cui all'articolo 93 e predispone elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del fallito, rassegnando per ciascuno le sue motivate conclusioni. Il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione (2).

Il curatore deposita il progetto di stato passivo corredato dalle relative domande nella cancelleria del tribunale almeno quindici giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo e nello stesso termine lo trasmette ai creditori e ai titolari di diritti sui beni all'indirizzo indicato nella domanda di ammissione al passivo. I creditori, i titolari di diritti sui beni ed il fallito possono esaminare il progetto e presentare al curatore, con le modalità indicate dall'articolo 93, secondo comma, osservazioni scritte e documenti integrativi fino a cinque giorni prima dell'udienza.

All'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati. Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento. In relazione al numero dei creditori e alla entità del passivo, il giudice delegato può stabilire che l'udienza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi.

Il fallito può chiedere di essere sentito.

Delle operazioni si redige processo verbale.

Note

(1) Articolo così sostituito dal d.lgs. 5/2006.
(2) In questa fase preliminare di verificazione dei crediti, il curatore è stato dotato di numerosi poteri. Egli, in particolare, può decidere se ammettere o escludere un credito, ed eccepire i fatti estintivi, modificativi ed impeditivi del diritto fatto valere (es. inefficacia del titolo di prelazione). Contro gli atti del curatore è ammesso reclamo ex art. 36.

Ratio Legis

La norma descrive le modalità di redazione del progetto di stato passivo, affidata al curatore, e di svolgimento dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo.

Massime relative all'art. 95 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 13090/2015

È ammissibile la domanda tardiva con la quale il cessionario di un credito garantito da ipoteca, ceduto unitamente all'azienda con accollo non liberatorio del cedente e già ammesso al passivo del fallimento di quest'ultimo in via chirografaria, chieda l'ammissione dello stesso credito in privilegio ipotecario a seguito della risoluzione del contratto di cessione dell'azienda e della conseguente retrocessione del bene immobile su cui grava il diritto di prelazione nel patrimonio dell'imprenditore fallito. Invero, trova applicazione in via analogica il principio secondo cui, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuove ipotesi di crediti privilegiati, quest'ultimi assistono anche i crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui siano stati azionati in sede concorsuale e, quindi, anche i crediti prima chirografari, e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la conseguenza che tale privilegio può esercitarsi anche dopo l'approvazione dello stato passivo e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo, con le forme dell'insinuazione ex art. 101 legge fall.

Cass. civ. n. 6646/2013

In tema di formazione dello stato passivo, il credito concernente l'aggio per la riscossione e la eventuale esecuzione esattoriale riveste carattere concorsuale solo se la corrispondente attività venga intrapresa e svolta dal concessionario, sia pure solo con la notifica della cartella di pagamento, prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, mentre una siffatta natura va esclusa laddove una tale attività abbia avuto inizio dopo la predetta dichiarazione, atteso che, per il principio di cristallizzazione del passivo, i diritti di credito i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente ad essa sono estranei ed inopponibili alla procedura concorsuale.

Cass. civ. n. 4213/2013

In sede di formazione dello stato passivo il curatore deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l'istanza di ammissione, conseguendone l'applicabilità della disposizione contenuta nell'art. 2704 c.c. e la necessità della certezza della data nelle scritture allegate come prova del credito.

La mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice, e la rilevazione d'ufficio dell'eccezione determina la necessità di disporre la relativa comunicazione alle parti per eventuali osservazioni e richieste e subordina la decisione nel merito all'effettuazione di detto adempimento.

Cass. civ. n. 5659/2012

In tema di accertamento del passivo, la mancata presentazione da parte del creditore di osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore non comporta acquiescenza alla proposta e conseguente decadenza dalla possibilità di proporre opposizione; infatti, non può trovare applicazione il disposto dell'art. 329 c.p.c. rispetto ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso, inoltre l'art. 95, secondo comma, legge fall., introdotto dal d.l.vo 12 dicembre 2007, n. 169, prevede che i creditori "possano" esaminare il progetto, senza porre a loro carico un onere di replica alle difese e alle eccezioni del curatore entro la prima udienza fissata per l'esame dello stato passivo; deve, pertanto, escludersi che il termine predetto sia deputato alla definitiva e non più emendabile individuazione delle questioni controverse riguardanti la domanda di ammissione.

Cass. civ. n. 5494/2012

La sentenza del giudice tributario emessa nei confronti di un soggetto fallito, allorché il giudizio sia stato intrapreso prima della dichiarazione di fallimento e sia proseguito fra le parti originarie, non può fare stato nei confronti del curatore rimasto estraneo alla lite, attesa la posizione di terzietà che questi assume nel procedimento di verifica nei confronti dei creditori concorsuali e del fallito; ne consegue, qualora la pretesa tributaria sia ancora "sub iudice", che il credito insinuato dall'agente della riscossione debba essere ammesso al passivo con riserva, sulla base del ruolo emesso dall'Agenzia delle Entrate, previa verifica della sola natura concorsuale del credito e della sussistenza dei privilegi richiesti.

