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Articolo 388 ter Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Mancata esecuzione fraudolenta di sanzioni pecuniarie

Dispositivo dell'art. 388 ter Codice Penale

Chiunque, per sottrarsi all'esecuzione di una multa o di una ammenda o di una sanzione amministrativa pecuniaria compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi nei termini all'ingiunzione di pagamento, con la reclusione da sei mesi a tre anni(1).

Note

(1) La norma ricalca quanto previsto dall'art. 388, dal quale si differenzia stante il presupposto qui individuato nella pena pecuniaria o nella comminatoria di una sanzione amministrativa pecuniaria. In più in questo caso il reato è procedibile d'ufficio.
Tale disposizione è stata modificata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 ("Riforma Cartabia").

Ratio Legis

Si rinviene qui l'esigenza di tutelare l'effettività delle sanzioni pecuniarie, scelta peraltro criticata dalla dottrina in quanto, essendo già previsti dei rimedi processuali per l'inottemperanza di tali pene, è possibile che si verifichino delle violazioni del ne bis in idem sostanziale.

Spiegazione dell'art. 388 ter Codice Penale

La disposizione descrive una particolare condotta di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (v. art. 388), caratterizzata da un rapporto di specialità con quest'ultima.

In questo caso infatti muta solo il differente oggetto del reato, ovvero la multa o la sanzione amministrativa pecuniaria, il luogo di un generico provvedimento del giudice.

A differenza della norma di cui all'art. 388 c.p. è prevista inoltre una soglia temporale di punibilità, dato che, a prescindere dall'avvenuta esecuzione di attività fraudolente o simulate, il reato è configurabile solo qualora scada il termine di pagamento contenuto nel precetto. Solo dopo tale termine sarà quindi possibile la configurazione dell'ipotesi tentata ex art. 56, ma non prima.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 La riforma della disciplina in tema di esecuzione e conversione della pena pecuniaria rende opportuno, in attuazione del criterio di delega, un coordinamento con l’art. 388 ter c.p., che fu inserito nel codice penale dalla l. n. 689/1981. L’intervento è realizzato in una duplice direzione.


Quanto alla rubrica, sostituendo la parola “dolosa” con la parola “fraudolenta” si intende rimarcare il nucleo di disvalore della fattispecie delittuosa, che risiedeva e continua a risiedere non tanto nel mancato pagamento volontario della pena pecuniaria – che dà luogo ora a conversione in pena limitativa della libertà personale –, quanto nel mancato pagamento fraudolento.
Si esplicita, in altri termini, che il dolo richiamato in rubrica è il dolo di una vera e propria frode, che non solo elude la condanna al pagamento e frustra l’interesse pubblico alla riscossione della pena pecuniaria, ma reca altresì pregiudizio all’amministrazione della giustizia, costretta ad attivare un procedimento di conversione della pena pecuniaria e a valutare – sulla base di una condizione alterata – le condizioni di insolvibilità del condannato. Applicare una pena da conversione, quando il mancato pagamento dipende da un atto fraudolento del condannato, che ha sottratto beni utilizzabili per saldare il debito con lo Stato, non costituisce un raddoppio di punizione, rispetto alla pena irrogata per il delitto di cui all’art. 388 ter.


Il compimento di atti e fatti fraudolenti, per sottrarsi al pagamento della multa e dell’ammenda, è un fatto diverso dal mancato pagamento della pena pecuniaria, autonomamente sanzionato per rafforzare l’effettiva esecuzione delle pene pecuniarie. Chi non paga la pena pecuniaria è consapevole di andare incontro a una pena da conversione e che, inoltre, se compie atti fraudolenti per sottrarsi al pagamento, incorre in una nuova e autonoma responsabilità penale.


La disposizione, d’altra parte, si riferisce anche al mancato pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie. Considerato che la disciplina della riscossione delle pene pecuniarie e delle sanzioni amministrative pecuniarie cambia, continuando l’iscrizione a ruolo a essere prevista solo per queste ultime, è necessario intervenire sul testo della disposizione per eliminare il riferimento all’ingiunzione di pagamento “contenuta nel precetto”. Potrebbe infatti risultare dubbia la riferibilità di tale concetto all’ordine di esecuzione della pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 660 c.p.p., emesso dal pubblico ministero, con contestuale ingiunzione di pagamento. Di qui l’opportunità di fugare ogni possibile dubbio con un limitato intervento di coordinamento, rispondente alla legge delega.

