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Articolo 420 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Attentato a impianti di pubblica utilità

Dispositivo dell'art. 420 Codice Penale

(1)Chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere impianti di pubblica utilità(2), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a quattro anni.

Note

(1) L'art. 6 della l. 18 marzo 2008, n. 48 ha modificato la disposizione in esame, abrogandone i commi secondo e terzo, i quali recitavano: “La pena di cui al primo comma si applica anche a chi commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici di pubblica utilità, ovvero dati, informazioni o programmi in essi contenuti o ad essi pertinenti.
Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento dell'impianto o del sistema, dei dati, delle informazioni o dei programmi ovvero l'interruzione anche parziale del funzionamento dell'impianto o del sistema la pena è della reclusione da tre a otto anni.”
(2) Per impianti di pubblica utilità si intende il complesso di strutture, apparecchi, attrezzature e congegni tecnici finalizzati ad un medesimo scopo collettivo.

Ratio Legis

Il legislatore ha qui voluto tutelare l'ordine pubblico, inteso quale buon assetto e regolare andamento del vivere civile cui corrispondono, nella collettività, l'opinione ed il senso di tranquillità e sicurezza.

Spiegazione dell'art. 420 Codice Penale

Tramite tale norma il legislatore ha inteso sanzionare penalmente chiunque compia qualsiasi attività diretta a distruggere o danneggiare impianti di pubblica utilità, di ricerca o di elaborazione dati, attività considerata di per sé stessa idonea a turbare la serena ed ordinata convivenza sociale, indipendentemente dall'effettivo verificarsi del turbamento.

La norma presenta una natura sussidiaria, in quanto, se il fatto costituisce più grave reato (ad es. devastazione e saccheggio di cui all'art. 419), sarà quest'ultimo ad essere integrato.

Massime relative all'art. 420 Codice Penale

Cass. pen. n. 8178/1983

Ai fini della sussistenza del reato di attentato a impianti di pubblica utilità, la nozione di impianto indica il complesso di strutture, apparecchi, attrezzature e congegni concorrenti ad uno stesso scopo ed indispensabili per un determinato fine. In tale nozione rientra una centralina telefonica o armadio di distribuzione, che ha la funzione di convogliare e smistare, attraverso i congegni e i cavi in essa contenuti, il traffico delle utenze di una determinata area, ai fini del normale svolgimento del servizio telefonico. (Nella specie, è stata ritenuta danneggiamento di impianto di pubblica utilità la manomissione di cavi di una centralina telefonica finalizzata alla perpetrazione di un furto).

L'originario testo dell'art. 420 c.p., che prevedeva quale reato contro l'ordine pubblico la pubblica intimidazione a mezzo di materie esplodenti, risulta abrogato e sostituito con le leggi 2 ottobre 1967, n. 895, art. 6 e L. 14 ottobre 1974, n. 497, trovando la fattispecie la sua organica regolamentazione nelle norme sulle armi e sull'ordine pubblico. Con la nuova normativa di cui all'art. 1, D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito in L. 18 maggio 1978, n. 191, il legislatore, con la nuova formulazione dell'art. 420 c.p. (attentato a impianti di pubblica utilità), ha inteso introdurre una nuova figura di reato diretta ad una più estesa tutela dell'ordine pubblico, sanzionando penalmente qualsiasi attività diretta a distruggere o danneggiare impianti di pubblica utilità o di ricerca o di elaborazione di dati, attività considerata di per sé stessa idonea a turbare la serena e ordinata convivenza sociale indipendentemente dal verificarsi in concreto del relativo turbamento.

Nell'attentato a impianti di pubblica utilità mediante distruzione o danneggiamento sussiste sempre, per assoluta presunzione di legge, la lesione dell'ordine pubblico tutelato dalla norma incriminatrice dell'art. 420 c.p., indipendentemente dall'idoneità dell'azione a produrre un concreto turbamento del senso di tranquillità e sicurezza della collettività. In tal caso è esclusa la configurabilità del reato di danneggiamento aggravato (art. 635, comma secondo, n. 3, c.p.), anche per le differenze tra i due reati quanto a diversità dell'oggetto materiale e del bene giuridico tutelato.

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