Cass. civ. n. 4126/2012

In tema di fallimento, alla legittimazione del concessionario a far valere il credito tributario nell'ambito della procedura fallimentare deve essere attribuita una valenza esclusivamente processuale, nel senso che il potere rappresentativo attribuito agli organi della riscossione non esclude la concorrente legittimazione dell'Amministrazione finanziaria, la quale conserva la titolarità del credito azionato e la possibilità di agire direttamente per farlo valere in sede di ammissione al passivo.

La domanda di ammissione al passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria, presentata dall'Amministrazione finanziaria, non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l'allegazione all'istanza della documentazione comprovante l'avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titolo di diverso tenore. (Nella specie, la domanda va fondata su titoli erariali, fogli prenotati a ruolo, sentenze tributarie di rigetto dei ricorsi del contribuente).

Cass. civ. n. 6849/2011

In tema di ammissione al passivo fallimentare di crediti assistiti da privilegio (nella specie, del mandatario sulle cose del mandante detenute per l'esecuzione dell'incarico), essendo il privilegio accordato dalla legge in considerazione della causa del credito, la quale soltanto costituisce l'elemento essenziale che lo caratterizza, l'eventuale mancanza dei beni oggetto di privilegio speciale è irrilevante nella fase ricognitiva del privilegio stesso, non incidendo né sulla causa del credito né sulla qualificazione della prelazione, ma rileva unicamente nella fase attuativa, come impedimento di fatto all'esercizio del privilegio stesso; sicché la verifica dell'esistenza del bene oggetto del privilegio non è questione da risolvere in fase di accertamento del passivo, ma, attenendo all'ambito dell'accertamento dei limiti di esercitabilità della prelazione, è demandata alla fase del riparto.

Cass. civ. n. 26041/2010

La norma dell'art. 95, terzo comma, legge fall. - nel testo applicabile "ratione temporis", anteriore alla sostituzione disposta dall'art. 80 del d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5 - va interpretata estensivamente e trova applicazione, pertanto, anche nel caso in cui il fallimento sopravvenga alla sentenza di rigetto, anche solo parziale, della domanda proposta da un creditore, il quale deve, quindi, impugnarla, onde evitarne il passaggio in giudicato; tale interpretazione estensiva è coerente con il principio di durata ragionevole del processo, ex art. 111 Cost., e trova conforto nella più recente formulazione dell'art. 96, comma 2, n. 3, legge fall.. Ne consegue, che ove a seguito dell'impugnazione della sentenza di rigetto (anche parziale) della domanda da parte del creditore, il giudizio, interrottosi per la dichiarazione di fallimento del debitore, sia perseguito dal curatore o nei confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado spiega efficacia nei confronti del fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell'impugnazione proposta o proseguita dal curatore, in caso di accoglimento della domanda in primo grado; né a tale efficacia osta la circostanza che la predetta sentenza sia intervenuta solo successivamente alla pronuncia sull'opposizione allo stato passivo impugnata e sia stata, quindi, prodotta per la prima volta nel giudizio di cassazione, essendo la sua esistenza, pari di quella del giudicato interno, rilevabile anche d'ufficio in tale fase.

Cass. civ. n. 24963/2010

In caso di dichiarazione di fallimento del contribuente mentre è in corso il giudizio tributario relativo all'impugnazione di un avviso di accertamento, qualora tale evento interruttivo non sia stato dichiarato nel corso del processo, tanto che quest'ultimo sia proseguito fra le parti originarie, l'Amministrazione finanziaria può richiedere l'ammissione al passivo fallimentare del credito tributario sulla base del solo ruolo, senza potersi tuttavia, avvalere del giudicato, in quanto la sentenza emessa non è nulla né "inutiliter data", potendo produrre i suoi effetti nei confronti del fallito che abbia riacquistato la sua capacità, ma è da considerarsi inopponibile alla procedura fallimentare.

Cass. civ. n. 22549/2010

La rinuncia stragiudiziale all'opposizione a decreto ingiuntivo che non si traduca in una rinuncia agli atti del giudizio formalizzata dall'opponente ai sensi dell'art. 306 c.p.c., non determina né l'estinzione del giudizio né la definitività dell'ingiunzione. Pertanto, sopravvenuto il fallimento dell'opponente, la formale pendenza del giudizio di opposizione determina l'inopponibilità al fallimento dell'intervenuta rinuncia, avendo il credito azionato in via monitoria ancora natura di "res litigiosa"e dovendo, conseguentemente disporsene l'ammissione al passivo in chirografo anche quando sia stata iscritta, in virtù della provvisoria esecuzione del decreto opposto, ipoteca giudiziale anteriormente al fallimento.

Cass. civ. n. 21722/2010

L'ammissione al passivo del fallimento del responsabile civile, per il credito da risarcimento del danno da reato, richiesta dalla parte offesa in via privilegiata ai sensi dell'art. 2768 c.c., che riconosce il diritto alla prelazione sui beni formanti oggetto di sequestro penale, può essere disposta, in via provvisoria, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza penale relativa al procedimento in cui la misura cautelare è stata disposta, a condizione che l'istante provi l'esistenza di un processo penale in corso, la qualità giuridica di responsabile civile da reato del fallito, la costituzione di parte civile della parte offesa istante e la partecipazione al giudizio penale del responsabile civile, mentre non è necessaria l'esatta indicazione della norma che riconosce il privilegio quando siano stati allegati e provati i fatti costitutivi del credito.