Massime relative all'art. 388 ter Codice Penale

Cass. pen. n. 4007/1986

L'inadempimento volontario, che costituisce il presupposto del delitto di omesso pagamento della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria si concretizza allo scadere del termine indicato nell'atto di intimidazione, non avendo il legislatore posto a carico dell'imputato un termine anteriore di scadenza del debito, ed occorrendo, di conseguenza, che il creditore — secondo i principi generali — esiga la prestazione, nei modi di legge.

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M. C. chiede
martedì 08/05/2018 - Puglia
“Quali sono le conseguenze penali dell'imprenditore che destinatario di visita ispettiva da parte dell'Ispettorato del Lavoro al fine di non pagare la maxi sanzione lavoro nero derivante dal verbale compie azioni fraudolenti sottraendo anticipatamente il patrimonio aziendale al futuro recupero dell'Ente Impositore. In questo caso non trattandosi di debiti di natura tributaria in che reato l'imprenditore potrebbe incorrere?”
Consulenza legale i 11/05/2018
La condotta emarginata potrebbe evocare quella censurata dall’art. 11 del D.P.R. 74 del 2000 il quale punisce proprio l’imprenditore che, tramite determinate operazioni fraudolente, mira a sottrarsi al pagamento delle imposte e/o comunque rende inefficace il procedimento di riscossione coattiva.
La norma, tuttavia, parla specificamente di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte e non già di tributi e/o sanzioni amministrative susseguenti ad un illegittimo trattamento dei lavoratori.

Nel tempo non sono stai pochi i dibattiti dottrinali e giurisprudenziali sul punto, tenuto conto dell’apparente “assurdità” di una normativa che da un lato punisce atti fraudolenti del datore di lavoro finalizzati a non pagare determinate imposte, e dall’altro lascia impunita la stessa condotta sol perché afferente ad un’altra categoria di “tributo”.
Tant'è che la questione è stata di recente oggetto di una importante ed approfondita sentenza della Cassazione Penale, n. 232/2018 Cassazione Penale – Sezione III, la quale ha esplicitamente chiarito che il reato suddetto di applica solo allorché:
- la vendita, o comunque l’operazione fraudolenta sia specificamente mirata a sottrarsi al debito tributario e sussistano chiari indici rivelatori di tale circostanza (es. cessione del ramo d’azienda per un corrispettivo incongruo);
- il debito abbia ad oggetto imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Nel caso di specie, dunque, visto che non pare trattarsi delle imposte suddette, non potrebbe essere applicato l’art. 11 del DPR 74 del 2000.

Va comunque specificato che l’Agenzia delle Entrate, pur non essendo la condotta penalmente rilevante, potrebbe esperire l’azione revocatoria (rimedio di natura civilistica), per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto simulato o fraudolento. Ma perché tale causa possa andare a buon fine è necessario dimostrare che il terzo acquirente fosse consapevole della situazione di insolvenza del venditore.

Si segnala altresì che condotte del genere potrebbero essere anche sussunte nell’alveo del reato di cui all’art. 388 ter del codice penale che censura espressamente qualsiasi condotta simulata e/o fraudolenta effettuata sui beni propri o altrui al fine di sottrarsi all’esecuzione di una multa, ammenda o di una sanzione amministrativa pecuniaria non ottemperando nei termini all’ingiunzione di pagamento contenuta nel precetto.

Se dunque noi ipotizzassimo, nel caso di specie, che dopo l’ispezione del lavoro sia stata irrogata la sanzione susseguente all’impiego del lavoro sommerso, eventuali operazioni fraudolente o simulate sui beni aziendali ben potrebbero essere punibili per il reato di mancata esecuzione dolosa di sanzioni pecuniarie.
Ciò chiaramente, come l’articolo del codice penale afferma, ammesso che la sanzione amministrativa sia già nella fase di riscossione del pagamento e, dunque, che all’imprenditore sia già stato notificato il precetto relativo.

Possiamo dunque concludere che al caso di specie non sembra essere applicabile l'art. 11 del DPR 74 del 2000 stante la differente natura dei tributi; mentre potrebbe essere applicato l'art. 388 ter qualora la sanzione amministrativa sia già stata erogata e sia già stato notificato all'imprenditore il precetto con cui si intima il pagamento.

Vista la delicatezza della questione, in ogni caso, si sconsiglia dal porre in essere qualsivoglia azione simulata e/o fraudolenta anche per le non trascurabili conseguenze che potrebbero derivare dal punto di vista fallimentare, in caso di fallibilità dell’azienda.