Cass. civ. n. 21251/2010

La contumacia del convenuto (nella specie, curatore fallimentare), non assume alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, ma può concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice, in quanto, di per sé sola considerata, essa non introduce deroghe al principio generale di cui all'art. 2697 c.c.; ne consegue che nel giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare, l'anteriorità del credito di cui si chieda l'ammissione al passivo, costituendo elemento costitutivo del diritto di partecipare al concorso e, quindi, alla distribuzione dell'attivo, va provata dal creditore istante, nè forma oggetto di eccezione in senso stretto riservata alla sola iniziativa di parte (curatore o creditori concorrenti).

Cass. civ. n. 12964/2010

In caso di fallimento dell'azienda, il lavoratore, qualora il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione (o vi abbia provveduto in ritardo) ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi o, comunque, abbia operato ritenute non dovute, può chiedere direttamente - in via prudenziale o in caso di inerzia dell'INPS nell'esercizio dell'azione ex artt. 93 e 101 della legge fall. - l'ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del medesimo, rispondendo tale soluzione al principio dell'integrità della retribuzione, che, altrimenti, resterebbe frustata senza giustificazione causale alcuna, dovendosi escludere che il curatore, ove l'INPS non si sia insinuato al passivo, possa trattenere dette somme mediante accantonamenti in prevenzione, neppure previsti dalla normativa vigente. Ne consegue che, qualora non vi sia stata insinuazione al passivo da parte dell'INPS, il curatore - su cui incombe l'onere di coordinare le richieste avanzate dall'Istituto previdenziale con quelle del lavoratore - non può portare in detrazione le trattenute per contributi previdenziali, ma deve riconoscere al lavoratore la retribuzione lorda, salva la possibilità del successivo esercizio del diritto di rivalsa onde evitare il duplice pagamento del medesimo credito.

Cass. civ. n. 4861/2010

Le spese d'insinuazione al passivo, sostenute dal concessionario incaricato della riscossione dei tributi erariali, devono essere ammesse al passivo fallimentare, in virtù dell'applicazione estensiva dell'art. 17 d.l.vo n. 112 del 1999 che prevede la rimborsabilità delle spese relative alle procedure esecutive individuali, atteso che un trattamento differenziato delle due voci di spesa risulterebbe ingiustificato, potendo la procedura concorsuale fondatamente ritenersi un'esecuzione di carattere generale sull'intero patrimonio del debitore.

Cass. civ. n. 5165/2009

La sufficienza, al fini dell'ammissione al passivo fallimentare, dell'invito al pagamento, notificato, ai sensi dell'art. 60, sesto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, dall'Amministrazione finanziaria al curatore, sulla base delle risultanze cartolari della dichiarazione IVA del contribuente, è limitata al solo credito d'imposta, mentre non riguarda le sanzioni e gli interessi, la cui pretesa, comportando effetti di natura afflittiva per il fallito e i suoi creditori, deve essere azionata sulla base di un provvedimento impugnabile innanzi al giudice tributario.

Cass. civ. n. 25984/2008

In tema di comunione legale tra coniugi, tutti gli atti di disposizione di beni immobili ad essa appartenenti, compiuti da uno solo dei coniugi, senza il necessario consenso dell'altro ovverosia in violazione della regola dell'amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell'annullamento ai sensi dell'art. 184 cod. civ., in forza dell'azione proponibile dal coniuge entro i termini previsti dalla stessa norma; tale principio vale, a maggior ragione, nell'ipotesi in cui il trasferimento del bene, come nella specie, è già avvenuto per atto pubblico sottoscritto da tutte le parti e la scrittura privata, sottoscritta solo da un coniuge, si sia limitata a prevedere un diverso e maggiore prezzo ed una diversa modalità di pagamento, ciò escludendo la sua natura di atto di disposizione o di straordinaria amministrazione ed invero ricorrendo l'applicabilità della regola dell'amministrazione disgiunta ai sensi dell'art. 180, primo comma, cod. civ. In caso di fallimento del coniuge acquirente e nel giudizio nel quale il curatore resista alla domanda di risoluzione del contratto, l'organo concorsuale subentra in una complessiva posizione contrattuale rinvenuta nel patrimonio del fallito, senza perciò essere terzo rispetto alle parti originarie e dunque essendo a lui opponibile la predetta scrittura, in quanto anteriore al fallimento, secondo le comuni regole di efficacia sopra descritte, senza che possa attribuirsi rilevanza alla mancanza delle condizioni richieste dall'art. 2704 cod. civ. ai fini della certezza della data.

Cass. civ. n. 598/2008

In tema di ammissione al passivo fallimentare del credito del coltivatore diretto del fondo per i corrispettivi dei prodotti conferiti alla cooperativa di cui è socio e non pagati, non è configurabile la causa di prelazione ai sensi dell'art. 2751 bis, n. 4, c.c., in quanto essa si riferisce ad un autonomo contratto di compravendita di prodotti agricoli concluso dal coltivatore diretto con un terzo, senza che possa ricorrere un qualche collegamento con ulteriori contratti; la non omogeneità di situazioni comporta altresì la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma ex artt. 3, 35 e 45 Cost., essendo inammissibile una pronuncia che volga ad un'estensione della causa di prelazione. (Il principio è stato affermato dalla S.C. che, riformando la sentenza impugnata, ha ritenuto — richiamando il valore di eccezione alla par condicio creditorum delle norme sui privilegi — che il coltivatore diretto il quale sia anche socio deriva da tale qualità l'obbligo al conferimento del prodotto ma al contempo assume un rischio d'impresa, con uno statuto di poteri, diritti partecipativi sulla società e specifici vantaggi, non potendo allora conseguire un inammissibile soddisfacimento preferenziale sul patrimonio della società con compressione dei diritti dei terzi che quel patrimonio è, per definizione, destinato a garantire).

Cass. civ. n. 22012/2007

La sentenza che, definendo il giudizio di opposizione allo stato passivo, accerti l'inopponibilità del credito, perché basato su scrittura priva di data certa, non esclude la sua efficacia tra le parti, ma soltanto la sua anteriorità al fallimento, sicché il giudicato formatosi sul punto non può essere di ostacolo alla proposizione della stessa domanda nei confronti del debitore tornato in bonis; siffatto principio trova applicazione anche allorché si tratti di cambiali, sia quando siano prodotte come prova di una promessa di pagamento, sia quando sia esercitata l'azione cambiaria, poiché anche in questo caso il giudizio di opposizione allo stato passivo concerne il trattamento della prova scritta che è l'unica data e l'unica possibile.

Cass. civ. n. 4770/2007

Nel giudizio di insinuazione tardiva promosso dal fideiussore che ha pagato un debito del fallito, qualora il curatore del fallimento abbia eccepito l'inefficacia della garanzia ai sensi dell'art. 64 della legge fall., la prova della sussistenza di un apprezzabile interesse del fideiussore, necessaria affinché la concessione della garanzia possa essere qualificata come atto a titolo oneroso, dev'essere fornita mediante atto scritto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento: il curatore, infatti, riveste la qualità di terzo, tanto rispetto al fallito quanto rispetto ai creditori di quest'ultimo, sia in sede di formazione dello stato passivo e dello stato delle revindiche del fallimento che in sede di revocatoria degli atti a titolo gratuito od oneroso compiuti dal fallito, onde in entrambi i casi è necessaria, in applicazione dell'art. 2704 c.c., la certezza della data nelle scritture allegate come prova della pretesa fatta valere nei confronti del fallimento.

Cass. civ. n. 3765/2007

Nel sistema della legge fallimentare il procedimento di verificazione dello stato passivo ha natura giurisdizionale e decisoria ed è strutturato sullo schema del processo di cognizione, sia pure con gli adattamenti imposti dal carattere sommario della cognizione e dalla attribuzione al giudice delegato di poteri inquisitori, e di detto procedimento l'eventuale giudizio di opposizione costituisce lo sviluppo in sede contenziosa per l'accertamento dell'esistenza e dell'efficacia, nei confronti del fallimento, del credito di cui si chiede l'ammissione. Ne consegue che vi trova applicazione il principio generale sull'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., che non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto «fatti negativi» in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude nè inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo, con la precisazione che, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. (Nella specie, la S.C., in controversia relativa alla pretesa dell'Inps di conseguire contributi previdenziali e assistenziali, ha cassato la sentenza di merito che aveva posto a carico dell'ente previdenziale l'onere di provare l'insussistenza del diritto allo sgravio fatto valere dal fallimento)

Cass. civ. n. 14481/2005

In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell'avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell'atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale, facendo uso di presunzioni, era pervenuta alla conclusione dell'avvenuta corresponsione al promittente venditore, poi dichiarato fallito, della sola minor somma pagata con assegni, e della simulazione della quietanza di pagamento della maggiore, di cui il promissario acquirente assumeva il pagamento in contanti, ritenendo così raggiunta la prova della simulazione del patto relativo al prezzo di vendita).

Cass. civ. n. 5582/2005

Nella procedura di verifica dei crediti e nel conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo, il curatore del fallimento agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l'ammissione al passivo, sia rispetto allo stesso fallito; conseguentemente, non è applicabile nei suoi confronti l'art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore, invocabile solo nei rapporti fra i contraenti o i loro successori, fra i quali ultimi non è annoverabile il curatore nella sua funzione istituzionale di formazione dello stato passivo (ancorché, peraltro, dette scritture possano essere prese in considerazione dal giudice di merito quali elementi indiziari in ordine all'esistenza del credito).

Cass. civ. n. 17888/2004

Al curatore fallimentare non è consentito agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa una causa di prelazione (nella specie, pegno) in forza della quale un determinato credito sia stato già definitivamente ammesso al passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo di modificare lo stato passivo, retrocedendo quel credito al rango chirografario, potrebbe sorreggere una tale azione, ma questo effetto non sarebbe raggiungibile senza la modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei rimedi previsti dagli artt. 98 ss. legge fall. Tale principio manifestamente non contrasta con l'art. 24 Cost. (potendo, semmai, dubitarsi della legittimità costituzionale dell'art. 100 legge fall. ove interpretato nel senso che al curatore non sia consentito esperire il rimedio ivi previsto) e trova applicazione anche con riferimento al commissario della procedura di liquidazione coatta amministrativa (quantomeno allorché la dichiarazione dello stato di insolvenza, presupposto dell'azione revocatoria, abbia preceduto la formazione dello stato passivo da parte del commissario), non ostandovi la natura amministrativa, e non giurisdizionale, dello stato passivo formato dal commissario, che del pari produce effetti preclusivi, i quali non derivano dalla natura di tale atto, bensì dalla struttura stessa del procedimento concorsuale in cui si colloca, dalla sua concatenazione con adempimenti successivi da compiersi nel procedimento e dalle esigenze di certezza, stabilità e celerità a ciò inerenti, tanto più che i limiti che, analogamente al curatore, incontra il commissario, si ricollegano, nella specie, anche al generale divieto del venire contra factum proprium e si sostanziano nell'impossibilità di agire giudizialmente per far revocare una causa di prelazione in precedenza dallo stesso commissario già riconosciuta nella formazione dello stato passivo.

Cass. civ. n. 13508/2004

L'ammissione al passivo con riserva di un credito condizionale — qualifica da riconoscersi al fideiussore che non ha ancora adempiuto l'obbligazione garantita per quanto attiene all'esercizio delle eventuali azioni di regresso nei confronti del debitore fallito — non contiene alcuna delibazione favorevole circa l'esistenza del credito e non determina alcun giudicato endofallimentare sull'esistenza del credito, atteso che il credito condizionale è del tutto eventuale nel suo stesso venire ad esistenza, la riserva attenendo proprio all'evento costitutivo del diritto fatto valere. Ne deriva, pertanto, che, durante il corso della procedura fallimentare, in sede di scioglimento della riserva deve ritenersi sempre aperta ogni questione riguardante il detto credito, senza alcuna possibilità per il creditore condizionale di richiamarsi alla definitività dello stato passivo come situazione preclusiva di una eventuale esclusione del credito in dipendenza della sorte dell'evento condizionante; come pure deve riconoscersi la spettanza in capo al curatore del potere di opporsi all'ammissione in via definitiva del credito condizionale sollevando tutte quelle eccezioni (tra cui quella relativa all'avvenuto pagamento, da parte del fideiussore, di un debito già estinto) ostative all'insorgere del credito (di regresso).

Cass. civ. n. 13027/2004

Fondandosi l'attuale sistema tributario sul principio dell'autotassazione, la dichiarazione IVA, se non seguita dall'emanazione di un atto di rettifica dell'amministrazione finanziaria o dalla correzione della dichiarazione stessa sulla base dei dati e degli elementi desumibili dalla dichiarazione e di quelli in possesso dell'anagrafe tributaria, esaurisce da sola la fattispecie dell'accertamento dell'obbligazione tributaria e, nell'ipotesi di inadempimento del contribuente, costituisce titolo per la riscossione dell'imposta liquidata con la dichiarazione stessa. Ed essendo l'amministrazione finanziaria autorizzata (a norma dell'art. 60, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) ad emettere sulla base della dichiarazione IVA avviso di pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione (invitando il contribuente a versarle entro trenta giorni insieme agli interessi e ad una ulteriore somma pari al 60 per cento della somma non versata, da corrispondersi a titolo di soprattassa), tale avviso deve considerarsi documento sufficiente per chiedere ed ottenere l'ammissione al passivo fallimentare della somma dovuta a titolo d'imposta in base alla dichiarazione stessa, costituendo esso prova della esistenza dell'obbligazione tributaria e del suo preciso ammontare, senza che l'ammissione al passivo possa essere negata assumendo la mancanza di un atto impositivo. Viceversa, deve escludersi che l'ammissione al passivo degli interessi e della soprattassa possa essere effettuata sulla base del solo avviso di pagamento, atteso che questo, se può valere, appunto, quale prova del credito a titolo di imposta (essendovi a monte un accertamento definitivo del tributo, costituito dalla stessa dichiarazione IVA), non può costituire titolo per pretendere il pagamento di interessi e soprattassa, non avendo esso natura di atto impositivo e, quindi, di atto di accertamento (suscettibile di diventare definitivo) della esistenza e della misura del debito per interessi e soprattassa. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha altresì escluso che il credito per interessi e soprattassa possa essere ammesso al passivo con riserva).

Cass. civ. n. 6502/2004

Ogni credito vantato nei confronti del fallito va accertato, ai sensi dell'art. 52, secondo comma, l. fall., salvo diverse disposizioni di legge, secondo le norme stabilite dal capo V della legge fallimentare, che agli artt. 92-103 fissa una serie di regole sulle operazioni di formazione e verificazione dello stato passivo, da compiersi, inelusibile, dinanzi al giudice delegato, alla stregua del principio di concorsualità che disciplina il procedimento fallimentare in tutte le sue articolazioni. Ne consegue che a nulla rileva che il curatore fallimentare abbia proseguito un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e ad esso e alle sue risultanze processuali si sia richiamato, subordinando al suo esito quello della opposizione allo stato passivo, come a nulla rileva la conclusione di quel giudizio, essendo obbligatori e non derogabili rito e competenza della verifica funzionale dei crediti dinanzi al giudice delegato ed al tribunale nella eventuale fase contenziosa, nelle forme previste dalla legge fallimentare.

Cass. civ. n. 5727/2004

In caso di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, il curatore non è tenuto a riassumere il giudizio di opposizione perché, se il creditore vuol far valere il titolo nei confronti del fallimento, deve far accertare il proprio credito ai sensi dell'art. 52 l. fall., mediante la procedura di accertamento del passivo, non essendo il decreto ingiuntivo equiparabile alle sentenze non ancora passate in giudicato e non trovando, quindi, applicazione l'eccezione al principio dell'accertamento concorsuale dettata dall'art. 95 stessa legge. Sussiste invece l'interesse del fallito, il quale perde la capacità processuale solo per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, a riassumere il processo, per evitare che gli effetti ex art. 653 c.p.c. si verifichino nei suoi confronti e gli possano essere opposti quando tornerà in bonis. L'eventuale riassunzione, da parte del curatore, del giudizio di opposizione interrotto, non al fine di farne dichiarare l'improcedibilità, ma per ottenere una pronuncia sul merito, non incide sulla disciplina dell'accertamento del passivo fallimentare, dettata a tutela del principio concorsuale e quindi di un pubblico interesse. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, decidendo nel merito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto da debitore poi fallito e riassunto dalla curatela fallimentare, aveva rigettato l'opposizione, e, provvedendo sul merito, ha dichiarato l'improcedibilità dell'opposizione).

Cass. civ. n. 18935/2003

Il decreto con il quale il giudice delegato al fallimento, all'esito della verificazione dello stato passivo, rigetta la domanda di insinuazione proposta da un creditore può essere motivato mediante il richiamo delle ragioni svolte dal curatore fallimentare per contrastare la domanda, anche se siano state espresse in forma dubitativa, in quanto detto richiamo permette al creditore di esercitare la propria difesa in sede di opposizione allo stato passivo, previa valutazione della fondatezza e correttezza del decreto di rigetto della domanda di insinuazione.

Cass. civ. n. 17526/2003

L'ammissione di crediti con riserva, pur configurabile in via di principio anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, è consentita solo entro i medesimi limiti operanti nella formazione dello stato passivo del fallimento; di tal che, stante la tassatività delle riserve apponibili allo stato passivo, le eventuali riserve atipiche (o comunque anomale) sono da ritenersi come non apposte, e per la loro eliminazione non è necessario proporre opposizione ai sensi dell'art. 98 l. fall., con conseguente inoperatività dei rigorosi termini di decadenza da cui quella procedura è caratterizzata.

Cass. civ. n. 13073/2003

In sede di domanda di ammissione al passivo fallimentare, il portatore di un titolo di credito che eserciti azione causale deve produrre il titolo in originale ai sensi degli artt. 66 L. cambiaria e 58 L. assegno, posto che, in mancanza di tale produzione, il credito, pur provato, deve essere ammesso con riserva; detta riserva, peraltro, concerne documenti giustificativi richiesti, non quale integrazione di una prova, allegata ma non prodotta, bensì quale requisito di proponibilità della domanda, previsto a tutela del debitore, ad evitare la possibilità dell'insinuazione di altri creditori in via cambiaria, ovvero per assicurare al debitore l'esercizio di eventuali azioni cambiarie di regresso. Ne deriva che, a fronte di un provvedimento di ammissione con riserva di produzione dei titoli di credito, il giudizio di opposizione può avere soltanto due possibili oggetti, e cioè l'accertamento della conformità dei titoli prodotti a quelli richiesti con la riserva, ove ad essa l'opponente presti acquiescenza, ovvero l'accertamento della legittimità della stessa riserva, ove l'opponente la contesti; mentre resta escluso che l'opposizione possa avere ad oggetto la prova del credito già fornita nel corso della verificazione del passivo e già positivamente valutata dal giudice delegato.

Cass. civ. n. 11580/2003

La regola contenuta nel terzo comma dell'art. 95 l. fall. — secondo la quale, se il creditore risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l'impugnazione nel caso che non si voglia ammettere il credito al passivo del fallimento — comporta che, qualora il curatore abbia proposto impugnazione e il creditore abbia chiesto con appello incidentale la corresponsione degli interessi sul proprio credito, la relativa sentenza non può statuire la condanna della curatela del fallimento appellante, ma deve limitarsi a condannare il debitore (nella specie, la fallita società irregolare e i soci illimitatamente responsabili).

Cass. civ. n. 9716/2003

Nella procedura concorsuale, ai fini dell'ammissione del credito rileva unicamente il provvedimento adottato dal giudice delegato e riportato nello stato passivo, avendo la comunicazione del curatore al creditore unicamente la funzione di portare a conoscenza dell'interessato l'avvenuta ammissione o esclusione del credito ai fini del decorso del termine per l'eventuale, opposizione, oggetto della quale è, dunque, il detto provvedimento del giudice delegato, e non la comunicazione dello stesso, priva di carattere decisorio. La comunicazione, infatti, originariamente - prima che la sentenza n. 102 del 1986 della Corte costituzionale colpisse l'art. 98, primo comma, della legge fallimentare - neppure prevista, ha la sola funzione di portare a conoscenza dell'interessato il provvedimento del giudice delegato senza dispiegare alcun effetto ulteriore, incombendo sulla parte l'onere di accertare l'effettivo contenuto del provvedimento del giudice delegato.

Cass. civ. n. 4565/2003

L'ammissione al passivo fallimentare di un credito in via ipotecaria non presuppone che il bene oggetto dell'ipoteca sia attualmente presente alla massa fallimentare, non potendosene escludere la sua successiva acquisizione. Ne consegue che l'acquisto di un bene con patto di riservato dominio da parte del fallimento non preclude all'avente diritto, che vanti iscrizione ipotecaria sul bene stesso, di far valere, sin dalla prima domanda di insinuazione, il proprio diritto di credito in via ipotecaria, e non chirografaria, anche se la condizione di efficacia del negozio di alienazione (e cioè il pagamento dell'ultima rata del prezzo) non si sia, all'epoca della domanda di insinuazione, ancora verificata, atteso che il riconoscimento del credito come ipotecario è destinato a rimanere precluso allorchè (come nella specie) esso venga richiesto per la prima volta con una nuova domanda dopo l'approvazione dello stato passivo che aveva ammesso il credito de quo come chirografario.

Cass. civ. n. 4069/2003

In tema di revocatoria fallimentare, l'erogazione di un mutuo fondiario ipotecario non destinato a creare un'effettiva disponibilità nel mutuatario già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione. Premessa, in tutti i casi predetti, l'azionabilità del meccanismo revocatorio ex art. 67, primo e secondo comma legge fall., l'ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi, peraltro, incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la revoca dell'intera operazione - e, quindi, anche del mutuo - comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all'inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare.

Cass. civ. n. 5869/2002

In tema di fallimento, ove siano disconosciute, in sede di ammissione allo stato passivo, le ragioni di prelazione di un credito per omessa specificazione dell'oggetto del pegno su titoli, l'azione del creditore di accertamento negativo della nullità del pegno può essere fatta valere esclusivamente con l'opposizione allo stato passivo, atteso che l'art. 52, secondo comma, legge fall. sottopone alla verifica fallimentare non solo l'esistenza e l'entità del credito, ma anche la sua garanzia, stante la rilevanza, ai fini del concorso, dell'esistenza di un diritto di prelazione; ne consegue che, avverso la sentenza che definisce il secondo grado del relativo giudizio, il ricorso per cassazione deve essere proposto entro il termine - dimidiato rispetto a quello ordinario - di trenta giorni dalla notifica della sentenza stessa, ai sensi dell'art. 99, quinto comma, legge fall

Cass. civ. n. 16060/2001

L'ammissione al passivo fallimentare di un credito in via privilegiata non presuppone, ove si tratti di privilegio speciale su determinati beni, che questi siano già presenti nella massa, non potendosi escludere la loro acquisizione successiva all'attivo fallimentare; ne consegue che è a tal fine sufficiente, in sede di verifica dello stato passivo, l'accertamento dell'esistenza del credito e della correlativa causa di prelazione, dovendosi demandare alla successiva fase del riparto la verifica della sussistenza o meno dei beni stessi, da cui dipende l'effettiva realizzazione del privilegio speciale.

Cass. civ. n. 15111/2001

Ai fini dell'ammissione al passivo in via privilegiata di un credito portato da cambiale ipotecaria, non è necessaria la produzione della nota d'iscrizione; sicché, il giudice delegato, che in tale fase non ha elementi per individuare i beni sui quali va esercitata la prelazione, non può ammettere il credito in via chirografaria, ma deve riconoscere la prelazione ipotecaria, ammettendo il credito al passivo con formula generica (ossia, accertamento la sua esistenza, entità e rango), pur senza specificazione dei beni investiti dalla garanzia.

Cass. civ. n. 12606/1991

L'art. 95, terzo comma, della legge fallimentare, nel prevedere la necessità dell'impugnazione della sentenza non passata in giudicato ove si voglia impedire l'ammissione al passivo del credito da essa risultante fa riferimento all'intero sistema delle impugnazioni, come regolato dal codice di rito e presuppone, di conseguenza, che il credito stesso possa essere ammesso, in via definitiva, solo al passaggio in giudicato della sentenza impugnata che lo accerti o della sentenza che, per effetto dell'annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, la sostituisca in tutto o in parte. Ne deriva che, sopraggiunto il fallimento del ricorrente in pendenza del ricorso per cassazione, ove la sentenza sia cassata in sede di giudizio rescindente, la controversia, ai fini di cui alla succitata norma, deve essere decisa non dal tribunale fallimentare, bensì nel successivo giudizio di rinvio, costituente la fase rescissoria.

Cass. civ. n. 8879/1990

In sede di formazione dello stato passivo, nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, il conflitto fra creditori anteriori, che concorrono, e creditori posteriori, che non partecipano, comporta, in fase di verifica o di opposizione al medesimo stato passivo, che la scrittura privata, allegata a documentazione di un credito, è soggetta, rispetto agli altri creditori, in qualità di terzi, alle regole dettate dall'art. 2704 primo comma c.c. in tema di certezza e computabilità della data; regole che possono essere fatte valere dal curatore o dal commissario, nell'interesse della massa. Tale principio si applica anche alle cambiali, sia quando sono prodotte come prova di una promessa di pagamento a persona determinata, con l'azione causale promossa contro qualunque obbligato cambiario, stante il carattere recettizio di tale promessa (e la conseguente non invocabilità del secondo comma del citato art. 2704 c.c.), sia quando venga esercitata l'azione cambiaria, contro l'obbligato principale od il traente, alla stregua del carattere costitutivo della scrittura contenente l'obbligazione cambiaria nei confronti di colui al quale od all'ordine del quale deve farsi il pagamento.

Cass. civ. n. 3294/1988

La controversia promossa per conseguire una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, con il riconoscimento della mera astratta idoneità di un determinato fatto alla produzione di effetti dannosi, salva restando ogni ulteriore questione sulla concreta sussistenza del danno medesimo, non ha ad oggetto la individuazione di un credito, e, pertanto, resta insensibile alla sopravvenienza del fallimento del convenuto, sottraendosi tanto alle regole di competenza di cui all'art. 24 della legge fallimentare, quanto alle disposizioni dettate dall'art. 95 della legge stessa in tema di verificazione dei crediti, né può essere soggetta a sospensione, in relazione all'eventuale pendenza di opposizione avverso la mancata ammissione al passivo del credito, avendo l'indicato accertamento un carattere logicamente prioritario rispetto alle questioni devolute al giudice di tale opposizione.

Cass. civ. n. 2960/1988

Qualora il venditore, con patto di riservato dominio, chieda ed ottenga il sequestro giudiziario della cosa, e poi agisca per la convalida e per il merito, domandando la risoluzione per inadempimento del contratto e la restituzione della cosa medesima, la sopravvenienza della dichiarazione del fallimento del compratore, dopo che le suddette domande siano state accolte con sentenza di primo grado, comporta che il curatore, ove intenda contestare le pretese del venditore, deve proporre impugnazione nella sede ordinaria, ai sensi dell'art. 95 terzo comma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (ovvero sostituirsi al fallito se l'impugnazione è già in corso), e tale onere sussiste anche per il sequestro giudiziario, atteso che questo, a differenza del sequestro conservativo (che viene in ogni caso assorbito dalla procedura concorsuale), perde efficacia solo se il giudizio di convalida sia ancora in corso in primo grado al momento del fallimento, in conseguenza dell'applicazione delle regole dell'art. 103 del citato decreto, ma non quando sia già stato convalidato a detta data, restando in tale ipotesi opponibile la relativa sentenza al fallimento, in difetto d'impugnazione.

Cass. civ. n. 6225/1986

Al fine dell'applicazione dell'art. 95 del terzo comma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, dettato per il fallimento ma operante anche per la liquidazione coatta amministrativa (e per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in forza della equiparazione contenuta nell'art. 1 del d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in L. 3 aprile 1979 n. 95), a norma del quale, dopo una pronuncia di primo grado, da cui risulti il credito, il credito stesso si sottrae alla procedura concorsuale della formazione dello stato passivo, e si rende necessaria, se si vuole non ammetterlo, l'impugnazione di quella pronuncia in sede ordinaria, occorre fare riferimento, nel caso di processo soggetto al rito del lavoro, alla data del dispositivo letto in udienza, che esprime il suddetto accertamento giurisdizionale del credito, mentre resta in proposito irrilevante la posteriorità della motivazione a sostegno della relativa decisione.

Cass. civ. n. 5552/1983

Un credito si considera anteriore al fallimento, e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto costitutivo si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento, rimanendo irrilevante se, prima di tale data, il credito sia o non liquido ed esigibile. Di conseguenza, poiché il credito erariale per sanzione pecuniaria conseguente a violazione delle leggi finanziarie (nella specie, delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto) trova la sua origine in comportamento commissivo od omissivo che diventa giuridicamente rilevante, come fatto costitutivo della ragione di credito, nello stesso momento in cui è posto in essere, il detto credito va ammesso al concorso se l'infrazione è anteriore alla dichiarazione di fallimento, anche se il provvedimento irrogativo della sanzione sia successivo, avendo questo non funzione costitutiva, ma semplicemente di accertare, e di determinare nei suoi elementi quantitativi, l'obbligazione pecuniaria già sorta in conseguenza della violazione.

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